Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Nello stesso libretto sono contenute le domande per lo studio e il dizionarietto, dove trovare le risposte.

   Ecco le parti principali della parte di studio:
■ Introduzione all'Evangelo di Matteo
■ Nascita, battesimo e tentazione (Mt 1,1-4,11)
■ Attività in Galilea (Mt 4,12-16,12)
■ Istruzione dei dodici (Mt 16,13-18,35)
■ Viaggio verso Gerusalemme e ultimi giorni in essa (Mt 19-25)
■ Crocifissione e risurrezione (Mt 26-28).

 

Inoltre ci sono, tra altre parti, anche le seguenti:
■ Dizionarietto
■ Guida allo studio personale e di gruppo.

 

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UNA «TEOLOGIA DELL’IO SONO» NELL’EVANGELO DI GIOVANNI? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Stefano Frascaro

2. Pietro Calenzo

3. Simone Monaco

4. Leonardo Bernardi

5. Matteo Cavallaro

6. Rita Fabi

7. Luca Maggiorin

8. Omar Stroppiana

9. A. Zanconato

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

Qui di seguito discutiamo gli articoli «Giovanni 18,5-8 e “son io”» e «Giovanni 8 e “io sono”». Si consiglia vivamente la lettura degli interi articoli, prima di leggere la seguente discussione ed, eventualmente, intervenire in essa.

 

Per non essere frainteso, ribadisco ancora una volta che io credo fermamente che la Deità consista in tre persone, consustanziali e contemporanee. È, quindi, quasi pletorico affermare che io creda assolutamente anche nella deità di Gesù Messia, ossia che Egli sia il Logos rivelatore, «Dio presso Dio» diventato carne (Gv 1,1ss.14.18). Credo altresì che Gesù abbia rivelato la sua natura divina in diversi momenti della sua vita. Ora, tutto ciò non ha nulla a che vedere con una presunta «teologia dell’io sono», di cui non vi è traccia negli insegnamenti degli apostoli. Paolo, ad esempio, che fu abbastanza pignolo nell’evidenziare il singolare dell’espressione «seme» (Gal 3,16), non fece alcun riferimento a una «teologia dell’io sono». Aggiungo pure che l’autorità in materia di dottrina sia la sacra Scrittura e non antichi teologi, né concili religiosi.

 

Voglio ricordare che l’articolo «Giovanni 18,5-8 e “son io”» è nato da un’esplicita domanda di un lettore. Successivamente a esso, due lettori mi hanno scritto, ponendomi domande su Giovanni 8 e insistendo sull’espressione «ego eimi» («io sono / son io») e sulla cosiddetta «teologia dell’io sono», cercando di convincermi della sua genuinità.

     ■ Giovanni 8,28: «Gesù dunque disse loro: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono (il Cristo), e che non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato».

     ■ Giovanni 8,58: «Avanti che Abraamo fosse, io sono».

 

Ho risposto a entrambi questi due ultimi lettori nell’articolo «Giovanni 8 e “io sono”», facendo un’analisi testuale di Giovanni 8, mostrando la loro naturale corrispondenza linguistica nel linguaggio quotidiano ed evidenziando la rilevanza delle asserzioni e delle rivendicazioni di Gesù, senza che sia necessario scomodare una presunta «teologia dell’io sono».

 

Esiste una «teologia dell’io sono» nel NT? Come mai una convenzione diffusa si tiene in piedi su convinzioni, che non scaturiscono da una chiara e incontrovertibile esegesi contestuale, ma da supposizioni tenute in vita in modo artificiale? In fondo, che cosa distingue tale artificiosa «teologia dell’io sono» da altre «dottrine», composte dagli uomini?

     Ecco il sistema speculativo di base adottato da coloro, che creano nuove dottrine: essi partono da alcuni minimi elementi presenti nel testo, li isolano dal contesto, li associano insieme, li ingrandiscono con la dialettica, li organizzano in sistema dottrinale e li proiettano poi, in modo scontato, nella spiegazione del testo biblico. Si pensi qui, ad esempio, alle seguenti convinzioni dottrinali: il Purgatorio, il Limbo (ultimamente svuotato), l’intercessione di santi e la mediazione di Maria [ Polisantismo], il celibato dei preti, la centralità del vescovo di Roma, il sacramentalismo, il pedobattismo, la doppia predestinazione, le nuove rivelazioni, santoni che si presentano come «l’ultimo Elia» [ 1.; 2.] o direttamente come il «paracleto», e così via.

