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Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PROFETARE SIGNIFICA INSEGNARE?

Il ruolo della donna nel culto

 

 di Nicola Martella

 

1. Entriamo in tema

2. I termini del NT

3. Trattazione teologica

4. Aspetti conclusivi

 

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1.  ENTRIAMO IN TEMA: Un possibile sottotitolo potrebbe essere il seguente: «Il ministero della donna nella chiesa, fra abuso e discriminazione». Oppure si potrebbe sottotitolarlo con una domanda come segue: «Perché in certi contesti ecclesiali alla donna credente viene impedito di pregare in assemblea, visto che nel NT le è concesso anche di profetare?».

    Alcuni sostengono che nella Bibbia e specialmente nel NT «profetare» significhi «insegnare». E siccome le cose starebbero così, impediscono alle donne presenti in assemblea di proferire verbo — per timore che profetando, altresì predichino e quindi insegnino. In alcune comunità non si permette alla donna neppure di pregare pubblicamente, poiché in preghiera potrebbe «insegnare», per così dire, in modo latente o come eventualità. In altre si fa una differenza fra riunioni infrasettimanali e domenicali (come se al tempo apostolico ci fosse mai stata qualcosa del genere). In altre comunità ancora si è più radicali, impedendo alle donne di citare addirittura inni. Il cristianesimo diventa qui, nei suoi risvolti pubblici e comunitari, un’espressione religiosa per soli maschi.

     Già basare una dottrina e una prassi ecclesiale su un timore, è un punto di debolezza per ambedue. Quando poi qualcosa diventa convenzione con l’uso, non solo si troverà qualche verso biblico che — ricondotto alla propria logica — servirà da «appoggio» alla propria credenza, ma si crederà che tali prassi sia «biblica», perché è praticata dal proprio gruppo di riferimento all’interno della propria denominazione. Ora, però, non è la convenzione a rendere liberi, ma la verità sulle cose.

 

 

2.  I TERMINI DEL NT

 

2.1.  I TERMINI

      ■ Profetare: Nel greco del NT il termine profēteuein significa semplicemente «proferire» ossia «portare [parole] davanti [agli altri]», «parlare pubblicamente». Nei templi pagani il «profeta» non era chi riceveva il messaggio dagli dèi (questo lo faceva in Delfi la Pizia), ma l’interprete che lo presentava e interpretava a chi aveva chiesto il responso. Quindi, «profetare» non significava «parlare in anticipo» (predire), come oggigiorno falsamente si crede, ma «parlare pubblicamente». Il «profeta» poteva essere addirittura chi interpretava una dottrina. In genere significava «annunciatore, proclamatore» in qualsiasi contesto (p.es. araldo, annunciatore nelle gare). [Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella (a cura di), «Che cos’è la “profezia”?», Escatologia biblica essenziale, Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 21-24. Cfr. Nicola Martella, «Profezia: Proclamazione», Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 284s.]

     ■ Insegnare: Nel greco del NT il termine didáskein significa «insegnare, istruire, ammaestrare, addestrare». Ciò intende addestrare qualcuno, passo per passo, verso una meta specifica. Il termine è legato all’attività specifica di dídaxis «insegnamento, istruzione, scuola» e di didaskaleion «scuola, dottrina». La didaskalía era «ammaestramento, insegnamento, istruzione, dottrina» e anche «rappresentazione, esposizione» dettagliata (p.es. provando un’opera teatrale). Il didaskalikós era il «modo d’insegnare, il metodo». Il didaskálion era anche la «lezione» o la «scuola». Perciò il didáskalos era il «maestro, precettore», termine che era strettamente legato alla scuola o all’istruttore (p.es. del coro). Sebbene il linguaggio del NT è greco, i termini rispecchiano spesso un uso mutuato spesso dall'ebraico; infatti già nell'AT c'era una differenza fra la proclamazione dei profeti e l'istruzione della sapienza. Non è un caso che in molti brani, in cui le nostre Bibbie riportano nell'AT «insegnamento, ammaestramento», l'ebraico ha mûsār «disciplina» e tôrāh «istruzione», la stessa parola usata per la Legge mosaica. [Per l’approfondimento cfr. nel Manuale Teologico dell’Antico Testamento gli articoli: «Ammaestramento», p. 84; «Disciplina», pp. 144s; «Insegnamento, istruzione», pp. 187s; «Istruire», pp. 197s; «Istruzione», pp. 198s]

