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1.
Introduzione
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2.
I peggiori sono gli USA?
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3.
Scorretto coinvolgimento della Bibbia
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4.
Gesù non si contrappone a Mosè
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5.
Gesù sta per tornare come giudice severissimo
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6.
Approfondimenti su Atti 15 e sulla teocrazia
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1.
INTRODUZIONE:
L’Italia ha recentemente avuto un grande successo internazionale nel
farsi promotrice d’un voto dell’Assemblea Generale dell’ONU (dicembre 2007) che
raccomanda la sospensione della pena di morte, in vista d’una sua totale
abolizione. Questa azione del governo italiano è stata una delle poche che ha
trovato l’unanime consenso di maggioranza e opposizione, segno che ha toccato
qualcosa di profondamente radicato nel sentire della gente. L’Europa è stata
maestra d’intolleranza (Inquisizione, Hitler, Stalin) e, come spesso succede, è
proprio dove si è esagerato con un certo tipo d’azione che si sviluppa poi la
reazione più forte. I movimenti di reazione, però, sono spesso squilibrati in un
altro senso e allora non bisogna lasciarsi travolgere dalle ondate, ma ancorarsi
a un principio d’oggettività.
È vero che la barbarie umana cerca a volte di giustificarsi con motivazioni
religiose, ma quelle motivazioni costituiscono pur sempre un limite, eliminato
il quale non s’elimina la barbarie, che anzi diviene così senza freni (nazismo,
comunismo, ex Jugoslavia, Africa Centrale). Nelle nazioni che a suo tempo
adottarono la Riforma protestante ci s’orientò a non uccidere più le persone per
motivi ideologico-religiosi. Chi volle rimanere cattolico venne in genere
espulso (mondo scandinavo) o se ne limitarono i diritti civili (Inghilterra di
Cromwell), fino ad arrivare alla piena libertà per tutti (Stati Uniti
d’America). Questa regola ha certamente avuto le sue eccezioni (come l’uccisione
di Michele Serveto, la persecuzione degli anabattisti e la cosiddetta «caccia
alle streghe»), sulle quali sono in molti a tuffarcisi col microscopio per
mettere così tutti sullo stesso piano e non cogliere la radice biblica d’un
nuovo approccio che si è andato maturando.
Insomma, fa certamente piacere se si vuole limitare la barbarie, ma se lo si fa
corrodendo la cornice biblica si rischia di provocare alla fine un effetto
contrario. La Bibbia infatti insegna che
tutti
gli uomini sono fratelli in Adamo (contrastando l’orrore delle «pulizie
etniche») e che sono tutti immagine
di Dio (Gn 1,26-27), perciò in qualche modo sacri. C’è da accogliere quindi con
favore l’iniziativa contro la pena di morte, ma alcuni ne fanno un motivo per
limitare ancor più l’influenza della Bibbia e allora è necessario fare qualche
puntualizzazione.
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2.
I PEGGIORI SONO GLI
USA?: In
Italia coloro che si sono battuti contro la pena di morte si sono mobilitati a
intervalli di anni e solo prendendo lo spunto da qualche particolare caso in
quel momento in corso negli Stati Uniti: come se le esecuzioni capitali non
avvenissero continuamente e come se gli Stati Uniti rappresentassero il caso
peggiore. La legislazione americana sulla pena di morte, invece, è
oggettivamente molto diversa da quelle in vigore, per esempio, in Iran o in
Cina. Infatti negli USA è riservata solo a chi ha commesso un omicidio
volontario aggravato da un altro reato (per es. stupro o furto), mentre in Iran
(e nei molti Paesi musulmani che hanno adottato la sharia) basta che un
appartenente all’islam divenga cristiano per essere passibile di messa a morte;
in Cina c’è la pena di morte anche per furto allo Stato. C’è poi da dire che le
garanzie processuali degli altri Stati che praticano la pena di morte sono
spesso quasi nulle, mentre gli standard processuali americani non sono certo
inferiori a quelli dell’Italia. Insomma, essere contrari per principio alla pena
di morte è un conto, concentrarsi a intermittenza e quasi esclusivamente sul
caso meno grave fa venire il sospetto che, da parte di molti, ci siano altre
motivazioni e altri obiettivi.
