Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Radici 5-6

 

3. Cultura biblica

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Spiegazione delle rubriche

 

 

Oltre alle parti introduttive (Bibbia, AT) e al Giochimpara finale, il libro contiene due parti distinte dell’AT: l’Epoca Babilonese e l’Epoca Persiana. In appendice ci sono tre excursus:
■ I nomi ebraici di Dio
■ Il patto, i patti e i testamenti
■ La Bibbia fra criticismo e modernismo.

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca babilonese («Libri storici e profetici III»):
■ L’epoca babilonese in generale
■ Sofonia
■ Habacuc
■ Geremia
■ Lamentazioni
■ Daniele
■ Ezechiele
■ Il tempo dell’esilio. 

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca persiana («Libri storici e profetici IV»):
■ L’epoca persiana in generale
■ Esdra-Nehemia
■ Ester
■ Aggeo
■ Zaccaria
■ Malachia
■ L’epoca intertestamentaria.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LAMPI DI GEOGRAFIA CRISTIANA

Gesù come valuta le nazioni d’oggi?

 

 di Fernando De Angelis

 

 | Indice | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15.1 | 15.2 | 15.3 |

 

 

13.  BRASILE

 

Non possiamo fare una storia e un’analisi dell’America Latina, facciamo solo rilevare che la vecchia base cattolica è sempre più insidiata da un pullulare di chiese evangeliche (protestanti) di vario genere, soprattutto d’orientamento pentecostale. In genere la crescita è realizzata senza clamori e senza relazionarsi alle strutture politiche, ma dato che le percentuali d’evangelici sono divenute spesso a due cifre, cominciano qua e là a emergere anche influenze politiche indirette: quelle dirette sono ostacolate dal fatto che il protestantesimo è molto variegato al suo interno e ciascuna chiesa locale tende a essere autonoma. L’influenza evangelica, insomma, più che sul piano partitico-organizzativo, si manifesta su quello dei valori (rifiuto degli estremismi, approccio pragmatico ai problemi, orientamenti politici fra il liberale e il socialdemocratico). Qui ci soffermeremo solo sul Brasile.

     Già in un articolo di molti anni fa Pio Milpacher, un religioso cattolico italiano che opera in Brasile da un ventennio, ha scritto: «Penso che ormai in Brasile, per ogni chiesa cattolica esistano almeno dieci chiese evangelico-fondamentaliste e altrettanti centri appartenenti a sette spiritiste e a culti orientali. […] Noi cioè abbiamo la maggioranza anagrafica; ma si tratta d’una religione che serve per battesimi, matrimoni e suffragi. […] Alla periferia di Rio de Janeiro si trova una città satellite che è stata eretta come diocesi da un quarto di secolo. Nel giro di 25 anni è riuscita a formare appena una decina di preti e a erigere una quarantina di parrocchie. Nel frattempo sono sorte più di mille cappelle di sette protestanti e sono nati altrettanti centri spiritualisti e sono stati formati più di mille pastori» (P. Canova, Un vulcano in eruzione (EMI, Bologna 1987), p. 9].

     Un articolo del mensile Internazionale (del 14/10/05, pp. 40-43) s’intitolava «Gli atleti di Cristo» col sottotitolo «In Brasile il calcio e la fede vanno a braccetto». All’interno dell’articolo si mette in risalto l’Associazione Atleti di Cristo, che annovera settemila professionisti dello sport: fra quelli che sono in Italia v’appartengono fra gli altri Kakà, Adriano, Ze Maria, Amarildo e Serginho. Anche questa fonte confermava una percentuale d’evangelici in Brasile intorno al 20%.

