Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Sesso & affini

Sessualità e contestiSesso & affini 1: Qui è trattata la sessualità nella società e nella Bibbia. Ecco le parti principali:
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VELO FRA ASSOLUTISMO E BANALIZZAZIONE?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Per l’articolo «Velo fra assolutismo e banalizzazione» sembrava che non ci fosse ragione per aprire un tema di discussione, ma l’arrivo di un contributo critico, mi ha indotto a farlo. Passiamo quindi subito al merito della questione.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Antonio Capasso

2. Nicola Martella

3. Antonio Capasso

4. Nicola Martella

5. Antonio Capasso

6. Nicola Martella

7. Sara Iadaresta E.

8. Gianni Siena

9. Nicola Martella

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Antonio Capasso}

 

Caro fratello Nicola, pace! Ho letto il tuo articolo sul velo e vorrei farti partecipe alcune mie riflessioni sulla questione. Innanzitutto premetto che sono favorevole a che le donne portino il velo in chiesa. Aggiungo che non faccio della questione «velo» un motivo di rottura o di separazione nei confronti di chi non la pensa così. Detto, questo voglio sottoporti alcune questioni.

     ■ 1. Nel tuo articolo tu parli che il testo si riferisce alle mogli e non a tutte le donne. La questione che solo le donne sposate debbano portare il velo è molto antica, visto che già Tertulliano lo affrontò nel 2° secolo, affermando che l’ingiunzione del velo era per tutte le donne e non solo per quelle sposate.

     ■ 2. Se solo le donne sposate devono portare il velo, allora gli uomini non sposati possono portare il capo coperto nella presenza di Dio?

     ■ 3. Se il testo si riferisce alle mogli e ai mariti, Cristo è capo dell’uomo solo se è sposato?

     ■ 4. Il termine greco può essere tradotto sia mogli che donna, domando a te che sei un esegeta, quali sono i parametri per decidere come si debba tradurre il termine? (questo vale anche per la questione «interpretazione» o «traduzione» ricordi?), e perché tutte le traduzioni hanno donna e non moglie? Forse è il contesto che fa optare per un senso o per un altro? Faccio solo un’ipotesi non sono un esegeta.

     ■ 5. Come mai per duemila anni la chiesa ha sempre praticato questa disposizione di Paolo? Solo oggi si è capito che le cose non stavano così?

     ■ 6. Concludo con una considerazione, che non è mia, ma che mi ha detto un fratello. «Quando saremo nel cielo, Dio non ci rimprovererà, se abbiamo fatto di più di quello, che c’è richiesto, ma sicuramente saremo rimproverati, se abbiamo fatto meno di quello, che c’è richiesto».

     E allora? Non dovrebbe bastarci il solo sospetto di dispiacere al Signore, per mettere in pratica qualcosa che in fin dei conti non costa poi cosi tanto? Con affetto in Cristo. {14 luglio 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Avrei potuto rimandare il lettore per gli approfondimenti semplicemente a «Generi e ruoli», dove spiego molte cose su «1 Corinzi 11» e «1 Corinzi 14» [Nicola Martella, Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27. 28-41]. Mi sforzo però di dargli alcune risposte, che potrà approfondire ancora con la letteratura indicata. Seguo la sua numerazione.

 

     ■ 1. Tertulliano non può certo essere l’autorità in materia, essendo egli appartenente a un gruppo di frangia alquanto integralista (i Montanisti) e con idee alquanto singolari. [Per l’approfondimento sul montanismo si veda Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso. Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 42ss; cfr. anche p. 35 n. 3].

 

     ■ 2. Come si sa, i maschi entravano a far parte della qahal (assemblea) d’Israele a circa 12 anni con la cerimonia detta bar mitzvah; quindi a loro si applicavano, da lì in poi, le norme rituali per qualsiasi Ebreo. Paolo affermò inoltre che il capo velato dai capelli è, per natura, un onore per la «donna» (oltre che per la «femmina», quindi dalla nascita in poi). Paolo affrontò qui però solo il caso della ghyne «donna adulta, moglie» e dell’aner «uomo adulto, marito»; è meglio non uscire dal seminato.