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3.
SCORRETTO
COINVOLGIMENTO DELLA BIBBIA:
La questione che però più c’interessa e sulla quale vogliamo ora
concentrarci, è che in questa battaglia è stata più o meno coinvolta la Bibbia
(sia l’Antico Testamento che gli Evangeli) e ci sembra in modo non corretto.
Il movimento contro la pena di morte si è dato il nome di Hands off Cain,
tradotto in
Nessuno tocchi Caino; come al solito il primo impulso è partito proprio
dall’America, dove si cerca sempre una motivazione riconducibile alla Bibbia,
nella quale è scritto che Dio protesse il primo omicida con un segno affinché
non fosse oggetto di vendetta (Gn 4,15).
Nota redazionale: Per l’approfondimento del «segno su Caino» si veda: Nicola Martella,
Esegesi delle origini,
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006): «La causa di Qajin con Dio [Gn]
4,13-15», pp. 311-318. |
Purtroppo i
discendenti di Caino hanno poi abusato di quella protezione, accentuando la loro
smania d’uccidere (Gn 4,23-24) e l’umanità in generale ha poi abusato della
pazienza di Dio, riempiendo di male un mondo che dovette essere ripulito col
Diluvio (Gn 6,11-12). Proprio ai superstiti del Diluvio venne comandato
d’arginare la volontà omicida degli uomini, introducendo la pena di morte per
gli assassini. Da allora in poi, così, uomini imperfetti sono chiamati a
emettere eventuali sentenze di morte verso altri uomini, in un sistema
imperfetto che può generare certamente distorsioni, ma che l’umanità si è
meritata per aver fatto cattivo uso del precedente sistema di tolleranza.
Diviene allora evidente che appellarsi all’episodio di Caino è un abuso della
Bibbia, perché non ci si può fermare a una fase ormai superata del suo
insegnamento, ma è doveroso scorrerla fino in fondo (come si fa con le norme
giuridiche, delle quali non è lecito ignorare gli aggiornamenti). Questa stessa
accusa viene però rivolta agli Stati Uniti, i quali hanno ispirato la loro
legislazione su quanto Dio prescrisse a Noè, mentre poi con Gesù le cose
sarebbero cambiate. Cerchiamo perciò di riassumere in rapida sintesi gli
sviluppi che nella Bibbia troviamo dopo Noè, cominciando con Mosè.
Mosè fu scelto da Dio per realizzare uno Stato modello e la sua legislazione va
vista in quell’ottica. La pena di morte non solo venne confermata, ma anche
ampliata a diversi altri casi, come per esempio il sequestro di persona e la
maledizione rivolta ai genitori (Es 21,16-17).
Insomma, aumentando la perversità umana, aumenta anche l’applicazione della pena
di morte; siccome dai tempi di Mosè a oggi non sembra ci sia stata nell’umanità
una qualche «svolta di santità» (né si presume ci sarà negli ultimi tempi, cfr.
2 Tim 3,1-5; Ap 13,1-8), allora vien da pensare che è come per la pace: più si
fanno proclami e meno ce n’è (Gr 6,14).
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4.
GESÙ NON SI
CONTRAPPONE A MOSÈ:
Quasi tutti vedono l’opera di Gesù come spesso contrapposta a quella di
Mosè, ma questa è una chiave di lettura palesemente superficiale, sia
dell’Antico come del Nuovo Testamento, dovuta ai pregiudizi ideologici con i
quali s’affronta la Parola di Dio. Approfondire questo tema ci farebbe deviare
troppo, perciò lo riduciamo ai minimi termini, rinviando a chi vuole
approfondire l’argomento a studi seri e qualificati che non mancano.