 

2.2.  ALCUNE DEDUZIONI: Già quest’analisi linguistica evidenzia molte e profonde differenze tra i due termini.

     ■ Profetare: Si intendeva un generico «parlare pubblicamente», quindi «annunciare, proclamare». Era quindi un’attività estemporanea legata alla situazione concreta. Un «profetare» in privato sarebbe stato, già dal punto di vista terminologico, una contraddizione in se stessa, trattandosi dell’annuncio pubblico di un messaggio. [Per l’approfondimento cfr. nel Manuale Teologico dell’Antico Testamento gli articoli: «Profeta (ambito ministeriale)», pp. 289ss; «Profeti legittimi (caratteristiche)», p. 283]

     ■ Insegnare: Era l’attività del maestro che, all’interno della sua scuola, istruiva i suoi allievi, passo per passo e secondo una metodologia specifica, col fine di portarli a diventare persone istruite e competenti, atte poi a insegnare agli altri. Si trattava quindi di una disciplina specialistica che premetteva una competenza e un’autorità, quindi un riconoscimento e un’abilitazione.

 

 

3.  TRATTAZIONE TEOLOGICA

 

3.1.  PROMESSA DEL NUOVO PATTO: Nell’AT si parla nominalmente di profetesse come Maria, sorella di Mosè, di Debora e di Hulda. Dio annunciando gli eventi che avrebbero accompagnato l’avvento dello Spirito su ogni carne in Israele in concomitanza con il nuovo patto, annunziò mediante Gioele che «i vostri figli e le vostre figlie profeteranno» (Gle 2,28). Questo fatto venne ripreso da Pietro a Pentecoste che vide in ciò l’adempimento (At 2,17) e, citando la Settanta, aggiunse: «E anche sui miei servi e sulle mie serventi, in quei giorni, spanderò del mio Spirito, e profeteranno» (v. 17).

     Anche nel nuovo patto troviamo donne che profetavano, ad esempio le figlie di Filippo: «Ora egli aveva quattro figlie non maritate, le quali profetavano» (At 21,9). Ricordiamo ancora una volta che questo verbo non significava «dire in anticipo» (o predire) ma «dire pubblicamente» (o proferire). I contenuti di tale dire li chiariremo sotto.

 

3.2.  1 CORINZI 11: Non intendo soffermarmi a lungo su questo testo, poiché l’ho trattato lungamente in « Generi e ruoli». In questo brano non si tratta di una proibizione all’uomo sposato (anēr) o alla donna sposata (gynē) di pregare o profetare, ma solo di una regolamentazione di questo esercizio in pubblica assemblea. Che non si trattasse qui di una prassi devozionale privata ma di un'attività pubblica, è mostrato proprio dal termine «profetare» che significa, come già detto, «proferire, parlare pubblicamente».

     ■ Quando un anēr prega e profetizza, deve farlo a capo scoperto.

     ■ Quando una gynē prega e profetizza, deve farlo a capo coperto, segnalando così pubblicamente la sua sottomissione al suo anēr.

 

Paolo concesse ad ambedue i generi il diritto di esercitare pubblicamente questo diritto, ma con una condizione diversa per ambedue. Sarebbe pretestuoso ricavare altro da ciò. Questo è un brano chiaro ed evidente. [Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «La donna in 1 Corinzi 11», Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27.]

 

3.3.  1 CORINZI 14: Non intendo soffermarmi a lungo neppure su questo testo, poiché l’ho trattato lungamente in «Generi e ruoli». In questo brano l’apostolo proibì alla gynē di praticare lalein en ekklēsía. Che cosa intendesse l’apostolo con tale espressione, è oscuro e le interpretazioni sono varie: ▪ 1) chiacchierare (fra donne) durante la riunione; ▪ 2) parlare nel senso di insegnare (cfr. v. 35 esse devono imparare non insegnare en ekklēsía); ▪ 3) parlare in lingue (glossolalia; cfr. v. 27s); ▪ 4) interpretare il parlare profetico altrui (vv. 29-32), eccetera. Il contesto imminente di 1 Cor 14,34 suggerisce che, sebbene la donna potesse «profetare», le era proibito di giudicare le «profezie», trattandosi di insegnamento.

