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1.
Entriamo in tema
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2.
I termini del NT
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3.
Trattazione teologica
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4.
Aspetti conclusivi
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1.
ENTRIAMO IN TEMA: Un possibile sottotitolo potrebbe essere il seguente: «Il ministero
della donna nella chiesa, fra abuso e discriminazione». Oppure si potrebbe
sottotitolarlo con una domanda come segue: «Perché in certi contesti ecclesiali
alla donna credente viene impedito di pregare in assemblea, visto che nel NT le
è concesso anche di profetare?».
Alcuni sostengono che nella Bibbia e specialmente nel NT
«profetare» significhi «insegnare». E siccome le cose starebbero così,
impediscono alle donne presenti in assemblea di proferire verbo — per timore che
profetando, altresì predichino e quindi insegnino. In alcune comunità non si
permette alla donna neppure di pregare pubblicamente, poiché in preghiera
potrebbe
«insegnare», per così dire, in modo latente o come eventualità. In altre si fa
una differenza fra riunioni infrasettimanali e domenicali (come se al tempo
apostolico ci fosse mai stata qualcosa del genere). In altre comunità ancora si
è più radicali, impedendo alle donne di citare addirittura inni. Il
cristianesimo diventa qui, nei suoi risvolti pubblici e comunitari,
un’espressione religiosa per soli maschi.
Già basare una dottrina e una prassi ecclesiale su un timore, è un punto di
debolezza per ambedue. Quando poi qualcosa diventa convenzione con l’uso, non
solo si troverà qualche verso biblico che — ricondotto alla propria logica —
servirà da «appoggio» alla propria credenza, ma si crederà che tali prassi sia
«biblica», perché è praticata dal proprio gruppo di riferimento all’interno
della propria denominazione. Ora, però, non è la convenzione a rendere liberi,
ma la verità sulle cose.
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2.
I TERMINI DEL NT
2.1. I TERMINI
■ Profetare: Nel greco del NT il termine profēteuein significa
semplicemente «proferire» ossia «portare [parole] davanti [agli altri]»,
«parlare pubblicamente». Nei templi pagani il «profeta» non era chi riceveva il
messaggio dagli dèi (questo lo faceva in Delfi la Pizia), ma l’interprete che lo
presentava e interpretava a chi aveva chiesto il responso. Quindi, «profetare»
non significava «parlare in anticipo» (predire), come oggigiorno
falsamente si crede, ma «parlare pubblicamente». Il «profeta» poteva essere
addirittura chi interpretava una dottrina. In genere significava «annunciatore,
proclamatore» in qualsiasi contesto (p.es. araldo, annunciatore nelle gare).
[Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella (a cura di), «Che cos’è la
“profezia”?», Escatologia biblica essenziale,
Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 21-24. Cfr. Nicola Martella, «Profezia: Proclamazione»,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 284s.]
■ Insegnare: Nel greco del NT il termine didáskein significa
«insegnare, istruire, ammaestrare, addestrare». Ciò intende addestrare qualcuno,
passo per passo, verso una meta specifica. Il termine è legato all’attività
specifica di
dídaxis «insegnamento, istruzione, scuola» e di didaskaleion «scuola,
dottrina». La didaskalía era «ammaestramento, insegnamento, istruzione,
dottrina» e anche «rappresentazione, esposizione» dettagliata (p.es. provando
un’opera teatrale). Il didaskalikós era il «modo d’insegnare, il metodo».
Il didaskálion era anche la «lezione» o la «scuola». Perciò il
didáskalos era il «maestro, precettore», termine che era strettamente legato
alla scuola o all’istruttore (p.es. del coro). Sebbene il linguaggio del NT è
greco, i termini rispecchiano spesso un uso mutuato spesso dall'ebraico; infatti
già nell'AT c'era una differenza fra la proclamazione dei profeti e l'istruzione
della sapienza. Non è un caso che in molti brani, in cui le nostre Bibbie
riportano nell'AT «insegnamento,
ammaestramento», l'ebraico ha mûsār «disciplina» e tôrāh
«istruzione», la stessa parola usata per la Legge mosaica. [Per
l’approfondimento cfr. nel
Manuale Teologico dell’Antico Testamento gli articoli: «Ammaestramento», p. 84; «Disciplina», pp. 144s; «Insegnamento,
istruzione», pp. 187s; «Istruire», pp. 197s; «Istruzione», pp. 198s]
2.2. ALCUNE DEDUZIONI: Già quest’analisi linguistica evidenzia
molte e profonde differenze tra i due termini.
■ Profetare: Si intendeva un generico «parlare pubblicamente», quindi
«annunciare, proclamare». Era quindi un’attività estemporanea legata alla
situazione concreta. Un «profetare» in privato sarebbe stato, già dal punto di vista terminologico, una contraddizione in se
stessa, trattandosi dell’annuncio pubblico di un messaggio. [Per l’approfondimento cfr. nel
Manuale Teologico dell’Antico Testamento gli articoli: «Profeta (ambito ministeriale)», pp. 289ss; «Profeti legittimi
(caratteristiche)», p. 283]
■ Insegnare: Era l’attività del maestro che, all’interno della sua
scuola, istruiva i suoi allievi, passo per passo e secondo una metodologia
specifica, col fine di portarli a diventare persone istruite e competenti, atte
poi a insegnare agli altri. Si trattava quindi di una disciplina specialistica
che premetteva una competenza e un’autorità, quindi un riconoscimento e
un’abilitazione.
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3.
TRATTAZIONE TEOLOGICA
3.1. PROMESSA DEL NUOVO PATTO: Nell’AT si parla nominalmente di
profetesse come Maria, sorella di Mosè, di Debora e di Hulda. Dio annunciando
gli eventi che avrebbero accompagnato l’avvento dello Spirito su ogni carne
in Israele in concomitanza con il nuovo patto, annunziò mediante Gioele che
«i vostri figli e le vostre figlie
profeteranno» (Gle 2,28). Questo fatto venne ripreso da Pietro a Pentecoste
che vide in ciò l’adempimento (At 2,17) e, citando la Settanta, aggiunse: «E
anche sui miei servi e sulle mie serventi,
in quei giorni, spanderò del mio Spirito, e profeteranno» (v. 17).
Anche nel nuovo patto troviamo donne che profetavano, ad esempio le figlie di
Filippo: «Ora egli aveva quattro figlie
non maritate, le quali profetavano» (At 21,9). Ricordiamo ancora una volta
che questo verbo non significava «dire in anticipo» (o predire) ma «dire
pubblicamente» (o proferire). I contenuti di tale dire li chiariremo sotto.
3.2. 1 CORINZI 11: Non intendo soffermarmi a lungo su questo
testo, poiché l’ho trattato lungamente in «
Generi e ruoli». In questo brano non si tratta di una
proibizione all’uomo sposato (anēr) o alla donna sposata (gynē) di
pregare o profetare, ma solo di una regolamentazione di questo esercizio
in pubblica assemblea. Che non si trattasse qui di una prassi devozionale
privata ma di un'attività pubblica, è mostrato proprio dal termine «profetare»
che significa, come già detto, «proferire, parlare pubblicamente».
■ Quando un
anēr prega e profetizza, deve farlo a capo scoperto.
■ Quando una
gynē prega e profetizza, deve farlo a capo coperto, segnalando
così pubblicamente la sua sottomissione al suo anēr.
Paolo concesse ad ambedue i generi il diritto di esercitare pubblicamente questo
diritto, ma con una condizione diversa per ambedue. Sarebbe pretestuoso ricavare
altro da ciò. Questo è un brano chiaro ed evidente. [Per l’approfondimento cfr.
Nicola Martella, «La donna in 1 Corinzi 11»,
Generi e
ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27.]