Cominciamo col ricordare (è noto, ma poi non se ne tiene conto) che i primi
cristiani erano
tutti ebrei osservanti e nei primi anni non si poteva entrare
nella Chiesa se non s’era o diveniva ebrei. Il primo non circonciso a entrare
nella Chiesa fu Cornelio (ma siamo già al cap. 10 degli Atti) e per Dio non fu
facile convincere Pietro a non tener più conto delle regole alimentari dettate
da Mosè (At 10,9-16). Anche se fu concesso ai cristiani non ebrei di
ridurre l’osservanza dell’ebraismo a un minimo di regole (At 15,19-20), i
cristiani d’origine ebraica continuarono a essere «zelanti per la legge»
(At 21,20) e non trovavano contraddizione fra l’Antico e il Nuovo Testamento, ma
solo integrazione e sviluppo. Di più, l’accettazione d’adoratori stranieri (non
circoncisi) del vero Dio non fu fatta evitando d’applicare la legge di
Mosè, perché proprio Mosè contempla tale categoria di credenti, ai quali non
veniva imposto d’osservare tutta la legge, ma solo alcune regole essenziali, fra
le quali quella di non mangiar sangue (Lv 17,12), richiamata in At 15,20; gli
stranieri, per Mosè, erano comunque liberi di farsi circoncidere o restare non
circoncisi (Es 12,48).
È noto che Gesù ha mandato gli apostoli in tutto il mondo, ma all’inizio limitò
il loro impegno (e anche il suo) ai soli ebrei (Mt 10,6; 15,24), interagendo
solo occasionalmente con non ebrei. L’Evangelo, insomma, racconta vicende e
dialoghi tutti interni all’ebraismo e se non s’acquisiscono «orecchie
ebraiche» si rischia di distorcere molti insegnamenti di Gesù. Chi contrappone
Gesù a Mosè s’appella spesso a Mt 5,21ss («Voi avete udito che fu detto… ma
io vi dico»), ma lì Gesù si contrappone non a Mosè, ma a come i Farisei ne
avevano distorto l’insegnamento; contrastando ciò che avevano udito su
Mosè, non ciò che si poteva leggere nella legge. Gesù contestò
l’interpretazione
della norma senza abolirla, anzi semmai rafforzandola.
Per l’argomento che c’interessa è però Gv 8,1-11 che viene citato più speso: con
quell’episodio, si dice, Gesù annulla la lapidazione dell’adultera
imposta da Mosè, sostituendola con la sua misericordia. In quel caso,
però, Gesù non dice che abolisce quella disposizione ma, come ogni buon giudice,
ne verifica l’applicabilità al caso concreto. Prima d’addentrarci nell’episodio,
però, è bene chiarire certi schemi generali con i quali Gesù si rapporta alla
legge di Mosè.
I Farisei accusarono Gesù di violare il sabato. Dopo la sua morte, però, il
comportamento delle cosiddette «pie donne» che avevano accompagnato Gesù durante
il suo ministero, faceva capire tutt’altro; infatti esse si imposero
l’osservanza sabbatica, nonostante desiderassero ardentemente d’andare quanto
prima alla tomba, per manifestare tra l’altro un grande amore proprio per Gesù
(Lc 23,56). Gesù si dichiarò «Signore del sabato» (Mt 12,8) non perché lo
tenesse in poco conto, ma perché trovava nella legge stessa che i Farisei ne
facevano un’applicazione distorta. La legge indicava una «gerarchia di valori»
(Mt 12,3-5) e l’applicazione della legge a un singolo caso non poteva essere
fatta in modo «meccanico», ma era sempre un’operazione complessa, che doveva
integrare e far interagire diversi fattori (Mt 12,9-13).
Nel caso della donna adultera (Gv 8,1-11), c’era una chiara malafede da parte
degli accusatori (v. 6) che, pur avendola colta sul fatto (perciò con un uomo),
colpevolizzarono solo la donna e lasciando che il corresponsabile maschile si
dileguasse. Gesù non abolì la norma di Mosè, ma addirittura li sfidò a procedere
nella sua applicazione, che fu sospesa perché gli accusatori si ritirarono:
probabilmente perché avrebbero meritato anche loro la stessa pena (forse erano
amici dell’adultero e abituati all’adulterio, o responsabili d’altri reati
previsti dalla legge di Mosè).
