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IL RUOLO DELLA DONNA NEL CULTO? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Profetare significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto». Abbiamo visto che alcuni cristiani, partendo da 1 Corinzi 14,34 («…tacciansi le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare…»), non permettono alle donne nessuna attività pubblica nelle comunità (p.es. pregare, testimoniare, esortare, ecc.), rimuovendo così praticamente le chiare asserzioni di 1 Corinzi 11,4s, che letteralmente recita: «Ogni uomo che prega o proclama e ha [qualcosa] sul capo, disonora il suo capo. Ogni donna però che prega o proclama a capo scoperto, disonora il suo capo; infatti lei è la stessa cosa come la rasata» (cfr. v. 13).

     Altri cristiani, invece, aprono porte e portoni all’attività ecclesiale delle donne, permettendo loro di fare pressoché tutto ciò che fanno gli uomini: condurre chiese, insegnare pubblicamente e quant’altro, senza farsi scrupolo di ciò che asserisce la Parola di Dio oppure leggendola alla luce del della loro prassi ecclesiale o dell’ideologia femminista.

     Come arrivare a una pratica biblica rispettosa della sacra Scrittura, che non vada di là da ciò che è scritto, in un modo o nell'altro, ma tagli rettamente la Parola della verità?

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Irene Bitassi

2. Nicola Martella

3. Gianni Siena

4. Antonio Capasso

5. Nicola Martella

6. Massimiliano Monti

7. Nicola Martella

8.

9.

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Irene Bitassi}

 

Ho letto l’articolo e ti volevo chiedere un’opinione su un’interpretazione di 1 Corinzi 14,34-35 che ho letto tempo fa (sinceramente non mi ricordo dove). In quest’interpretazione, si diceva che il «non è loro permesso di parlare» è da intendersi «non blaterare, non parlare di cose futili». Infatti, si sosteneva che in sinagoga spesso il culto era considerato una cosa «per uomini» e finiva che le donne, messe da parte, finissero per chiacchiere tutto il tempo del più e del meno. Non ho conoscenze per sapere se ciò sia vero. Perciò, i versetti andrebbero intesi così:

     «Tacciano le vostre donne nelle chiese [perché devono ascoltare: è importante anche per loro!], perché non è loro permesso di parlare [di chiacchierare di cose inutili], ma devono essere sottomesse, come dice anche la legge. E se vogliono imparare qualche cosa [se quello che viene detto sembra troppo difficile e hanno bisogno di ragguagli per seguire], interroghino i propri mariti a casa, perché è vergognoso per le donne parlare in chiesa [distrarsi con chiacchiere poco importanti, ma anche disturbare per chiedere continuamente spiegazioni]».

     Magari la seconda parte può sembrare una svalutazione dell’intelligenza della donna, però a ben guardare è realistica, perché in poche società alle donne viene dato lo stesso grado d’istruzione degli uomini (come succede invece nella nostra) e quindi alcune potrebbero avere delle difficoltà oggettive a seguire un discorso complesso. E ancora di più succedeva nel passato.

     Questa interpretazione s’armonizzerebbe bene con quanto espresso in 1 Corinzi 11, togliendo ogni apparente contraddizione. Richiamerebbe all’ordine nel culto (argomento che sta trattando Paolo nel contesto) e sarebbe coerente con l’opera di Gesù, che ha fatto discepolato vero e proprio verso le donne (non limitandosi alla sola conversione). In sostanza, sarebbe un modo per riprendere delle discepole che facevano confusione durante la lezione!

     Però, non conoscendo la lingua greca, non so se i verbi utilizzati in originale, effettivamente possano autorizzare questa lettura. Cosa ne pensi? {12 gennaio 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

È sempre una buona notizia, quando qualcuno scrive: «Ho letto l’articolo»; infatti alcuni lettori scrivono subito dopo aver visto il solo titolo dell’«invito alla lettura» o dopo aver letto solo quest’ultimo, che ha solo un carattere introduttivo. Ciò che mi arriva poi, in tali casi, è spesso del tutto fuori tema: alcuni poi mi chiedono cose, a cui ho già risposto nell’articolo… se solo l’avessero letto.

