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sottostante
1.
{Antonio Capasso}
▲
Nota redazionale: Quanto qui detto da questo lettore, si riferisce si
riferisce ai contributi 4 e 5 presenti nel tema di discussione «Pentecostali
e carismaticisti: è necessario distinguerli?».
Quello che da un po’ fastidio, cari
fratelli Martella e Nunnari, è questo vostro modo di trattare i fratelli
pentecostali (classici). Vedo uno spirito di superiorità da parte vostra,
superiorità teologica s’intende. Trattate sempre questi fratelli con
sufficienza, quasi fossero dei poveri ignoranti con turbe psichiche. È chiaro
che un risveglio con proporzioni cosi vaste porti molti problemi. Anche nella
chiesa di Corinto ci furono dei problemi sul piano carismatico, ma non per
questo Paolo disprezzò il parlare in lingue, pur dando alla profezia valore
primario nell’ambito del culto pubblico.
Caro Nicola, ho
letto il tuo libro «Carismosofia».
Ho condiviso il 90 percento di quello che vi è scritto. Di questo 90
percento, che hai scritto, lo puoi trovare in tanti studi e libri, di fratelli
pentecostali classici che dicono le tue stesse cose.
Vi ricordo, cari
fratelli, che quel
qualcosa di più, di cui parla il fratello Siena, è contemplato nella
Scrittura. Voi credete che era solo per un tempo, noi crediamo che sia anche per
oggi. Non stiamo oltre. Invece, le tante esperienze di carismatici e
neo-pentecostali non sono contemplate nella Scrittura, quindi non possono essere
messe sullo stesso piano dell’esperienze delle «lingue».
Quanto alla frase di Nunnari, secondo cui «che
i pentecostali valutano le proprie esperienze con la Scrittura, ciò è
fatto spesso solo a parole».
Ricordo alcune frasi di pionieri del risveglio pentecostale.
Guglielmo
J. Seymour, l’anziano della famosa missione di Azusa Steet, durante il
grande risveglio d’Azusa (Los angeles, 1906), a chi criticava lui e altri suoi
collaboratori per la loro insistenza nel «verificare ogni cosa con la Parola
di Dio» rispondeva attraverso il numero di settembre 1907 de «La fede
Apostolica» (il mensile della Missione): «Noi ci misuriamo per ogni cosa con
la Parola, ogni esperienza deve essere provata con la Bibbia, alcuni
affermano che questo è eccessivo, ma se viviamo molto vicini alla Parola,
risolveremo tutto col Signore quando l’incontreremo nell’aria».
Frank Bartleman, anch’egli pentecostale, del 1906 così s’esprime: «Ci sono
delle moltitudini di persone rinchiuse in sistemi ecclesiastici dentro confini
settari, mentre i pascoli di Dio, ampi e liberi, s’estendono davanti a loro
limitati soltanto dalla Parola di Dio» (Frank Bartleman, «Azusa
Street» Publielim, pag.111).
Quel «di più» è stata la ricerca di credenti, che non sono rimasti
rinchiusi in «sistemi ecclesiastici dentro confini settari», ma
hanno cercato «i pascoli di Dio, ampi e liberi», rimanendo «limitati
soltanto dalla Parola di Dio». Dio vi benedica. {15 settembre 2009}
2.
{Nicola Martella}
▲
La prima cosa che ho
notato, è quella di accumunare insieme due persone e quello che essi
dicono, sebbene sia diversi come individui e nelle loro asserzioni. Gaetano
Nunnari ha conosciuto (e sofferto) di persona tutto lo spettro di esperienze che
vanno dal pentecostalismo classico ai più sfrenati neopentecostali (o
carismaticisti). Come ex militante porta con sé, ora, un’avversione viscerale
verso il fenomeno mistico-entusiastico in genere. Già diverse volte ho dovuto
quietare e mitigare le sue asserzioni e i suoi impeti, basati su ferite in parte
ancora aperte.
Quanto a me,
io non ho un passato nel fenomeno mistico-entusiastico e non porto con me
esperienze reattive legate al mio passato. Conosco certamente di persona vari
fenomeni inerenti a tale variegato mondo. Analizzo però tale mondo così
eterogeneo da studioso, con distacco emotivo.