 

     ■ 3. Nel testo si parla dell’economia prevista da Dio: Dio → Cristo → anerghyne. Ciò suggerisce che come Cristo è sottomesso al Padre, così la moglie lo è nei confronti del marito (così anche in Ef 5); per questo lei deve avere il capo velato durante le sue personali esternazioni ecclesiali (pregare e profetare). Il greco ha altri vocaboli per la donna non sposata (neanìa, nymfè...). Inoltre le questioni sono inerenti all’ordine nel culto, alla preghiera e alla «profezia» (parlare estemporaneo sulla base della Parola letta ai fini dell’edificazione) e a come esplicarli per aner e ghyne; altre questioni non sono toccate qui da Paolo. [► Profetare significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto]

     Lo spiedo si può anche facilmente girare. Se si intendesse qui qualsiasi «femmina» (dalla nascita in poi) e non una ghyne, pensa il lettore che una donna, sposata o non sposata, debba essere sottomessa a qualsiasi maschio (p.es. uomo nella chiesa)? Questa ne sarebbe la logica, ed è ciò che reclamava una persona di mia conoscenza, partendo da tale principio così interpretato. Gli risposi che mia moglie ha il solo obbligo morale di essere sottomessa a me e a nessun altro, sia nella società sia nella chiesa locale.

 

     ■ 4. Il problema è lo spettro di significati che ogni parola ha in una lingua rispetto a un’altra. Cose che posso dire io in italiano o in tedesco in modo semplice e diretto, non posso dirle allo stesso modo nell’altra lingua; così è anche per l’ebraico e il greco. Facendo un esempio calzante col nostro tema, faccio notare che in tedesco Frau è o una «donna matura o una moglie» e mai una ragazza (Fräulein, Mädchen, ecc.), meine Frau (mia donna) è «mia moglie»; in italiano non diremmo mai così. Anche l’ebraico (’iššah) e il greco (ghyne) hanno primariamente tale significato. [Cfr. in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Donna», p. 149; «Uomo (maschio adulto), pp. 374s; cfr. «Adulto – maturo virile (uomo ~), pp. 80ss.]

     Una iššah (ebr.) o una ghyne (gr.) era una donna da marito, una donna già fidanzata (apparteneva già al promesso sposo) o una sposata. Quando s’intende una giovane donna, come detto sopra, ci sono altri termini specifici. In Israele per ogni persona una «fanciulla vergine» era, fin dal fidanzamento, già la «donna del suo prossimo» (Dt 22,23s). Le «fanciulle vergini» in età di marito e condotte nell’harem del re erano «donne» (Est 2,3.8.12.17). Altrimenti si distingueva fra donne e fanciulle (Gr 51,22; Lm 5,11; Ez 9,6; 44,22; 1 Cor 7,34 la donna non maritata [= divorziata, vedova] e la vergine; 1 Tm 5,2). In connessione con «uomo / marito) (ebr. ’iš; gr. aner), ella era una donna sposata.

     Sebbene sia ridicolo, oggigiorno si sente dire di un quarantenne: «È un bravo ragazzo»; o fra quarantenni si dice: «Noi giovani». Ciò mostra come lo spettro semantico si modifichi nel tempo. Così noi usiamo «donna» con uno spettro semantico molto più vasto in italiano che in ebraico e in greco. Il problema di 1 Corinzi 11 è che ci sono con ghyne e aner anche allusioni ad Adamo e a Eva, rispettivamente il primo uomo e la prima donna. Inoltre nel modo di tradurre gioca un certo ruolo anche la convenzione; infatti i termini sono proprio gli stessi di Efesi 5. Una traduzione in tedesco di ambedue i brani non crea difficoltà, poiché c’è sempre Mann e Frau per «uomo / marito» e «donna / moglie». Il problema sta quindi nella nostra lingua e nella convenzione di tradurre certi brani così da Diodati in poi o probabilmente già dalla Vulgata in poi.

