Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Šabbât

 

3. Cultura biblica

Scrivi @ F. De Angelis

Spiegazione delle rubriche

 

 

Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PENA DI MORTE E BIBBIA

 

 di Fernando De Angelis

 

1. Introduzione

2. I peggiori sono gli USA?

3. Scorretto coinvolgimento della Bibbia

4. Gesù non si contrappone a Mosè

5. Gesù sta per tornare come giudice severissimo

6. Approfondimenti su Atti 15 e sulla teocrazia

 

Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.

   

1.  INTRODUZIONE: L’Italia ha recentemente avuto un grande successo internazionale nel farsi promotrice d’un voto dell’Assemblea Generale dell’ONU (dicembre 2007) che raccomanda la sospensione della pena di morte, in vista d’una sua totale abolizione. Questa azione del governo italiano è stata una delle poche che ha trovato l’unanime consenso di maggioranza e opposizione, segno che ha toccato qualcosa di profondamente radicato nel sentire della gente. L’Europa è stata maestra d’intolleranza (Inquisizione, Hitler, Stalin) e, come spesso succede, è proprio dove si è esagerato con un certo tipo d’azione che si sviluppa poi la reazione più forte. I movimenti di reazione, però, sono spesso squilibrati in un altro senso e allora non bisogna lasciarsi travolgere dalle ondate, ma ancorarsi a un principio d’oggettività.

     È vero che la barbarie umana cerca a volte di giustificarsi con motivazioni religiose, ma quelle motivazioni costituiscono pur sempre un limite, eliminato il quale non s’elimina la barbarie, che anzi diviene così senza freni (nazismo, comunismo, ex Jugoslavia, Africa Centrale). Nelle nazioni che a suo tempo adottarono la Riforma protestante ci s’orientò a non uccidere più le persone per motivi ideologico-religiosi. Chi volle rimanere cattolico venne in genere espulso (mondo scandinavo) o se ne limitarono i diritti civili (Inghilterra di Cromwell), fino ad arrivare alla piena libertà per tutti (Stati Uniti d’America). Questa regola ha certamente avuto le sue eccezioni (come l’uccisione di Michele Serveto, la persecuzione degli anabattisti e la cosiddetta «caccia alle streghe»), sulle quali sono in molti a tuffarcisi col microscopio per mettere così tutti sullo stesso piano e non cogliere la radice biblica d’un nuovo approccio che si è andato maturando.

     Insomma, fa certamente piacere se si vuole limitare la barbarie, ma se lo si fa corrodendo la cornice biblica si rischia di provocare alla fine un effetto contrario. La Bibbia infatti insegna che tutti gli uomini sono fratelli in Adamo (contrastando l’orrore delle «pulizie etniche») e che sono tutti immagine di Dio (Gn 1,26-27), perciò in qualche modo sacri. C’è da accogliere quindi con favore l’iniziativa contro la pena di morte, ma alcuni ne fanno un motivo per limitare ancor più l’influenza della Bibbia e allora è necessario fare qualche puntualizzazione.

   

2.  I PEGGIORI SONO GLI USA?: In Italia coloro che si sono battuti contro la pena di morte si sono mobilitati a intervalli di anni e solo prendendo lo spunto da qualche particolare caso in quel momento in corso negli Stati Uniti: come se le esecuzioni capitali non avvenissero continuamente e come se gli Stati Uniti rappresentassero il caso peggiore. La legislazione americana sulla pena di morte, invece, è oggettivamente molto diversa da quelle in vigore, per esempio, in Iran o in Cina. Infatti negli USA è riservata solo a chi ha commesso un omicidio volontario aggravato da un altro reato (per es. stupro o furto), mentre in Iran (e nei molti Paesi musulmani che hanno adottato la sharia) basta che un appartenente all’islam divenga cristiano per essere passibile di messa a morte; in Cina c’è la pena di morte anche per furto allo Stato. C’è poi da dire che le garanzie processuali degli altri Stati che praticano la pena di morte sono spesso quasi nulle, mentre gli standard processuali americani non sono certo inferiori a quelli dell’Italia. Insomma, essere contrari per principio alla pena di morte è un conto, concentrarsi a intermittenza e quasi esclusivamente sul caso meno grave fa venire il sospetto che, da parte di molti, ci siano altre motivazioni e altri obiettivi.

