Questo confronto è
il diretto efflusso dell’articolo «Giovanni
18,5-8 e “son io”». L’esigenza di trattare questi aspetti a se
stanti, deriva dal fatto che tale capitolo ha una sua propria dinamica
contestuale e problematiche specifiche. È quasi pletorico affermare che io
creda assolutamente nella deità di Gesù Messia, ma preferisco ribadirlo per
togliere i dubbi ai miei eventuali detrattori. Credo altresì che Gesù lo abbia
rivelato in diversi momenti della sua vita. Tuttavia, tutto ciò non ha nulla a
che vedere con una presunta «teologia dell’io sono», di cui non vi è traccia
negli insegnamenti apostolici.
1.
«IO SONO» NELLA DINAMICA DEL CAPITOLO
1.1. LE QUESTIONI
(Rita Fabi): Caro Nicola, ho
letto tutto il tuo articolo e anche i link contenuti in esso e devo dire che
effettivamente potrebbe sembrare così, ma nel in Giovanni 8,28 è scritto: «Gesù
dunque disse loro: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora
conoscerete che io sono, e che non faccio nulla da me, ma dico queste cose
come il Padre mi ha insegnato». A me le parole di «io sono» fanno venire in
mente proprio la deità di Gesù, nel senso, che solo quando lo avrete
innalzato, allora capirete ciò che sono. E poi devo dire che nel capitolo di
Giovanni in effetti queste parole vengono ripetute molte volte come quasi
a dare un conferma di ciò, che Gesù era, proprio come possiamo trovare in Isaia
dal capitolo 40 al 55 varie volte le stesse parole pronunciate da Dio stesso,
come a dare una prova inconfutabile delle parole espresse proprio con la
ripetizione delle stesse; e come per togliere ogni dubbio che quelle parole
greco: ego eimi; ebraico: ani hu rappresentino proprio un voler
ribadire «io e solo io sono il Signore». Poi devo dire che a me il fatto che
tutti quei soldati cadano a terra nel momento stesso in cui Gesù pronuncia «Io
sono», dà proprio la sensazione che questa è la stessa reazione, che si volesse
provocare anche nelle persone che poi avrebbero letto certe parole, cioè
«nonostante mi stia consegnando a voi sappiate chi io sono affinché comprendiate
cosa sto facendo...». Puoi chiarirmi se ho compreso bene? Grazie; che Dio ti
benedica. {19-02-2012}
1.2. LE RISPOSTE
(Nicola Martella)
Alcune premesse
I desideri devozionali sono una cosa, l’esegesi contestuale è un’altra. I
paralleli con altri brani (p.es. Is 40-55), sono esempi che da soli non
dimostrano nulla; tutti possono dire abitualmente «io sono / sono io», uomini (1
Sm 12,2; Gv 1,21ss; Ap 22,8) e angeli (Nu 22,32; Lc 1,19), ma ciò non li rende
Dio. Se proiettiamo i nostri desideri in un brano, poi crederemo che esso
affermi proprio ciò. Io credo fermamente alla deità di Gesù, ma essa dev’essere
fermamente ancorata a brani chiari e incontrovertibili.
Prima di passare alla trattazione, faccio notare che il raro ’anî-hû’
non significa «io sono», ma «io [sono] lui / colui» (Is 52,6 «che
sono io colui,
che ho parlato»). Tale espressione
non ricorre in Esodo 3,14 (’ëhejëh ’ašer ’ëhejëh);
quindi che c’entra?
Inoltre, le espressioni «sono io» assolute (cioè il Cristo) in Giovanni 8 non
«vengono ripetute molte volte», ma solo due volte (vv. 24.28); le altre
volte sono espressioni normali della conversazione: sono la luce; sono venuto;
non sono solo, ma sono io col Padre; sono io a testimoniare; io sono di lassù;
io non sono di questo mondo; io sono proceduto; io non sono venuto da me... Che
cosa doveva mai dire Gesù per esprimersi in modo normale? Perché se il Battista
o Pilato affermavano «io sono / sono io» era normale, ma per Gesù doveva essere
speciale? Perché un’espressione abbia un significato teologico rilevante,
dev’essere chiaro ed evidente nel testo all’interno del suo contesto. Giovanni
non fece nessuna glossa esplicativa, che riconducesse le cose ad Esodo 3,14.