Quindi è cosa poco
realista e seria confondere le persone e le loro asserzioni o accomunarle
insieme. Antonio Capasso avrebbe inoltre fatto bene a porre attenzione a
vari aspetti
della questione, ad esempio ai seguenti.
■ Ho
differenziato il variegato mondo
mistico-entusiastico, evitando di accomunarlo a un solo comune denominatore. E
questo proprio in risposta al contributo di Gaetano Nunnari! È quindi
sorprendente che egli ci accomuni insieme. Poi, però, scrive al sottoscritto,
ritornando presto al «cari fratelli». Avrebbe fatto meglio a reagire ai singoli
contributi e ai loro autori in modo separato. Onori e oneri sono sempre
individuali.
■ Studiare un fenomeno e rappresentarlo in tutte le sue sfaccettature, non
significa porsi al di sopra o trattarlo con sufficienza. Proprio lo
scrupolo di rappresentarlo in tutte le sue varie forme, dovrebbe indicare il
contrario.
■ La differenza fra pentecostali classici e carismaticisti viene fatta su questo
sito anche (e proprio) da lettori che militano in chiese pentecostali e
che prendono le distanze dai neopentecostali. Si pongono anch’essi al di sopra
del fenomeno pentecostale generale o lo trattarlo con sufficienza? Anche Antonio
Capasso ha preso spesso la parola e lo fa anche qui.
■ Antonio Capasso ha perso probabilmente un’occasione per contribuire al tema in
modo costruttivo, più distaccato e più nel merito. Incendiarsi in modo
partigiano, non aiuta la verità e anzi fa dire spropositi come attribuire
agli altri
di pensare che tutti i pentecostali siano «poveri
ignoranti con turbe psichiche».
■ Che il
90 percento di «Carismosofia»
sia condiviso dai pentecostali classici, se così è, non mi può che fare piacere.
E questo tanto più, visto che il lettore ne parla come appartenenti a «un
risveglio con proporzioni cosi vaste» (non che la verità si accerti a
maggioranza, ma a ognuno fa piacere sapere che molti la pensano come lui, almeno
al 90%!).
■ Come non sono entrato in merito al «qualcosa di più», affermato da Gianni Siena, così non lo
farò ora, non essendo questo il tema qui. Posso assicurare però che
sull’«allora» (sì) e sull’«oggi» (no), di cui Antonio Capasso parla, ci sono
spesso molti pregiudizi; bisognerebbe dire almeno che cosa «allora sì» e «oggi
no», invece di voler firmare un assegno in bianco. Inoltre anche i
neopentecostali potrebbero dire summa summarum: «Non
stiamo noi oltre, siete voi che state indietro». Uno
studioso analizza sempre caso per caso e da lì poi risale al fenomeno
complessivo.
■ Non mi sento di dover rispondere io per le cose dette da altri,
qui da Gaetano
Nunnari. Né commenterò le parole di Guglielmo J. Seymour, mancando
qui il riferimento specifico (a che cosa si riferiva nel caso specifico? alla
glossolalia? ad altro?) e il punto di vista di quanti lo conobbero e
analizzarono tali sue parole nel suo tempo (circa un secolo fa), nel
contesto della sua vita e delle sue esperienze concrete. Lo stesso vale anche
per Frank Bartleman con la sua critica, come sembra, alle chiese
istituzionali del suo tempo. Le frasi così come stanno, sono abbastanza
accettabili. Purtroppo lo è meno l’interpretazione che Antonio Capasso fa di
esse, visto che tali autori si riferivano probabilmente ad altro e non proprio
al suo «di più». La correttezza è la prima ancella della verità. Così
facendo si potrebbe alimentare il sospetto che asserzioni originarie vengano
decontestualizzate e asservite ai propri interessi ideologici; solo conoscendo
tali due articoli nella loro interezza, si potrà accertare al riguardo la vera
realtà delle cose. Infine una domanda resta ancora aperta: Che cosa c’entra poi
tutto ciò col tema delle distinzioni necessarie fra pentecostali e carismatici?
Perché Antonio Capasso non ha approfondito maggiormente proprio questo tema?
3.