   

3.  SCORRETTO COINVOLGIMENTO DELLA BIBBIA: La questione che però più c’interessa e sulla quale vogliamo ora concentrarci, è che in questa battaglia è stata più o meno coinvolta la Bibbia (sia l’Antico Testamento che gli Evangeli) e ci sembra in modo non corretto.

     Il movimento contro la pena di morte si è dato il nome di Hands off Cain, tradotto in Nessuno tocchi Caino; come al solito il primo impulso è partito proprio dall’America, dove si cerca sempre una motivazione riconducibile alla Bibbia, nella quale è scritto che Dio protesse il primo omicida con un segno affinché non fosse oggetto di vendetta (Gn 4,15).

 

Nota redazionale: Per l’approfondimento del «segno su Caino» si veda: Nicola Martella, Esegesi delle origini, Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006): «La causa di Qajin con Dio [Gn] 4,13-15», pp. 311-318.

 

Purtroppo i discendenti di Caino hanno poi abusato di quella protezione, accentuando la loro smania d’uccidere (Gn 4,23-24) e l’umanità in generale ha poi abusato della pazienza di Dio, riempiendo di male un mondo che dovette essere ripulito col Diluvio (Gn 6,11-12). Proprio ai superstiti del Diluvio venne comandato d’arginare la volontà omicida degli uomini, introducendo la pena di morte per gli assassini. Da allora in poi, così, uomini imperfetti sono chiamati a emettere eventuali sentenze di morte verso altri uomini, in un sistema imperfetto che può generare certamente distorsioni, ma che l’umanità si è meritata per aver fatto cattivo uso del precedente sistema di tolleranza.

     Diviene allora evidente che appellarsi all’episodio di Caino è un abuso della Bibbia, perché non ci si può fermare a una fase ormai superata del suo insegnamento, ma è doveroso scorrerla fino in fondo (come si fa con le norme giuridiche, delle quali non è lecito ignorare gli aggiornamenti). Questa stessa accusa viene però rivolta agli Stati Uniti, i quali hanno ispirato la loro legislazione su quanto Dio prescrisse a Noè, mentre poi con Gesù le cose sarebbero cambiate. Cerchiamo perciò di riassumere in rapida sintesi gli sviluppi che nella Bibbia troviamo dopo Noè, cominciando con Mosè.

     Mosè fu scelto da Dio per realizzare uno Stato modello e la sua legislazione va vista in quell’ottica. La pena di morte non solo venne confermata, ma anche ampliata a diversi altri casi, come per esempio il sequestro di persona e la maledizione rivolta ai genitori (Es 21,16-17).

     Insomma, aumentando la perversità umana, aumenta anche l’applicazione della pena di morte; siccome dai tempi di Mosè a oggi non sembra ci sia stata nell’umanità una qualche «svolta di santità» (né si presume ci sarà negli ultimi tempi, cfr. 2 Tim 3,1-5; Ap 13,1-8), allora vien da pensare che è come per la pace: più si fanno proclami e meno ce n’è (Gr 6,14).

   

4.  GESÙ NON SI CONTRAPPONE A MOSÈ: Quasi tutti vedono l’opera di Gesù come spesso contrapposta a quella di Mosè, ma questa è una chiave di lettura palesemente superficiale, sia dell’Antico come del Nuovo Testamento, dovuta ai pregiudizi ideologici con i quali s’affronta la Parola di Dio. Approfondire questo tema ci farebbe deviare troppo, perciò lo riduciamo ai minimi termini, rinviando a chi vuole approfondire l’argomento a studi seri e qualificati che non mancano.

