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CONFRONTO FRA PENTECOSTALI, EX E NON 2

 

 di A. Capasso, G. Nunnari e N. Martella

 

Il tema «Pentecostali e carismaticisti: è necessario distinguerli?» ha portato la discussione al confronto fra attuali «pentecostali classici», «ex pentecostali» e «non pentecostali» fra G. Siena, G. Nunnari e N. Martella. [ Confronto fra pentecostali, ex e non 1] Oltre a tale confronto, se ne è sviluppato un altro parallelo insieme ad Antonio Capasso, che riportiamo qui.

 

1. Antonio Capasso

2. Nicola Martella

3. Gaetano Nunnari

4. Antonio Capasso

5. Gaetano Nunnari

6. Nicola Martella

7. Antonio Capasso

8. Gaetano Nunnari

9. Nicola Martella

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Antonio Capasso}

 

Nota redazionale: Quanto qui detto da questo lettore, si riferisce si riferisce ai contributi 4 e 5 presenti nel tema di discussione «Pentecostali e carismaticisti: è necessario distinguerli?».

 

Quello che da un po’ fastidio, cari fratelli Martella e Nunnari, è questo vostro modo di trattare  i fratelli pentecostali (classici). Vedo uno spirito di superiorità da parte vostra, superiorità teologica s’intende. Trattate sempre questi fratelli con sufficienza, quasi fossero dei poveri ignoranti con turbe psichiche. È chiaro che un risveglio con proporzioni cosi vaste porti molti problemi. Anche nella chiesa di Corinto ci furono dei problemi sul piano carismatico, ma non per questo Paolo disprezzò il parlare in lingue, pur dando alla profezia valore primario nell’ambito del culto pubblico.

     Caro Nicola, ho letto il tuo libro «Carismosofia». Ho condiviso il 90 percento di quello che vi è scritto. Di questo 90 percento, che hai scritto, lo puoi trovare in tanti studi e libri, di fratelli pentecostali classici che dicono le tue stesse cose.

     Vi ricordo, cari fratelli, che quel qualcosa di più, di cui parla il fratello Siena, è contemplato nella Scrittura. Voi credete che era solo per un tempo, noi crediamo che sia anche per oggi. Non stiamo oltre. Invece, le tante esperienze di carismatici e neo-pentecostali non sono contemplate nella Scrittura, quindi non possono essere messe sullo stesso piano dell’esperienze delle «lingue».

     Quanto alla frase di Nunnari, secondo cui «che i pentecostali valutano le proprie esperienze con la Scrittura, ciò è fatto spesso solo a parole». Ricordo alcune frasi di pionieri del risveglio pentecostale.

     Guglielmo J. Seymour, l’anziano della famosa missione di Azusa Steet, durante il grande risveglio d’Azusa (Los angeles, 1906), a chi criticava lui e altri suoi collaboratori per la loro insistenza nel «verificare ogni cosa con la Parola di Dio» rispondeva attraverso il numero di settembre 1907 de «La fede Apostolica» (il mensile della Missione): «Noi ci misuriamo per ogni cosa con la Parola, ogni esperienza deve essere provata con la Bibbia, alcuni affermano che questo è eccessivo, ma se viviamo molto vicini alla Parola, risolveremo tutto col Signore quando l’incontreremo nell’aria».

     Frank Bartleman, anch’egli pentecostale, del 1906 così s’esprime: «Ci sono delle moltitudini di persone rinchiuse in sistemi ecclesiastici dentro confini settari, mentre i pascoli di Dio, ampi e liberi, s’estendono davanti a loro limitati soltanto dalla Parola di Dio» (Frank Bartleman, «Azusa Street» Publielim, pag.111).

     Quel «di più» è stata la ricerca di credenti, che non sono rimasti rinchiusi in «sistemi ecclesiastici dentro confini settari», ma hanno cercato «i pascoli di Dio, ampi e liberi», rimanendo «limitati soltanto dalla Parola di Dio». Dio vi benedica. {15 settembre 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

La prima cosa che ho notato, è quella di accumunare insieme due persone e quello che essi dicono, sebbene sia diversi come individui e nelle loro asserzioni. Gaetano Nunnari ha conosciuto (e sofferto) di persona tutto lo spettro di esperienze che vanno dal pentecostalismo classico ai più sfrenati neopentecostali (o carismaticisti). Come ex militante porta con sé, ora, un’avversione viscerale verso il fenomeno mistico-entusiastico in genere. Già diverse volte ho dovuto quietare e mitigare le sue asserzioni e i suoi impeti, basati su ferite in parte ancora aperte.