     Poiché il brano di 1 Cor 14 è comunque oscuro, è una buona regola ermeneutica di non dare troppo valore a un brano oscuro a discapito di un brano chiaro (1 Cor 11). Paolo non era schizofrenico, dando due istruzioni differenti e contraddittorie nella stessa compagine testuale; una tale discrepanza avrebbe minato la sua credibilità di apostolo e di insegnante, che era già molto screditata da parte dei «superapostoli» giudaici, che avevano preso il potere nella chiesa di Corinto (2 Cor 11). Avremo modo di approfondire questi aspetti sotto.

     Si noti che il termine «tacciasi» non è assoluto, ma relativo (ricorre nel v. 30: deve tacersi chi non è ispirato al momento, dando spazio a chi lo è). Bisogna approfondire anche l’espressione particolare «(radunarsi) en ekklēsía» (cfr. 1 Cor 11,18), tenendo presente che le comunità locali si riunivano abitualmente in «chiese in casa» (cfr. Rm 16) e occasionalmente anche come «assemblea generale» (en ekklēsía?) di tutte le «chiese in casa» presenti in un certo luogo (cfr. Rm 16,23 tutta la chiesa). È probabile quindi che il «tacciasi» si riferisca alla proibizione d’insegnare, ossia in assoluto in ogni riunione di chiesa o almeno durante tali assemblee generali. [Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «La donna in 1 Corinzi 14», Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 28-41.]

 

3.4.  LE SPECIFICHE DI PROFETARE E INSEGNARE: Profetare e insegnare sono dissimili anche nelle specifiche dichiarate nel NT, nel procedimento, nel tipo di linguaggio usato, nella qualità dei contenuti e nella metodica usata.

 

3.4.1. PROFETARE: È un intervento estemporaneo, sotto l’impulso spirituale, che si «accende» alla sacra Scrittura esistente al momento, alle parole di un altro credente o a una situazione particolare. Lo Spirito del Signore investe una persona ed essa parla, senza averlo programmato prima (1 Sm 10,6.10.20; 1 Sm 19,23). Similmente avviene anche per la falsa profezia, ma qui la fonte è un’altra (cfr. 2 Cr 18,21s; 1 Gv 4,1). In una certa situazione è scritto che «lo spirito di Dio investì» una certa persona, che parlò ammonendo da parte di Dio il popolo (cfr. 2 Cr 24,20) o incoraggiando qualcuno (1 Cr 12,18; 2 Cr 20,14ss).

     L’obiettivo è l’edificazione, l’ammonizione, l’esortazione, l'incoraggiamento o la consolazione (cfr. 1 Cor 14,3). Nehemia ricordò in preghiera che per molti anni «li scongiurasti per mezzo del tuo spirito e per bocca dei tuoi profeti» (Ne 9,30). Paolo, mettendo in contrasto il parlare in altre lingue con il parlare profetico, asserì: «Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione… chi profetizza edifica l’assemblea» (1 Cor 14,3s).

     Essendo un parlare estemporaneo e sotto impulso spirituale, i contenuti non sono assoluti né normativi. Anzi, poiché ogni impulso può essere positivo (Col 3,16 l’impulso della grazia) o negativo (Gcm 3,4s l’impulso della lingua paragonata al timone della nave), ciò che il «profeta» asserisce, può e dev’essere giudicato dal resto dell’assemblea: «Parlino due o tre profeti, e gli altri giudichino» (1 Cor 14,29). Tutti, senza eccezione, possono profetare nella comunità, uno dopo l’altro (1 Cor 14,31). [Per l'approfondimento si veda: ► Profeti nel Nuovo Testamento; ► Profeti del nuovo patto; ► Profezia e profetare nel NT]