     Cominciamo col ricordare (è noto, ma poi non se ne tiene conto) che i primi cristiani erano tutti ebrei osservanti e nei primi anni non si poteva entrare nella Chiesa se non s’era o diveniva ebrei. Il primo non circonciso a entrare nella Chiesa fu Cornelio (ma siamo già al cap. 10 degli Atti) e per Dio non fu facile convincere Pietro a non tener più conto delle regole alimentari dettate da Mosè (At 10,9-16). Anche se fu concesso ai cristiani non ebrei di ridurre l’osservanza dell’ebraismo a un minimo di regole (At 15,19-20), i cristiani d’origine ebraica continuarono a essere «zelanti per la legge» (At 21,20) e non trovavano contraddizione fra l’Antico e il Nuovo Testamento, ma solo integrazione e sviluppo. Di più, l’accettazione d’adoratori stranieri (non circoncisi) del vero Dio non fu fatta evitando d’applicare la legge di Mosè, perché proprio Mosè contempla tale categoria di credenti, ai quali non veniva imposto d’osservare tutta la legge, ma solo alcune regole essenziali, fra le quali quella di non mangiar sangue (Lv 17,12), richiamata in At 15,20; gli stranieri, per Mosè, erano comunque liberi di farsi circoncidere o restare non circoncisi (Es 12,48).

     È noto che Gesù ha mandato gli apostoli in tutto il mondo, ma all’inizio limitò il loro impegno (e anche il suo) ai soli ebrei (Mt 10,6; 15,24), interagendo solo occasionalmente con non ebrei. L’Evangelo, insomma, racconta vicende e dialoghi tutti interni all’ebraismo e se non s’acquisiscono «orecchie ebraiche» si rischia di distorcere molti insegnamenti di Gesù. Chi contrappone Gesù a Mosè s’appella spesso a Mt 5,21ss («Voi avete udito che fu detto… ma io vi dico»), ma lì Gesù si contrappone non a Mosè, ma a come i Farisei ne avevano distorto l’insegnamento; contrastando ciò che avevano udito su Mosè, non ciò che si poteva leggere nella legge. Gesù contestò l’interpretazione della norma senza abolirla, anzi semmai rafforzandola.

     Per l’argomento che c’interessa è però Gv 8,1-11 che viene citato più speso: con quell’episodio, si dice, Gesù annulla la lapidazione dell’adultera imposta da Mosè, sostituendola con la sua misericordia. In quel caso, però, Gesù non dice che abolisce quella disposizione ma, come ogni buon giudice, ne verifica l’applicabilità al caso concreto. Prima d’addentrarci nell’episodio, però, è bene chiarire certi schemi generali con i quali Gesù si rapporta alla legge di Mosè.

     I Farisei accusarono Gesù di violare il sabato. Dopo la sua morte, però, il comportamento delle cosiddette «pie donne» che avevano accompagnato Gesù durante il suo ministero, faceva capire tutt’altro; infatti esse si imposero l’osservanza sabbatica, nonostante desiderassero ardentemente d’andare quanto prima alla tomba, per manifestare tra l’altro un grande amore proprio per Gesù (Lc 23,56). Gesù si dichiarò «Signore del sabato» (Mt 12,8) non perché lo tenesse in poco conto, ma perché trovava nella legge stessa che i Farisei ne facevano un’applicazione distorta. La legge indicava una «gerarchia di valori» (Mt 12,3-5) e l’applicazione della legge a un singolo caso non poteva essere fatta in modo «meccanico», ma era sempre un’operazione complessa, che doveva integrare e far interagire diversi fattori (Mt 12,9-13).

     Nel caso della donna adultera (Gv 8,1-11), c’era una chiara malafede da parte degli accusatori (v. 6) che, pur avendola colta sul fatto (perciò con un uomo), colpevolizzarono solo la donna e lasciando che il corresponsabile maschile si dileguasse. Gesù non abolì la norma di Mosè, ma addirittura li sfidò a procedere nella sua applicazione, che fu sospesa perché gli accusatori si ritirarono: probabilmente perché avrebbero meritato anche loro la stessa pena (forse erano amici dell’adultero e abituati all’adulterio, o responsabili d’altri reati previsti dalla legge di Mosè).