     Per capire 1 Corinzi 11 e 14, bisogna immedesimarsi nel modo che si svolgevano le regolari riunioni nelle «chiese in casa» o nelle più rare assemblee solenni di tutta la compagine ecclesiale di una città o di una zona. Si trattava di incontri partecipati (come accade oggigiorno nelle cellule bibliche), in cui tutti potevano partecipare in corrispondenza dei loro carismi e della loro maturità nella fede. A quel tempo c’era l’AT e qualche Evangelo, a cui a mano a mano si aggiunsero le epistole degli apostoli. Dopo la lettura dell’AT, si cercava di trarre dai testi i principi che si accordavano con la novità del nuovo patto, ossia con l’Evangelo, in particolar modo con la cristologia (dottrina di Cristo) e la cristianologia (dottrina dell’etica cristiana). Questo parlare in modo edificatorio, esortativo e consolatorio sulla base delle letture bibliche, era chiamato allora «profezia», ossia «proclamazione ispirata ed estemporanea». Tutti potevano partecipare all’evento edificatorio, ma non dovevano parlare a vanvera (vv. 30s) e dovevano accettare il giudizio degli altri (vv. 29.32). Lo schema era quindi quello di «tutti dinanzi a tutti» e non quello odierno di «uno dinanzi a tutti». Noi a Tivoli (come già nel passato nella chiesa fondata a Roma) cerchiamo di realizzare tale realtà in qualche modo; chi si prepara, espone sì il testo biblico, ma guidando la discussione e gli interventi degli altri. Ciò necessita anche di un certo decoro e ordine, affinché le cose non degenerino; ma è l’occasione di una grande crescita collettiva.

     Tutto ciò è importante per capire quanto segue. Questa prima tesi, presentata sopra dalla lettrice, è in effetti una delle tre possibilità che si dà al verbo greco lalein nel testo. La seconda riguarderebbe il parlare in altre lingue; si fa notare che mai nel NT una donna sia stata nominata esplicitamente con nome come soggetto che parlò in altra lingua (contrariamente invece a donne che profetavano; At 21,9). La terza intenderebbe il fatto che alla donna è permesso di «profetare» (= proclamare in modo ispirato per edificare, esortare e consolare; 1 Cor 11; 14,3), ma non di giudicare le «profezie» (proclamazione ispirata), essendo questo un atto tipico di chi insegna.

     Il contesto immediato di 1 Corinzi 14,34-35 è rappresentato dai versi precedenti (vv. 29-33.36s), i quali parlano espressamente di «profezia» (proclamazione ispirata) e «profeti» (proclamatori ispirati). La terza possibilità mi sembra quella più opportuna e si accorderebbe con le altre istruzioni dell’apostolo, secondo cui la donna non deve insegnare nell’assemblea solenne. Bisogna ammettere che «l’ambito vitale» di tale brano è piuttosto oscuro, avendo risposte a domande che ci sfuggono.

     Sta comunque di fatto che 1 Corinzi 11 è un brano chiaro per uomini e donne; esso non sta in contraddizione con 1 Corinzi 14. Il primo brano afferma che uomini e donne possono pregare e «profetare» (proclamare in modo ispirato ed estemporaneo) a certe condizioni. Il secondo brano, pur lasciando la stessa libertà, regolamenta l’uso pratico di tale «attività proclamatoria ispirata» all’interno dell’assemblea solenne (1 Cor 14,29-32), assoggettandola al giudizio altrui; in quest’ultima attività sembra che Paolo limitasse il giudizio pubblico da parte delle donne (non l’attività proclamatoria ispirata), trattandosi di un esercizio di autorità e d’insegnamento che espone i soggetti e li coinvolge in confronti non adatti alla loro costituzione psichica. I versi 32-33 lasciano immaginare che le discussioni potevano essere accese e animate e che qualcuno poteva passare il limite del decoro e dell’ordine (v. 39). Inoltre nel testo il «tacciansi» non era assoluto e non riguarda solo le donne (v. 34), ma nell’attività «profetica» poteva riguardare qualunque persona «non ispirata» che blaterava soltanto parole (v. 30).