 

3.4.2. INSEGNARE: Al tempo del NT, l’insegnamento era legato all’autorità, al carisma particolare, alla competenza e al riconoscimento di tale posizione particolare. Quindi solo pochi potevano insegnare nell’assemblea. Essi erano riconosciuto come insegnanti della Parola. Il giudaismo aveva i suoi «insegnanti della legge», ossia i rabbini[1]; Gesù stesso era riconosciuto come un «insegnante venuto da Dio» (Gv 3,2). Anche le chiese avevano in genere i loro profeti e insegnanti, oltre che apostoli e altri ministeri (1 Cor 12,28s; Ef 4,11), ad esempio si parla di profeti e insegnanti dell’assemblea di Antiochia (At 13,1). Paolo era conscio d’essere «insegnante dei Gentili» (1 Tm 2,7) e «banditore e apostolo e insegnante» (2 Tm 2,11).

     Insegnare è un intervento misurato e continuato, che implica una meta specifica, ossia la maturazione del discepolo e il suo addestramento continuato nella dottrina e nella prassi di vita (cfr. Eb 6,1s). L’obiettivo è la completa formazione, la piena crescita del discepolo e l’addestramento di coloro che proseguiranno il ministero d’insegnamento locale o sopralocale. Un elemento importante è la correzione dei dissidenti e la difesa del deposito della fede (apologetica).

     Il ministero autorevole d’insegnamento era visto strettamente legato alla figura e al ministero del conduttore. Egli dev’essere «capace d’insegnare» (1 Tm 3,2).

     Esso era legato a un chiaro esercizio di autorità. Paolo ingiunse a Timoteo: «Ordina queste cose e insegnale» (1 Tm 4,11). Il ministero d’insegnamento era legato anche al dovere di sorvegliare e verificare i contenuti dell’insegnamento stesso, quindi a una grande responsabilità (1 Tm 4,16) che si estendeva anche al modo come ciò doveva essere esplicato nella pratica (Tt 2,7s).

     Il fine dell’insegnante è addestrare «uomini fedeli, i quali siano capaci d’insegnarle anche ad altri» (2 Tm 2,2). Ossia formare persone che tengano dietro al loro maestro in tutti gli aspetti della vita, nella teoria e nella pratica, nella dottrina e nell’etica (2 Tm 3,10s).

     Tra i doveri dell’insegnante ricorrevano i seguenti: «Insegna queste cose ed esorta e riprendi con ogni autorità. Nessuno ti disprezzi» (Tt 2,15).

     Una delle metodiche dell’insegnante è quella di correggere in modo confacente: «Ora il servitore del Signore non deve contendere, ma dev’essere mite inverso tutti, atto a insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contraddicono…» (2 Tm 2,24s). L’insegnamento della Parola era visto connesso agli atti di riprendere, correggere ed educare alla giustizia per rendere l’uomo di Dio maturo nella dottrina e nel comportamento (2 Tm 3,16s). Non a caso il conduttore doveva essere, tra altre cose, «attaccato alla fedele Parola quale gli è stata insegnata, affinché sia capace d’esortare nella sana dottrina e di convincere i contraddittori» (Tt 1,9).

     Nelle chiese del primo secolo per le donne non era previsto un ministero pubblico d’insegnamento, ma neppure per gli uomini in genere, essendo esso relegato esclusivamente al ministero dei conduttori della chiesa locale che possedevano le chiare qualità morali e tecniche previste. [Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «Ministeri preclusi alle donne», Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 83-102.]

 

 

4.  ASPETTI CONCLUSIVI

 

4.1.  PREDICARE NON È INSEGNARE: Predicare è annunziare qualcosa, ossia proclamare l’Evangelo. Insegnare ha a che fare con la dottrina e la morale cristiana. Certamente la stessa persona può fare l’uno e l’altro o solo uno dei due (1 Tm 5,17), cioè sia predicare la Parola (= evangelizzare), sia istruire (2 Tm 4,2). Anche l’insegnante può esortare (1 Tm 6,2).