     Bisogna però riconoscere che un contrasto fa Mosè e Gesù esiste, perché l’obiettivo di Mosè era di santificare uno Stato, mentre Gesù riparte dall’individuo («Se uno vuol venire dietro a me», Mt 16,24). Il contrasto è però solo temporaneo perché al ritorno di Gesù, quando instaurerà il suo regno, non sarà certo più tenero di Mosè (Lc 19,27; Ap 6,12-17). Gesù per ora non ha assunto responsabilità politiche dirette, lasciando il potere nelle mani di Pilato, cioè alle autorità civili; questo perché gli uomini non lo hanno accettato come re e hanno preferito sottomettersi a Pilato (salvo poi lamentarsene). Sia Gesù che Paolo, paradossalmente, legittimano quelle autorità romane che finiranno per ucciderli, ma che comunque consentiranno l’espandersi dell’Evangelo. Ancora oggi siamo sotto autorità politiche più o meno malvagie ma necessarie, alle quali dobbiamo rispetto fino al ritorno di Gesù. Nell’Evangelo, perciò, la pena di morte non è né confermata né smentita, ma lasciata alla competenza d’autorità politiche che sono «ministri di Dio» e ai quali spetta la responsabilità d’usare correttamente la spada (Rom 13,4).

     L’incentrarsi del cristianesimo sull’individuo ci fa riaprire una parentesi sugli Stati Uniti, dove la legislazione sulla pena di morte trova larghi consensi in ambedue gli schieramenti politici e anche fra i cattolici. Gli Stati Uniti si fondano sulla massima libertà e responsabilità degli individui, così la pena di morte diventa come l’altra faccia della libertà. Insomma, è una regola del gioco opinabile, ma lì è stata stabilita democraticamente e, in alcuni Stati, democraticamente abrogata. Quando un popolo si sceglie le proprie «regole del gioco» non è come quando qualche dittatore cerca di mantenersi al potere col terrore: perché si cerca spesso di mettere le due cose sullo stesso piano?

 

Nota redazionale: Riguardo al valore della Legge mosaica per i cristiani, rimando a questo articolo: Nicola Martella, «La questione della legge», Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999), pp. 51-56. Per individuare che cosa sia «biblico» rimando a: Nicola Martella (a cura di), «Il bianco, il nero e il grigio», Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), pp. 81-92.

 

 

5.  GESÙ STA PER TORNARE COME GIUDICE SEVERISSIMO: Se in Italia si svolgesse un referendum sulla pena di morte, voterei un no senza dubbi, perché non ci sono le condizioni per l’applicazione d’una norma di così grande responsabilità. Il punto perciò non è l’essere a favore o contro, ma fare attenzione ai motivi della propria scelta. Alcuni cristiani non si sono allontanati molto da quella diffusa immagine di Gesù con i lunghi capelli biondi, lo sguardo dolce e il «sacro cuore» sulle mani (il famoso «Signore delle signore»); perché è difficile prendere atto che ora Gesù ha tutt’altro aspetto e che le sue parole sono come spade (Ap 1,16). Si capisce come sia difficile accettare un Gesù che s’appresta a operare come un giudice implacabile, ma se non ci prepariamo finché c’è tempo, cosa faremo quando comincerà ad aprire i «sette sigilli» e a distruggere la Terra? (Ap 6).

     Dio sul monte Sinai si mostrò fra tuoni e fulmini, spaventando grandemente gli ebrei (Es 19,16). Il fatto che Gesù si sia presentato invece come Agnello e si sia fatto crocifiggere non ci deve trarre in inganno (Eb 12,18-29), perché sarà proprio quell’Agnello con i segni del suo sacrificio (Ap 5,6) a tornare e a non farsi crocifiggere nuovamente. Al suo ritorno Gesù amerà il mondo in un altro modo, cioè inaugurando finalmente il suo regno, atteso perfino dalla creazione (Rom 8,22-23). Nell’Evangelo Gesù invita i suoi a porgere l’altra guancia e ad andare «come pecore in mezzo ai lupi» (Mt 10,16). Al suo ritorno invece non solo verrà nella sua potenza e reggerà le nazioni «con verga di ferro» (Ap 12,5; 19,11-15), ma lo farà anche per mezzo di quei cristiani che hanno vinto la battaglia della fedeltà e della costanza: «A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio» (Ap 2,26-27): ci stiamo preparando per quel compito?

