Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.
Caro fratello nella fede, sono un pentecostale. Vorrei chiederti una tua
opinione su un punto molto spinoso, che crea spaccature nelle chiese
evangeliche. Il punto è il velo sul capo delle donne (1 Corinzi 11). Io
sono convinto che Paolo era rivolto al
vestiario delle donne greche dell’epoca, per motivi che non sto qui a
elencare. Ma ti sarei grato di darmi il tuo parere, alla luce della Parola di
Dio e alla luce dei fatti storici e culturali dell’epoca. Ti ringrazio
anticipatamente per una tua risposta. Dio ti benedica. {Mauro Bassan; 27 aprile
2009}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Il titolo iniziale che avevo dato a questo articolo era: «Velo sugli occhi
assolutizza velo sul capo», ma esso avrebbe dimenticato coloro, che banalizzano
semplicemente la questione della velatura del capo.
► La questione della preghiera della donna e del velo l’ho affrontata da anni in
questo articolo: «La donna in 1 Corinzi 11»,
Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27; si veda qui anche «La donna e il culto»,
pp. 54-66. Anche sul sito «Fede controcorrente» ne abbiamo già parlato. [►
Volere velare per pregare?] Fa comunque sempre bene ripensare a nuovo sulle cose, per saggiare le proprie
convinzioni alla luce della Parola di Dio. Più che dare risposte definitive,
vorrei fare qui un ragionamento, il cui percorso che aiuti a mettere a
fuoco le vere questioni. Parlerò qui di seguito di «profetare» o
«proclamare in modo ispirato ed estemporaneo»; non mi soffermerò al riguardo,
rimandando per l’approfondimento al seguente articolo: «Profetare
significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto».
Bisogna stare attenti a non andare, per motivi ideologici o per partito
preso, in un estremo o nell’altro. Sebbene la «questione della velatura del
capo» sia biblica, non sta ai primi posti nella dottrina e nella pratica
delle chiese del NT. Se l’emancipazione spinta delle donne di Corinto non
l’avesse portata alla luce,
non ne sapremmo nulla oggigiorno. In tutte gli altri scritti del NT non
se ne fa menzione. È quindi necessario dare a questa questione il ruolo e lo
spazio, che le competono. Le strumentalizzazioni ideologiche, in un modo
o nell’altro, che portano ad accese controversie nelle comunità e a separazioni
fra credenti, sono un chiaro segno di demagogia religiosa. Se nella piramide
delle dottrine diamo il primo posto a quelle, la cui violazione induceva gli
apostoli a lanciare il loro anatema (Gal 1,8s), la questione della velatura del
capo occuperebbe probabilmente il centesimo posto per rilevanza. Chi usa tale
grimaldello per scardinare le chiese, si assume una grave responsabilità, di cui
dovrà rendere conto al Signore (1 Cor 3,17).
L’altra parte della medaglia è la banalizzazione della questione, come se
Paolo avesse solo perso tempo con cose insignificanti. Che il problema della
velatura del capo fosse «rivolto al vestiario delle donne greche
dell’epoca», è una deduzione soggettiva, visto che le donne greche erano
abbastanza libere nei costumi. Gli argomenti non avevano neppure a che fare con
la cultura giudaica, visto che lì erano anche gli uomini a coprirsi il
capo mentre pregavano e leggevano la Scrittura (2 Cor 3,13ss). Gli argomenti
erano di tipo morale (1 Cor 11,13) e creazionale (vv. 14s); ciò
che Paolo disse non si limitava a una specifica situazione locale (v. 17). Le
questioni da affrontare con onestà solo almeno le seguenti.
■ Il testo parla non solo della donna nel culto, ma anche dell’uomo. I termini
greci intendono l’uomo sposato (aner «uomo adulto, marito») e la
donna sposata
(ghyne «donna adulta, moglie»), come ad esempio in Efesini 5, dove sono
tradotti marito e moglie.
■ Il capo scoperto per l’uomo e coperto per la donna non è una condizione
assoluta, ma solo relativa all’esercizio personale della preghiera e
della profezia (o proclamazione esortativa) nella comunità.
■ Nei testo greco di 1 Corinzi 11 compare di per sé il verbo «velare,
coprire» e non così spesso il sostantivo «velo», se si eccettua il v. 15, dove
si afferma che la
chioma (ossia i capelli lunghi) è data alla donna «al posto di un velo».