Bisogna però riconoscere che un contrasto fa Mosè e Gesù esiste, perché
l’obiettivo di Mosè era di santificare uno Stato, mentre Gesù riparte
dall’individuo («Se
uno vuol venire dietro a me»,
Mt 16,24). Il contrasto è però solo temporaneo perché al ritorno di Gesù, quando
instaurerà il suo regno, non sarà certo più tenero di Mosè (Lc 19,27; Ap
6,12-17). Gesù per ora non ha assunto responsabilità politiche dirette,
lasciando il potere nelle mani di Pilato, cioè alle autorità civili; questo
perché gli uomini non lo hanno accettato come re e hanno preferito sottomettersi
a Pilato (salvo poi lamentarsene). Sia Gesù che Paolo, paradossalmente,
legittimano quelle autorità romane che finiranno per ucciderli, ma che comunque
consentiranno l’espandersi dell’Evangelo. Ancora oggi siamo sotto autorità
politiche più o meno malvagie ma necessarie, alle quali dobbiamo rispetto fino
al ritorno di Gesù. Nell’Evangelo, perciò, la pena di morte non è né confermata
né smentita, ma lasciata alla competenza d’autorità politiche che sono «ministri
di Dio» e ai quali spetta la responsabilità d’usare correttamente la spada (Rom
13,4).
L’incentrarsi del cristianesimo sull’individuo ci fa riaprire una parentesi
sugli Stati Uniti, dove la legislazione sulla pena di morte trova larghi
consensi in ambedue gli schieramenti politici e anche fra i cattolici. Gli Stati
Uniti si fondano sulla massima libertà e responsabilità degli individui, così la
pena di morte diventa come l’altra faccia della libertà. Insomma, è una regola
del gioco opinabile, ma lì è stata stabilita democraticamente e, in alcuni
Stati, democraticamente abrogata. Quando un popolo si sceglie le proprie «regole
del gioco» non è come quando qualche dittatore cerca di mantenersi al potere col
terrore: perché si cerca spesso di mettere le due cose sullo stesso piano?
Nota redazionale: Riguardo al valore della Legge mosaica per i cristiani, rimando a
questo articolo: Nicola Martella, «La questione della legge»,
Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999), pp. 51-56. Per individuare che cosa sia «biblico»
rimando a: Nicola Martella (a cura di), «Il bianco, il nero e il grigio»,
Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), pp. 81-92. |
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5.
GESÙ STA PER TORNARE
COME GIUDICE SEVERISSIMO: Se in Italia si svolgesse un referendum sulla pena di morte,
voterei un no senza dubbi, perché non ci sono le condizioni per l’applicazione
d’una norma di così grande responsabilità. Il punto perciò non è l’essere a
favore o contro, ma fare attenzione ai motivi della propria scelta. Alcuni
cristiani non si sono allontanati molto da quella diffusa immagine di Gesù con i
lunghi capelli biondi, lo sguardo dolce e il «sacro cuore» sulle mani (il famoso
«Signore delle signore»); perché è difficile prendere atto che ora Gesù ha
tutt’altro aspetto e che le sue parole sono come spade (Ap 1,16). Si capisce
come sia difficile accettare un Gesù che s’appresta a operare come un giudice
implacabile, ma se non ci prepariamo finché c’è tempo, cosa faremo quando
comincerà ad aprire i «sette sigilli» e a distruggere la Terra? (Ap 6).
Dio sul monte Sinai si mostrò fra tuoni e fulmini, spaventando grandemente gli
ebrei (Es 19,16). Il fatto che Gesù si sia presentato invece come Agnello e si
sia fatto crocifiggere non ci deve trarre in inganno (Eb 12,18-29), perché sarà
proprio quell’Agnello con i segni del suo sacrificio (Ap 5,6) a tornare e a non
farsi crocifiggere nuovamente. Al suo ritorno Gesù amerà il mondo in un altro
modo, cioè inaugurando finalmente il suo regno, atteso perfino dalla creazione
(Rom 8,22-23). Nell’Evangelo Gesù invita i suoi a porgere l’altra guancia e ad
andare «come pecore in mezzo ai lupi» (Mt 10,16). Al suo ritorno invece
non solo verrà nella sua potenza e reggerà le nazioni «con verga di ferro»
(Ap 12,5; 19,11-15), ma lo farà anche per mezzo di quei cristiani che hanno
vinto la battaglia della fedeltà e della costanza: «A chi vince e persevera
nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà
con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho
ricevuto potere dal Padre mio» (Ap 2,26-27): ci stiamo preparando per quel
compito?