Tali analogie vivono nelle menti dei cristiani odierni, non erano presenti nei
contemporanei di Gesù, che distavano dai fatti dell’esodo ben 1.400 anni. Le
masse dei Giudei, con cui Gesù aveva abitualmente a che fare, non era
costituita da teologi; in Gv 8,12-59 si parla di Giudei, non di scribi e farisei
(i vv 1-10 erano un altro episodio, alla cui fine non restò che la donna). Una
«teologia dell’io sono» nel NT non esiste.
Approfondimenti
testuali
In Giovanni 8,28 l’espressione «quando avrete innalzato il Figlio
dell’uomo», negli Evangeli non si riferisce alla glorificazione di Gesù
(come in Fil 2,9), come falsamente alcuni suppongono, ma alla sua crocifissione
(Gv 3,14s). Infatti, leggiamo: «E io, quando sarò innalzato dalla terra,
trarrò tutti a me. Così diceva per significare di quale morte doveva
morire» (Gv 12,32s).
L’altra espressione «allora conoscerete che sono io» non ha nulla
a che fare con Esodo 3,14, visto che non si trattava di questo nel capitolo e
nello scontro con i Giudei, ma del suo essere il Messia mandato da Dio, che Gesù
attestava e i Giudei rifiutavano. Perciò, tale espressione significa «allora
conoscerete che sono io il Cristo». La Luzzi mette «il Cristo» tra
parentesi. Lutero traduce «che io sia esso»; la Elberfelder ha «che io sono
esso»; La Diodati riporta «che io son desso».
I fatti erano chiari fin dall’inizio, quando Gesù
disse ai Giudei: «Io sono la luce del mondo» (v. 12). Questo era
uno dei titoli con cui Dio aveva annunciato il Messia: «Voglio far di
te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle
estremità della terra» (Is 49,6; cfr. 42,6).
Inoltre affermava il suo stretto legame col Padre, che lo aveva mandato
(vv. 16.26.29), ossia come Messia, e che testimoniava a suo favore (v. 18).
Anche nel discorso successivo Gesù attestava il contrato con i Giudei: «Io
sono di lassù… io non sono di questo mondo» (v. 23); e affermava «quello
che ho veduto presso il Padre mio» (v. 38), da cui era venuto, essendo stato
da Lui mandato (v. 42), e il quale Gesù conosceva bene (v. 55). Perciò,
nel v. 24 leggiamo: «Se non credete che sono io
(il Cristo), morrete nei vostri peccati».
Gesù cercava di comunicare loro proprio il fatto di essere il Messia (v. 25). La
stessa espressione «Figlio dell’uomo» (vv. 28.36) era un titolo
messianico ben conosciuto nel giudaismo. I Giudei, rifiutandolo come Messia, di
fatto disonoravano Gesù (v. 49). Essi si appellavano ad Abramo come padre, e
Gesù affermava di esistere ben prima di questo patriarca (v. 58). Per i Giudei
questa era una bestemmia degna di morte (v. 59).
Come vediamo, in tutto il
capitolo si tratta proprio della messianicità di Gesù. Ciò che i Giudei in
Giovanni 8,28
dovevano riconoscere non era l’esistenza di Gesù (io sono = io esisto),
poiché era evidente, né c’era una presunta allusione a Esodo 3,14, a cui nel
testo non c’è traccia, ma che Gesù era il Messia promesso «e che non faccio
nulla da me, ma dico queste cose, come il Padre mi ha insegnato».
2.
PRIMA CHE ABRAMO FOSSE...
2.1. LE QUESTIONI
(Pietro Calenzo): Tornando
alla tematica in oggetto, caro Nicola, la «teologia dell’io sono», appunto, ti
chiedo ulteriori lumi sul passo di Giovanni 8,58: «Avanti che Abraamo
fosse, io sono (ego eimi)». Sarebbe stato naturale che il Signore Gesù
avesse usato un altro tempo del verbo essere. Tale scrittura ha dato tanto
fastidio a Russell e ai suoi emuli, che nelle traduzioni della Watch
Tower, traducono inverosimilmente: «Io sono stato». Ciò evidenzia che anche i
Russelliti vedevano in tale versetto un pericoloso messaggio trinitario, tanto
da indurli a interpolare il tempo del verbo essere, traducendo nell’infausta
maniera sopra descritta. Benedizioni. {19-02-2012}
2.2. LE RISPOSTE
(Nicola Martella): Il
problema è il seguente: o facciamo esegesi contestuale, o facciamo dogmatica
contro qualcuno o un sistema religioso. Non possiamo far dire al testo
qualcosa, semplicemente per contrastare qualcuno.