Visto che si parla anche della chioma a disonore del maschio e a onore della
femmina, alcuni pensano che si tratti in effetti di questo tipo di velatura.
Chiaramente il testo contiene alcune cose scontate per l’autore e i suoi
destinatari, ma non per noi, che siamo così distanti da quella cultura.
■ L’insistenza di Paolo su aner e ghyne mostra che il problema
affrontato dall’apostolo riguardava il rapporto sbilanciato nella economia
matrimoniale, dovuto a un’eccesiva emancipazione femminile in casa e
nella chiesa locale. Come ho già fatto notare, gli stessi termini ricorrono in
tale combinazione in Efesini 5, dove vengono chiaramente tradotti con marito e
moglie. Nei versi 8s.12s si noti che si parla di Adamo ed Eva; anche lì
si trattava del rapporto di coppia all’interno dell’economia creazionale.
L’autore fece un gioco di parole solo comprensibile nella mentalità dell’AT,
secondo cui Adamo è il primo uomo, ma anche l’umanità (bene ’adam
«figli di Adamo»).
Facciamo quindi bene a fare una traduzione di 1 Corinzi 11,3-16 il più
possibile vicino all’originale. Mettiamo apposta «uomo [sposato]» per aner
«marito, uomo di una donna» e «donna [sposata]» per ghyne «moglie, donna
di un uomo», per rendere il senso dell’originale. Metto in grassetto i termini
chiave (coprirsi e scoprirsi il capo).
«3Io voglio però che sappiate che Cristo è il capo d’ogni uomo
[sposato], e il capo della donna [sposata] è l’uomo [sposato], e il capo di
Cristo è Dio. 4Ogni uomo [sposato] che prega o proclama, avendo
[qualcosa] sul suo capo, disonora il suo capo. 5Ogni donna [sposata]
però che prega o proclama a capo scoperto, disonora il suo capo; poiché è
la stessa cosa come la rasata [= prostituta]. 6Infatti, se una donna
[sposata] non si copre, che si faccia anche tosare [i capelli]! Ma se è
cosa vergognosa per una donna [sposata] di essere tosata o rasata, che si
copra. 7Infatti, l’uomo [sposato] non deve chiaramente
coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna [sposata] è
gloria dell’uomo [sposato]. 8Infatti l’uomo [= Adamo] non è dalla
donna [= Eva], ma la donna [= Eva] dall’uomo [= Adamo];
9infatti l’uomo [= Adamo] non fu neppure creato a motivo della donna [=
Eva], ma la donna [= Eva] a motivo dell’uomo [= Adamo]. 10Perciò la
donna [sposata] deve avere un’autorità [o autorizzazione; lett. potenza]
sul capo, a motivo degli inviati. 11Tuttavia, nel Signore, né la
donna [= Eva; moglie] è senza l’uomo [= Adamo; marito], né l’uomo [= Adamo;
marito] è senza la donna [= Eva; moglie]. 12Infatti, come la donna [=
Eva] è dall’uomo [= Adamo], così anche l’uomo [= genere umano (= ebr. ’adam)]
è per mezzo della donna [= Eva]; e ogni cosa è da Dio. 13Giudicatene
da voi stessi: È decente che una donna [sposata] preghi Dio essendo [a capo]
scoperto? 14Oppure non v’insegna la stessa natura che se
l’uomo [sposato] ha i capelli lunghi, è per lui un disonore? 15Ma
se una donna [sposata] ha i capelli lunghi, è per lei un onore? Perché la
chioma le è data al posto di un velo. 16Se però qualcuno intende
essere contenzioso, [deve sapere che] noi non abbiamo tale consuetudine [= che
le donne sposate preghino senza il capo coperto], né le assemblee di Dio»
Da ciò risulta che una donna sposata, quando prega o proclama (cfr. 1 Cor 14,3)
personalmente nell’assemblea, deve avere (solo in quel preciso momento) sul suo
capo un segno di autorità o autorizzazione, a cui sottostà. Né la squadra
missionaria di Paolo, né le «assemblee di Dio» (tutte le chiese d’allora)
avevano la convenzione che le donne sposate pregassero senza il capo coperto.
Nel matrimonio cristiano («nel Signore») tutto viene stemperato
dall’amore e dall’interdipendenza dei due coniugi (cfr. vv. 11s), ma ciò non
significa che si debba arrivare a una confusione di ruoli.
La questione, che resta da discutere, è la seguente: vista l’insistenza
sui capelli lunghi quale motivo d’onore per la donna (vv. 14-15a) e vista
l’asserzione, secondo cui alla donna «la chioma le è data al posto di un
velo» (v. 15b), bisogna riflettere se l’emancipazione delle donne
credenti di Corinto non consistesse nel fatto, che volessero assomigliare agli
uomini anche nella corta chioma, per evidenziare così la parità. In tal
caso, «a capo scoperto» avrebbe significato con i capelli corti. Ciò
renderebbe comprensibile il parallelo con la «rasata», come veniva
chiamata la prostituta (v. 5). Allora l’alternativa a non essere «tosata o
rasata», era la copertura (v. 6), ossia del capo mediante una chioma ritenuta
sufficientemente lunga nella relativa cultura. La lunga chioma della donna (a
differenza dell’uomo) diventerebbe così un segno di distinzione
all’interno dell’economia creazionale (vv. 14s) e spirituale (v. 10).
Non so se quanto appena detto risponde a ogni aspetto delle questioni testuali,
ma vale la pena ragionarci sopra. In ogni modo, se tale velatura non
corrispondesse di per sé alla sola chioma femminile, si fa bene a non rendere
questo testo, per alcuni aspetti oscuro, una croce e una tribolazione per le
donne. Tutto ciò deve diventare un monito alla cautela e alla
moderazione. A parer nostro, il testo parla solo delle donne sposate e del
fatto che quando esse pregano e proclamano estemporaneamente nell’assemblea
qualcosa, devono essere in tale condizione, che si intenda sia una lunga chioma,
sia una copertura supplementare del capo.
L’uguaglianza dell’uomo e della donna sul piano della fede non deve
far errare sul fatto che essi hanno un ruolo diverso sia internamente al
matrimonio, sia nell’assemblea. Nel giudaismo le esternazioni pubbliche
della fede erano una cosa da uomini, mentre le donne erano spettatrici soltanto;
normalmente esse erano anche fisicamente separate dagli uomini nelle sinagoghe,
anche a causa del fatto che si occupavano dei pargoli. Il ritrovato pari
consentimento nelle
assemblee cristiane fra uomini e donne divenne una tentazione a
relativizzare ogni differenza creazionale e sociale in nome della pari dignità e
a pretendere un’uguaglianza di ruoli. Ciò si esternò anche nell’abbigliamento,
nell’acconciatura dei capelli e nel modo di porsi. L’emancipazione divenne una
specie di mascolinizzazione.
Paolo mostrò non solo il rischio di assomigliare così alle prostitute, allora
rasate probabilmente per motivi igienici o per distinzione sociale, ma fece
riferimento all’ordine economico di Dio, a cui neppure Cristo (il Logos
fatto carne) faceva eccezione. Un credente deve sottomettersi all’ordine divino
anche nelle cose esteriori e specialmente in quelle che attengono al culto
comune. Se «inviati» (gr. angheloi) intendeva i messi celesti, ciò
mostrava che i credenti facevano conto della loro presenza nelle assemblee e del
fatto che Dio sarebbe intervenuto mediante i suoi servi celesti in grazia e in
giudizio.
Oltre a quanto già detto fin qui, aggiungo quanto segue, consultando le note
esplicative di Hans Bruns, autore di una traduzione della Bibbia in lingua
tedesca. Nell’ordine creazionale divino e matrimoniale l’uomo e la donna
hanno uguale valore e sono interdipendenti, ma non hanno la stessa natura e gli
stessi ruoli. Ogni omologazione è perciò pericolosa e snaturante. È una
questione dell’onore, del decoro e dell’atteggiamento interiore, a cui uomo e
donna sono chiamati in relazione alla loro natura e al loro ruolo creazionale ed
ecclesiale.
►
Velo fra assolutismo e banalizzazione? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Velo_assolut_banal_GeR.htm
01-07-2009; Aggiornamento: 17-10-2012
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