     Il verbo per «predicare» è qui keryssein «bandire, gridare, fare l’araldo, proclamare, annunziare, far conoscere». Era quindi un sinonimo di epanghéllestai «annunziare». Il primo a «predicare» nel NT fu Giovanni Battista, quando annunziava l’avvento del regno (Mt 3,1). Questa è una funzione e un ministero che si adatta all’evangelizzazione e alla predicazione pubblica dell’Evangelo, così come hanno fatto poi Gesù (Mt 4,17), i discepoli (Mt 10,7; Mc 3,15), gli apostoli, Paolo e tanti altri. Si noti che Gesù insegnava tra altre cose nelle sinagoghe dei Giudei e predicava l’Evangelo del regno (Mt 4,23; 9,35; 11,1). I discepoli dovevano predicare sui tetti (quindi fuori) non dai pulpiti (Mt 10,27). Viene menzionato Giona in Ninive (Mt 12,41), così pure Noè (2 Pt 2,5). La predicazione dell’Evangelo del regno per tutto il mondo è messa in connessione con la testimonianza che bisogna rendere ai Giudei (At 10,42; 18,5) e a tutte le genti (Mt 24,14). Può essere connesso anche col racconto di specifici fatti (Mc 14,9). Il contenuto della predicazione è «questo Evangelo» (Mt 26,13). Il fine è il ravvedimento (Mc 6,12; Lc 3,3; 11,32; At 13,24), la conversione (At 14,15) e la remissione dei peccati (Lc 24,47).

     Stando così le cose non è da confondere con l’insegnamento autorevole verso i discepoli. Ciò che noi oggi chiamiamo «predicazione», non corrisponde quindi a ciò che era inteso e praticato nella chiesa apostolica. Allora la «predicazione» era proclamazione verso fuori e corrispondeva all’evangelizzazione; oggigiorno s’intende (spesso ahimè) ogni attività prodotta dal pulpito e indirizzata verso i discepoli.

     Predicare (keryssein) significava proclamare specialmente l’Evangelo[2], l’avvento del regno di Dio[3] e del Messia (Mc 1,7; cfr. Lc 4,19) e Gesù, in quanto «Cristo», quale contenuto dell’Evangelo[4], e cioè da per tutto (Mc 16,20), fra Giudei e Gentili (Gal 2,2; 1 Tm 3,16). Tutto era riassunto nell’«Evangelo di Cristo» (Rm 15,19s), nell’Evangelo quale «predicazione di Gesù Cristo»[5], nella «parola della fede che noi predichiamo» (Rm 10,8) o nella «predicazione della fede» (Gal 1,23; 3,2.5). Ciò era un’attività pubblica rivolta dai discepoli al resto del mondo (l’insegnamento era rivolto invece ai discepoli). Predicare Cristo o annunziare Cristo era la stessa cosa (Fil 1,15.17).

     Può una donna «predicare»? Se si intende erroneamente «insegnare» pubblicamente ai discepoli, allora no. Se si intende «annunciare» (epangéllestai), e cioè l’Evangelo verso fuori, allora sì. Gesù ingiunse alle donne presso il sepolcro di andare ad annunziare i fatti ai discepoli (Mt 28,8.10 miei fratelli; Gv 20,18). I verbi «annunziare» (epangéllestai) e «predicare» (keryssein) sono sinonimi e ricorrono anche insieme.[6] Predicare l’Evangelo (cfr. Mt 4,23; Rm 15,19s) o la Parola[7] è la stessa cosa che annunciare l’Evangelo[8] o la Parola[9].

     Il modo come una «discepola» annuncia o predica l'Evangelo a quelli di fuori è differente da come lo fa un uomo. Tabita lo faceva mediante abbondanti buone opere e atti di misericordia (At 9,36.39). Probabilmente Priscilla era una donna con più grinta e loquacità —  visto che, dove lei e Aquila andavano, erano attivi nell’opera e ospitavano una «chiesa in casa» (Rm 16,3ss; 1 Cor 16,19). [à sotto]

 

4.2.  PROFETARE NON È INSEGNARE: Quanto abbiamo visto, mostra che spostando di significato le parole, si aumenta la confusione da parte di chi usa i termini in modo arbitrario e scorretto. Ciò avviene non solo da parte di chi intende che «profetare» significhi «predire», ma lo fa anche chi intende che «predicare» significhi «insegnare». Neppure «profetare» e «predicare» si corrispondevano, poiché il primo era esplicato fra i discepoli (edificazione), il secondo dai discepoli (evangelizzazione, annuncio dell’Evangelo).