     Se consideriamo la severità di Dio come una negazione del suo amore, possiamo cader preda del «circolo vizioso» tipico dei ribelli (Ap 9,20; 16,8-9). La severità di Dio deve invece spingerci a ricercarne l’amore e l’averne accolto l’amore deve spingerci alla santità, in un «circolo virtuoso» che ci fa crescere nello spirito. È un lavoro impegnativo, ma spesso a poco prezzo si trova solo ciò che non vale niente.

   

6.  APPROFONDIMENTI SU ATTI 15 E SULLA TEOCRAZIA: Ringrazio Nicola Martella per avermi suggerito d’approfondire quanto scritto sulle decisioni del cosiddetto «Concilio di Gerusalemme» (At 15) e sul fatto che nel Nuovo Testamento non c’è più la «teocrazia» presente nell’Antico, dove Dio regolava non solo le questioni più strettamente religiose, ma anche quelle civili, economiche e politiche (cfr. Levitico).

 

6.1.  ATTI 15, UN CAMBIAMENTO NELLA CONTINUITÀ: Nel discorso di Giacomo, riportato in Atti 15, c’è una prima parte che si capisce facilmente e una seconda (la evidenziamo in maiuscoletto) che spesso resta oscura. Giacomo, dopo aver individuato nell’Antico Testamento la base della decisione da prendere, disse: «Perciò io ritengo che non si debba turbare i Gentili che si convertono a Dio; ma che si scriva loro d’astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati, e dal sangue. Perché Mosè fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo predica nelle sinagoghe dove viene letto ogni sabato» (vv. 19-21). Quel «perché» che introduce l’ultima parte è come se volesse giustificare quanto detto prima. Insomma, i Gentili sono dispensati dall’osservanza completa della legge di Mosè, ma l’insegnamento di quella legge non è in pericolo, rassicura Giacomo, perché è molto antico e si manterrà nelle sinagoghe ebraiche.

     Atti 15 è collocato in circostanze di luogo e di tempo (come è quasi sempre nella Scrittura), perciò bisogna far attenzione nel ricavarne una regola assoluta. Già a Roma, per esempio, vediamo che il quadro è in parte cambiato, perché non c’è più una comunità ebraica che si sente forte e in grado d’integrare i Gentili, ma si è in presenza di due tipi di comunità fra le quali si manifestano problemi d’accettazione reciproca (Rm 14). Nell’Epistola ai Galati viene descritto il pericolo d’una prevaricazione dei cristiani ebrei sui cristiani gentili (p.es. Gal 5,1-12); a Roma c’è invece anche il pericolo inverso e l’apostolo Paolo è costretto ad arginare alcuni atteggiamenti che vanno emergendo e che sono pericolosi, cioè il disprezzo e l’orgoglio dei cristiani gentili verso i cristiani ebrei: «Tu [Gentile], che sei olivo selvatico […] non insuperbirti contro i rami [Ebrei]»; «Colui che mangia di tutto [Gentile] non disprezzi colui che non mangia di tutto [Ebreo]» (Rm 11,17; 14,3).

     Con la conversione in massa dei Gentili e con la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.), non solo i Gentili hanno preso una netta prevalenza, ma le chiese d’impronta ebraica sono gradatamente addirittura scomparse. Nel Nuovo Testamento siamo ancora in una fase d’equilibrio, con un’unità di fede composta da due modi diversi di viverla (Ef 2,14-18): i Gentili erano sostanzialmente dispensati dall’osservanza della legge di Mosè (At 15), mentre gli Ebrei continuavano a essere «zelanti per la legge» (At 21,20), vedendo in essa delle buone norme date da Dio per il benessere della loro società e considerando i vari sacrifici come anticipazioni e simboli del loro Signore Gesù. In seguito, però, l’orgoglio dei Gentili non trovò più argine e s’arrivò al punto che, al tempo di Hitler, un documento ufficiale delle chiese tedesche negò agli ebrei non solo la possibilità di convertirsi, ma anche la validità delle conversioni e dei battesimi già avvenuti da tempo!