3.3. 1 CORINZI 14: Non intendo soffermarmi a lungo neppure su
questo testo, poiché l’ho trattato lungamente in «Generi
e ruoli». In questo brano l’apostolo proibì alla
gynē di praticare lalein en ekklēsía. Che cosa intendesse l’apostolo
con tale espressione, è oscuro e le interpretazioni sono varie: ▪ 1) chiacchierare (fra donne) durante la riunione;
▪ 2) parlare nel senso di insegnare (cfr. v. 35 esse devono imparare non insegnare en ekklēsía);
▪ 3) parlare in lingue (glossolalia; cfr. v. 27s);
▪ 4) interpretare il parlare profetico altrui (vv. 29-32), eccetera. Il contesto imminente di 1 Cor 14,34 suggerisce
che, sebbene la donna potesse «profetare», le era proibito di giudicare le
«profezie», trattandosi di insegnamento.
Poiché il brano di 1 Cor 14 è comunque oscuro, è una buona regola ermeneutica di
non dare troppo valore a un brano oscuro a discapito di un brano chiaro (1 Cor
11). Paolo non era schizofrenico, dando due istruzioni differenti e
contraddittorie nella stessa compagine testuale; una tale discrepanza avrebbe
minato la sua credibilità di apostolo e di insegnante, che era già molto
screditata da parte dei «superapostoli» giudaici, che avevano preso il potere
nella chiesa di Corinto (2 Cor 11). Avremo modo di approfondire questi aspetti
sotto.
Si noti che il termine «tacciasi» non è assoluto, ma relativo (ricorre nel v.
30: deve tacersi chi non è ispirato al momento, dando spazio a chi lo è).
Bisogna approfondire anche l’espressione particolare «(radunarsi) en ekklēsía»
(cfr. 1 Cor 11,18), tenendo presente che le comunità locali si riunivano
abitualmente in «chiese in casa» (cfr. Rm 16) e occasionalmente anche come
«assemblea generale» (en ekklēsía?) di tutte le «chiese in casa» presenti
in un certo luogo (cfr. Rm 16,23 tutta la chiesa). È probabile quindi che il
«tacciasi» si riferisca alla proibizione d’insegnare, ossia in assoluto in ogni
riunione di chiesa o almeno durante tali assemblee generali. [Per
l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «La donna in 1 Corinzi 14»,
Generi e
ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 28-41.]
3.4. LE SPECIFICHE DI PROFETARE E INSEGNARE: Profetare e insegnare
sono dissimili anche nelle specifiche dichiarate nel NT, nel procedimento, nel
tipo di linguaggio usato, nella qualità dei contenuti e nella metodica usata.
3.4.1. PROFETARE: È un intervento estemporaneo, sotto l’impulso spirituale,
che si «accende» alla sacra Scrittura esistente al momento, alle parole di un
altro credente o a una situazione particolare. Lo Spirito del Signore investe
una persona ed essa parla, senza averlo programmato prima (1 Sm 10,6.10.20; 1 Sm
19,23). Similmente avviene anche per la falsa profezia, ma qui la fonte è
un’altra (cfr. 2 Cr 18,21s; 1 Gv 4,1). In una certa situazione è scritto che «lo
spirito di Dio investì» una certa persona, che parlò ammonendo da parte di
Dio il popolo (cfr. 2 Cr 24,20) o incoraggiando qualcuno (1 Cr 12,18; 2 Cr
20,14ss).
L’obiettivo è l’edificazione, l’ammonizione, l’esortazione, l'incoraggiamento o
la consolazione (cfr. 1 Cor 14,3). Nehemia ricordò in preghiera che per molti
anni «li scongiurasti per mezzo del tuo spirito e per bocca dei tuoi profeti»
(Ne 9,30). Paolo, mettendo in contrasto il parlare in altre lingue con il
parlare profetico, asserì: «Chi profetizza, invece, parla agli uomini un
linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione… chi profetizza
edifica l’assemblea» (1 Cor 14,3s).