 

     ■ 5. Quella del velo generalizzato per ogni essere femminile è proprio una pratica di 2.000 anni? Non basta certo Tertulliano per dirlo, vista la sua appartenenza dottrinale singolare; la sua polemica mostra comunque che c’erano già allora altre posizioni. Tale livellamento c’è forse solo da quando la chiesa di Roma prese il sopravvento sugli altri patriarcati, divenne chiesa di Stato, una potenza dogmatica uniformante sotto un clero e una grande livellatrice di dottrine e costumi.

 

     ■ 6. È una bella frase quella citata. Rispondo però con una mia contro-massima: «Dobbiamo sforzarci di fare la cosa giusta, invece di voler essere più giusti di Dio». E questo specialmente se poi ciò coinvolge la metà del cristianesimo (le donne), che deve portare tale «croce» in tutti i culti e in tutte le stagioni dell’anno.

     È proprio così che non costa tanto portare il velo oggigiorno? È la tipica risposta del maschio, vero, che ne è esente? Inoltre, chi ci pensa alle sorelle che portano in velo per tutto il culto in testa, nubili o sposate che siano, mentre scivola di qua e di là, mentre il sudore d’estate cola loro dalla testa alla schiena in sale spesso afose? E magari in quella chiesa non le fanno nemmeno pregare. A ciò si aggiunga che il velo non fa più parte del normale abbigliamento della donna in occidente, che diventa così solo un accessorio cultuale; in altre culture esso viene messo al momento delle nozze (!) e viene sempre portato come segno di distinzione sociale della maritata.

     A parer mio, una sorella sposata deve avere tale segno di autorità in testa (se non si vuole intendere la lunga chioma come velatura), solo quando è lei stessa a pregare o «profetare»; quando non fa ciò, può stare anche senza velo. Poi chi pensa di velarsi per tutto il culto, lo faccia. Così anche la nubile che ritiene di farlo, lo faccia. Noi stiamo qui solo per cercare di accertare la verità al riguardo, qualunque essa sia, quella verità che porta libertà. Poi, statisticamente parlando, quella della velatura del capo non è una dottrina, che sta ai primi posti nel «deposito della fede». Se ne parliamo è per i motivi esposti dal lettore nell’articolo: esso è a volte una causa di tale dissenso in alcune chiese, che viene usato come pretesto per una scissione.

 

 

3. {Antonio Capasso}

 

Caro fratello, pace. Se le cose stanno come dici tu, allora le donne non sposate possono esercitare un ministero di governo nella chiesa. {2 agosto 2009}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Devo ammettere che a volte mi meraviglio della capacità speculativa di questo caro lettore e dei suoi sofismi. Perché mischiare qui pere con mele, capre e cavoli? In 1 Corinzi 11 si tratta di pregare e proclamare, non di condurre una chiesa. Bisogna attenersi strettamente a ciò che il testo afferma veramente. Il governo della chiesa e il ministero di insegnamento era precluso non solo alle donne in genere, ma anche agli uomini, che non rispecchiavano le premesse di 1 Tm 3; Tt 1, di là dal loro stato civile. Gli consiglio di leggere quindi in «Generi e ruoli 2» gli articoli «Ministeri preclusi alle donne» (pp. 83-102) e «Il ministero della nubile» (pp. 79-82).

 

 

5. {Antonio Capasso}

 

Caro Nicola, non credo di fare dei sofismi, cerco di capire e di approfondire, proprio perché non do niente per scontato. Io ho sempre pensato che le donne non possono esercitare un ministero di governo, essendo l’uomo, il capo della donna e quindi subordinata all’uomo. Se non è questo il motivo, allora quale? Perché Paolo impone alle donne di non insegnare né di usare autorità sull’uomo? Se le cose stanno così, devo concludere che in 1 Corinzi 11 si parla di donne in generale e non di sole mogli. Dio ti benedica… P.S. Non ho il tuo libro «Generi e ruoli». {4 agosto 2009}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Per un autore è sempre un problema dover affrontare in breve ciò che ha analizzato in un contesto più grande e doversi ripetere a «mozzichi e bocconi». La cosa migliore è sempre che si legga prima « Generi e ruoli», e poi si discuta nel merito.

     In ogni modo, in 1 Corinzi 11 la questione della conduzione non era contemplata. Il governo famigliare era compito del marito. Il ministero di governo ecclesiale era delegato soltanto a uomini, che rispecchiavano le prerogative morali e spirituali (1 Tm 3; Tt 1); al riguardo non c’era una delega in bianco. L’uomo era capo della sua donna e basta; nessun uomo avrebbe permesso che un altro prendesse tale funzione in casa sua. La conduzione nella chiesa, essendo solo una guida morale, non sostituiva tale funzione esclusiva del marito. Come ho già mostrato in precedenza, molti problemi nascono dal fatto che in greco aner non corrisponde allo spettro semantico del termine italiano «uomo»; aner ha in italiano come corrispondenze sia «uomo (maschio)», sia «marito». Per alcuni significati del termine italiano «uomo» il greco ha ánthrōpos «essere umano».

     In contesti, in cui compaiono i termini aner e ghynè in combinazione, s’intende in genere sempre marito e moglie. Nelle chiese del primo secolo, visto il clima culturale che c’era, a nessuna donna sarebbe venuto in mente di condurre una comunità o di insegnare in pubblico; quindi non era questo il problema, che l’apostolo Paolo doveva affrontare. Dove parlò d’insegnamento in riferimento alla donna, ciò riguardava gli equilibri matrimoniali nella comunità; qui lei poteva sminuire l’autorità del marito, assediandolo di domande o d’osservazioni durante il culto o ponendole a chi conduceva.

     Per questo Paolo, dopo aver parlato dell’ordine ecclesiale della glossolalia (e sua traduzione) e della profezia (e sua pubblica valutazione), disse ai Corinzi quanto segue: «Come si fa in tutte le chiese dei santi, si tacciano le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare, ma devono stare soggette, come dice anche la legge. E se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro uomini a casa; perché è cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea» (1 Cor 14,34s). È chiaro che qui «donne e uomini» erano mogli e mariti, a cui le prime dovevano stare soggette, come prescriveva la legge (sia civile, sia religiosa).

     Similmente Paolo dava le seguenti istruzioni a Timoteo: «La ghynè impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla ghynè d’insegnare, né d’usare autorità sull’aner, ma stia in silenzio» (1 Tm 2,11s); i versi seguenti parlano di Adamo ed Eva, la prima coppia. Qui la Riveduta (vecchia e nuova) traduce aner con «marito»; così la vecchia Diodati. La traduzione della CEI ha qui «uomo» per comprensibili motivi: il clero non è sposato. Nella Riveduta i termini ebraici e greci «uomo e donna» (per persone sessualmente mature; sg. e pl.) vengono tradotti 80 volte come «uomo e donna» (sempre distinti da bimbi, fanciulli e giovani d’ambedue i sessi) e 49 volte come con «marito e moglie», quando i traduttori hanno visto un’attinenza matrimoniale fra di loro; come abbiamo visto però i casi sono molti di più (p.es. 1 Cor 11). Nella Riveduta i termini ebraici e greci «uomo» (maturo; sg. e pl.) viene tradotto in 162 versi con «marito»; similmente «donna» ricorre in 441 (!) versi come «moglie».

     Sarebbe ben ridicolo voler trarre una sottomissione di tutte le donne credenti a tutti gli uomini credenti da brani come Efesini 5,22-28: «Donne, siate soggette ai vostri uomini, come al Signore; poiché l’uomo è capo della donna… così devono anche le donne essere soggette ai loro uomini in ogni cosa. Uomini, amate le vostre donne… Allo stesso modo anche gli uomini debbono amare le loro donne, come i loro propri corpi. Chi ama la sua donna, ama se stesso». Una tale interpretazione di questo testo nel senso che «uomini e donne» intendesse «tutti e tutte» getterebbe un sospetto di istigazione velata alla poligamia da parte di Paolo. In ogni modo, una tale androcrazia (dominio dei maschi) generalizzata non era contemplata in quella cultura; nessun uomo avrebbe permesso a un altro maschio di dettar legge sulla propria moglie, neppure a un conduttore di chiesa, visto che la sua funzione era solo di natura spirituale.

    Ciò non è smentito neppure da 1 Pietro 5,5 — «Parimenti voi più giovani, siate soggetti agli anziani» — poiché qui Pietro riprese il discorso («parimenti») rivolto a tutti gli anziani (quindi ai soli maschi): «Io esorto dunque gli anziani che sono fra voi…» (v. 1). Pietro sembra che dicesse: Fra voi conduttori di chiesa quelli più giovani siano sottoposti (hypotássomai) a quelli più anziani d’età; poi però, per evitare fraintendimenti autoritari, addolcì la pillola così: «E tutti rivestitevi d’umiltà gli uni verso gli altri».

 

 

7. {Sara Iadaresta Esposito}

 

Io sono del parere che, sia che una chiesa approvi il velo o no, se le donne fossero più sottomesse alle volontà della chiesa stessa, non ci sarebbero tutti questi problemi. Cerco di spiegarmi meglio: penso che la questione del velo non sia di tale importanza da far dividere chiese, ma se in una chiesa si decide che le donne debbano avere il capo coperto, è giusto che le donne lo facciano, senza pensare al fatto che con il velo si sciupa la pettinatura (come delle volte ho sentito dire)! {19-09-2009}

 

 

8. {Gianni Siena}

 

La velatura del capo femminile era un segno di «distinzione» onorevole: presso greci ed ebrei nel 1° secolo. Questo «velo» è diventato (grazie alla presenza di comunità islamiche) segno d’oppressione della donna.

     Nella sezione dedicata (1 Cor 1,1-16) Paolo stabilisce un importante principio di contegno nel culto, egli scrive circa la «donna che prega e profetizza»: ancora oggi, in più d’una chiesa, l’obbligo del velo (chiamiamolo così) vale per la durata del culto... «fine»! Dato che nel Nuovo Patto tutto il popolo di Dio è profeta (Gioele 2,28-32), dunque, anche la donna vede riconosciuto il suo diritto a pregare e ad esortare la comunità. Detto questo, vorrei considerare la motivazione di questo dettame: «a causa degli angeli» (v. 10). Non credo che questi angeli siano i «conduttori», bensì entità angeliche. Gli angeli si sottopongono il mondo attuale (Eb 2,5), essi sono spiriti servitori inviati a soccorrere i futuri redenti (Eb 1,14). Ma non sono tutti così: occorre tenere conto del rovescio della medaglia. Eva cadde in trasgressione, dopo essere stata tentata da un angelo (Gen 3,6), e l’uomo intero fu colpito dalle conseguenze della maledizione. Va tenuto conto che la donna fu colpita nella sua dimensione più intima (= femmina; ebraico: ishshà la penetrata); vi sono entità angeliche che sovrintendono alle interazioni sessuali? Non è da escludere. Il nostro corpo è ancora irredento e una donna, suo malgrado, esercita un richiamo (= desiderio; Gen 3,16) su ogni uomo: il velo era un segnale per identificare la donna sposata.

     Il concetto di «nubile» esprime il senso di «avvolgibile in un velo»: nell’antica Roma la ragazza che si fidanzava si vestiva con un velo lungo simile a una nube. Oggi la stato civile della donna è indicato dall’anello matrimoniale o di fidanzamento; mi sembra che l’apostolo dia quelle istruzioni solo per ricordare alcune necessità comportamentali reciproche (parla anche all’uomo).

