13. BRASILE
Non possiamo fare
una storia e un’analisi dell’America Latina, facciamo solo rilevare che la
vecchia base cattolica è sempre più insidiata da un pullulare di chiese
evangeliche (protestanti) di vario genere, soprattutto d’orientamento
pentecostale. In genere la crescita è realizzata senza clamori e senza
relazionarsi alle strutture politiche, ma dato che le percentuali d’evangelici
sono divenute spesso a due cifre, cominciano qua e là a emergere anche influenze
politiche indirette: quelle dirette sono ostacolate dal fatto che
il protestantesimo è molto variegato al suo interno e ciascuna chiesa locale
tende a essere autonoma. L’influenza evangelica, insomma, più che sul piano
partitico-organizzativo, si manifesta su quello dei valori (rifiuto degli
estremismi, approccio pragmatico ai problemi, orientamenti politici fra il
liberale e il socialdemocratico). Qui ci soffermeremo solo sul Brasile.
Già in un articolo di molti anni fa Pio Milpacher, un religioso cattolico
italiano che opera in Brasile da un ventennio, ha scritto: «Penso che ormai in
Brasile, per ogni chiesa cattolica esistano almeno dieci chiese
evangelico-fondamentaliste e altrettanti centri appartenenti a sette spiritiste
e a culti orientali. […] Noi cioè abbiamo la maggioranza anagrafica; ma si
tratta d’una religione che serve per battesimi, matrimoni e suffragi. […] Alla
periferia di Rio de Janeiro si trova una città satellite che è stata eretta come
diocesi da un quarto di secolo. Nel giro di 25 anni è riuscita a formare appena
una decina di preti e a erigere una quarantina di parrocchie. Nel frattempo sono
sorte più di mille cappelle di sette protestanti e sono nati altrettanti centri
spiritualisti e sono stati formati più di mille pastori» (P. Canova, Un
vulcano in eruzione
(EMI, Bologna 1987),
p. 9].
Un articolo del mensile Internazionale (del 14/10/05, pp. 40-43)
s’intitolava «Gli atleti di Cristo» col sottotitolo «In Brasile il calcio e la
fede vanno a braccetto». All’interno dell’articolo si mette in risalto
l’Associazione
Atleti di Cristo, che annovera settemila professionisti dello sport: fra
quelli che sono in Italia v’appartengono fra gli altri Kakà, Adriano, Ze Maria,
Amarildo e Serginho. Anche questa fonte confermava una percentuale d’evangelici
in Brasile intorno al 20%.
L’articolo più interessante, però, è quello di Rocco Cotroneo, apparso sul
Corriere della Sera del 3/10/02 (p. 15), alla vigilia delle elezioni, nelle
quali Lula è stato eletto Presidente per la prima volta. Il titolo a tutta
pagina era già molto esplicito («Brasile, l’irresistibile ascesa degli
evangelici»), come pure alcune espressioni del testo: «In pochi decenni oltre
venti milioni di fedeli hanno voltato le spalle alla Chiesa di Roma per
abbracciare culti protestanti, in particolare evangelici e pentecostali. Un
fenomeno poco conosciuto, ma senza precedenti dai tempi dei grandi scismi. […]
Nel Parlamento brasiliano uscente, tra senatori e deputati, 51 si riconoscono
nella lobby evangelica. Il Pt, il partito di Lula, ne ha pochi di più, 62
parlamentari. […] Gli evangelici controllano più di 300 emittenti di radio e tv.
Più dell’80 per cento della programmazione religiosa nella tv brasiliana è
evangelica. […] Lula ha compiuto la manovra più audace della campagna elettorale
con un occhio all’elettorato evangelico. Il suo principale alleato a livello
nazionale è il Pl, partito liberale, che a Rio de Janeiro è nelle mani della
Igreja Universal di Macero [una diffusa denominazione evangelica, N.d.R.]. […] E
la Chiesa cattolica? […] Nonostante non manchino i candidati esplicitamente
cattolici, il ruolo della Chiesa in queste elezioni è piuttosto distaccato. Di
più, è assolutamente marginale».
Dopo aver letto quest’articolo, sono stato attento a ogni notizia riguardante
Lula, nel passato caratterizzatosi per posizioni vicine alla sinistra radicale.
Un primo bilancio si può certamente fare, perché Lula ha terminato il suo primo
mandato presidenziale e nel 2006 è stato rieletto per quattro anni.
Confesso di «stravedere» per il Brasile e di ciò ne ho lasciato traccia nelle
mie dispense scolastiche di diverse anni fa (1994). Ora però mi sembra che
m’incoraggino elementi più circostanziati, senza escludere che ci possa essere
una qualche delusione.
Lula mi è sembrato complessivamente positivo e capace di dare un’impostazione
innovativa non solo al Brasile, ma a tutta l’America Latina, che così potrebbe
finalmente trovare una via allo sviluppo ordinato. Non ha abbandonato le sue
«amicizie pericolose», come per esempio quella con Fidel Castro, ha però
abbandonato le classiche politiche della sinistra velleitaria tipica
dell’America Latina, che promette tutto a tutti, svuota le casse dello Stato e
presto deve sloggiare per manifesta bancarotta.
La politica di Lula a favore dei poveri ha tenuto conto delle compatibilità
economiche e ha teso a curare i mali sociali non deresponsabilizzando gli
individui con regali a pioggia come fanno i populisti, ma facendo piuttosto
pensare alle socialdemocrazie nordiche. È stato acclamato dai «no global» per le
sue critiche agli Stati Uniti e a certi aspetti dell’economia globalizzata, ma
non è scivolato nel classico antiamericanesimo parolaio e inconcludente,
cercando invece di fare concrete proposte alternative, sulle quali far
convergere gli interessi anche d’altre nazioni (dell’America Latina, ma non
solo), con ciò facendo intravedere l’inizio d’una possibile leadership. Il
contrasto con gli Stati Uniti non ha portato alla contrapposizione preconcetta,
ma al negoziato, attraverso il quale sono maturati anche accordi strategici
(come per esempio quello sulla cosiddetta «benzina verde»).
Il Brasile ha alcuni punti di forza per emergere sulla scena internazionale:
vastità del territorio (circa 30 volte l’Italia), elevato numero d’abitanti
(circa 200 milioni, poco meno di quelli degli Stati Uniti), posizione geografica
al centro dell’America Latina, composizione etnica variegata che facilita una
veduta internazionale dei problemi e il dialogo col mondo.
C’è però un dettaglio che mi fa apprezzare il Brasile in modo particolare:
mentre per esempio l’Argentina si è fatta a suo tempo travolgere da una versione
locale di fascismo (peronismo) che non ha ancora rinnegato, il Brasile scelse di
prendere una chiara posizione contro il nazi-fascismo (unico Stato dell’America
Latina a farlo!), mandando i suoi soldati a morire anche in Italia, in unione
con le forze degli Alleati che hanno risalito la Penisola. Ciò forse si
ricollega a un’antica scelta fatta dal Portogallo, del quale il Brasile è stato
colonia e dal quale ha ereditato la lingua: quando la Spagna massacrava e
cacciava gli ebrei, il Portogallo non s’associò a quell’impresa, ma offrì
rifugio a quelli che riuscivano a scappare. Queste benevolenze verso il suo
popolo, credo che Dio non le dimentichi facilmente!
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/308n-GeoCristiana_13Brasile_R56.htm
26-11-2007; Aggiornamento: 05-01-2008
|