{Gaetano Nunnari}
▲
Nota redazionale:
Come potevo prevedere con il contributo di Antonio Capasso, invece di parlare
del tema in corso (le distinzioni necessarie fra
pentecostali e carismatici), si passa a battere su altro e a
controbattere su ciò che afferma l’altro o si ritiene che egli pensi. Così si
ingenera un ping-pong su altro, qui fra pentecostali classici ed evangelici non
pentecostali. La cosa positiva è che ci si parli, quella negativa è che non ci
si attenga al tema. Diamo ora la parola a Gaetano
Nunnari.
Quando ho letto il
contributo di Antonio Capasso, sono rimasto stupito. Capasso riferendosi anche a
me, afferma: «Trattate sempre questi fratelli [pentecostali] con sufficienza,
quasi fossero dei poveri ignoranti con turbe psichiche». Ho l’impressione
che, con queste affermazioni, Capasso non riesca a comprendere ciò che legge, né
tantomeno a identificarsi davvero come pentecostale classico, visto il tono
della sua replica. Avrei capito un tale tono, se Capasso fosse stato un
carismaticista ma, dato che s’identifica come pentecostale classico, mi ha
alquanto stupito. Da dove ha tratto Capasso le sue conclusioni per affermare ciò
che ha scritto? La risposta probabilmente si trova nella sua mancanza
d’oggettività.
Vorrei invece ricordare a Capasso il fatto che i pentecostali parlano molto
spesso di noi
evangelici biblici come dei poverini che «non credono allo Spirito Santo»,
come dei sempliciotti che sono rimasti al latte spirituale e che non ricercano
il cibo solido. Tralascio poi di riportare quello che dicono i carismaticisti,
anche se comunque il loro pensiero, nutrito di un vocabolario ripieno di
«unzione» è disponibile sul sito di «Fede controcorrente». [►
Lo stato del cuore di un carismaticista]
Proseguo, prendendo anche atto che Capasso ammette d’essere particolarmente
infastidito, fino al punto che mi ha attribuito il fatto d’aver detto che i
pentecostali siano dei dementi. Si vede proprio che il suo essere di parte,
riesce a fargli sorvolare su dettagli importanti. Ho sempre chiamato i
pentecostali classici con l’appellativo di «fratelli», cosa che non
faccio con i carismaticisti, in quanto non li considero tali. In un mio articolo
sulla glossolalia avevo proprio detto che non consideravo i pentecostali «lavati
di cervello». Ciò nonostante Capasso m’attribuisce lo stesso cose che non ho mai
detto. Chiaramente Capasso dimostra d’avere pregiudizi nei miei confronti, e
molto probabilmente, visto i suoi toni da rivalsa che esporrò più avanti, anche
nei confronti degli evangelici biblici.
Mi chiedo se il detto «la verità fa male» s’addica alle sue affermazioni
gratuite. Voglio però a malincuore confermare ciò che Capasso mi ha attribuito,
e cioè, gli atteggiamenti che farebbero pensare a turbe psichiche le ho viste
spesso anche in chiese ADI. Ricordo a Capasso che anche Paolo disse ai Corinzi
che se parlavano in lingua tutti insieme le persone avrebbero pensato che
fossero fuori di senno (quindi affetti da
turbe psichiche). Sarei curioso di sapere come viene gestito tale
fenomeno nella comunità di Capasso, e come egli stesso si pone davanti a questo
problema. Segue l’onda emotiva, ignorando
il comando dell’apostolo Paolo mentre invece quest’ultimo, ispirato dallo
Spirito Santo, dava chiare disposizioni in merito, oppure s’attiene
rigorosamente alla Scrittura (che come disse anche Gesù, non può essere
annullata)?
Capasso scrive ancora: «Quanto alla frase di Nunnari, secondo cui “che
i pentecostali valutano le proprie esperienze con la Scrittura, ciò è fatto
spesso solo a parole”». Lo riconfermo
(se dicessi il contrario sarei un bugiardo). In ogni modo non posso neppure
esporre e raccontare pubblicamente esperienze altrui che toccano i sentimenti
più profondi di certe persone. Evidentemente, però, Dio non va contro la sua
Parola, e anche se la carica emotiva di certe esperienze è forte, non dev’essere
quest’ultima il nostro metro di misura, ma la Parola di Dio. Per fare un
esempio, è come quando il defunto padre Pio appare, ogni tanto, a qualche malato
e questi viene guarito. Quelli guariti diventano devoti cattolici, si sentono
benedetti e, in barba alla Parola di Dio, alla fine sono tutti felici e
contenti.
Capasso alla fine termina
dicendo e dimostrando il suo vero pensiero verso gli evangelici biblici e di cui
all’inizio ho scritto. Infatti afferma: «Quel “di più” è stata la
ricerca di credenti, che non sono rimasti rinchiusi in “sistemi ecclesiastici
dentro confini settari”, ma hanno cercato “i pascoli di Dio, ampi
e liberi”». Capasso, riportando una tale
affermazione, dimostra di possedere lui stesso uno
«spirito di superiorità» e addirittura
di superiorità teologica (s’intende). Capasso evidentemente, come ha attribuito
gratuitamente a me, considera egli stesso gli evangelici biblici con
sufficienza, quasi fossimo dei poveri ignoranti; ma non potendo dire che siamo
affetti da turbe psichiche, egli suggerisce con parole d’altri che noi siamo
rimasti rinchiusi in «sistemi ecclesiastici dentro confini settari»
(sic!!!), mentre invece lui ha
cercato «i pascoli di Dio, ampi e liberi», rimanendo «limitati
soltanto dalla Parola di Dio».
Certamente se devo usare il
suo stesso linguaggio raffigurativo, gli dico che sì, certamente i pascoli di
Dio sono ampi e liberi, ma c’è un recinto (la Parola di Dio scritta), che
delimita il pascolo, dove possiamo ristorare l’anima nostra (Salmo 23). Troppo
spesso però, l’erba del vicino pare più verde, e qualche pecorella ogni tanto
gradisce fare un salto «oltre» la staccionata! {17 settembre 2009}
4.
{Antonio Capasso}
▲
Nota redazionale:
Ho numerato i paragrafi per facilitare le risposte date da Gaetano
Nunnari e dal sottoscritto. Aggiungo anche i luoghi
delle citazioni, visto che questo lettore li ha trascurate, stralciandole dal
loro contesto. Si fa sempre bene a citare l'articolo o il tema preciso, perché
si possa ritrovarlo con facilità.
■ 1.
Ciò che non approvo è la mancanza di chiarezza. Questa mancanza di chiarezza la
vedo in tante affermazioni che qua e la trovo nel sito. Non mi dite che vado
fuori tema, perché mi riferisco proprio alle differenze tra pentecostali
classici e neo-pentecostali. S’afferma in questo articolo e in diverse parti del
sito che si fa un distinguo, però poi all’improvviso si tirano stilettate ai
pentecostali.
■ 2.
Non c’è superiorità teologica? Che cosa significano allora queste parole?
«Per quanto riguarda invece i miei fratelli
pentecostali: hanno voluto qualcosa in più? Forse sarà meglio che facciano un
passo in dietro, posando gli occhi più sulle Scritture. Perlomeno li
scongiuro di non andare ancora più oltre» Nunnari). [sopra
►
3.]
Inerente alle turbe
psichiche, che cosa significano queste parole? «La maggior parte di
coloro che praticano il parlare in lingue incomprensibili, è sottoposta a una
pressione mentale» (Nunnari).
[►
Pentecostalismo e glossolalia]
■ 3.
«La stragrande maggioranza di coloro che esercitano la glossolalia recitano in
effetti quello che nella psicologia si chiama un «engramma».
L’engramma psichico è definito tecnicamente una “traccia perenne d’impressioni
psichiche”» (Martella). [►
Glossolalia e demonizzazione?]
«Oltre alla
suggestione di massa, esiste la coercizione dottrinale all’interno d’un
sistema chiuso, che genera autosuggestione e coercizione psicologica, volendo il
singolo appartenere alla “normalità” del gruppo per sentirsi a posto e trovare
accettazione e riconoscimento. Applicando allora tutto ciò al fenomeno odierno
delle lingue…» (Martella). [►
Glossolalia, lingue ed engramma psichico]
Ok! I neopentecostali e carismatici stanno rovinati, i pentecostali un po’ meno,
ma sempre rovinati stanno.
■ 4.