     Non parla di «gerarchia» e di sottomissione ad autorità tirannica da parte della donna; dovrebbe valere l’atteggiamento avuto da Gesù per primo verso le coeredi della medesima grazia. Abbiamo l’obbligo d’amare e rispettare le donne, quando udiamo i censori, che gridano allo scandalo per l’eccessiva libertà femminile, mandiamo costoro a rinfrescarsi le idee nelle pagine del Vangelo.

     Tuttavia, insieme al «velo» (= donna) e a una testa adeguatamente «rasata» (= maschio), tenendo conto dei costumi locali, si dovrebbero sempre evitare comportamenti e vestiti che possano richiamare l’interesse eccessivo dell’altro sesso. È comico l’atteggiamento di certi uomini, che lanciano occhiate di disapprovazione a chiunque guardi la loro donna... ma vestita in modo da rendere inevitabile gli sguardi. Noi siamo cristiani e queste provocazioni non ci appartengono, ben ha fatto l’apostolo Paolo a richiamare questi doveri alla mente dei credenti di Corinto... sono per noi e per la nostra edificazione. In quest’aspetto della natura siamo ancora come tutti gli altri uomini e bisognosi di santificazione. Mi piace ricordare l’esperienza d’un fratello, che fu interpellato da un altro credente: gli chiese di accompagnare sua moglie a prelevare la figlia in uscita dall’ospedale, dato che lui non poteva farlo. Nelle chiese succede anche questo e, grazie a Dio, per queste testimonianze: Significa che possiamo vincere le nostre debolezze con l’aiuti di Cristo e del suo Spirito. {22 settembre 2009}

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Come al solito, Gianni Siena mette molta altra carne al fuoco. Avendo già scritto abbastanza su tale tema, tralascio d’intervenire su cose già affrontate. Faccio solo riferimento ad alcune «pietre d’intoppo». Che nel NT tutto il popolo di Dio sia «profeta» (= proclamatore), è giusto, ma difficilmente si potrà dimostrarlo con Gioele 2,28-32, dove il profeta parla a giudei di giudei (vostri / vostre, voi). Di questo ne abbiamo parlato altrove. [► Confronto fra pentecostali, ex e non 1]

     Quanto al termine anghelos, faccio notare che allora esso era neutrale (come in ebraico male’ak) e dipendeva sempre dal contesto se si intendeva un inviato terrestre o celeste. Che in Genesi 3 Satana fosse, quindi, lì nella veste di un «angelo» (= un inviato) di Dio, è pura e rischiosa congettura (cfr. Gv 8,44). Egli era un «essere celeste», ma non un «angelo», né un serafino, né un cherubino. [Per l’approfondimento si veda Nicola Martella, «esseri celesti», Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 157s.

     Che esistano «entità angeliche che sovrintendono alle interazioni sessuali», è pura congettura. Inoltre è rischioso suggerire che Genesi 3 abbia a che fare con la sessualità; questa idea è tipica dello gnosticismo e bisogna assolutamente separarsene. [Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella, «Il ratto della sessualità?»,Temi delle origini. Le Origini 1 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 325-329.]

     Che ’iššah «donna (nel senso di “uoma”)» intenda «la penetrata», è pura costruzione, poiché è la forma maschile di ’iš «uomo». [Per l’approfondimento si veda nel Manuale Teologico dell’Antico Testamento, gli articoli «Donna», p. 149; «Uomo (essere umano)», pp. 373s.] Probabilmente si è confuso con un termine in altra lingua.

 

 

10. {}

 

 

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La questione del velo (1 Corinzi 11,2-16) {Paolo Brancè - Nicola Martella} (T/A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Velo_assolut_banal_S&A.htm

22-07-2009; Aggiornamento: 17-10-2012

 

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