     Qui non vogliamo affrontare queste ultime cose, che sono solo esempi, ma mostrare che il meccanismo dell’«accreditamento dogmatico» è simile: una cosa, ritenuta «rivelazione», tanto si ripete che alla fine diventa convinzione comune, convenzione ovvia. Allora chi la mette in forse viene considerato con sospetto come chi è «fuori dottrina». La cosiddetta «teologia dell’io sono» rientra in queste categorie...

     Affermiamo che nel NT non esista una «teologia dell’io sono» nel NT. Crede di ritrovarla solo chi ce la proietta prima o segue ciecamente altri, che aderiscono acriticamente a tale convenzione. Si noti che le prime cinque parti riguardano specialmente Giovanni 18,5-8.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

 

 

1. {Stefano Frascaro}

 

Contributo 1: Tu non immagini quante volte abbia sentito prediche con l’enfasi tipo: «E di fronte a quell’“Io Sono”, tutta la potenza del Padre fece cadere i suoi avversari…». Questa me la sono scritta tra le perle delle sciocchezze ascoltate. Dio ti benedica, caro fratello. {18-02-2012}

 

Osservazioni (Antonio Capasso): Circolano e si diffondono tante sciocchezze nel seno della cristianità, senza un minimo di ricerca e studio, per verificare se le cose, che si ascoltano o si leggono, siano giuste. Questa dell’«io sono» è una di queste sciocchezze. Strano fenomeno! {18-02-2012}

 

Contributo 2 (Stefano Frascaro): Caro amico e fratello, Nicola Martella, ho sentito spropositi del genere (perché a mio parere di spropositi dottrinali si tratta), proclamati dal pulpito, e ho constatato che il gregge non si domanda che cosa dica il pastore, ma viene attratto più dall’enfasi, con cui propone il messaggio, invece che dal contenuto esegetico del messaggio stesso. Quando ciò accade, chi ha capito l’errore del «profeta», cosa deve fare? Poiché il punto è proprio questo! Chi sa la corbelleria detta e prova a farlo notare, si trova un muro davanti!

     È vero, il discorso forse esula dal tema... ma è come il «vello di Gedeone». Quante volte lo sentiamo citare a sproposito? E allora quale è il nostro dovere? Tacere, poiché l’assemblea è rimasta comunque edificata da un messaggio esegeticamente sbagliato, o controbattere e creare così uno screzio con il «profeta» di turno? {19-02-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Sebbene Stefano Frascaro abbia messo il dito su una piaga di alcuni tipi di chiese, chiaramente tali osservazioni rappresentano qui una grande «tentazione» e ci porterebbero qui abbastanza fuori tema. È vero, alcuni predicatori pensano di compensare lo scarso studio esegetico su certi temi con una retorica pregna di enfasi spiritualistica e di retorica misticheggiante. Essi riprendono cose, che essi hanno sentito da altri e che riproducono, credendole e presentandole per vere. Questo è il risultato dell’ecclesiologia oligarchica (alcuni dinanzi a tutti), che rende i predicatori degli intoccabili. Gesù stesso, insegnando, usava però il metodo partecipatorio. La prima chiesa si basava sul pari consentimento. Paolo stesso ingiunse questo sistema di controllo, basato su una chiesa partecipativa: «E fate parlare due o tre profeti [= proclamatori ispirati] e fate giudicare gli altri… Infatti, tutti potete profetare [= proclamare in modo ispirato], uno dopo l’altro, perché tutti imparino e tutti siano consolati. Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti» (1 Cor 14,29.31s).

     L’opportunità di intervenire e il modo di farlo, dipende dal tipo di chiesa; nelle chiese partecipate viene tutto discusso insieme e, se non bastasse, si può discutere privatamente col predicatore di turno. Nelle chiese oligarchiche è più difficile, poiché i predicatori si sentono degli «unti» e degli intoccabili. Poi il tutto dipende dal rapporto, che esiste tra un membro (o collaboratore) e il detto predicatore.

     Chiaramente bisogna sempre valutare se il gioco valga la candela, ossia se si tratta di una questione dottrinalmente rilevante o meno. In ogni modo, il metodo migliore di affrontare le cose, con calma e moderazione, è il seguente: verità nell’amore e amore nella verità.