 

 

3. {Gianni Siena}

 

Contributo: Mia madre era stupita (morì a 85 anni nel 1995) dal fatto che nell’assemblea s’impediva a una sorella persino d’alzare una preghiera (con il pretestuoso «divieto» alla donna di parlare). Udii qualche volta donne chiamare dei cantici ma nient’altro. Mentre nella chiesa primitiva le donne erano molto più partecipi alla vita comunitaria (ed, eccetto «Corinto», se non erano sottomesse allora...); personalmente non sono affatto scandalizzato dalla partecipazione alla preghiera o alle testimonianze (sorelle reduci da visite a infermi riferiscono notizie fresche). Io trovo normale che le sorelle abbiano qualche possibilità in più di partecipazione, ma occorre limitare un po’ la mania di protagonismo d’alcune di loro. Per ottenere ciò occorre fare un buon lavoro d’auto-responsabilizzazione, cosa non molto facile... Inoltre il problema riguarda anche i «maschietti»!

     Credo che sarebbe buona cosa rivedere l’ordine del culto alla luce di quel che veramente dice la Scrittura in merito. Circa il velo, non ho una mia opinione precisa, se da un lato è giusto avere un contegno sobrio e ordinato, trovo ingiustificato per la donna l’imposizione relativa. Esso aveva senso al tempo dell’apostolo, ma oggi quasi nessuna donna lo usa più, ho sempre pensato che quest’uso fosse legato alla necessità di distinguere la donna sposata dalla nubile, o dalla vedova.

     In una chiesa avvenne un fatto comico, un credente forestiere s’avvicinò a una giovane e le disse: «Sorella, il Signore, in risposta alle mie preghiere, m’ha mostrato riguardo a te come futura moglie, quanto segue:…». La ragazza rispose: «Beh, ripassa fra un paio d’anni!». Chiese: «Perché?». Lei continuò dicendo: «Se ciò che tu dici è vero, dovrei prima separarmi e divorziare da mio marito». Infatti, l’apostolo precisa che il velo è un «segno» che mostra all’estraneo la posizione sociale della donna... mi pare che non vi sia altro da dire. {12 gennaio 2009}

 

Nicola Martella: Non entro in merito al velarsi della donna, essendo un altro tema, sebbene connesso, ma esso ci porterebbe fuori tema rispetto a quello del ruolo della donna nel culto. Anche per non ripetermi, rimando al riguardo all’articolo «Volere velare per pregare?».

 

 

4. {Antonio Capasso}

 

Nota editoriale: Il lettore mi aveva mandato contributi, concentrandosi su uno dei suoi temi particolari, quello dei doni carismatici. Anche in questo ci ritorna su. La mia esortazione a lui e agli altri è che ci atteniamo al tema principale dell'articolo in questione.

 

Contributo: Caro fratello Nicola, pace. Come consigliatomi da te, m’attengo al tuo articolo, anche se esso introduce altre questioni che ci porterebbero lontani dal tema. L’articolo lo trovo ottimo, equilibrato ed esaustivo per quanto riguarda l’annosa questione del parlare della donna in chiesa.

     Solo vorrei capire alcune cose che non mi sono chiare. Solo le donne sposate non possono insegnare? Cosi mi sembra di capire dalla traduzione che fai di 1 Tim 2,12. La profezia è un dono carismatico che deve essere preceduto dalla lettura della Bibbia? Se il dono di profezia è ancora attuale lo è anche quello delle lingue? Perché ambedue si trovano nel catalogo carismatico di 1 Cor 12,1-11. Dio ti benedica. {12 gennaio 2009}

 

 

5. {Nicola Martella}

 

Rispondo al contributo precedente. Quello che valeva per la donna sposata, valeva ancor più per la nubile; quest’ultima aveva un rapporto di dipendenza rispetto al padre, mentre la prima rispetto al marito. 1 Corinzi 11 e 14 parla in particolar modo del rapporto tra l’uomo e la donna sposata (cfr. 1 Cor 14,35s); lo stesso dicasi di 1 Tim 2,12. La questione riguardava il fatto che le donne vedevano nel matrimonio una specie di emancipazione sociale e pensavano di far valere ciò anche nel seno della chiesa. Tanto più che in famiglia erano le istruttrici dei figli. Ciò che Paolo disse sulle donne sposate, valeva tanto più per la nubile, che era considerata una «ragazza» fino al matrimonio e non veniva neppure chiamata «donna» (ghynè), aveva uno stato sociale inferiore della sposata e mai si sarebbe permessa di farla da insegnante nella comunità. Altra cosa è la vedova, a cui veniva riconosciuto uno status di insegnante delle donne più giovani; ma qui stiamo nel campo privato e non pubblico.