     Se profetare significasse insegnare, Paolo avrebbe contraddetto se stesso e avrebbe portato una grave contraddizione nella Parola di Dio. Mentre era l’insegnante a giudicare, riprendere e correggere i dissidenti, come abbiamo visto, il profeta era soggetto nel suo dire al giudizio degli altri (1 Cor 14,29); questo era così già nell’AT, talché era possibile distinguere un profeta legittimo da uno falso.

     Nel giudaismo e nella chiesa il discepolo aveva da usare silenzio dinanzi al maestro, accettando la sua autorità, poiché non gli era dato di farla da maestro sul proprio insegnante. Mentre Paolo permise alla donna (e all’uomo) di pregare e profetare pubblicamente (1 Cor 11), non le permise di farla da maestra sopra il marito en ekklēsía (1 Cor 14,34s). Perciò scrisse: «Infatti non permetto alla gynē [donna sposata, moglie] d’insegnare, né d’usare autorità sull’anēr [uomo sposato, marito], ma stia in silenzio» (1 Tm 2,12); quest’ultimo brano getta luce sul precedente. Il tacere e il silenzio era previsto quindi riguardo all’esercizio d’autorità legato all’insegnamento pubblico, non a quello di pregare e profetare en ekklēsía.

     In questi brani si trattava dell’insegnamento pubblico. Per l’insegnamento privato dei discepoli la norma era differente. La più anziana poteva insegnare alla più giovane (Tt 2,3ss). In coppia si poteva insegnare privatamente anche agli uomini. Quando vengono menzionati Priscilla e Aquila, in genere ella viene menzionata prima, poiché era probabilmente la forza trainante all’interno di quella coppia. Sebbene Apollo fosse «uomo eloquente e potente nelle Scritture», fosse «stato ammaestrato nella via del Signore» e, «fervente di spirito», parlasse e insegnasse accuratamente e con grande franchezza, Priscilla e Aquila si accorsero che lui aveva una dottrina limitata (At 18,24ss). Perciò si legge che «Priscilla  e Aquila, uditolo, lo presero con sé e gli esposero più appieno la via di Dio» (v. 26); si notino i verbi al plurale e la posizione di Priscilla prima di Aquila. Questo insegnamento privato di coppia rese Apollo un uomo capace al punto che egli «con gran vigore confutava pubblicamente i Giudei, dimostrando per le Scritture che Gesù è il Cristo» (v. 28).

 

 

[1]. Cfr. Mt 22,35; Lc 2,46; 5.17; 7,30; 10,25; 11,45s.52; 14,3; Gv 3,10; At 5,34; 1 Tm 1,7.

[2]. Mc 1,14; 13,10; 16,15; Fil 4,15; Col 1,5 predicazione della verità dell’Evangelo; Col 1,23 speranza dell’Evangelo; 1 Ts 2,9 l’Evangelo di Dio; 1 Ts 2,13 la parola di Dio.

[3]. Lc 8,1; 9,1; At 20,25; 28,31.

[4]. At 8,5; 9,20; 17,18.

[5]. Rm 16,25s; 1 Cor 1,23s; 15,12.14; 2 Cor 1,19; 4,5.

[6]. Lc 8,1; At 17,18; Rm 10,15.

[7]. Cfr. Rm 10,8; 1 Ts 2,13; 2 Tm 4,2.

[8]. Cfr. Mt 11,5; At 16,10; Rm 1,9.

[9]. Cfr. Mc 2,2; Gv 12,48; At 4,29.31.

 

Il ruolo della donna nel culto? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Profetare_insegnare_UnV.htm

11-07-2007; Aggiornamento: 03-04-2015

 

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