Ribadisco i «pascoli di Dio ampi e liberi», ma solo col recinto della
Parola di Dio. La staccionata la salta chi parla di
esperienze
che sono del tutto estranee alla Parola di Dio
tipo, il cadere nello spirito, la santa risata, ecc. Cosa diversa
dall’esperienza del parlare in altra lingua, che non è estranea alla Parola di
Dio. Nessuno può negare, anche se da punti di vita diversi, che la Bibbia parla
del miracolo del parlare in alta lingua. {19 settembre 2009}
5.
{Gaetano Nunnari}
▲
■ 1.
Certamente, se i pentecostali condividono la stessa eterodossia della
glossolalia con i neopentecostali (alias carismatici), non si può
giustificarla nei pentecostali e condannare ciò solo nei carismatici. Se la
ritengo errata è errata per entrambi. Ciò non significa fare di tutta l’erba un
fascio. È la tua suscettibilità, e partigianeria che ti spingono emotivamente a
sentirti infastidito. Se tu ragionassi in maniera oggettiva, senza pregiudizi,
certe cose non le penseresti e nemmeno le diresti.
Ti faccio in ogni modo un esempio per farti capire meglio: il movimento «dei
Fratelli» in genere, per quanto riguarda il concetto di salvezza, crede nella
espiazione
illimitata di Cristo, esattamente come lo fanno i pentecostali. Su tale
convinzione entrambi i movimenti la pensano in maniera uguale. Anche se i due
movimenti non hanno nulla in comune per molti aspetti, in entrambi c’è tale
convinzione. Io personalmente, non credo nella espiazione illimitata di Cristo,
ma nella espiazione particolare. Non è mia intenzione assolutamente imbattermi
in questo tema, ma lo sto usando solo per fare un esempio, però se sul sito di
Nicola si dovesse nuovamente affrontare tale dottrina, i pentecostali, insieme
ai «Fratelli», riceverebbero dai miei ragionamenti le stesse «stilettate».
Essendo io di convinzioni calviniste (ma non sono riformato, perché essere
riformato significa anche aderire ad altre dottrine, come ad esempio
l’amillenarismo) sarei in controversia con entrambi. Ciò non significa che, se
se «Fratelli» e pentecostali classici aderiscono entrambe a una medesima
dottrina, ciò faccia di loro un unico movimento. Spero che tale esempio t’aiuti
a comprendere meglio.
■ 2.
Sulla seconda mia affermazione non posso che risponderti d’andare a rileggerti
con obiettività, senza spirito di parte gli articoli scritti sul sito. In ogni
modo, ho l’impressione che più che essere noi a sentirci superiori
teologicamente a voi pentecostali, sei forse a tu a sentirti inferiore.
Da parte mia non c’è nessun senso di superiorità. Tu però, non hai neppure
risposto alla mia domanda su come viene gestito il fenomeno del parlare
in lingua nella tua chiesa, e di come tu ti poni nella situazione. Non bisogna
ottenere una laurea in teologia, per capire se una comunità pentecostale sia
fuori degli ordinamenti di Paolo o meno.
■ 4.
Per concludere t’esorto a essere bereano, e non pentecostale, calvinista,
battista o «dei Fratelli».
C’è un ottimo libro che ho recensito su questo sito: «Devo parlare in lingue?»
del fratello Guglielmo Standridge. Se vuoi te lo posso spedire gratuitamente per
posta, se mi dai il tuo indirizzo. Certamente non devi leggertelo partendo già
con pregiudizi o chissà quali idee. Il fratello Standridge, risponde a tutte le
domande che ogni pentecostale, legittimamente si pone a difesa della sua
convinzione sul parlare in lingua, e le confuta una per una, dando una chiara
spiegazione biblica, senza sorvolare su nessuna d’esse. Leggilo con calma e
senza fretta, la fretta è cattiva conigliera! Prega, confronta il tutto con la
Bibbia, e sono certo che lo Spirito Santo ti guiderà alla verità. Ciò non
significa che se capirai certi concetti, allora non dovrai più essere
pentecostale, abbandonare la tua chiesa, o altro ancora. Ti servirà però a
esercitare 2 Timoteo 2,15: «Sforzati di presentare te stesso davanti a Dio
come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che
dispensi rettamente la parola della verità». {20 settembre 2009}
6.