     Altra cosa era il campo delle relazioni sociali. Tutti potevano evangelizzare il loro prossimo, certo all’interno dei limiti imposti dalla cultura. Come detto, privatamente una coppia poteva istruire nel discepolato sia uomini che donne (cfr. Priscilla e Aquila). Il campo pubblico della comunità era altra cosa.

     Quanto al termine «profezia», il grande problema è che questo termine non è stato tradotto dal greco in italiano, ma semplicemente italianizzato, creando così molti equivoci. Nel mondo greco, in cui Paolo scrisse, il «profeta» non era chi riceveva la rivelazione, ma chi la interpretava e la proclamava. Come ho ribadito mille volte, la «profezia» ecclesiale era la proclamazione ispirata, basata sulla lettura comune e applicativa dell’AT col fine di edificare, esortare e consolare (1 Cor 14,3). Non aveva primariamente nulla a che fare con «predizioni». Questo però ci porterebbe ora fuori tema. [► Profezia e profetare nel NT]

     Anche parlare qui di glossolalia ci porterebbe fuori tema. Faccio solo qualche accenno, pregando Antonio e gli altri di non ritornare qui su di esso. Perciò rimando a: Nicola Martella, «Glossolalia allo specchio», Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), pp. 69-83. Si veda anche l’articolo «Glossolalia e demonizzazione?». Si tenga inoltre presente che 1 Cor 12,1-11 (catalogo delle funzioni ministeriali) è inserito in una lettera destinata a una sola comunità con problemi «carismatici» particolari, introdotti dai «superapostoli» gnostici d’origine giudaica (2 Cor 11). Nel catalogo dei ministeri della cosiddetta lettera agli Efesi (in effetti era una lettera circolare a tutte le chiese!), i cosiddetti «doni carismatici» particolari non ci sono. Si noti anche che in 1 Cor 12 la glossolalia è all’ultimo posto, e non si capisce come possa essere diventata una cosa così importante e addirittura necessaria in alcuni ambienti; tanto più che Paolo la screditò a lungo rispetto alla «profezia» (proclamazione ispirata). La glossolalia era allora il parlare lingue reali, esistenti ed articolate, che si potevano tradurre, se si conoscevano; oggigiorno la maggior parte delle persone parlano «lingue psichiche» (una specie di «mantra»), che nulla hanno a che fare con la glossolalia d’allora. Ora, continuare, ci porterebbe fuori tema, sebbene sappia che questo è uno dei temi che affascinano Antonio.

 

 

6. {Massimiliano Monti}

 

Nota editoriale: Quello della profezia è un tema che sta molto a cuore di Massimiliano, con cui l’abbiamo già dibattuto. È comprensibile che, quindi, appena ha visto nel titolo «Profetare significa insegnare?», sia intervenuto in merito, senza badare che il sottotitolo delimitativo recita «Il ruolo della donna nel culto», che è il tema principale. Gli ho fatto presente ciò e ho aggiunto alla mia risposta quanto segue: L’articolo vuole contrastare quei credenti che proibiscono alle donne di pregare nelle chiese. Io rispondo alle loro obiezioni. L’articolo non vuole quindi affrontare il profetare e la profezia (= proclamazione ispirata) in sé; ne abbiamo parlato in altre discussioni.

 

Contributo: Ciao Nicola, ti chiedo scusa se ho risposto alla tua e-mail con oggetto profetare significa insegnare, infatti il mio testo, non riguardava quell’articolo, ma riguardava il tema della profezia, ho usato la e-mail che mi è arrivata con quell’oggetto perché non ti ho potuto rispondere da casa, ma dall’ufficio e quindi non ho provveduto a correggere l’oggetto. Questo mio precedente scritto va, infatti, in un altro contesto.

     Per proseguire invece sul tema della donna, io ti posso dire che da noi la donna non solo in chiesa prega, ma anche, e questo grazie al Signore nostro, predica la parola, porta gli studi biblici e credimi sono d’edificazione, questo almeno da noi, in altri ambiti non so. Ma sono persuaso che se davvero noi siamo tutti sullo stesso piano dal punto di vista della salvezza, e riceviamo entrambi il battesimo nello Spirito Santo come insegna la Scrittura, e Dio lo dà sia a noi che a loro, non vedo il motivo del perché una donna non debba pregare, ne tanto meno portare uno studio o una predicazione, se Dio le ha donato lo stesso Spirito che ha donato agli uomini credo che per il medesimo Spirito la donna possa anche predicare, profetizzare, insegnare, esortare, consolare e perché no anche riprendere. {13 gennaio 2009}