Detto questo, prego di osservare quanto già detto sopra per il contesto. Abbiamo
visto che in Giovanni 8,12-59 Gesù intendeva attestare piuttosto la sua
messianicità che la sua deità, sebbene vi accennasse; inutile parlare con i
Giudei di quest’ultima, se essi non accattavano neppure la prima, poiché sarebbe
stato come parlare a sordi (cfr. v. 27). Nel brano, però, Gesù affermò la sua
intima vicinanza a Dio (vv. 28.54), di essere stato mandato dal Padre (vv.
16.18.29) e la sua provenienza da Lui (v. 28) e, quindi dal cielo (v. 23).
Fin qui i Giudei potevano capire a mala pena, se veramente lo volevano, che Gesù
intendesse semplicemente di essere un profeta e di aver visto Dio in visione o
tutt’al più di essere un essere umano speciale, nato con un particolare mandato.
Il clima di polemica e di sospetto impediva loro di capire veramente ciò, che
Gesù intendeva comunicare, ossia di essere il Messia mandato da Dio. Essi
vedevano dinanzi a loro un uomo che non aveva ancora
cinquant’anni e che quindi non poteva aver veduto Abramo (v. 57). Qui Gesù
aggiunse alla sua pretesa di essere provenuto da Dio, perché mandato da Lui, un
aspetto nuovo: la sua preesistenza prima della sua nascita. «Prima che
Abramo fosse [nato], io sono» (πρὶν Ἀβραάμ γενέσθαι, ἐγὼ εἰμι; v. 58). Ciò
era così scandaloso per i Giudei, che vollero ucciderlo per bestemmia (v. 59).
Qui il suo «io sono» non fece cadere nessuno, anzi le minacce dei Giudei lo
indussero a nascondersi e ad allontanarsi dal tempio. Qui l’accento non stava
sull’«io sono» (ἐγὼ εἰμι), ma sull’«io sono… prima» (πρὶν… ἐγὼ εἰμι). La scelta
del presente non era dettata da motivi teologici, ma esistenziali, poiché Abramo
era morto, ma lui viveva ancora in quel momento.
Tale uso dell’avverbio
«prima» unito al presente, invece che al passato o al futuro remoto si trova
in molti brani della Bibbia (cfr. Gn 27,4.7 non «prima che io sarò
morto», poiché Isacco parlava ancora da vivo; 45,28
letteralmente: «Basta! Mio figlio Giuseppe vive ancora; io voglio andare e
vederlo prima che io muoia»; Pr 30,7; Ger 38,10; Gv 4,49). Fa parte del modo
di narrare storicamente i fatti (cfr. Es 1,19 prima che arrivi; 2 Re
19,26 «come grano riarso prima che formi la spiga»;
Gb 8,12 esperienza rincorrente; Is 17,14 «prima che si faccia mattino,
non sono più»; 37,27 «come grano, che è riarso
prima
che spiga»; 42,9 germoglino e non
germoglieranno; Am 3,3 esperienza comune; 1 Tm 3,10 norma sempre valida; Ap 21,4
sono passate, non saranno passate). In Giovanni 10,8 Gesù disse letteralmente: «Quanti
vennero prima di me, sono [eisìn] ladri e briganti; ma le pecore non
diedero loro ascolto».
Un’espressione parallela si
trova in Giovanni 13,19: «Già ora ve lo dico, prima che sia
accaduto [inf. aor.], affinché voi crediate [cong. at.], quando sia accaduto
[cong. aor.], che sono io [pres. at.] (il Cristo)».
Come si vede, anche qui ci si sarebbe aspettato che, annunciando Gesù la sua
crocifissione, che egli dicesse: «Quando accadranno tali cose, che io vi
preannuncio, crederete che io ero il Messia»; egli però usò il presente, poiché
era ancora in vita in tale momento. Anche qui il «sono io (il Messia» non aveva
nulla a che vedere con una presunta «teologia dell’io sono».