 

 

2. {Pietro Calenzo}

 

Contributo: Caro Nicola, grazie per quest’ampia esegesi morfologica. Come credenti trinitari, a volte, siamo indotti per il nostro amore per Gesù, a vedere, anche fuori del legittimo contesto, prove della sua piena divinità, forzando un po’ l’esatto senso di questa o quella parola, di questo o quel verbo. Il doveroso e prezioso dono del dottore esegeta è di commentare, in ogni situazione, correttamente ciascuna singola pericope della Scrittura, anche quando si tratta di ridimensionare versi della Parola di Dio, che avvallerebbero maggiormente le proprie convinzioni o certezze spirituali (e relazionarci, magari, con altre scritture, che effettivamente illustrano la perfetta divinità tri-unitaria di Cristo Gesù). Tutto ciò si denomina correttezza spirituale e completa dedizione al dettato biblico. Grazie, Nicola, e il Signore benedica il tuo servizio al Re dei re. Shalom. {19-02-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): L’interpretazione arbitraria e soggettiva di un certo brano biblico ha diversi difetti: 1. Proiettare in esso ciò, che non c’è veramente; 2. Non capire ciò, che veramente c’è scritto; 3. Imparare un metodo sbagliato, che influenzerà un certo modo errato di pensare e di trattare la Scrittura; 4. Alla fine, invece di scoprire nella Scrittura quello che veramente c’è, si rischia di trovarci solo quello, che la sovrastruttura dogmatica ha proiettato in essa.

     Il danno è polivalente per la persona stessa, per la verace dottrina biblica e per chi verrà ammaestrato con spiritualismi arbitrari e con chimere dottrinali.

 

 

3. {Simone Monaco}

 

Contributo: Ho letto l’intero articolo e ti ringrazio per le tue delucidazioni. Non nego che anche io mi sono spesso appoggiato a questi «io sono», per trovare dei punti saldi sulla deità di Cristo. Ricordo, inoltre, un tuo scritto che mi aveva colto in contropiede, nel quale spiegavi che l’uso plurale di Elohim in Genesi non stava a indicare una presunta trinità, allora ancora celata.

     Questi chiarimenti sono per me importanti e mi permettono di correggere il tiro, mi mettono però davanti a una domanda fondamentale: A questo punto, quali sono i passi chiari, che possiamo usare per sostenere la deità di Cristo (o la trinità), in modo tale da non fare più goffi strafalcioni? Grazie, Dio ti benedica. {19-02-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Questo è un modo onesto e intelligente di porsi dinanzi alla Scrittura: invece di adattarla a sé, dobbiamo adattare noi stessi a ciò, di cui abbiamo rivelazione di conoscenza. Ammettere il proprio pensiero errato, correggere le proprie opinioni e cercare veri punti di riferimento per una certa dottrina (qui la deità di Cristo), è onestà intellettuale e una buona prerogativa per acquisire il discernimento biblico.

     Penso che Simone Monaco sia abbastanza in grado di fare da sé un’analisi biblica nel NT per trovare la vera «polpa» riguardo alla dottrina della deità di Cristo. Tuttavia, brani chiave sono senz’altro i seguenti: Giovanni 1,1ss.14.18; Fil 2,5-11; Tt 2,13 e tutti i brani, in cui Dio Figlio è associato a Dio Padre (cfr. anche i brani trinitari come Mt 28,19s); nell’Apocalisse l’Agnello è associato a Dio onnipotente e ha tutti i suoi attributi, ad esempio: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Ap 22,13; cfr. 1,8; 21,6). Nell’articolo forse sarà sfuggito, che ho rimandato a un altro scritto: «E Dio era il Logos». Si veda pure l’articolo «Deità, pluralità e unità: Risposta a un Testimone di Geova». Bastano?

 

Replica (Simone Monaco): Ti ringrazio, Nicola, sicuramente sono sufficienti. Quello che volevo rimarcare con il mio intervento, è proprio che malgrado si spenda molto tempo per studiare, capire e approfondire determinati argomenti con l’intento di rafforzare o smussare le proprie convinzioni, poi ci si vede demolire tutto, per il semplice fatto di non avere le adeguate conoscenze. Mi rendo conto che può essere abbastanza frustrante fare, per l’appunto, un analisi del NT sull’argomento, per accorgersi in seguito che si è commesso diversi errori per ignoranza riguardo alla grammatica, alla cultura, alle lingue originali, a una scorretta esegesi, e chi più ne ha più ne metta.

     Da una parte questo è sicuramente un stimolo a crescere nella conoscenza della Parola e, d’altro canto, responsabilizza sull’importanza di essere certi di qualcosa prima di aprire bocca, sopratutto nelle cose di Dio. Grazie nuovamente. {20-02-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): A questo punto dovrei mostrare la differenza fra due diversi approcci alla Scrittura: quello esegetico contestuale e quello dogmatico. Il primo metodo accerta ciò che c'è veramente testo per testo nei rispettivi contesti; il secondo usa la Bibbia per costruire o sorreggere dottrine, spesso mediante una versettologia indebita, spiritualizzazioni e allegorizzazioni varie. Mi fermo qui, poiché ciò ci porterebbe troppo lontano.

     Per brevità rimando ai seguenti scritti: i: i: i: L’interpretazione biblica; La ragione delle cose; Approccio eterodosso alla Scrittura; Per un’analisi lessicale del testo biblico 1; Per un’analisi lessicale del testo biblico 2.

 

 

4. {Leonardo Bernardi}

 

Caro fratello Martella, da tempo non ti scrivo, ma non perché non ti segua, semplicemente non ho quasi nulla da aggiungere a quello che scrivi, ossia sono sostanzialmente d’accordo su tutto, perché hai un metodo esegetico estremamente sereno.

     Sono perfettamente d’accordo che Giovanni 18,5-8 non possa darsi per un dichiarazione di Gesù assimilabile al tetragramma sacro dell’Esodo.

     Non credo che la divinità di Gesù debba essere affermata, forzando il significato dei passi scritturali, estraniandoli dal contesto.

Purtroppo questo passo viene dato per una affermazione di Gesù simile a quella di Dio in Esodo, dimenticando che i verbi in ebraico sono molto diversi dal greco e lingue indoeuropee.

     Non credo poi che bisogna per forza vedere fatti soprannaturali in ogni cosa. Perché i soldati siano caduti, la Scrittura non lo dice, ogni congettura è personale. Ti ringrazio per la chiarezza Dio ti benedica. {18-02-2012}

 

 

5. {Matteo Cavallaro}

 

Contributo: Shalom. Giuseppe Lo Porto e Antonio La Torre, mi piacerebbe leggere il vostro pensiero riguardo a questo articolo su Giovanni 18,5-8. Un abbraccio. Shalom. {18-02-2012}

 

Osservazioni (La Torre Antonio): Gesù, già sapendo ciò che gli stava accadendo, affinché tutto si adempisse, si fece avanti dicendo: «Io sono». Con questo termine, una persona (in questo caso Gesù, il Salvatore dell’umanità) si prendeva tutta la responsabilità di quello, che stava accadendo, perdonando già il traditore (cosa che al giorno d’oggi son pochi a farlo). Poi, avanzò prima degli apostoli, affinché non succedesse loro alcun male (anche qui vediamo una persona con coraggio, che difende i più deboli). Guarì la guardia, dopo che Simon Pietro lo colpì ferendolo all’orecchio destro. E alla fine, si prese tutte le sue responsabilità, dicendo: «Io sono»; e qui che le guardie caddero per terra, a causa della potenza del Signore, che era in Lui; fu lo Spirito Santo, che li fece cadere a terra. E qui abbiamo un’altra dimostrazione che con Gesù siamo forti in ogni cosa; la Parola dice: Chi è con me, chi sarà contro di me? Spero ti sia piaciuto il mio commento, fratello. {18-02-2012}

 

Osservazioni (Nicola Martella): Antonio La Torre, vedo che hai detto cose interessanti, specialmente sul fatto che Gesù, usando il «sono io», si fece avanti, prendendosi le sue responsabilità e mettendo al sicuro i suoi apostoli; lo stesso vale per il fatto che le guardie caddero a terra per la potenza, che lo Spirito di Dio esercitava in Cristo.

     Alcune domande rimangono: Che cosa risponderei io, se di notte e alla luce di fiaccole qualcuno cercasse in un gruppo di persone proprio me e dicesse: «Chi di voi è Tizio e Caio?». Io risponderei: «Sono io! Che volete?». Che cosa risponderesti tu, se cercassero Antonio La Torre? Visto che era stato Gesù a farlo, che cambiava?

 

Osservazioni (Giuseppe Lo Porto): Esodo 3,13-14 recita così: «E Mosè disse a Dio: “Ecco, quando sarò andato dai figliuoli d’Israele e avrò detto loro: L’Iddio dei vostri padri m’ha mandato da voi, se essi mi dicono: Qual è il suo nome? che risponderò loro?”. Iddio disse a Mosè: “Io sono quegli che sono”. Poi disse: “Dirai così ai figliuoli d’Israele: L’Io sono m’ha mandato da voi”».

     Tuttavia, nel Getsemani Gesù rispose loro dicendo: «Io sono il Gesù che cercate». L’esegesi sta nel leggere il testo nel contesto.

     Non dimentichiamoci che in Israele il nostro Signore aveva il nome «Gesù», per cui Egli rispose dicendo loro: «Sono io quel Gesù, che cercate». Questa e la mia risposta. {18-02-2012}

 

Osservazioni (Nicola Martella): Giuseppe Lo Porto, solo per curiosità, quale traduzione di Giovanni 18,8 hai usato?

 

Risposta 1 (Giuseppe Lo Porto): Giovanni 18,8 (Nuova Riveduta). Gesù rispose: ««Vi ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate andare questi». Qui Gesù dice che è Lui il Gesù, che stanno cercando.