Se consideriamo la severità di Dio come una negazione del suo amore, possiamo
cader preda del «circolo vizioso» tipico dei ribelli (Ap 9,20; 16,8-9). La
severità di Dio deve invece spingerci a ricercarne l’amore e l’averne accolto
l’amore deve spingerci alla santità, in un «circolo virtuoso» che ci fa crescere
nello spirito. È un lavoro impegnativo, ma spesso a poco prezzo si trova solo
ciò che non vale niente.
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6.
APPROFONDIMENTI SU
ATTI 15 E SULLA TEOCRAZIA:
Ringrazio Nicola Martella per avermi suggerito d’approfondire quanto
scritto sulle decisioni del cosiddetto «Concilio di Gerusalemme» (At 15) e sul
fatto che nel Nuovo Testamento non c’è più la «teocrazia» presente nell’Antico,
dove Dio regolava non solo le questioni più strettamente religiose, ma anche
quelle civili, economiche e politiche (cfr. Levitico).
6.1. ATTI 15,
UN CAMBIAMENTO NELLA CONTINUITÀ: Nel discorso di Giacomo, riportato in Atti 15,
c’è una prima parte che si capisce facilmente e una seconda (la evidenziamo in
maiuscoletto) che spesso resta oscura. Giacomo, dopo aver individuato
nell’Antico Testamento la base della decisione da prendere, disse: «Perciò io
ritengo che non si debba turbare i Gentili che si convertono a Dio; ma che si
scriva loro d’astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agli idoli, dalla
fornicazione, dagli animali soffocati, e dal sangue.
Perché Mosè fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo
predica nelle sinagoghe dove viene letto ogni sabato» (vv. 19-21).
Quel «perché» che introduce l’ultima parte è come se volesse giustificare
quanto detto prima. Insomma, i Gentili sono dispensati dall’osservanza completa
della legge di Mosè, ma l’insegnamento di quella legge non è in pericolo,
rassicura Giacomo, perché è molto antico e si manterrà nelle sinagoghe ebraiche.
Atti 15 è collocato in circostanze di luogo e di tempo (come è quasi sempre
nella Scrittura), perciò bisogna far attenzione nel ricavarne una regola
assoluta. Già a Roma, per esempio, vediamo che il quadro è in parte cambiato,
perché non c’è più una comunità ebraica che si sente forte e in grado
d’integrare i Gentili, ma si è in presenza di due tipi di comunità fra le quali
si manifestano problemi d’accettazione reciproca (Rm 14). Nell’Epistola ai
Galati viene descritto il pericolo d’una prevaricazione dei cristiani ebrei sui
cristiani gentili (p.es. Gal 5,1-12); a Roma c’è invece anche il pericolo
inverso e l’apostolo Paolo è costretto ad arginare alcuni atteggiamenti che
vanno emergendo e che sono pericolosi, cioè il disprezzo e l’orgoglio dei
cristiani gentili verso i cristiani ebrei: «Tu [Gentile], che sei olivo
selvatico […] non insuperbirti contro i rami [Ebrei]»; «Colui che mangia
di tutto [Gentile] non disprezzi colui che non mangia di tutto [Ebreo]» (Rm
11,17; 14,3).
Con la conversione in massa dei Gentili e con la distruzione di Gerusalemme (70
d.C.), non solo i Gentili hanno preso una netta prevalenza, ma le chiese
d’impronta ebraica sono gradatamente addirittura scomparse. Nel Nuovo Testamento
siamo ancora in una fase d’equilibrio, con un’unità di fede composta da due modi
diversi di viverla (Ef 2,14-18): i Gentili erano sostanzialmente dispensati
dall’osservanza della legge di Mosè (At 15), mentre gli Ebrei continuavano a
essere «zelanti per la legge» (At 21,20), vedendo in essa delle buone
norme date da Dio per il benessere della loro società e considerando i vari
sacrifici come anticipazioni e simboli del loro Signore Gesù. In seguito, però,
l’orgoglio dei Gentili non trovò più argine e s’arrivò al punto che, al tempo di
Hitler, un documento ufficiale delle chiese tedesche negò agli ebrei non solo la
possibilità di convertirsi, ma anche la validità delle conversioni e dei
battesimi già avvenuti da tempo!
