Antonio Capasso
prende qui posizione riguardo al confronto avuto con altri due lettori: «Confronto
fra pentecostali, ex e non 1». In esso
Gianni Siena faceva riferimento
ai cosiddetti «padri della chiesa» (teologi dei primi secoli)
riguardo alla glossolalia e affermava: «Nella metà del secondo secolo,
Ireneo di Lione osservava che molti fratelli possedevano doni profetici e di
lingue. Farrar riferisce che, durante le persecuzioni, i cristiani condotti al
supplizio “parlavano in lingue”».
Gli chiesi: «A scanso di equivoci, dove stanno le fonti di prima mano di Ireneo
di Lione? E tale Farrar chi è? Dove dice che cosa e dove stanno le fonti
originarie, in cui si afferma ciò? Sul fondamento sabbioso del sentito dire non
si può costruire un discorso probatorio». Egli mi mandò in risposta un
articolo di Carmine Lamanna. Esso però, più che dare risposte, presentava
diversi problemi di metodologia e di argomentazione. Tra altre cose facevo
presente che Carmine Lamanna non forniva chiare fonti probatorie né i precisi
riferimenti bibliografici. Egli portava mozziconi di frasi, attribuite ad
antichi scrittori, e facendo ciò metteva stranamente un certo «Dean Farras» (in
realtà Frederic William Farrar, 1831-1903, detto Dean Farrar) dopo Tertulliano
(160–220 circa; seguace poi dell’eterodosso Montano) e Ireneo (130-202) e prima
di Crisostomo (344 o 454-407), per poi fare un grande salto ad autori del 19°
secolo! Rimando al su citato confronto per i dettagli.
Si vede che Antonio Capasso ha sentito un certo obbligo morale di venire in
soccorso agli altri e di rimediare in parte alla questione, fornendomi due
fonti, a parer suo, probatorie. |
1. Le tesi
{Antonio Capasso}
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Caro fratello,
pace. Per quanto riguarda le cose dette da Ireneo, cito
testualmente da «S. Ireneo da Lione - Contro le eresie» volume secondo.
(A cura di P. Vittorino Dellagiacoma, Cantagalli – Siena, pag.166): «L’uomo
perfetto è composizione e unione dell’anima che riceve lo Spirito del Padre ed è
unita alla carne: questa è la creatura a immagine di Dio. Per questo l’Apostolo
dice: “Parliamo di sapienza tra i perfetti” (1 Cor 2,6) chiamando perfetti
quelli che hanno ricevuto lo Spirito di Dio e in qualunque lingua s’esprimano
mediante lo Spirito di Dio, come egli faceva.
Anche noi abbiamo udito molti fratelli nella chiesa avere il carisma profetico e
mediante lo Spirito parlavano in tutte le lingue e rivelavano le cose nascoste
agli uomini ed esponevano i misteri di Dio».
Credo che il contesto, in cui Ireneo dica queste cose, sia chiaro, le fonti te
le ho date.
Ti cito anche
Giustino Martire: «Se vuoi una prova che lo Spirito di Dio, una volta col
tuo popolo, vi ha lasciato ed è venuto a noi, vieni nella nostra comunità e là
lo vedrai scacciare i demoni, guarire i malati, parlare in altre lingue e
profezie…» (Dialogo con Trifone - LXXX11, sta in Ante-Nicen Fathers, Ed. Robert
e Donaldson, Vol 1, pag. 240). {24 settembre 2009}
2. Osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
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1. Ireneo
(130-202) parlò della esperienza sua e di altri con lui e non di una condizione
generalizzata nelle chiese in tutto l’impero o il mondo. L’espressione «in
qualunque lingua s’esprimano» non chiarisce bene che cosa intendesse: 1) I
pneumatici proclamavano ovunque si trovassero nella loro propria lingua col
fine di profetare; 2) I pneumatici proclamavano, ovunque si trovassero,
nella lingua locale alfine di trasmettere l’Evangelo.
Ireneo sembra fare una commistione fra profetare, parlare in tutte le lingue e
rivelare cose nascoste, contrariamente a 1 Corinzi 14; ciò sarebbe proprio da
dilettante. In effetti non intendeva un parlare mistico, come oggi si presenta
la glossolalia, ma un parlare intellegibile come a Pentecoste: essi parlando
nelle lingue necessarie al luogo e alle persone presenti, profetavano (=
proclamavano in modo ispirato), rivelando così i «misteri di Dio» (=
l’Evangelo), che agli uomini erano nascosti. Che non parlasse della glossolalia
come oggi intesa, è evidente, poiché estranei o non credenti avrebbero detto in
tal caso che tali credenti erano pazzi (1 Cor 14,23). Si trattata invece della
profezia (= proclamazione ispirata) nella lingua dello straniero che stava
dinanzi, come anche Paolo affermò: «Ma se tutti profetizzano, ed entra
qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è da tutti
giudicato, l’intimo del suo cuore viene messo a nudo; e così, gettandosi giù con
la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi»
(vv. 24s). L’esempio maestro è il parlare degli apostoli in modo intellegibile a
Pentecoste per convincere i Giudei della diaspora e di Gerusalemme nella loro
propria lingua.
Si noti inoltre che Ireneo e quanti con lui, oltre a non generalizzare le cose,
non avevano tale facoltà personalmente.