Anche oggigiorno io posso
dire a Tizio su Caio, mio contemporaneo: «Io esisto fin da prima che lui
nascesse», in tal modo evidenzio che c’era un momento della mia esistenza, in
cui lui ancora non c’era. Similmente si può riportare tale frase di Gesù come
segue: «Io esisto fin da prima che Abramo nascesse (fosse, esistesse, venisse al
mondo)», ossia 2.000 anni prima. Se ci fosse stato un altro verbo, non cambiava
nulla; infatti, Gesù intendeva evidenziare la sua preesistenza rispetto
ad Abramo. Ciò fece imbestialire i Giudei, poiché ritenendo che solo Dio è
preesistente, consideravano che Gesù bestemmiasse, poiché affermava così
d’essere preesistente insieme al Padre e di essere venuto in carne dal cielo da
presso Dio. Come detto, ciò non dipendeva dal normale verbo «essere, esserci,
esistere», ma dall’espressione avverbiale «essere, esserci, esistere prima
di qualcuno».
Quindi, tenendo presente il
modo ebraico e quotidiano d’esprimersi allora, si fa bene a non sopravvalutare
certe espressioni. La sostanza non sta in una presunta «teologia dell’io
sono», ma nelle cose espliciti, che Gesù affermò su di sé in connessione al
Padre, alla sua provenienza e al suo mandato.
3.
ASPETTI CONCLUSIVI: La frammentarietà delle cose espresse da Gesù
in questo capitolo, deriva dal contesto di accesa polemica con i Giudei e
viceversa. I Giudei ritenevano che Gesù fosse un esaltato (Gv 8,53), un
indemoniato (vv. 48.52), un bugiardo (v. 55) e bestemmiatore degno di morte (vv.
37.59). Dal canto suo, Gesù stesso apostrofò pesantemente i Giudei,
dicendo loro di non essere da Dio (v. 47) e chiamandoli addirittura «progenie
del diavolo», loro padre (v. 44). I Giudei non comprendevano il
parlare di Gesù (v. 43), la sua parola non
penetrava in loro (v. 37) e non capivano neppure che stava parlando di
Dio Padre (v. 27). A ciò si aggiunga che essi non gli credevano riguardo alla
sua pretesa di essere il Messia (vv. 45s), di essere provenuto da Dio (v. 14),
di non essere di questo mondo (v. 23), di agire in sintonia col Padre, che
l’aveva mandato (v. 16). Gesù rinfacciò loro di non conoscere né lui né
il Padre suo (v. 18). Egli li avvertì che, se non credevano che Egli fosse il
Messia promesso, sarebbero stati perduti (v. 24; cfr. v. 21). L’unica porta
aperta consisteva nel fatto che, dopo che i Giudei avrebbero crocifisso Gesù,
avrebbero riconosciuto che Egli era il Figlio dell’uomo, ossia il Messia, che
era venuto ad adempiere alla volontà del Padre (v. 28; cfr. At 2).
Il clima era quindi di intensa polemica; è probabile che i Giudei
insinuassero addirittura che Gesù fosse nato da fornicazione (cfr. vv. 19.41).
Per questo motivo, Gesù non poté fare un discorso lineare. Similmente si vedano
brani simili nell’Evangelo di Giovanni, come 12,12-50, dove i capi giudei lo
rifiutarono come Messia.
Ciò che Gesù disse in Giovanni 8 in modo polemico e frammentario, lo espose
Giovanni nel suo prologo (Gv 1) in modo lineare: Gesù era il logos rivelatore di Dio, Dio
presso Dio, creatore d’ogni cosa e sostenitore d’ogni vita (Gv 1,1ss), colui che
stava a tu per tu col Padre (v. 18) e che è diventato carne (v. 14). Egli è
diventato lo spartiacque fra coloro che lo rifiutarono come Messia (quelli di
casa sua) e coloro che lo accettano come la «vera
luce» e nascono da Dio (vv. 9-13). Egli è venuto con la grazia e la verità e ha
fatto l’esegesi autentica di Dio (vv. 17s). In Giovanni 1 l’autore portò la
sostanza di ciò che Gesù affermò nell’intero Evangelo, senza appellarsi a una
presunta «teologia dell’io sono». [►
E Dio era il Logos]
►
Una «teologia dell’io sono» nell’Evangelo di Giovanni? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Gv8_io-sono_Avv.htm
19-02-2012; Aggiornamento: 23-02-2012 |