     Non ho menzionato Gv 18,8, ma la mia risposta è conforme al testo, ossia, Gesù confermò a coloro, che lo cercavano, che era Lui il Gesù. {18-02-2012}

 

Replica (Nicola Martella): I verbi ausiliari (io sono, io ho) sono quelli che usiamo di più ogni giorno e tante volte; così era per Gesù e i suoi contemporanei. Non possiamo dare un significato particolarmente teologico a un’espressione comune e quotidiana. Vero?

 

Risposta 2 (Giuseppe Lo Porto): Come tu scrivi nella tua nota, quando Gesù affermò di essere prima di Abramo, i Giudei non caddero a terra, ma presero delle pietre per lapidarlo: «Allora essi presero delle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio» (Gv 8,59). Ciò che è quotidianità, rimanga tale.{18-02-2012}

 

 

6. {Rita Fabi}

 

Contributo: Ti ringrazio molto per la tua risposta Nicola, sicuramente non avrò compreso tutto. Infatti, non è che io abbia fatto un esegesi del testo, perché non saprei neanche farla. Quello che ho fatto, è solo vedere i versetti, che avevo letto; di certo così uno può anche interpretare male il senso giusto, e questo sarà capitato anche a me. Ora che me lo hai spiegato, è molto più chiaro, anche se, forse, come dici tu, per desiderio devozionale, ancora continuo a vederci le stesse cose. Pace e che Dio ti benedica. {20-02-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Si veda qui le questioni presentate qui: «Giovanni 8 e “io sono”». Ringrazio questa lettrice per la sua onestà intellettuale. Come lei ha compreso, non basta assemblare una lista di versetti e interpretarli con un cattivo e coercitivo consigliere, qual è il desiderio devozionale. L’esegesi contestuale serve ad appurare ciò, che veramente c’è in un dato brano, non quel che si desidera trovare. Di là da questo tema specifico, se si studia la storia dei dogmi, ci si renderà conto che il desiderio devozionale ha prodotto molte malsane dottrine, che sono diventate prigioni mentali dei cristiani nominali, distratti e superficiali.

 

 

7. {Luca Maggiorin}

 

Contributo: Bravo (si fa per dire), Nicola Martella. Di questo passo, andrai alla completa negazione della divinità di Cristo e della Trinità. Quella dell’«io sono» non è una speculazione moderna, ma una evidenza a cui i cristiani da sempre hanno creduto come ulteriore riprova della divinità di Cristo; basta leggere ciò che dicevano i padri della Chiesa. {20-02-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Luca Maggiorin, dopo la tua ironia d’ingresso, permettimi una battuta: oltre a ciò che affermano i cosiddetti, «padri della Chiesa», conviene investigare che cosa hanno detto i «Cugini di campagna» e le eventuali «madri e suocere della chiesa».

     Rimando al mittente le insinuazioni riguardo a una mia presunta «completa negazione della divinità di Cristo e della Trinità». Si vede che non hai letto gli interi articoli, a cui questa discussione si riferisce, o non ha capito nulla in merito. La divinità di Cristo e la Deità in tre persone consustanziali e contemporanee, a cui fermamente credo, sono una cosa, le costruzioni ideologiche sono un’altra cosa. A me interessa l’esegesi contestuale, non le costruzioni dogmatiche, tenute artificialmente in piedi con la convenzione religiosa.

            Per altro, la chiesa romana è maestra nel costruire sovrastrutture ideologiche di stampo dogmatico e nell’accreditarle come verità (Ad esempio, che fine avranno fatto le povere anime dei bambini e dei «giusti» fra i pagani, dopo che Joseph Ratzinger ha decretato la presunta chiusura del sedicente Limbo? Dante Alighieri si sta rivoltando nella tomba come un frullatore...).

 

Replica (Luca Maggiorin): I frutti dello Spirito sono: pace, bontà, mansuetudine, insomma l’opposto della tua risposta acida e sgarbata. Tralascio questo tuo sminuire i padri della chiesa, così come tralascio questo tua gratuita polemica anticattolica che non c’entra nulla con l’argomento in questione (comunque se proprio lo vuoi sapere, il limbo non è mai stato dichiarato come dogma ufficiale della chiesa cattolica, ma tu queste cose non le sai); evidentemente l’astio anticattolico è troppo forte per riuscirlo a trattenere.

     E vengo al punto. Io non ho detto che quella dell’«Io Sono» debba essere trasformato in un dogma, ma, all’estremo opposto, nemmeno si può escludere con certezza che possa essere una implicita attestazione della deità di Cristo. Insomma, una via di mezzo ci vuole. Quindi, è per lo meno un indizio. Gesù rischiò di essere lapidato perché secondo i suoi nemici stava bestemmiando, ma dichiararsi coetaneo di Abramo non era una bestemmia in quanto anche gli angeli esistevano al tempo di Abramo, e dichiararsi come un angelo non era una bestemmia, in quanto gli angeli sono creature. Evidentemente quell’io sono reso al presente in riferimento a un momento passato e remoto voleva significare che il Figlio in quanto Dio non ha mai avuto un inizio. {21-02-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Luca Maggiorin, a te è concessa l’ironia d’ingresso, ma a me non è concessa una battuta? La legge è uguale per tutti, per altri è più uguale! Vedo che non hai letto i due articoli (su Gv 8 e Gv 18,5-8), o insisti a non capirli. Se tu li studiassi attentamente, allora ti accorgeresti che in Giovanni 8 c’è abbastanza sostanza teologica relativamente alla pretesa di Gesù di essere uno col Padre, senza scomodare una presunta «teologia dell’io sono».

     Sul resto sorvolo come pure di menzionare i numerosi papi, che hanno insegnato espressamente l’esistenza del Limbo a voce e per iscritto (cfr. anche Wikipedia).

 

 

8. {Omar Stroppiana}

 

Contributo: Sto studiando il vangelo di Giovanni, quindi la lettura è stata utile. Grazie. Leggendo il vangelo senza preconcetti, si vede che in Giovanni l’espressione «io sono» è soprattutto utilizzata più volte con un predicato (p.es. «io sono il pane», «io sono la via», «io sono la luce»...) e sono tali predicati a esprimere i concetti, con i quali Gesù provocava il suo uditorio; non era tanto rilevante l’uso del termine «io sono», ma ciò, che affermava di essere e le conseguenze (p.es. io sono il pane → per vivere avete bisogno di «nutrirvi» di me). {22-02-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Hai colto proprio nel segno. Mettendo invece l’enfasi sul verbo (è solo un verbo ausiliario comune) e dandogli un significato, che non ha, si trascura la cosa principale:

     ■ 1. Il soggetto «eimi»: in greco come in italiano si mette solo, quando si vuole enfatizzare qualcosa nel senso di «proprio io» o «io a differenza di altri». Si veda qui il contrasto fra il buon pastore e il mercenario (Gv 10,11ss), o fra Israele come «vigna» (Is 5,7) e la pretesa di Gesù di essere Lui la «vera vite» (Gv 15,1).

     ■ 2. Il nome del predicato: L’enfasi stava su pane, luce, via, verità, vita, risurrezione, ecc. Ciò rappresentava la pretesa messianica di Gesù e l’adempimento di promesse messianiche. Ad esempio, «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12) adempiva la seguente promessa messianica: «Voglio far di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is 49,6; cfr. 42,6).

 

Quindi, la ricerca di accenti sbagliati non solo viziano in senso ideologico l’interpretazione dei testi, ma rendono ciechi rispetto al vero significato!

 

 

9. {Alessandro Zanconato}

 

Contributo: Premesso che non sono un esperto esegeta, vorrei alcune delucidazioni circa Giovanni 8,59. Come mai i Giudei desiderano lapidare Gesù? Nel suo commento a questo passaggio, MacArthur dice che è un riferimento a Levitico 24,16, dove si parla della condanna di chi bestemmia il nome del Signore. MacArthur sembra propenso a sostenere una «teologia dell’io sono». Per parte mia, dopo aver letto gli articoli precedenti di «Fede controcorrente», sono indeciso. In ogni caso la deità di Gesù è attestata da altri passaggi. {08-03-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Secondo il patto dato a Davide, la sua discendenza con diritto a regnare era «unta a re» (quindi anche Gesù) e chi aveva il diritto a regnare, era adottato da Dio a suo «figlio». I Giudei volevano lapidare Gesù, poiché non credevano che lui fosse il Messia. Inoltre, Gesù affermava di procedere da Dio, essendo stato mandato da Lui, e di conoscere Dio personalmente. Ciò era inaudito per i suoi connazionali. I Giudei aspettavano un Messia (= unto a re) figlio di Davide, che Dio avrebbe adottato, non qualcuno che fosse venuto direttamente da Dio e che esistesse ancor prima del loro patriarca Abramo. Per loro ciò era una bestemmia. Tuttavia, tutto ciò non aveva nulla a che fare con la cosiddetta «teologia dell’io sono».

 

Replica 1 (Alessandro Zanconato): Grazie. Non tutti sono d’accordo su questa posizione, per esempio la Bibbia cattolica di Gerusalemme è più vicina alla posizione di MacArthur. Comunque ne terrò conto. {08-03-2012}

     È strano perché anche John Stott in «Le basi del cristianesimo» fa questo collegamento con Esodo 3,14 e dice, citando Giovanni e Esodo: «In questo “Io sono” non c’è una semplice affermazione di eternità, ce ne è anche una di divinità: “io sono” è il nome divino con il quale l’Eterno aveva rivelato se stesso a Mosè nel roveto ardente» (p. 41; ed. GBU). Pure la Luzzi riporta a margine del versetto di Giovanni 8 la menzione di Esodo 3,14. {09-03-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Queste sono conclusioni sillogistiche, basate non sull’esegesi contestuale, ma su scelte dogmatiche a priori. Non mi pare che John Stott sia un esegeta e che il suo libro brilli per esegesi contestuale! La sua è un’opera di teologia sistematica, di dogmatica. I «filosofi della dottrina», in genere, fanno dichiarazioni (non di rado come convenzioni di gruppo), ma non dimostrano. Per la teologia esegetica contestuale ciò, che è dichiarato, ma non è dimostrato, non ha nessuna forza probatoria, rientra nelle opinioni soggettive ed è perciò senza valore.

     I «filosofi della dottrina» mettono insieme cose, che sono chiare solo a loro, avendo essi scelto di credere così. Essi trascurano il fatto che da un evento a un altro (p.es. dal Sinai di Mosè alla Sion di Gesù) erano trascorsi più di 1.400 anni, erano cambiati il quadro politico, la lingua, la cultura generale e quella religiosa. Inoltre, essi trascurano pure il fatto che nelle epistole non c’è traccia di una tale «teologia dell’io sono». Mediante la versettologia indebita, il falso sillogismo, l’allegoria, l’indebita spiritualizzazione e altro, essi avvicinano cose lontane nel tempo e distanti linguisticamente e teologicamente e le fanno apparire, a torto, coincidenti; facendo ciò, si limitano ai proclami solenni, senza una vera prova esegetica.

     Se dovessimo poi dare credito a tutti i riferimenti incrociati, giusti ed errati, che i traduttori mettono nelle loro Bibbie, buonanotte! Una volta un predicatore conosciuto predicava sul fatto che il cavaliere sul cavallo bianco di Apocalisse 6,2 sarà un angelo distruttore durante la grande tribolazione; si alzò qualcuno in tale conferenza e protestò con veemenza, tacciandolo di bestemmia, poiché il riferimento nella sua Bibbia riportava a Apocalisse 19,11 e questi è chiaramente il Messia. Ecco il falso sillogismo: tutti i cavalieri su cavallo bianco devono necessariamente essere il Messia, poiché ce lo indica la letterina o il numerino «ispirato». Prescindo qui da altre «alchimie» dei riferimenti messi dai traduttori, i quali, a volte, collegano così capre e cavoli, ossia cose che non c’entrano nulla.

 

Replica 2 (Alessandro Zanconato): Va bene; aggiungo soltanto che se Stott non è un esegeta (ma come teologo è assai preparato), Luzzi lo è certamente, e non è uno dei peggiori! Inoltre, anche gli esegeti cattolici della Bibbia di Gerusalemme (assai competenti in materia) nel loro commento confermano punto per punto la posizione di Luzzi e della stessa Nuova Riveduta 2006, che infatti riporta i medesimi riferimenti. È inoltre molto interessante la loro traduzione dell’ebraico di Esodo 3,14. Io sono un evangelico nato di nuovo, salvato per grazia mediante la fede, come penso tutti voi. È mio preciso diritto e dovere esaminare ogni affermazione — la tua compresa — alla luce delle Scritture e di ragioni evidenti, e ritenere il bene. Visto che la tua posizione non è confermata da parecchi esperti in materia, rimango perplesso, ma non ho alcuna volontà di polemizzare su questo punto.

     Tra parentesi, la Bibbia di Gerusalemme spiega bene le ragioni filologiche della traduzione di Esodo 3,14 con «Io sono colui che sono» e fa interessanti riferimenti alla traduzione greca alessandrina del passo. {09-03-2012}

 

Risposta 3 (Nicola Martella): Sinceramente, ragionare di Stott, di Luzzi, di Nuova Riveduta e di Bibbia di Gerusalemme e dei loro riferimenti incrociati e delle loro note, non mi appassiona. Questo lettore fa riferimento anche la Settanta, ma non afferma che cosa direbbe di sostanziale. Questo è un discutere sul niente. Preferisco ragionare sugli argomenti e non sulle intenzioni, sulle prove esegetiche e non sui proclami dottrinali. Tale approccio ci fa solo smarrire il vero tema in discussione. Faccio un ultimo sforzo.

     Le letterine di riferimento di nessuna Bibbia sono ispirate, ma sono messe lì per scelta dei traduttori o per convenzione (una traduzione le prende da un’altra); non sono ispirate neppure le loro note, che spesso hanno ragioni dogmatiche, non esegetiche.

     La Bibbia, che porta il nome di Luzzi (propriamente è la «Riveduta», ossia della Diodati), non fu tradotta da Lui, ma era appunto solo una revisione condotta da un gruppo di persone. Fu il fascismo, che costrinse i revisori a metterci un responsabile. La Bibbia di Luzzi, se così la si vuol chiamare, è tutt’altra cosa (non è la Riveduta!) e contiene note e glosse di traduzione; essa non ha avuto una grande diffusione e non credo sia ancora in commercio. Anche verso il Luzzi, come riguardo ad altri, bisogna sempre verificare se fanno asserzioni esegetiche (esse sono motivate e provate con l’esegesi contestuale) o se fanno proclami dogmatici (opinioni dottrinali senza prove esegetiche, ma tutt’al più paralleli versetto logici, debiti o indebiti che siano).

     Possiamo chiudere qui?

 

Replica 3 (Alessandro Zanconato): Come credi. Quanto all’esegesi contestuale, i miei dubbi rimangono, anche perché in un altro passo di Giovanni (10,30-33), si fa riferimento a un secondo tentativo di lapidare Gesù; e qui la motivazione è: «Perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Il «di nuovo» del verso 31 si riferisce all’8,59. Comunque mi terrò le mie perplessità.

     Vorrei aggiungere anche che, da un punto di vista logico, non mi sembra soddisfacente affermare che in questo passo si stia parlando solo della messianicità di Gesù. Per una serie di ragioni: ▪ 1. Il tema della messianicità in Giovanni è strettamente correlato a quello della sua deità; ▪ 2. La preesistenza divina è attributo del Logos, che nel prologo non è solo qualificato come esistente prima di tutte le cose e presso Dio, ma anche come «Dio» in se stesso; ▪ 3. In Giovanni 10,31-36, passaggio in cui nuovamente i Giudei tentano di lapidare Gesù, si parla di accusa di bestemmia per essersi fatto Dio e «Figlio di Dio», non semplicemente «Figlio dell’uomo».

     Un’altra cosa che mi lascia perplesso è la seguente: perché le principali traduzioni italiane rendono ego eimi di quel passo con «io sono» e non con «io esisto» o affini? Come mai sono cadute tutte in un errore tanto marchiano, se è vero quanto affermi? Mi sembra francamente insostenibile dover credere che l’abbiano fatto per carenza di basi esegetiche o per influenza di posizioni dogmatiche aprioristiche. {10-03-2012}

 

Risposta 4 (Nicola Martella): Vedo che questo tema sta diventando eterno e vengono riproposte cose, a cui ho già risposto.

     Io non ho problemi con la deità di Gesù, con l’eterna preesistenza del Logos, né con la Deità in tre persone consustanziali e contemporanee. Tuttavia, tutto ciò non ha nulla a che fare con una presunta «teologia dell’io sono».

     Neppure i discepoli avevano capito la deità di Gesù, durante il suo ministero, figuriamoci i Giudei, suoi contemporanei! Essi tutti aspettavano solo il Figlio di Davide, l’Unto a re (= Messia). Che Gesù avesse avuto la consapevolezza della sua origine e della sua natura, è fuori dubbio; altra cosa è la comprensione dei suoi contemporanei di ciò. Gli apostoli e gli altri discepoli erano persone di transizione dal vecchio al nuovo patto; la loro conversione e rigenerazione nel senso del nuovo patto era qualcosa, che Gesù l’annunziò come futura rispetto al Golgata (cfr. Lc 22,32) e che si realizzò solo dopo la sua risurrezione (Gv 20,22). Solo dopo la risurrezione e, ancor più, dopo l’ascensione (praticamente da Pentecoste in poi), lo Spirito Santo apri la mente degli apostoli a capire il mistero: Colui, che era asceso al cielo, vi era prima disceso (cfr. Fil 5,15ss; Gv 1,1ss.14.18).

     Lo studioso abituato a fare filosofia dogmatica e non esegesi contestuale, trascura la potenza delle convenzioni religiose e del consenso su una certa cosa, ad esempio sulla presunta «teologia dell’io sono». Come mostrano le varie false dottrine della religione popolare e anche tra i cristiani, quando una convinzione dogmatica, un costume religioso o un’abitudine morale si radica, è molto difficile da estirpare. La convenzione e il consenso sono potenze incredibili, che resistono anche dinanzi alle evidenze scritturali!

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Teolog_io-sono_Mt.htm

20-02-2012; Aggiornamento: 14-03-2012

 

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