     Il riemergere dello Stato d’Israele (1948) e la diffusione delle Chiese messianiche (cioè di Chiese con la prevalenza d’Ebrei che riconoscono in Gesù il Messia) sta mettendo sempre più a nudo il peccato d’orgoglio dei Gentili e la vergogna d’aver contrapposto il Nuovo Testamento all’Antico. Le incrostazioni prodotte da millenni d’arroganza non sono facili da eliminare, ma costituiscono un guscio che ostacola la crescita e dal quale è necessario sbarazzarsi il più presto possibile.

     Atti 15, insomma, va analizzato col presupposto che le differenze fra Antico e Nuovo Testamento non sono contrapposizioni, ma realizzano uno sviluppo e una complementarietà. Nella legge di Mosè e nella prassi delle sinagoghe era prevista la presenza di non circoncisi che in qualche misura adoravano il Dio d’Israele; perciò Atti 15, più che rappresentare una rottura, è una codificazione e un ampliamento di ciò che già c’era. Applichiamo ora questi schemi alla questione della teocrazia.

 

6.2.  TEOCRAZIA: SEMPRE UN PO’, MAI COMPLETA: Dire che nell’Antico Testamento c’era la teocrazia (cioè il governo di Dio su tutti gli aspetti della società) mentre nel Nuovo la teocrazia non c’è più, è una semplificazione fuorviante; perché tutta la vicenda biblica (a partire da Genesi 4) oscilla fra un regno di Dio mai pienamente raggiunto (non c’è quindi mai stata una piena teocrazia) e una signoria di Dio su tutto il mondo alla quale Dio non ha mai rinunciato (c’è sempre e ovunque stata, perciò, un minimo di teocrazia).

     L’Antico Testamento, poi, non è un blocco unitario e ai tempi d’Abramo non c’era una teocrazia uguale a quella del tempo di Mosè. Così come la teocrazia di Mosè s’era fortemente ridotta al tempo della deportazione a Babilonia (Gr 27,11; 29,1-7), dove i credenti erano sottoposti a un’autorità politica pagana (come succederà col Nuovo Testamento, che in questo non è una novità assoluta, come non è una novità assoluta su quasi tutto).

     Dopo aver fatto una rapida sintesi, riprendiamo ora il tema cercando d’individuare una linea di continuità da Mosè a Paolo: non è d’altronde scritto che «Gesù è lo stesso Cristo ieri, oggi e in eterno»? (Eb 13,8).

     Nella Genesi è chiarissima la sovranità di Dio su un intero mondo che ha lui stesso creato e Mosè non negò questa sovranità generale di Dio. Proprio all’inizio del Deuteronomio ne troviamo un’applicazione: «Ho dato il monte Seir a Esaù come sua proprietà»; «Ho dato Ar ai figli di Lot» (Dt 2, 5.9). Più avanti Mosè sarà ancora più esplicito: «Il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei Signori, il Dio grande, forte e tremendo […] che ama lo straniero e gli dà pane e vestito» (Dt 10,17-18).

     Purtroppo circola la falsa concezione che il Dio d’Israele fosse un Dio tribale, mentre tutto l’Antico Testamento ne attesta l’universalità: accenniamo solo ad alcune motivazioni. L’Antico Testamento è universale, per esempio, perché comincia nel modo più universale possibile (primi 11 capitoli della Genesi); perché gli stranieri potevano stare in Israele come tali (Es 22,21; Nu 15,15); perché tutti potevano diventare Ebrei facendosi circoncidere (Es 12,48); perché i profeti esercitavano la loro autorità anche fuori da Israele (2 Re 8,7-15; Ez 35; Gna 1,1-2); perché il tempio di Salomone era concepito come una casa di preghiera per tutti i popoli (2 Cr 6,32-33); perché le leggi date a Israele avevano una funzione universale (i popoli, udendo parlare delle leggi date per mezzo di Mosè, avrebbero detto: «Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!»; Dt 4,6).