{Nicola Martella}
▲
Dopo quanto detto
da Gaetano Nunnari, mi limiterò a poche cose.
■ 1.
Personalmente vedo grandi differenze formali sostanziali fra pentecostali
classici e carismaticisti. Devo ricordare un episodio successo durante
un’evangelizzazione a Roma centro con gli studenti dell’Ibei, cosa risalente
all’incirca a 10-15 anni or sono. Alcuni di loro incontrarono dei
carismaticisti, dei quali uno di loro con spirito di superiorità disse: «Voi
credete ancora alla Bibbia, un libro vecchio di 2.000 anni, ma io con Lui ci
parlo direttamente». Non intendeva che parlava a Dio pregando, ma che
discutesse con Lui a faccia a faccia come faceva Mosè. Uno degli studenti gli
disse fra altre cose: «Gli hai chiesto chi è questo “Lui”?». Poi disse loro che
la promessa di Gesù era che, sebbene i cieli e la terra passeranno, non così
sarà per le sue parole (Mt 24,35).
Chiaramente nessun pentecostale classico direbbe una cosa del genere, ossia tale
affermazione ricorrente fra i carismaticisti. Anche fra i seguaci di Branham,
autonominato profeta e incarnazione di Elia, si distingue fra la «parola per
allora» (la Bibbia) e la «parola per l’oggi» (nuove rivelazioni). Questo è il
trucco di tutti i falsi profeti, unti, maestri e guru cristianizzati. Penso che
si possa accreditare al pentecostali classici, di là dalle differenze su altri
temi, l’amore e il rispetto per la sacra Scrittura. Per i carismaticisti però la
Bibbia è solo un libro da usare e abusare a proprio arbitrio.
■ 2.
Devo ammettere che tale discussione su superiorità o inferiorità
teologica, eccetera, è solo una perdita di tempo e mi infastidisce soltanto.
Sono i frutti che mostrano l’albero (Mt 7,15ss) e le opere che palesano la fede
(Gcm 2,18).
Chiunque mette le
convenzioni della propria denominazione come filtro per comprendere la
Scrittura, sbaglia e ciò riguarda chiunque e qualunque cosa (dottrine, prassi)
senza eccezioni (cfr. Mt 15,6; Mc 7,13). [►
L’etica della libertà e della responsabilità;
►
Sovrastrutture dogmatiche e calvinismo] Le convenzioni,
qualunque esse siano (dottrinali, devozionali, ideologiche), rappresentano
comunque una «pressione mentale».
■ 3.
La locuzione «engramma psichico»
è un termine tecnico della psicologia e non intende per nulla la presenza di una
malattia mentale. Antonio Capasso fa bene a rileggersi l'intero contesto, da cui
ha tratto le citazioni delle mie parole.
Quanto
alla «coercizione dottrinale»
(e devozionale), essa riguarda qualsiasi raggruppamento e tipo di devozione. Ad
esempio, in gruppi in cui si praticano coercizioni come «l’abbattimento», la
«risata», la danza in trance, e cose simili (anche il parlare collettivo in
lingue! 1 Cor 14,23), si innesca un meccanismo di «normalità» (è quasi ironia
dirlo!), a cui tutti cercheranno di tendere per non apparire appunto «pesci fuor
dell’acqua». Anzi, all’interno di un’ideologia entusiastica e mistica, le
manifestazioni nell’uno diventano un «detonatore» psichico per gli altri; tale
fenomeno è conosciuto nella psicologia come «contagio psichico». Perciò succede
che alcuni arrivino addirittura a simulare certi fenomeni, per non apparire
«anormali» e nella speranza che essi lo possano prima o poi veramente investire.
Non a caso, in certe chiese entusiastiche i pastori e i leader, sotto la
coercizione della convenzione, secondo cui la glossolalia sia la manifestazione
del cosiddetto «battesimo di Spirito», fanno balbettare le persone sillabe senza
senso, affermando che così prima o poi arriva loro tale facoltà sovrannaturale.
Questa è tecnicamente coercizione psichica
indotta, basata su una
convenzione dottrinale e in vista di una gratificazione sovrannaturale, che
porta il neofita nella «normalità» dottrinale e devozionale.
Chiaramente la «coercizione dottrinale»
(e devozionale) si può trovare anche in
altre denominazioni,
laddove si biblicizza una convenzione o una prassi nata nel tempo; per questo si
fa sempre bene a provare con la sacra Scrittura alla mano che cosa sia veramente
comandato nel nuovo patto e che cosa è cultura e consenso denominazionali.
■ 4.
Tralascio il resto, bastando già quanto già detto.
7.
{Antonio Capasso}
▲
■ 1. L’esempio di chi crede
nell’espiazione illimitata o in quella limitata non calza. Cosi come non può
calzare chi crede nell’attualità del velo e chi no, o chi crede che la chiesa
passi o non passi per la grande tribolazione. Non calzano questi esempi perché
ci troviamo di fronte a concetti dottrinali per così dire «teorici».
Quando si parla dell’attualità del parlare in altra lingua, entriamo nel
campo di quelle convinzioni che hanno a che fare con l’esperienza. Se tu sei
convinto che quest’esperienza non sia biblica, devi per forza di cose concludere
che i pentecostali sono, o tutti pazzi, o tutti indemoniati. Da qui non si
scappa.
■ 2. Vero è che sono tante le differenze
che vi sono tra i pentecostali e i carismatici, ma c’è una cosa che li accomuna,
almeno sul piano dottrinale, il credere nell’esperienza del parlare in altra
lingua. È questo non è un fatto marginale. Tu stesso affermi «bisogna
avere anche la stessa onestà nel dire che i pentecostali sono i progenitori dei
carismatici» (Nunnari).
■ 3. Nella mia chiesa si fa quello che
consiglia Paolo: «Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con
l’intelligenza…». Come vedi Paolo fa l’uno e l’altro, quando si tratta
d’edificazione personale. Quando si tratta d’edificare la chiesa afferma «preferisco
dire cinque parole intelligibili… che dirne diecimila in altra lingua».
Quando si è in una riunione aperta al pubblico (perché di questo tipo di
riunione parla Paolo), nella nostra chiesa le lingue sono esercitate, o come
devozione personale, nella forma che consiglia Paolo: «Parlino a sé stessi e
a Dio».
O come manifestazione data per l’intera assemblea «Se c’è chi parla in
altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo, e l’uno dopo l’altro, e
qualcuno interpreti». Spero d’averti risposto
■ 4. Purtroppo il libro di cui parli tu
non l’ho trovato, ho letto quello di Martella Carismosofia, che, come
detto in precedenza, trovo ottimo, scartando le spine ovviamente. Se ti fa
piacere mandarmi il libro di Guglielmo Standridge,
sarò felice di leggerlo e magari di commentarlo. Dio vi benedica. {22-09-2009}
8.
{Gaetano Nunnari}
▲
Ciao Antonio, evito
di risponderti in dettaglio, sia per mancanza di tempo che per il fatto che
proprio non riusciamo a sintonizzarci sulla stessa frequenza.
Per quanto riguarda la risposta alla mia domanda, tralascio di replicarti.
Capisco in parte i tuoi ragionamenti, ma mi sorprende come tu faccia a non
cogliere il paradosso che si viene a creare. In ogni modo ti spedirò il libro
«Devo parlare in lingue?» di Standridge. Lui ti spiegherà tutto, proprio tutto,
anche i versi da te citati, tanto cari ai pentecostali.
Non intendo continuare la corrispondenza fintantoché tu non avrai finito di
leggere il libro di Standridge. Trarrai poi le tue conclusioni con l’aiuto del
Signore. Allora sarò disposto a riprendere il discorso.
Fraterni saluti... {23-09-2009}
9.
{Nicola Martella}
▲
Di là da ciò che ha
risposto Gaetano Nunnari, faccio presente quanto segue.
■ 1. Mi permetto di far notare che la
questione del «velo» non è una questione teorica, poiché — comunque si
sia convinti — anche qui «entriamo nel campo di quelle convinzioni che hanno a
che fare con l’esperienza» e hanno grandi implicazioni per le chiese locali, che
hanno questa pratica. Infatti una cosa è intendere la velatura del capo
femminile mediante la chioma naturale, altra cosa è significare la copertura del
capo durante la pubblica devozione e altra cosa ancora è affermare che è un
costume per i tempi andati. [►
La questione del velo (1 Corinzi 11,2-16);
►
Velo fra assolutismo e banalizzazione] Alcune chiese si sono
divise proprio su questo punto; non è quindi solo una questione teorica. Chi è
convinto che il «velo» sia per quei tempi, deve per forza di cose concludere che
le chiese, che lo richiedano, siano anacronistici o legalisti. Neppure da qui
non si scappa. Gli altri risponderanno semplicemente che vogliono piacere al
Signore.
■ 2. Ritornando alle lingue, non si può
porre la questione semplicemente così. Non si può neppure affermare che Gaetano
Nunnari, io e altri non pentecostali non crediamo alle lingue, perché non
è semplicemente vero. Noi alle lingue bibliche ci crediamo, ossia a quelle che
rendevano i credenti capaci di annunziare l’Evangelo a persone che non parlavano
la loro lingua (At 2). Si trattava di quel carisma che permetteva al missionario
Paolo di parlare in altre lingue più di tutti fuori della chiesa (1 Cor 14,18),
mentre in essa voleva essere capito nella lingua locale (v. 19). Egli poteva
dire: «Così, da Gerusalemme e dai luoghi intorno fino all’Illiria, ho
predicato dovunque l’Evangelo di Cristo, avendo l’ambizione di predicare
l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato… andrò in Spagna» (Rm
15,19.20.23.28). Crediamo pure, come Paolo affermò: «Quanto alle lingue, esse
cesseranno di per sé» (così in greco; 1 Cor 13,8), ossia un po’ alla volta.
E così è stato nella storia dei primi secoli. Come ho mostrato altrove, ciò che
oggigiorno viene chiamato «glossolalia», è tutt’altra cosa. Nella stragrande
maggioranza dei casi non è neppure una lingua (per dirsi tale, deve avere una
sintassi e una grammatica), ma è semplice la ripetizione di alcuni fonemi
(parole, suoni), che poi altri pretendono di «interpretare», facendo «poemi»,
contro tutte le regole della linguistica. Ciò che oggigiorno viene chiamata
«glossolalia», tecnicamente non è altro che un fenomeno mistico, basato su un
«engramma» di natura psichica, come ho mostrato altrove.
■ 3. Personalmente mi rallegro di ogni
chiesa pentecostale che si studia di mettere in pratica le ingiunzioni
apostoliche di 1 Corinzi 14. Ossia di far parlare qualcuno in altra lingua solo
se può essere tradotto (non interpretato!). Le lingue si traducono, i sogni si
interpretano (Gn 40,8.12.16.18; 41,8.12.15; Gdc 7,15; Dn 2,4ss; 4,6s.9.18s;
5,12). Nel NT, dovunque compare il verbo greco hermēneuō «spiegare,
tradurre» e le sue varianti methermēneuesthai e diermēneuō, si
tratta di tradurre in modo letterale e comprensibile (secondo le corrispondenze
dinamiche) da un idioma a un altro. Non a caso l’interprete è il traduttore e
l’esegeta. Ecco qui di seguito tutti i riferimenti biblici del NT.
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Hermēneuō
«spiegare, tradurre»: Gv 1,42 (cfr. v. 41
methermēneuesthai); Eb 7,1s.
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Methermēneuesthai
«spiegare, tradurre»: Mt 1,23; Mc 5,41; 15,22.34; Gv 1,38.41 (cfr. v. 42
hermēneuō); At 4,36; At 13,8.
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Diermēneuō «tradurre» + diermēneutēs
«traduttore»: Lc 24,27 come si vede, solo qui non ci sono termini da
tradurre né l’espressione «che, tradotto, significa»; At 9,36; 1 Cor
12,30 è nell’esperienza comune che le lingue vengano tradotte, sebbene secondo
le corrispondenze dinamiche; 1 Cor 14,5.13.27.28 traduttore.
Nel NT le
espressioni di una lingua (perlopiù aramaico) furono tradotte nell’altra
(greco), perché i lettori greci le capissero. Dovunque in greco c’è glossa
«lingua», bisogna rendere hermēneuō con «tradurre»; così in 1 Corinzi 12
e 14.
A questo punto, il confronto a tre è stato abbastanza lungo. Per non dover
ripetere cose già dette ribadite qui e altrove, possiamo considerare questo
dibattito momentaneamente concluso.
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