Inoltre essi parlavano di un’esperienza fatta in un indistinto passato. Ciò si
accordava anche con le previsioni di Paolo: «Quanto alle lingue, esse
cesseranno di per sé» (1 Cor 13,8), ossia un poco alla volta. Considerando
che Ireneo era vissuto nel secondo secolo ed era quindi abbastanza vicino al
tempo degli apostoli, quanto da lui detto si accordava col tempo oramai passato,
descritto dall’autore dell’epistola agli Ebrei: «La quale [salvezza], dopo
essere stata prima annunziata dal Signore, ci è stata confermata da quelli che
l’avevano udita, mentre Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro,
con dei segni e dei prodigi, con opere potenti svariate, e con doni dello
Spirito Santo distribuiti secondo la sua volontà» (Eb 2,3; linguaggio al
passato). Ireneo fu discepolo di Policarpo, che a sua volta fu diretto discepolo
dell’apostolo Giovanni (quest’ultimo visse quasi fino alla fine del 1° secolo).
2. Quanto
alla citazione del filosofo palestinese Giustino Martire o di Nablus
(100-162/168), faccio notare che egli si esprimeva all’interno di un’apologetica
che aveva come interlocutore un ebreo fittizio di nome Trifone. Egli assommò qui
varie attività sovrannaturali per fare colpo sui suoi lettori. Difficilmente una
persona fittizia avrebbe potuto visitare la sua comunità. In ogni modo, egli
affermava: «…e là lo vedrai [lo Spirito di Dio!] parlare in altre lingue e
profezie». Come si vede, era lo Spirito Santo che parlava. Inoltre la locuzione
«in altre lingue e profezie» è un’unità e si può intendere come sopra profetare
(= proclamare in modo ispirato) usando altre lingue, ossia come a Pentecoste.
3. Faccio
inoltre notare quanto segue. Bisogna guardarsi dal proiettare la glossolalia
odierna in tali brani, per trovarne conferma. Infatti tali brani dicono solo
che qualcosa avveniva (parlavano in altre lingue, profetando), ma non in quale
modo ciò avvenisse e chi fossero i destinatari concreti. Ireneo e Giustino
parlarono delle loro esperienze, senza descrivere in modo concreto che cosa
avvenisse veramente e senza affermare di possedere personalmente uno di
tali carismi. Per questo tali brani non chiariscono sufficientemente la
questione. L’abbinamento fra parlare in altre lingue, la profezia (=
proclamazione ispirata) e la rivelazione dei misteri di Dio (= Cristo,
l’Evangelo), fanno pensare a Pentecoste e a un parlare intellegibile nella
lingua degli astanti, quindi a una situazione missionaria. Né Ireneo né Giustino
parlarono di lingue estatiche. Invitare un Giudeo ostile al cristianesimo a
sentire lingue estatiche, avrebbe solo aumentato la sua convinzione che i
cristiani sono pazzi e avrebbe solo offerto il fianco ai suoi attacchi.
Infine faccio notare che le fonti dei primi secoli dopo Cristo sul fenomeno
della glossolalia, se ridotte a solo queste o a poche altre, sempre se
esistessero e fossero attendibili, sarebbero statisticamente irrilevanti.
Per poterle studiare e dire qualcosa di certo, ce ne vogliono molte di più (ed
esse devono essere più precise e descrittive!) rispetto a poche citazioni
generiche e facili a essere interpretate e strumentalizzate, in un modo o
nell’altro.
4. Infine
faccio notare che la glossolalia e altre esperienze estatiche erano praticate
specialmente nei gruppi di frangia, che seguivano particolari maestri e
rivelazioni speciali, specialmente Montano e i montanisti.
A proposito di
Tertulliano si scrive: «Verso il 207 fu attratto dal montanismo,
un movimento fondato da Montano, in Frigia, come reazione a una certa tiepidezza
della vita cristiana. Esso si richiamava ai carismi originari, soprattutto la
profezia e la glossolalia, e si appellava all’azione dello Spirito Santo,
chiamato di preferenza con il titolo di Paraclito. Tertulliano entrò così in
rottura con la Chiesa ufficiale, che attaccò con veemenza, soprattutto negli
ultimi anni, a proposito della disciplina penitenziale. […] Dopo il 220 non
abbiamo più notizie su di lui» [Enrico Cattaneo, Carlo Dell’Osso, Giuseppe De
Simone,
Patres Ecclesiae. Una introduzione alla teologia dei padri
della chiesa (Il Pozzo di Giacobbe)].
Se Montano
si richiamava ai carismi del tempo apostolico, ciò significa che essi non era
più praticati ai suoi tempi o almeno non come allora. Inoltre, ciò che questi
autori mancano di dire, è che Montano praticava una falsa profezia, poiché
intendeva se stesso come il Paracleto, ossia come la manifestazione stessa dello
Spirito Santo, oltre ad aver fatto predizioni che non si avverarono. In effetti
egli mischiò lo gnosticismo pagano (era un ex sacerdote di Cibele) con il
cristianesimo e l’ascetismo. Tertulliano, seguendone il rigorismo ascetico,
divenne un suo seguace.
Su Montano e montanisti si veda in Nicola Martella (a cura di), Escatologia
fra legittimità e abuso.
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), gli articoli: «Il millenarismo dottrinale», pp. 33-38; «L’escatologia gnostica»,
pp. 42ss (caratteristiche del montanismo). Per
il contesto generale si vedano qui gli articoli riguardanti i primi secoli:
«Escatologia e primo millennio», pp. 27-52.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Glossolalia_padri-chiesa_EdF.htm
28-09-2009; Aggiornamento: 15-10-2009
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