6. IL PROTESTANTESIMO DA LUTERO AGLI STATI
UNITI
Quando il
cristianesimo occidentale (cattolicesimo) per farsi guidare sceglieva papi
immorali come Alessandro VI Borgia (1492-1503), Martin Lutero radicò in Germania
una Riforma (1517) che s’era tentato inutilmente di realizzare da ben mezzo
millennio. Lutero lo fece traducendo subito la Parola di Dio in lingua volgare e
non c’è dubbio che il protestantesimo abbia rimesso al centro la Bibbia.
Dopo la «fase continentale» luterano-calvinista, il protestantesimo ha
proseguito con una «fase atlantica» anglo-americana e le diversità fra le due
fasi non mancano. Nel complesso però il mondo protestante ha alcune
caratteristiche comuni che ora elenchiamo:
■ Grande stabilità politica e sociale;
■ Prosperità economica;
■ Libertà religiosa;
■ Fondamenti culturali influenzati dalla Bibbia (anche se oggi spesso molto
corrosi);
■ Sostanziale sicurezza per gli ebrei che sono all’interno;
■ Posizioni variegate verso lo Stato d’Israele, che vanno dalla «neutralità»
(più diffusa nel «protestantesimo continentale») a un aperto sostegno
(prevalente in quell’atlantico).
Quando si parla di
mondo protestante, è inevitabile che venga subito alla mente Lutero e la
Germania; molti poi si fermano a quella nazione e così terminano il loro
percorso con Hitler, che così associano a Lutero. Invece in Germania il
protestantesimo venne accolto «a macchia di leopardo» e spesso superficialmente,
continuando ad avere al comando un imperatore che si definiva cattolico. Gli
sviluppi più coerenti delle basi luterane, perciò, s’ebbero fuori della Germania
e viene subito alla mente la Ginevra di Calvino: un’altra tappa significativa
nella quale altri si fermano, non cogliendo così quell’elaborazione finale e
radicale del protestantesimo che s’avrà poi nel mondo anglofono.
Il «libero esame» della Bibbia, teorizzato da Lutero, arrivò alle sue estreme
conseguenze quando, nell’America Settentrionale, Roger Williams diede l’avvio
(1636) a quella che poi sarà la colonia del Rhode Island, area nella quale
s’introdusse per la prima volta la piena libertà religiosa e la separazione fra
Chiese (al plurale) e Stato. Lo Stato acquistò così una legittimità e una
«sacralità» autonome, cioè non collegate a una religione, mentre le Chiese si
resero indipendenti e autonome dallo Stato (paradossalmente, proprio questa
separazione voluta dalle Chiese le legava di fatto a quello Stato).
L’impostazione del Rhode Island risultò particolarmente efficace («Dio la
benedisse», in termini biblici) e così si diffuse a cerchi concentrici: prima
nelle altre colonie del New England, poi nel mondo protestante in generale.
Il cattolicesimo tentò d’arginare questa modernità emergente con l’innalzamento
di steccati, accendendo i fuochi dell’Inquisizione e stringendo un’alleanza con
i regimi politici del tempo (il famoso «braccio secolare» della Chiesa). Quando
una marea continua costantemente a salire, però, le barriere finiscono per
cedere e proprio in questa chiave può essere vista la Rivoluzione francese, la
quale disarticolò il cattolicesimo e incominciò a imporre anche in quel mondo le
libertà individuali.
Più che addentrarci nel mondo cattolico, comunque, c’interessa mostrare come
l’attuale preminenza mondiale degli Stati Uniti, al di là degli errori e dei
limiti che ha, non è occasionale o frutto di furbizia, ma deriva dalla forza
d’un progetto che sta crescendo da più di due secoli (e che, come tutto ciò che
nasce e cresce, poi morirà).
Se Dio ora promuove la libertà dell’individuo, perché vuole che ciascuno possa
ascoltare l’Evangelo e decidere liberamente d’unirsi a Cristo, allora la
«fortuna» degli Stati Uniti è dovuta alla coincidenza fra il progetto di Dio e
la Costituzione di quello Stato.
C’è però un altro aspetto che è in genere poco compreso e riguarda il rapporto
fra gli Stati Uniti e Israele. È noto come gli Stati Uniti siano interessati al
petrolio (e quale Stato se ne disinteressa?) ed è pure noto come si schierino
costantemente a fianco d’Israele (che è privo di petrolio, al contrario dei suoi
nemici). Questa contraddittorietà della politica americana e il suo schierarsi
sempre a fianco dello Stato d’Israele (sia con i governi di destra che di
sinistra) credo che abbia a fondamento proprio la scelta teologica di Roger
Williams, che non attribuisce più alla Chiesa le benedizioni territoriali
promesse a Israele nell’Antico Testamento. In quest’ottica, lo Stato d’Israele
viene visto come complementare agli Stati Uniti, come un’entità che
giustifica e rafforza la concezione che un americano ha della propria nazione.
Il puritano americano mette al centro se stesso e il suo rapporto con Dio: dello
Stato può anche farne a meno (vedi la mitologia del Far West) e a esso chiede
soprattutto di permettergli l’esercizio della sua individuale libertà (vedi
Costituzione degli Stati Uniti). Per il puritano, la legittimità delle
organizzazioni deriva da accordi liberamente e solennemente sottoscritti dagli
aderenti (covenant): così egli accetta di far
parte d’una città (per esempio Boston), d’uno Stato federale (Massachusetts),
d’una confederazione continentale di Stati (Stati Uniti d’America), di
un’organizzazione mondiale di Stati (Società delle Nazioni prima e poi ONU,
significativamente ambedue promosse dagli Stati Uniti). L’organizzazione
politica alla quale il puritano si sente pienamente d’appartenere, però, è il
«Regno di Dio» il quale, così capisce dalla Bibbia, scenderà dal cielo in
corrispondenza di Gerusalemme e, negli ultimi tempi, coinvolgerà di nuovo un
popolo ebreo tornato in Palestina. Egli perciò non è che «appoggia» Israele, ma
si sente parte di quel progetto, cittadino della Gerusalemme escatologica, sede
del futuro governo messianico che sta per arrivare e che, al di là degli errori
degli attuali governi d’Israele, nascerà proprio dal grembo della Gerusalemme
d’oggi.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/308g-GeoCristiana_6Protestanti_MeG.htm
26-11-2007; Aggiornamento: 05-01-2008
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