     Quanto a me, io non ho un passato nel fenomeno mistico-entusiastico e non porto con me esperienze reattive legate al mio passato. Conosco certamente di persona vari fenomeni inerenti a tale variegato mondo. Analizzo però tale mondo così eterogeneo da studioso, con distacco emotivo.

     Quindi è cosa poco realista e seria confondere le persone e le loro asserzioni o accomunarle insieme. Antonio Capasso avrebbe inoltre fatto bene a porre attenzione a vari aspetti della questione, ad esempio ai seguenti.

     ■ Ho differenziato il variegato mondo mistico-entusiastico, evitando di accomunarlo a un solo comune denominatore. E questo proprio in risposta al contributo di Gaetano Nunnari! È quindi sorprendente che egli ci accomuni insieme. Poi, però, scrive al sottoscritto, ritornando presto al «cari fratelli». Avrebbe fatto meglio a reagire ai singoli contributi e ai loro autori in modo separato. Onori e oneri sono sempre individuali.

     ■ Studiare un fenomeno e rappresentarlo in tutte le sue sfaccettature, non significa porsi al di sopra o trattarlo con sufficienza. Proprio lo scrupolo di rappresentarlo in tutte le sue varie forme, dovrebbe indicare il contrario.

     ■ La differenza fra pentecostali classici e carismaticisti viene fatta su questo sito anche (e proprio) da lettori che militano in chiese pentecostali e che prendono le distanze dai neopentecostali. Si pongono anch’essi al di sopra del fenomeno pentecostale generale o lo trattarlo con sufficienza? Anche Antonio Capasso ha preso spesso la parola e lo fa anche qui.

     ■ Antonio Capasso ha perso probabilmente un’occasione per contribuire al tema in modo costruttivo, più distaccato e più nel merito. Incendiarsi in modo partigiano, non aiuta la verità e anzi fa dire spropositi come attribuire agli altri di pensare che tutti i pentecostali siano «poveri ignoranti con turbe psichiche».

     ■ Che il 90 percento di «Carismosofia» sia condiviso dai pentecostali classici, se così è, non mi può che fare piacere. E questo tanto più, visto che il lettore ne parla come appartenenti a «un risveglio con proporzioni cosi vaste» (non che la verità si accerti a maggioranza, ma a ognuno fa piacere sapere che molti la pensano come lui, almeno al 90%!).

     ■ Come non sono entrato in merito al «qualcosa di più», affermato da Gianni Siena, così non lo farò ora, non essendo questo il tema qui. Posso assicurare però che sull’«allora» (sì) e sull’«oggi» (no), di cui Antonio Capasso parla, ci sono spesso molti pregiudizi; bisognerebbe dire almeno che cosa «allora sì» e «oggi no», invece di voler firmare un assegno in bianco. Inoltre anche i neopentecostali potrebbero dire summa summarum: «Non stiamo noi oltre, siete voi che state indietro». Uno studioso analizza sempre caso per caso e da lì poi risale al fenomeno complessivo.

     ■ Non mi sento di dover rispondere io per le cose dette da altri, qui da Gaetano Nunnari. Né commenterò le parole di Guglielmo J. Seymour, mancando qui il riferimento specifico (a che cosa si riferiva nel caso specifico? alla glossolalia? ad altro?) e il punto di vista di quanti lo conobbero e analizzarono tali sue parole nel suo tempo (circa un secolo fa), nel contesto della sua vita e delle sue esperienze concrete. Lo stesso vale anche per Frank Bartleman con la sua critica, come sembra,  alle chiese istituzionali del suo tempo. Le frasi così come stanno, sono abbastanza accettabili. Purtroppo lo è meno l’interpretazione che Antonio Capasso fa di esse, visto che tali autori si riferivano probabilmente ad altro e non proprio al suo «di più». La correttezza è la prima ancella della verità. Così facendo si potrebbe alimentare il sospetto che asserzioni originarie vengano decontestualizzate e asservite ai propri interessi ideologici; solo conoscendo tali due articoli nella loro interezza, si potrà accertare al riguardo la vera realtà delle cose. Infine una domanda resta ancora aperta: Che cosa c’entra poi tutto ciò col tema delle distinzioni necessarie fra pentecostali e carismatici? Perché Antonio Capasso non ha approfondito maggiormente proprio questo tema?

 

 

3. {Gaetano Nunnari}

 

Nota redazionale: Come potevo prevedere con il contributo di Antonio Capasso, invece di parlare del tema in corso (le distinzioni necessarie fra pentecostali e carismatici), si passa a battere su altro e a controbattere su ciò che afferma l’altro o si ritiene che egli pensi. Così si ingenera un ping-pong su altro, qui fra pentecostali classici ed evangelici non pentecostali. La cosa positiva è che ci si parli, quella negativa è che non ci si attenga al tema. Diamo ora la parola a Gaetano Nunnari.

 

Quando ho letto il contributo di Antonio Capasso, sono rimasto stupito. Capasso riferendosi anche a me, afferma: «Trattate sempre questi fratelli [pentecostali] con sufficienza, quasi fossero dei poveri ignoranti con turbe psichiche». Ho l’impressione che, con queste affermazioni, Capasso non riesca a comprendere ciò che legge, né tantomeno a identificarsi davvero come pentecostale classico, visto il tono della sua replica. Avrei capito un tale tono, se Capasso fosse stato un carismaticista ma, dato che s’identifica come pentecostale classico, mi ha alquanto stupito. Da dove ha tratto Capasso le sue conclusioni per affermare ciò che ha scritto? La risposta probabilmente si trova nella sua mancanza d’oggettività.

     Vorrei invece ricordare a Capasso il fatto che i pentecostali parlano molto spesso di noi evangelici biblici come dei poverini che «non credono allo Spirito Santo», come dei sempliciotti che sono rimasti al latte spirituale e che non ricercano il cibo solido. Tralascio poi di riportare quello che dicono i carismaticisti, anche se comunque il loro pensiero, nutrito di un vocabolario ripieno di «unzione» è disponibile sul sito di «Fede controcorrente». [ Lo stato del cuore di un carismaticista]

     Proseguo, prendendo anche atto che Capasso ammette d’essere particolarmente infastidito, fino al punto che mi ha attribuito il fatto d’aver detto che i pentecostali siano dei dementi. Si vede proprio che il suo essere di parte, riesce a fargli sorvolare su dettagli importanti. Ho sempre chiamato i pentecostali classici con l’appellativo di «fratelli», cosa che non faccio con i carismaticisti, in quanto non li considero tali. In un mio articolo sulla glossolalia avevo proprio detto che non consideravo i pentecostali «lavati di cervello». Ciò nonostante Capasso m’attribuisce lo stesso cose che non ho mai detto. Chiaramente Capasso dimostra d’avere pregiudizi nei miei confronti, e molto probabilmente, visto i suoi toni da rivalsa che esporrò più avanti, anche nei confronti degli evangelici biblici.

     Mi chiedo se il detto «la verità fa male» s’addica alle sue affermazioni gratuite. Voglio però a malincuore confermare ciò che Capasso mi ha attribuito, e cioè, gli atteggiamenti che farebbero pensare a turbe psichiche le ho viste spesso anche in chiese ADI. Ricordo a Capasso che anche Paolo disse ai Corinzi che se parlavano in lingua tutti insieme le persone avrebbero pensato che fossero fuori di senno (quindi affetti da turbe psichiche). Sarei curioso di sapere come viene gestito tale fenomeno nella comunità di Capasso, e come egli stesso si pone davanti a questo problema. Segue l’onda emotiva, ignorando il comando dell’apostolo Paolo mentre invece quest’ultimo, ispirato dallo Spirito Santo, dava chiare disposizioni in merito, oppure s’attiene rigorosamente alla Scrittura (che come disse anche Gesù, non può essere annullata)?

     Capasso scrive ancora: «Quanto alla frase di Nunnari, secondo cui “che i pentecostali valutano le proprie esperienze con la Scrittura, ciò è fatto spesso solo a parole». Lo riconfermo (se dicessi il contrario sarei un bugiardo). In ogni modo non posso neppure esporre e raccontare pubblicamente esperienze altrui che toccano i sentimenti più profondi di certe persone. Evidentemente, però, Dio non va contro la sua Parola, e anche se la carica emotiva di certe esperienze è forte, non dev’essere quest’ultima il nostro metro di misura, ma la Parola di Dio. Per fare un esempio, è come quando il defunto padre Pio appare, ogni tanto, a qualche malato e questi viene guarito. Quelli guariti diventano devoti cattolici, si sentono benedetti e, in barba alla Parola di Dio, alla fine sono tutti felici e contenti.

     Capasso alla fine termina dicendo e dimostrando il suo vero pensiero verso gli evangelici biblici e di cui all’inizio ho scritto. Infatti afferma: «Quel “di più” è stata la ricerca di credenti, che non sono rimasti rinchiusi in “sistemi ecclesiastici dentro confini settari, ma hanno cercato “i pascoli di Dio, ampi e liberi”». Capasso, riportando una tale affermazione, dimostra di possedere lui stesso uno «spirito di superiorità» e addirittura di superiorità teologica (s’intende). Capasso evidentemente, come ha attribuito gratuitamente a me, considera egli stesso gli evangelici biblici con sufficienza, quasi fossimo dei poveri ignoranti; ma non potendo dire che siamo affetti da turbe psichiche, egli suggerisce con parole d’altri che noi siamo rimasti rinchiusi in «sistemi ecclesiastici dentro confini settari» (sic!!!), mentre invece lui ha cercato «i pascoli di Dio, ampi e liberi», rimanendo «limitati soltanto dalla Parola di Dio».

     Certamente se devo usare il suo stesso linguaggio raffigurativo, gli dico che sì, certamente i pascoli di Dio sono ampi e liberi, ma c’è un recinto (la Parola di Dio scritta), che delimita il pascolo, dove possiamo ristorare l’anima nostra (Salmo 23). Troppo spesso però, l’erba del vicino pare più verde, e qualche pecorella ogni tanto gradisce fare un salto «oltre» la staccionata! {17 settembre 2009}

 

 

4. {Antonio Capasso}

 

Nota redazionale: Ho numerato i paragrafi per facilitare le risposte date da Gaetano Nunnari e dal sottoscritto. Aggiungo anche i luoghi delle citazioni, visto che questo lettore li ha trascurate, stralciandole dal loro contesto. Si fa sempre bene a citare l'articolo o il tema preciso, perché si possa ritrovarlo con facilità.

 

     ■ 1. Ciò che non approvo è la mancanza di chiarezza. Questa mancanza di chiarezza la vedo in tante affermazioni che qua e la trovo nel sito. Non mi dite che vado fuori tema, perché mi riferisco proprio alle differenze tra pentecostali classici e neo-pentecostali. S’afferma in questo articolo e in diverse parti del sito che si fa un distinguo, però poi all’improvviso si tirano stilettate ai pentecostali.

 

     ■ 2. Non c’è superiorità teologica? Che cosa significano allora queste parole? «Per quanto riguarda invece i miei fratelli pentecostali: hanno voluto qualcosa in più? Forse sarà meglio che facciano un passo in dietro, posando gli occhi più sulle Scritture. Perlomeno li scongiuro di non andare ancora più oltre» Nunnari). [sopra 3.]

     Inerente alle turbe psichiche, che cosa significano queste parole? «La maggior parte di coloro che praticano il parlare in lingue incomprensibili, è sottoposta a una pressione mentale» (Nunnari). [► Pentecostalismo e glossolalia]

 

     ■ 3. «La stragrande maggioranza di coloro che esercitano la glossolalia recitano in effetti quello che nella psicologia si chiama un «engramma». L’engramma psichico è definito tecnicamente una “traccia perenne d’impressioni psichiche”» (Martella). [ Glossolalia e demonizzazione?]

     «Oltre alla suggestione di massa, esiste la coercizione dottrinale all’interno d’un sistema chiuso, che genera autosuggestione e coercizione psicologica, volendo il singolo appartenere alla “normalità” del gruppo per sentirsi a posto e trovare accettazione e riconoscimento. Applicando allora tutto ciò al fenomeno odierno delle lingue…» (Martella). [ Glossolalia, lingue ed engramma psichico]

     Ok! I neopentecostali e carismatici stanno rovinati, i pentecostali un po’ meno, ma sempre rovinati stanno.

 

     ■ 4. Ribadisco i «pascoli di Dio ampi e liberi», ma solo col recinto della Parola di Dio. La staccionata la salta chi parla di esperienze che sono del tutto estranee alla Parola di Dio tipo, il cadere nello spirito, la santa risata, ecc. Cosa diversa dall’esperienza del parlare in altra lingua, che non è estranea alla Parola di Dio. Nessuno può negare, anche se da punti di vita diversi, che la Bibbia parla del miracolo del parlare in alta lingua. {19 settembre 2009}

 

 

5. {Gaetano Nunnari}

 

     ■ 1. Certamente, se i pentecostali condividono la stessa eterodossia della glossolalia con i neopentecostali (alias carismatici), non si può giustificarla nei pentecostali e condannare ciò solo nei carismatici. Se la ritengo errata è errata per entrambi. Ciò non significa fare di tutta l’erba un fascio. È la tua suscettibilità, e partigianeria che ti spingono emotivamente a sentirti infastidito. Se tu ragionassi in maniera oggettiva, senza pregiudizi, certe cose non le penseresti e nemmeno le diresti.

     Ti faccio in ogni modo un esempio per farti capire meglio: il movimento «dei Fratelli» in genere, per quanto riguarda il concetto di salvezza, crede nella espiazione illimitata di Cristo, esattamente come lo fanno i pentecostali. Su tale convinzione entrambi i movimenti la pensano in maniera uguale. Anche se i due movimenti non hanno nulla in comune per molti aspetti, in entrambi c’è tale convinzione. Io personalmente, non credo nella espiazione illimitata di Cristo, ma nella espiazione particolare. Non è mia intenzione assolutamente imbattermi in questo tema, ma lo sto usando solo per fare un esempio, però se sul sito di Nicola si dovesse nuovamente affrontare tale dottrina, i pentecostali, insieme ai «Fratelli», riceverebbero dai miei ragionamenti le stesse «stilettate». Essendo io di convinzioni calviniste (ma non sono riformato, perché essere riformato significa anche aderire ad altre dottrine, come ad esempio l’amillenarismo) sarei in controversia con entrambi. Ciò non significa che, se se «Fratelli» e pentecostali classici aderiscono entrambe a una medesima dottrina, ciò faccia di loro un unico movimento. Spero che tale esempio t’aiuti a comprendere meglio.

 

     ■ 2. Sulla seconda mia affermazione non posso che risponderti d’andare a rileggerti con obiettività, senza spirito di parte gli articoli scritti sul sito. In ogni modo, ho l’impressione che più che essere noi a sentirci superiori teologicamente a voi pentecostali, sei forse a tu a sentirti inferiore. Da parte mia non c’è nessun senso di superiorità. Tu però, non hai neppure risposto alla mia domanda su come viene gestito il fenomeno del parlare in lingua nella tua chiesa, e di come tu ti poni nella situazione. Non bisogna ottenere una laurea in teologia, per capire se una comunità pentecostale sia fuori degli ordinamenti di Paolo o meno.

 

     ■ 4. Per concludere t’esorto a essere bereano, e non pentecostale, calvinista, battista o «dei Fratelli».

     C’è un ottimo libro che ho recensito su questo sito: «Devo parlare in lingue?» del fratello Guglielmo Standridge. Se vuoi te lo posso spedire gratuitamente per posta, se mi dai il tuo indirizzo. Certamente non devi leggertelo partendo già con pregiudizi o chissà quali idee. Il fratello Standridge, risponde a tutte le domande che ogni pentecostale, legittimamente si pone a difesa della sua convinzione sul parlare in lingua, e le confuta una per una, dando una chiara spiegazione biblica, senza sorvolare su nessuna d’esse. Leggilo con calma e senza fretta, la fretta è cattiva conigliera! Prega, confronta il tutto con la Bibbia, e sono certo che lo Spirito Santo ti guiderà alla verità. Ciò non significa che se capirai certi concetti, allora non dovrai più essere pentecostale, abbandonare la tua chiesa, o altro ancora. Ti servirà però a esercitare 2 Timoteo 2,15: «Sforzati di presentare te stesso davanti a Dio come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che dispensi rettamente la parola della verità». {20 settembre 2009}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Dopo quanto detto da Gaetano Nunnari, mi limiterò a poche cose.

     ■ 1. Personalmente vedo grandi differenze formali sostanziali fra pentecostali classici e carismaticisti. Devo ricordare un episodio successo durante un’evangelizzazione a Roma centro con gli studenti dell’Ibei, cosa risalente all’incirca a 10-15 anni or sono. Alcuni di loro incontrarono dei carismaticisti, dei quali uno di loro con spirito di superiorità disse: «Voi credete ancora alla Bibbia, un libro vecchio di 2.000 anni, ma io con Lui ci parlo direttamente». Non intendeva che parlava a Dio pregando, ma che discutesse con Lui a faccia a faccia come faceva Mosè. Uno degli studenti gli disse fra altre cose: «Gli hai chiesto chi è questo “Lui”?». Poi disse loro che la promessa di Gesù era che, sebbene i cieli e la terra passeranno, non così sarà per le sue parole (Mt 24,35).

     Chiaramente nessun pentecostale classico direbbe una cosa del genere, ossia tale affermazione ricorrente fra i carismaticisti. Anche fra i seguaci di Branham, autonominato profeta e incarnazione di Elia, si distingue fra la «parola per allora» (la Bibbia) e la «parola per l’oggi» (nuove rivelazioni). Questo è il trucco di tutti i falsi profeti, unti, maestri e guru cristianizzati. Penso che si possa accreditare al pentecostali classici, di là dalle differenze su altri temi, l’amore e il rispetto per la sacra Scrittura. Per i carismaticisti però la Bibbia è solo un libro da usare e abusare a proprio arbitrio.

 

     ■ 2. Devo ammettere che tale discussione su superiorità o inferiorità teologica, eccetera, è solo una perdita di tempo e mi infastidisce soltanto. Sono i frutti che mostrano l’albero (Mt 7,15ss) e le opere che palesano la fede (Gcm 2,18).

Chiunque mette le convenzioni della propria denominazione come filtro per comprendere la Scrittura, sbaglia e ciò riguarda chiunque e qualunque cosa (dottrine, prassi) senza eccezioni (cfr. Mt 15,6; Mc 7,13). [ L’etica della libertà e della responsabilità; Sovrastrutture dogmatiche e calvinismo] Le convenzioni, qualunque esse siano (dottrinali, devozionali, ideologiche), rappresentano comunque una «pressione mentale».

 

     ■ 3. La locuzione «engramma psichico» è un termine tecnico della psicologia e non intende per nulla la presenza di una malattia mentale. Antonio Capasso fa bene a rileggersi l'intero contesto, da cui ha tratto le citazioni delle mie parole.

     Quanto alla «coercizione dottrinale» (e devozionale), essa riguarda qualsiasi raggruppamento e tipo di devozione. Ad esempio, in gruppi in cui si praticano coercizioni come «l’abbattimento», la «risata», la danza in trance, e cose simili (anche il parlare collettivo in lingue! 1 Cor 14,23), si innesca un meccanismo di «normalità» (è quasi ironia dirlo!), a cui tutti cercheranno di tendere per non apparire appunto «pesci fuor dell’acqua». Anzi, all’interno di un’ideologia entusiastica e mistica, le manifestazioni nell’uno diventano un «detonatore» psichico per gli altri; tale fenomeno è conosciuto nella psicologia come «contagio psichico». Perciò succede che alcuni arrivino addirittura a simulare certi fenomeni, per non apparire «anormali» e nella speranza che essi lo possano prima o poi veramente investire. Non a caso, in certe chiese entusiastiche i pastori e i leader, sotto la coercizione della convenzione, secondo cui la glossolalia sia la manifestazione del cosiddetto «battesimo di Spirito», fanno balbettare le persone sillabe senza senso, affermando che così prima o poi arriva loro tale facoltà sovrannaturale. Questa è tecnicamente coercizione psichica indotta, basata su una convenzione dottrinale e in vista di una gratificazione sovrannaturale, che porta il neofita nella «normalità» dottrinale e devozionale.

     Chiaramente la «coercizione dottrinale» (e devozionale) si può trovare anche in altre denominazioni, laddove si biblicizza una convenzione o una prassi nata nel tempo; per questo si fa sempre bene a provare con la sacra Scrittura alla mano che cosa sia veramente comandato nel nuovo patto e che cosa è cultura e consenso denominazionali.

 

     ■ 4. Tralascio il resto, bastando già quanto già detto.

 

 

7. {Antonio Capasso}

 

     1. L’esempio di chi crede nell’espiazione illimitata o in quella limitata non calza. Cosi come non può calzare chi crede nell’attualità del velo e chi no, o chi crede che la chiesa passi o non passi per la grande tribolazione. Non calzano questi esempi perché ci troviamo di fronte a concetti dottrinali per così dire «teorici». Quando si parla dell’attualità del parlare in altra lingua, entriamo nel campo di quelle convinzioni che hanno a che fare con l’esperienza. Se tu sei convinto che quest’esperienza non sia biblica, devi per forza di cose concludere che i pentecostali sono, o tutti pazzi, o tutti indemoniati. Da qui non si scappa.

 

     2. Vero è che sono tante le differenze che vi sono tra i pentecostali e i carismatici, ma c’è una cosa che li accomuna, almeno sul piano dottrinale, il credere nell’esperienza del parlare in altra lingua. È questo non è un fatto marginale. Tu stesso affermi «bisogna avere anche la stessa onestà nel dire che i pentecostali sono i progenitori dei carismatici» (Nunnari).

 

     3. Nella mia chiesa si fa quello che consiglia Paolo: «Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza…». Come vedi Paolo fa l’uno e l’altro, quando si tratta d’edificazione personale. Quando si tratta d’edificare la chiesa afferma «preferisco dire cinque parole intelligibili… che dirne diecimila in altra lingua».

     Quando si è in una riunione aperta al pubblico (perché di questo tipo di riunione parla Paolo), nella nostra chiesa le lingue sono esercitate, o come devozione personale, nella forma che consiglia Paolo: «Parlino a sé stessi e a Dio». O come manifestazione data per l’intera assemblea «Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo, e l’uno dopo l’altro, e qualcuno interpreti». Spero d’averti risposto

 

     4. Purtroppo il libro di cui parli tu non l’ho trovato, ho letto quello di Martella Carismosofia, che, come detto in precedenza, trovo ottimo, scartando le spine ovviamente. Se ti fa piacere mandarmi il libro di Guglielmo Standridge, sarò felice di leggerlo e magari di commentarlo. Dio vi benedica. {22-09-2009}

 

8. {Gaetano Nunnari}

 

Ciao Antonio, evito di risponderti in dettaglio, sia per mancanza di tempo che per il fatto che proprio non riusciamo a sintonizzarci sulla stessa frequenza.

     Per quanto riguarda la risposta alla mia domanda, tralascio di replicarti. Capisco in parte i tuoi ragionamenti, ma mi sorprende come tu faccia a non cogliere il paradosso che si viene a creare. In ogni modo ti spedirò il libro «Devo parlare in lingue?» di Standridge. Lui ti spiegherà  tutto, proprio tutto, anche i versi da te citati, tanto cari ai pentecostali.

     Non intendo continuare la corrispondenza fintantoché tu non avrai finito di leggere il libro di Standridge. Trarrai poi le tue conclusioni con l’aiuto del Signore. Allora sarò disposto a riprendere il discorso. Fraterni saluti... {23-09-2009}

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Di là da ciò che ha risposto Gaetano Nunnari, faccio presente quanto segue.

     1. Mi permetto di far notare che la questione del «velo» non è una questione teorica, poiché — comunque si sia convinti — anche qui «entriamo nel campo di quelle convinzioni che hanno a che fare con l’esperienza» e hanno grandi implicazioni per le chiese locali, che hanno questa pratica. Infatti una cosa è intendere la velatura del capo femminile mediante la chioma naturale, altra cosa è significare la copertura del capo durante la pubblica devozione e altra cosa ancora è affermare che è un costume per i tempi andati. [ La questione del velo (1 Corinzi 11,2-16); Velo fra assolutismo e banalizzazione] Alcune chiese si sono divise proprio su questo punto; non è quindi solo una questione teorica. Chi è convinto che il «velo» sia per quei tempi, deve per forza di cose concludere che le chiese, che lo richiedano, siano anacronistici o legalisti. Neppure da qui non si scappa. Gli altri risponderanno semplicemente che vogliono piacere al Signore.

 

     2. Ritornando alle lingue, non si può porre la questione semplicemente così. Non si può neppure affermare che Gaetano Nunnari, io e altri non pentecostali non crediamo alle lingue, perché non è semplicemente vero. Noi alle lingue bibliche ci crediamo, ossia a quelle che rendevano i credenti capaci di annunziare l’Evangelo a persone che non parlavano la loro lingua (At 2). Si trattava di quel carisma che permetteva al missionario Paolo di parlare in altre lingue più di tutti fuori della chiesa (1 Cor 14,18), mentre in essa voleva essere capito nella lingua locale (v. 19). Egli poteva dire: «Così, da Gerusalemme e dai luoghi intorno fino all’Illiria, ho predicato dovunque l’Evangelo di Cristo, avendo l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato… andrò in Spagna» (Rm 15,19.20.23.28). Crediamo pure, come Paolo affermò: «Quanto alle lingue, esse cesseranno di per sé» (così in greco; 1 Cor 13,8), ossia un po’ alla volta. E così è stato nella storia dei primi secoli. Come ho mostrato altrove, ciò che oggigiorno viene chiamato «glossolalia», è tutt’altra cosa. Nella stragrande maggioranza dei casi non è neppure una lingua (per dirsi tale, deve avere una sintassi e una grammatica), ma è semplice la ripetizione di alcuni fonemi (parole, suoni), che poi altri pretendono di «interpretare», facendo «poemi», contro tutte le regole della linguistica. Ciò che oggigiorno viene chiamata «glossolalia», tecnicamente non è altro che un fenomeno mistico, basato su un «engramma» di natura psichica, come ho mostrato altrove.

 

     3. Personalmente mi rallegro di ogni chiesa pentecostale che si studia di mettere in pratica le ingiunzioni apostoliche di 1 Corinzi 14. Ossia di far parlare qualcuno in altra lingua solo se può essere tradotto (non interpretato!). Le lingue si traducono, i sogni si interpretano (Gn 40,8.12.16.18; 41,8.12.15; Gdc 7,15; Dn 2,4ss; 4,6s.9.18s; 5,12). Nel NT, dovunque compare il verbo greco hermēneuō «spiegare, tradurre» e le sue varianti methermēneuesthai e diermēneuō, si tratta di tradurre in modo letterale e comprensibile (secondo le corrispondenze dinamiche) da un idioma a un altro. Non a caso l’interprete è il traduttore e l’esegeta. Ecco qui di seguito tutti i riferimenti biblici del NT.

     ■ Hermēneuō «spiegare, tradurre»: Gv 1,42 (cfr. v. 41 methermēneuesthai); Eb 7,1s.

     ■ Methermēneuesthai «spiegare, tradurre»: Mt 1,23; Mc 5,41; 15,22.34; Gv 1,38.41 (cfr. v. 42 hermēneuō); At 4,36; At 13,8.

     ■ Diermēneuō «tradurre» + diermēneutēs «traduttore»: Lc 24,27 come si vede, solo qui non ci sono termini da tradurre né l’espressione «che, tradotto, significa»; At 9,36; 1 Cor 12,30 è nell’esperienza comune che le lingue vengano tradotte, sebbene secondo le corrispondenze dinamiche; 1 Cor 14,5.13.27.28 traduttore.

 

Nel NT le espressioni di una lingua (perlopiù aramaico) furono tradotte nell’altra (greco), perché i lettori greci le capissero. Dovunque in greco c’è glossa «lingua», bisogna rendere hermēneuō con «tradurre»; così in 1 Corinzi 12 e 14.

     A questo punto, il confronto a tre è stato abbastanza lungo. Per non dover ripetere cose già dette ribadite qui e altrove, possiamo considerare questo dibattito momentaneamente concluso.

 

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Glossolalia e padri della chiesa {Antonio Capasso - Nicola Martella} (T/A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Pentecost_ex-non_cfr2_Car.htm

22-09-2009; Aggiornamento: 15-10-2009

 

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