     Quando Geremia invitò gli Ebrei a sottomettersi al re di Babilonia (Gr 38,2-3) non li invitò a passare dalla signoria di Dio alla signoria d’un re pagano, ma da una signoria di Dio speciale a una signoria di Dio più generale. Dice infatti Dio: «Io ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e col mio braccio steso; e do la terra a chi mi par bene. E ora do tutti questi paesi in mano di Nebukadnezar, re di Babilonia, mio servitore» (Gr 27,5-6). Il libro di Daniele chiarisce molto bene come Nebukadnezar, volente o nolente, portò avanti un piano di Dio per il popolo d’Israele e per il mondo: che principalmente fu quello di dare libertà all’ebraismo, consentendogli di diffondersi in tutto l’impero (Dan 3,28-29; 4,34-37).

     L’apostolo Paolo si mosse perciò nel solco di Geremia e di Daniele, quando ammonì i cristiani che, pur essendo in speranza cittadini del cielo, erano ancora anche cittadini di questo mondo e devono sottomettersi alle autorità «che esistono», cioè quelle pagane, perché anche quelle sono «ministri di Dio» (vedere anche l’articolo «I regni li assegna Dio o il diavolo?»).

     La teocrazia speciale per il popolo ebreo si fondava sulla legge di Mosè, non è un caso allora che Paolo, proprio nell’Epistola ai Romani, introduca subito la base giuridica per la teocrazia generale alla quale è sottoposto tutto il mondo, basata sulla rivelazione insita nella natura (Rm 1,20) e su quella della coscienza (Rm 1,15).

 

Nota redazionale: Per aspetti complementari e di approfondimento rimandiamo all’articolo «Teocrazia». Si veda anche l’articolo «Regno di Dio».

 

6.3.  CONCLUSIONE: Come si può vivere da cristiani se non si percepisce che anche oggi Dio «domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole»? (Dn 4,32). L’Apocalisse ha proprio la specifica funzione di rassicurarci che è Gesù, sebbene a suo modo, a essere ancora «il principe dei re della terra» (Ap 1,5).

     Concludiamo riprendendo un episodio al quale abbiamo solo accennato, ma che è molto significativo per il tema trattato: quello riguardante Anania e Saffira (At 5,1-11). Lì si vede che Pietro non venne scandalizzato dalla condanna a morte inflitta da Dio a Anania e rivolse poi alla moglie parole dure, pur sapendo che Dio le avrebbe trasformate in una spada che avrebbe giustiziato anche Saffira (vv. 9-10). La Chiesa di quel tempo venne presa da gran timore, ma non si disorientò; acquistò così una grande credibilità e Dio gli diede una straordinaria potenza evangelistica e miracolosa: «E sempre di più s’aggiungevano uomini e donne in gran numero […] La folla accorreva dalle città vicine a Gerusalemme […] e tutti erano guariti» (vv. 14-16).

     L’Evangelo assomiglia a una bevanda salutare, ma robusta. A volte sembra essersi ridotto a un vinello, se non addirittura a un’aranciata, ed è evidente come la mentalità moderna sopporti sempre meno la santità di Dio. Credo comunque che anche Dio sopporti sempre meno certe mollezze di noi cristiani.

 

Nota redazionale: Per l'approfondimento e per la discussione di alcune tesi presenti in questo articolo, rimandiamo ai seguenti articoli e temi di discussione:

La pena di morte {Nicola Martella} (D)

La pena di morte? Parliamone {Nicola Martella} (T)

Pena di morte e nuovo patto {Nicola Martella} (D)

Pena di morte e nuovo patto? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/312-Pena_di_morte_Sh.htm

14-02-2008; Aggiornamento: 15-02-2008

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce