Nicola, tu dici che in Giovanni 8,58 l’espressione «io sono» di Gesù non allude al nome di
Dio, Jahwè (Es 3,14). [► Geova,
Geovizzanti e affini? Parliamone (2° contributo)] Però in Giovanni 18,6 è scritto: «Appena Gesù
ebbe detto “Io sono”, indietreggiarono e caddero in terra» (NR). Se Gesù
neanche in questo passo allude al nome di Dio (Jahwè), come mai le guardie
caddero a terra, dopo che Lui ebbe detto: «Io sono»? {Alessio Rando;
10-02-2012} |
1. Entriamo in
tema
Ribadisco ancora una volta che «Jahwè» non significa «io sono», essendo
la 3a
persona singolare del verbo hāwāh e non la 1a persona
singolare del verbo hājāh, da cui deriva ’ëhejëh «io
sono qui, intervengo» in Es 3,14.
Io credo fermamente nella deità di Gesù; ritengo però che bisogna
attestarla mediante chiari brani didattici del NT e non mediante artifici
linguistici evidenti solo ai moderni, ma non ai contemporanei dei fatti
descritti negli Evangeli. Restando nell’Evangelo di Giovanni, il Logos (=
Rivelatore) è chiamato «Dio» (θεός) «presso Dio» (πρὸς τὸν θεόν; Gv 1,1s),
creatore di tutte le cose (v. 3) e la sua assoluta unicità sta nel fatto che Egli
è «l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre» (ὁ μονογενὴς υἱός, ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ
πατρός; v. 18), ossia a tu per tu col Padre. [►
E Dio era il Logos]
2. L’evento
specifico
In Giovanni 18,5-8 bisognerebbe tradurre correttamente in italiano «sono io»,
come fa la Luzzi, o «sono io costui» (cfr. similmente la Diodati, Elbefelder,
Lutero). A ciò si aggiunga che alcune varianti hanno in Giovanni 18,5: egō
eimi [ho] Iēsous «Sono io [il] Gesù».
In tale brano Gesù rispose per due volte alla richiesta di cercare Gesù
il Nazareno (Gv 18,5.8). Coloro, che vennero ad arrestarlo, caddero
indietreggiando la prima, ma non la seconda volta. Quindi, tali persone
indietreggiarono, non perché egli disse: «Sono io» (che avrebbe dovuto
dire?), ma per altri motivi, che bisogna appurare. Ad esempio, ciò
avvenne perché Gesù lo aveva detto con un tono particolare e con una particolare
autorità; dall’altro canto, essi indietreggiarono e caddero semplicemente
perché, ritenendo che Gesù fosse un profeta di Dio e avendo visto i suoi potenti
atti prodigiosi, o almeno udito di essi, temevano il peggio, ossia che egli
potesse far loro del male (ad esempio, ben conoscevano la storia di Elia,
che fece cadere fuoco dal cielo
contro chi era andato ad arrestarlo; 2 Re 1,10.12.14; cfr. l’eventualità in Lc
9,54).
3. Il normale
linguaggio quotidiano
Quante volte disse Gesù dinanzi ai Giudei e ai discepoli: «Io sono...» o
«Sono io» e nessuno cadde a terra! (cfr. Mt 14,27; 18,20; Gv 6,20;
8,16.18.24.28; 12,26; 13,19; 14,3; 15,16). Ciò faceva parte del normale
linguaggio quotidiano
(essere e avere sono i due verbi ausiliari!), di cui tutti si servivano (cfr.
Giovanni Battista Mt 3,14; Gv 1,31; Gesù in preghiera Gv 17,24; falsi profeti Mc
16,13; cieco Gv 9,9; Pilato Gv 18,35); nessuno di loro pensava a particolari
risvolti teologici, ossia a quelli che vivono soprattutto nelle menti dei
cristiani odierni.