 

 

7. {Nicola Martella}

 

Massimiliano parte dallo status quo della sua comunità e ringrazia il Signore per tale prassi, in cui la donna insegna pubblicamente dal pulpito; indica anche gli effetti, ossia che sono d’edificazione. Mi ha meravigliato però che non faccia nessuno sforzo per preoccuparsi se tale prassi sia conforme alla Scrittura, quindi voluta e benedetta da Dio. Mi sembra che con tale atteggiamento potremmo accreditare tutto ciò che facciamo, in bene o in male. Facendo un po’ di autocritica, constato che, così facendo, alla Parola scritta affianchiamo una «parola orale», come altre denominazioni, con il quale meccanismo legittimano le loro tradizioni. Così come i Farisei e come le denominazioni storiche (cattolici, ortodossi, ecc.) finiamo per annullare la sacra Scrittura con le nostre tradizioni, come denunciò Gesù stesso (Mt 15,6; Mc 7,9.13). La Bibbia ci ingiunge di non andare oltre a ciò che è scritto (1 Cor 4,6) e di tagliare «rettamente la Parola della verità», per evitare confusioni e per essere approvati da Dio (2 Tm 2,15).

     Essere «tutti sullo stesso piano dal punto di vista della salvezza» (Gal 3,28; Col 3,11) non significa esserlo sul piano ministeriale, altrimenti avremmo un altro quadro storico e ministeriale: Gesù avrebbe chiamato i sei apostoli maschi e le sei apostolesse donne (Mt 10,2); la chiesa di Gerusalemme avrebbe chiamato magari quattro collaboratori maschi e tre donne per coadiuvare gli apostoli (At 6); Paolo avrebbe dato le istruzioni per conduttori (episcopi, presbiteri) maschi e femmine (1 Tm 3; Tt 1). Paolo stesso non avrebbe mai pronunciato allora parole del genere: «La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio» (1 Tm 2,11s). E così via. Per l’approfondimento rimando in Generi e ruoli 2 agli articoli: «La donna che serve», pp. 67-78; «Ministeri preclusi alle donne», pp. 83-102.

     Una nota al margine, visto che ne parla il lettore. Il cosiddetto «battesimo nello Spirito Santo» è la rigenerazione mediante lo Spirito di Dio, che immerge il credente nel corpo del Signore; ciò è mostrato dall’unico brano, in cui ricorre nelle nostre Bibbie e che dev’essere correttamente tradotto così: «Infatti noi tutti siamo stati immersi mediante un unico Spirito dentro un unico corpo, e Giudei e Greci, e schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un unico Spirito» (1 Cor 12,13). Per gli approfondimenti si veda l'articolo «Il battesimo dello spirito» nel mio libro Carismosofia, pp. 35-41. Questo aspetto però non è oggetto dell’attuale discussione.

     Penso che Massimiliano non dovrebbe partire da ciò che nella sua chiesa credano lui e gli altri, ma dovrebbe investigare maggiormente le Scritture, tagliandole rettamente mediante un’esegesi contestuale, per accertare ciò che le chiese primordiali faceva veramente e ciò che insegnavano effettivamente gli apostoli. Altrimenti apriamo porte e portoni all’arbitrio soggettivo e di gruppo e tendiamo a «biblicizzare» le nostre convenzioni, invece di accertare il consiglio di Dio. Aggiungere e togliere porta sempre malanni alle chiese, oltre ad attirare il giudizio divino (Ap 22,18s) che porta a togliere il «candelabro» nelle chiese che non si ravvedono (Ap 2,5).

    Il rischio delle chiese, liberali o conservatrici che siano, è il seguente: «Verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d’udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno ai miti» (2 Tm 4,3s). Uno di tali «miti» moderni sono il femminismo e la corrispondente cosiddetta «teologia femminista», che sta permeando le chiese. Allora come oggi vale la stessa raccomandazione apostolica riguardo alla «sana dottrina», per contrastare lo stile di vita e di fede basato sul «prurito d'udire» e sugli «insegnanti secondo le proprie voglie»: «Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo» (v.2).

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Ruolo_donna_culto_GeR.htm

13-01-2009; Aggiornamento: 03-04-2015

 

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