     L’articolo più interessante, però, è quello di Rocco Cotroneo, apparso sul Corriere della Sera del 3/10/02 (p. 15), alla vigilia delle elezioni, nelle quali Lula è stato eletto Presidente per la prima volta. Il titolo a tutta pagina era già molto esplicito («Brasile, l’irresistibile ascesa degli evangelici»), come pure alcune espressioni del testo: «In pochi decenni oltre venti milioni di fedeli hanno voltato le spalle alla Chiesa di Roma per abbracciare culti protestanti, in particolare evangelici e pentecostali. Un fenomeno poco conosciuto, ma senza precedenti dai tempi dei grandi scismi. […] Nel Parlamento brasiliano uscente, tra senatori e deputati, 51 si riconoscono nella lobby evangelica. Il Pt, il partito di Lula, ne ha pochi di più, 62 parlamentari. […] Gli evangelici controllano più di 300 emittenti di radio e tv. Più dell’80 per cento della programmazione religiosa nella tv brasiliana è evangelica. […] Lula ha compiuto la manovra più audace della campagna elettorale con un occhio all’elettorato evangelico. Il suo principale alleato a livello nazionale è il Pl, partito liberale, che a Rio de Janeiro è nelle mani della Igreja Universal di Macero [una diffusa denominazione evangelica, N.d.R.]. […] E la Chiesa cattolica? […] Nonostante non manchino i candidati esplicitamente cattolici, il ruolo della Chiesa in queste elezioni è piuttosto distaccato. Di più, è assolutamente marginale».

     Dopo aver letto quest’articolo, sono stato attento a ogni notizia riguardante Lula, nel passato caratterizzatosi per posizioni vicine alla sinistra radicale. Un primo bilancio si può certamente fare, perché Lula ha terminato il suo primo mandato presidenziale e nel 2006 è stato rieletto per quattro anni.

     Confesso di «stravedere» per il Brasile e di ciò ne ho lasciato traccia nelle mie dispense scolastiche di diverse anni fa (1994). Ora però mi sembra che m’incoraggino elementi più circostanziati, senza escludere che ci possa essere una qualche delusione.

     Lula mi è sembrato complessivamente positivo e capace di dare un’impostazione innovativa non solo al Brasile, ma a tutta l’America Latina, che così potrebbe finalmente trovare una via allo sviluppo ordinato. Non ha abbandonato le sue «amicizie pericolose», come per esempio quella con Fidel Castro, ha però abbandonato le classiche politiche della sinistra velleitaria tipica dell’America Latina, che promette tutto a tutti, svuota le casse dello Stato e presto deve sloggiare per manifesta bancarotta.

     La politica di Lula a favore dei poveri ha tenuto conto delle compatibilità economiche e ha teso a curare i mali sociali non deresponsabilizzando gli individui con regali a pioggia come fanno i populisti, ma facendo piuttosto pensare alle socialdemocrazie nordiche. È stato acclamato dai «no global» per le sue critiche agli Stati Uniti e a certi aspetti dell’economia globalizzata, ma non è scivolato nel classico antiamericanesimo parolaio e inconcludente, cercando invece di fare concrete proposte alternative, sulle quali far convergere gli interessi anche d’altre nazioni (dell’America Latina, ma non solo), con ciò facendo intravedere l’inizio d’una possibile leadership. Il contrasto con gli Stati Uniti non ha portato alla contrapposizione preconcetta, ma al negoziato, attraverso il quale sono maturati anche accordi strategici (come per esempio quello sulla cosiddetta «benzina verde»).

     Il Brasile ha alcuni punti di forza per emergere sulla scena internazionale: vastità del territorio (circa 30 volte l’Italia), elevato numero d’abitanti (circa 200 milioni, poco meno di quelli degli Stati Uniti), posizione geografica al centro dell’America Latina, composizione etnica variegata che facilita una veduta internazionale dei problemi e il dialogo col mondo.

     C’è però un dettaglio che mi fa apprezzare il Brasile in modo particolare: mentre per esempio l’Argentina si è fatta a suo tempo travolgere da una versione locale di fascismo (peronismo) che non ha ancora rinnegato, il Brasile scelse di prendere una chiara posizione contro il nazi-fascismo (unico Stato dell’America Latina a farlo!), mandando i suoi soldati a morire anche in Italia, in unione con le forze degli Alleati che hanno risalito la Penisola. Ciò forse si ricollega a un’antica scelta fatta dal Portogallo, del quale il Brasile è stato colonia e dal quale ha ereditato la lingua: quando la Spagna massacrava e cacciava gli ebrei, il Portogallo non s’associò a quell’impresa, ma offrì rifugio a quelli che riuscivano a scappare. Queste benevolenze verso il suo popolo, credo che Dio non le dimentichi facilmente!

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/308n-GeoCristiana_13Brasile_R56.htm

26-11-2007; Aggiornamento: 05-01-2008

 

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