4. L’autorità di
Gesù
Altre volte i Giudei cercarono di mettere le mani addosso a Gesù (Lc
20,19) o di lapidarlo (Gv 10,31; 11,8). Allora Egli non si appellò a una
espressione «io sono», oggigiorno troppo strapazzata, ma fece leva sulla sua
autorità, come avvenne nel Getsemani. «Cercavano perciò di catturarlo, ma
nessuno gli mise le mani addosso, perché l’ora sua non era ancora venuta…
Le guardie dunque tornarono dai capi sacerdoti e dai
Farisei, i quali dissero loro: “Perché non l’avete condotto?”. Le guardie
risposero: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo!”»
(Gv 7,30.44ss).
A Nazaret, dove nella
sinagoga attestò d’essere il Messia (Lc 4,30ss), Gesù venne ai ferri corti con i
Giudei, talché essi, «all’udire queste cose, furono ripieni d’ira. E
levatisi, lo cacciarono fuori della città, e lo condussero fin sul ciglio del
monte, sul quale era fabbricata la loro città, per precipitarlo giù. Ma egli,
passando in mezzo a loro, se ne andò» (vv.
28ss). Qui non troviamo l’espressione «io sono», ma certamente una dimostrazione
della sua autorità: i Giudei fremevano d’ira e tentavano di ucciderlo, ma Gesù
passò a testa alta fra di loro.
In un’altra occasione, in
cui troviamo l’espressione «io sono», nessuno indietreggiò e cadde, ma anzi i
Giudei «presero delle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose
e uscì dal tempio» (Gv 8,59). In questo
ragionamento di Gesù l’attenzione non stava sull’espressione «io sono» in sé,
che nessuno colse, ma sul fatto che Gesù affermò di esistere già prima
di Abramo (v. 58). Questo era per i Giudei inaudito, irricevibile e assurdo.
Se Gesù avesse usato un altro verbo, la sostanza non sarebbe cambiata. I Giudei
avrebbero capito lo stesso e avrebbero preso lo stesso le pietre nell’intento di
lapidarlo.
5. Aspetti
conclusivi
Dai fatti avvenuti presso il Sinai (Es 3) al quelli del Monte degli Ulivi erano
passati più di 1.400 anni di storia, durante la quale la cultura, i
costumi e il linguaggio degli Ebrei si erano del tutto trasformati. Fin dalla
cattività (prima assira e poi babilonese) gli Ebrei impararono l’aramaico,
lingua degli imperi, che si succedettero (assiro, babilonese, persiano);
inoltre, leggevano il cosiddetto tetragramma come ’adonāj
«Signore»; per cui tale collegamento fra tetragramma e «io sono» non era per
loro così evidente. Poi, nel quarto secolo a.C. il Medio Oriente fu occupato dai
Greci; nel terzo secolo a.C. gli Ebrei ebbero una traduzione dell’AT in greco.
Infatti, la stragrande maggioranza degli Ebrei al tempo del NT vivevano nella
diaspora e parlavano greco.
Per questi motivi, oggigiorno tali presunte evidenze si tengono in piedi
non su fatti storici ed esegetici evidenti, ma sul consenso dottrinale e su un
approccio speculativo alla Scrittura. Vedo che ad alcuni piacciono le
speculazioni, mentre nella Bibbia ci sono ricchezze di cose chiare ed
evidenti! Ritengo, perciò, che bisogna cercare la verità delle chiare evidenze e
non attaccarsi a cose, che non erano manifeste a chi era coinvolto allora
in tali eventi o a chi successivamente leggeva gli Evangeli, che era in greco.
Di una presunta «teologia dell’io sono» non troviamo nessun accenno nel NT,
poiché non era neppure pensata a quel tempo. Come ho accennato sopra, per la
deità di Gesù bisogna cercare brani e argomenti ben più solidi nel NT, che
attaccarsi a un’espressione linguistica così ovvia, ricorrente e quotidiana! [►
Correlazione fra Padre e Figlio nella Deità]
Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella,
Dall’avvento alla parusia, Panorama del NT 1 (Fede controcorrente, Roma 2008), nel capitolo
«Giovanni» il punto 4.5. «Io sono...», pp. 154ss.
►
Giovanni 8 e «io sono» {Nicola Martella} (T/A)
►
Una «teologia dell’io sono» nell’Evangelo di Giovanni? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Gv18-5_son-io_OiG.htm
17-02-2012; Aggiornamento: 23-02-2012 |