Essendo un parlare estemporaneo e sotto impulso spirituale, i contenuti non sono
assoluti né normativi. Anzi, poiché ogni impulso può essere positivo (Col 3,16
l’impulso della grazia) o negativo (Gcm 3,4s l’impulso della lingua paragonata
al timone della nave), ciò che il «profeta» asserisce, può e dev’essere
giudicato dal resto dell’assemblea: «Parlino due o tre profeti, e gli altri
giudichino» (1 Cor 14,29). Tutti, senza eccezione, possono profetare nella
comunità, uno dopo l’altro (1 Cor 14,31). [Per l'approfondimento si veda:
►
Profeti nel Nuovo Testamento; ►
Profeti del nuovo patto; ►
Profezia e profetare nel NT]
3.4.2. INSEGNARE: Al tempo del NT, l’insegnamento era legato all’autorità,
al carisma particolare, alla competenza e al riconoscimento di tale posizione
particolare. Quindi solo pochi potevano insegnare nell’assemblea. Essi erano
riconosciuto come insegnanti della Parola. Il giudaismo aveva i suoi «insegnanti
della legge», ossia i rabbini;
Gesù stesso era riconosciuto come un «insegnante venuto da Dio» (Gv 3,2).
Anche le chiese avevano in genere i loro profeti e insegnanti, oltre che
apostoli e altri ministeri (1 Cor 12,28s; Ef 4,11), ad esempio si parla di
profeti e insegnanti dell’assemblea di Antiochia (At 13,1). Paolo era conscio
d’essere «insegnante dei Gentili» (1 Tm 2,7) e «banditore e apostolo e
insegnante» (2 Tm 2,11).
Insegnare è un intervento misurato e continuato, che implica una meta specifica,
ossia la maturazione del discepolo e il suo addestramento continuato nella
dottrina e nella prassi di vita (cfr. Eb 6,1s). L’obiettivo è la completa
formazione, la piena crescita del discepolo e l’addestramento di coloro che
proseguiranno il ministero d’insegnamento locale o sopralocale. Un elemento
importante è la correzione dei dissidenti e la difesa del deposito della fede
(apologetica).
Il ministero autorevole d’insegnamento era visto strettamente legato alla figura
e al ministero del conduttore. Egli dev’essere «capace d’insegnare»
(1 Tm 3,2).
Esso era legato a un chiaro esercizio di autorità. Paolo ingiunse a
Timoteo: «Ordina queste cose e insegnale» (1 Tm 4,11). Il ministero
d’insegnamento era legato anche al dovere di sorvegliare e verificare i
contenuti dell’insegnamento stesso, quindi a una grande responsabilità (1 Tm
4,16) che si estendeva anche al modo come ciò doveva essere esplicato nella
pratica (Tt 2,7s).
Il fine dell’insegnante è addestrare «uomini fedeli, i quali siano
capaci d’insegnarle anche ad altri» (2 Tm 2,2). Ossia formare persone che
tengano dietro al loro maestro in tutti gli aspetti della vita, nella teoria e
nella pratica, nella dottrina e nell’etica (2 Tm 3,10s).
Tra i doveri dell’insegnante ricorrevano i seguenti: «Insegna queste cose ed
esorta e riprendi con ogni autorità. Nessuno ti disprezzi» (Tt 2,15).
Una delle metodiche dell’insegnante è quella di correggere in modo
confacente: «Ora il servitore del Signore non deve contendere, ma dev’essere
mite inverso tutti, atto a insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli
che contraddicono…» (2 Tm 2,24s). L’insegnamento della Parola era visto
connesso agli atti di riprendere, correggere ed educare alla giustizia per
rendere l’uomo di Dio maturo nella dottrina e nel comportamento (2 Tm 3,16s).
Non a caso il conduttore doveva essere, tra altre cose, «attaccato alla
fedele Parola quale gli è stata insegnata, affinché sia capace d’esortare nella
sana dottrina e di convincere i contraddittori» (Tt 1,9).
Nelle chiese del primo secolo per le donne non era previsto un ministero
pubblico d’insegnamento, ma neppure per gli uomini in genere, essendo esso relegato
esclusivamente al ministero dei conduttori della chiesa locale che possedevano
le chiare qualità morali e tecniche previste. [Per l’approfondimento cfr. Nicola
Martella, «Ministeri preclusi alle donne»,
Generi e
ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 83-102.]
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4.
ASPETTI CONCLUSIVI
4.1. PREDICARE NON È INSEGNARE: Predicare è annunziare
qualcosa, ossia proclamare l’Evangelo. Insegnare ha a che fare con la
dottrina e la morale cristiana. Certamente la stessa persona può fare l’uno e
l’altro o solo uno dei due (1 Tm 5,17), cioè sia predicare la Parola (=
evangelizzare), sia istruire (2 Tm 4,2). Anche l’insegnante può esortare (1 Tm
6,2).
Il verbo per «predicare» è qui
keryssein «bandire, gridare, fare l’araldo, proclamare, annunziare, far
conoscere». Era quindi un sinonimo di epanghéllestai «annunziare». Il
primo a «predicare» nel NT fu Giovanni Battista, quando annunziava
l’avvento del regno (Mt 3,1). Questa è una funzione e un ministero che si adatta
all’evangelizzazione e alla predicazione pubblica dell’Evangelo, così
come hanno fatto poi Gesù (Mt 4,17), i discepoli (Mt 10,7; Mc 3,15), gli
apostoli, Paolo e tanti altri. Si noti che Gesù insegnava tra altre cose nelle
sinagoghe dei Giudei e predicava l’Evangelo del regno (Mt 4,23; 9,35; 11,1). I
discepoli dovevano predicare sui tetti (quindi fuori) non dai pulpiti (Mt
10,27). Viene menzionato Giona in Ninive (Mt 12,41), così pure Noè (2 Pt 2,5).
La predicazione dell’Evangelo del regno per tutto il mondo è messa in
connessione con la
testimonianza che bisogna rendere ai Giudei (At 10,42; 18,5) e a tutte le
genti (Mt 24,14). Può essere connesso anche col racconto di specifici fatti (Mc
14,9). Il contenuto della predicazione è «questo Evangelo» (Mt 26,13). Il
fine è il ravvedimento (Mc 6,12; Lc 3,3; 11,32; At 13,24), la conversione
(At 14,15) e la remissione dei peccati (Lc 24,47).
Stando così le cose non è da confondere con l’insegnamento autorevole verso i
discepoli. Ciò che noi oggi chiamiamo «predicazione», non corrisponde
quindi a ciò che era inteso e praticato nella chiesa apostolica. Allora la
«predicazione» era proclamazione verso fuori e corrispondeva
all’evangelizzazione; oggigiorno s’intende (spesso ahimè) ogni attività prodotta
dal pulpito e indirizzata verso i discepoli.
Predicare (keryssein) significava proclamare specialmente
l’Evangelo,
l’avvento del regno di Dio
e del Messia (Mc 1,7; cfr. Lc 4,19) e Gesù, in quanto «Cristo», quale contenuto
dell’Evangelo,
e cioè da per tutto (Mc 16,20), fra Giudei e Gentili (Gal 2,2; 1 Tm 3,16). Tutto
era riassunto nell’«Evangelo di Cristo» (Rm 15,19s), nell’Evangelo quale
«predicazione di Gesù Cristo»,
nella «parola della fede che noi predichiamo» (Rm 10,8) o nella «predicazione
della fede» (Gal 1,23; 3,2.5). Ciò era un’attività pubblica rivolta dai
discepoli al resto del mondo (l’insegnamento era rivolto invece ai
discepoli). Predicare Cristo o annunziare Cristo era la stessa cosa (Fil
1,15.17).
Può una donna «predicare»? Se si intende erroneamente «insegnare»
pubblicamente ai discepoli, allora no. Se si intende «annunciare» (epangéllestai),
e cioè l’Evangelo verso fuori, allora sì. Gesù ingiunse alle donne presso il
sepolcro di andare ad annunziare i fatti ai discepoli (Mt 28,8.10 miei fratelli;
Gv 20,18). I verbi «annunziare» (epangéllestai) e «predicare» (keryssein)
sono sinonimi e ricorrono anche insieme.
Predicare l’Evangelo (cfr. Mt 4,23; Rm 15,19s) o la Parola
è la stessa cosa che annunciare l’Evangelo
o la Parola.
Il modo come una «discepola» annuncia o predica l'Evangelo a quelli di fuori è
differente da come lo fa un uomo. Tabita lo faceva mediante abbondanti buone
opere e atti di misericordia (At 9,36.39).
Probabilmente Priscilla era una donna con più
grinta e loquacità — visto che, dove lei e Aquila andavano, erano attivi
nell’opera e ospitavano una «chiesa in casa» (Rm 16,3ss; 1 Cor 16,19). [à
sotto]
4.2. PROFETARE NON È INSEGNARE: Quanto abbiamo visto, mostra che
spostando di significato le parole, si aumenta la confusione da parte di chi usa
i termini in modo arbitrario e scorretto. Ciò avviene non solo da parte di chi
intende che «profetare» significhi «predire», ma lo fa anche chi intende che
«predicare» significhi «insegnare». Neppure «profetare» e «predicare» si
corrispondevano, poiché il primo era esplicato fra i discepoli
(edificazione), il secondo
dai discepoli (evangelizzazione, annuncio dell’Evangelo).
Se profetare significasse insegnare, Paolo avrebbe contraddetto se stesso e
avrebbe portato una grave contraddizione nella Parola di Dio. Mentre era
l’insegnante a giudicare, riprendere e correggere i dissidenti, come abbiamo
visto, il profeta era soggetto nel suo dire al giudizio degli altri (1 Cor
14,29); questo era così già nell’AT, talché era possibile distinguere un profeta
legittimo da uno falso.
Nel giudaismo e nella chiesa il discepolo aveva da usare silenzio dinanzi al
maestro, accettando la sua autorità, poiché non gli era dato di farla da maestro
sul proprio insegnante. Mentre Paolo permise alla donna (e all’uomo) di pregare
e profetare pubblicamente (1 Cor 11), non le permise di farla da maestra sopra
il marito en ekklēsía (1 Cor 14,34s). Perciò scrisse: «Infatti non
permetto alla gynē [donna sposata, moglie] d’insegnare, né d’usare autorità
sull’anēr [uomo sposato, marito], ma stia in silenzio» (1 Tm 2,12);
quest’ultimo brano getta luce sul precedente. Il tacere e il silenzio era
previsto quindi riguardo all’esercizio d’autorità legato all’insegnamento
pubblico, non a quello di pregare e profetare en ekklēsía.
In questi brani si trattava dell’insegnamento pubblico. Per l’insegnamento
privato
dei discepoli la norma era differente. La più anziana poteva insegnare alla più
giovane (Tt 2,3ss). In coppia si poteva insegnare privatamente anche agli
uomini. Quando vengono menzionati Priscilla e Aquila, in genere ella viene
menzionata prima, poiché era probabilmente la forza trainante all’interno di
quella coppia. Sebbene Apollo fosse «uomo eloquente e potente nelle Scritture»,
fosse «stato ammaestrato nella via del Signore» e, «fervente di
spirito», parlasse e insegnasse accuratamente e con grande franchezza,
Priscilla e Aquila si accorsero che lui aveva una dottrina limitata (At
18,24ss). Perciò si legge che «Priscilla
e Aquila, uditolo, lo presero con sé e gli esposero più appieno
la via di Dio» (v. 26); si notino i verbi al plurale e la posizione di
Priscilla prima di Aquila. Questo insegnamento privato di coppia rese Apollo un
uomo capace al punto che egli «con gran vigore confutava pubblicamente i
Giudei, dimostrando per le Scritture che Gesù è il Cristo» (v. 28).
►
Il ruolo della donna nel culto? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Profetare_insegnare_UnV.htm
11-07-2007; Aggiornamento: 03-04-2015
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