Il riemergere dello Stato d’Israele (1948) e la diffusione delle Chiese
messianiche (cioè di Chiese con la prevalenza d’Ebrei che riconoscono in Gesù il
Messia) sta mettendo sempre più a nudo il peccato d’orgoglio dei Gentili e la
vergogna d’aver contrapposto il Nuovo Testamento all’Antico. Le incrostazioni
prodotte da millenni d’arroganza non sono facili da eliminare, ma costituiscono
un guscio che ostacola la crescita e dal quale è necessario sbarazzarsi il più
presto possibile.
Atti 15, insomma, va analizzato col presupposto che le differenze fra Antico e
Nuovo Testamento non sono contrapposizioni, ma realizzano uno sviluppo
e una complementarietà. Nella legge di Mosè e nella prassi delle
sinagoghe era prevista la presenza di non circoncisi che in qualche misura
adoravano il Dio d’Israele; perciò Atti 15, più che rappresentare una rottura, è
una codificazione e un ampliamento di ciò che già c’era. Applichiamo ora questi
schemi alla questione della teocrazia.
6.2. TEOCRAZIA:
SEMPRE UN PO’, MAI COMPLETA:
Dire che nell’Antico Testamento c’era la teocrazia (cioè il governo di
Dio su tutti gli aspetti della società) mentre nel Nuovo la teocrazia non c’è
più, è una semplificazione fuorviante; perché tutta la vicenda biblica (a
partire da Genesi 4) oscilla fra un regno di Dio mai pienamente raggiunto (non
c’è quindi mai stata una piena teocrazia) e una signoria di Dio su tutto il
mondo alla quale Dio non ha mai rinunciato (c’è sempre e ovunque stata, perciò,
un minimo di teocrazia).
L’Antico Testamento, poi, non è un blocco unitario e ai tempi d’Abramo non c’era
una teocrazia uguale a quella del tempo di Mosè. Così come la teocrazia di Mosè
s’era fortemente ridotta al tempo della deportazione a Babilonia (Gr 27,11;
29,1-7), dove i credenti erano sottoposti a un’autorità politica pagana (come
succederà col Nuovo Testamento, che in questo non è una novità assoluta, come
non è una novità assoluta su quasi tutto).
Dopo aver fatto una rapida sintesi, riprendiamo ora il tema cercando
d’individuare una linea di continuità da Mosè a Paolo: non è d’altronde scritto
che «Gesù è lo stesso Cristo ieri, oggi e in eterno»? (Eb 13,8).
Nella Genesi è chiarissima la sovranità di Dio su un intero mondo che ha lui
stesso creato e Mosè non negò questa sovranità generale di Dio. Proprio
all’inizio del Deuteronomio ne troviamo un’applicazione: «Ho dato il monte
Seir a Esaù come sua proprietà»; «Ho dato Ar ai figli di Lot» (Dt 2,
5.9). Più avanti Mosè sarà ancora più esplicito: «Il vostro Dio, è il Dio
degli dèi, il Signore dei Signori, il Dio grande, forte e tremendo […] che ama
lo straniero e gli dà pane e vestito» (Dt 10,17-18).
Purtroppo circola la falsa concezione che il Dio d’Israele fosse un Dio tribale,
mentre tutto l’Antico Testamento ne attesta l’universalità: accenniamo solo ad
alcune motivazioni. L’Antico Testamento è universale, per esempio, perché
comincia nel modo più universale possibile (primi 11 capitoli della Genesi);
perché gli stranieri potevano stare in Israele come tali (Es 22,21; Nu 15,15);
perché tutti potevano diventare Ebrei facendosi circoncidere (Es 12,48); perché
i profeti esercitavano la loro autorità anche fuori da Israele (2 Re 8,7-15; Ez
35; Gna 1,1-2); perché il tempio di Salomone era concepito come una casa di
preghiera per tutti i popoli (2 Cr 6,32-33); perché le leggi date a Israele
avevano una funzione universale (i popoli, udendo parlare delle leggi date per
mezzo di Mosè, avrebbero detto: «Questa grande nazione è il solo popolo savio
e intelligente!»; Dt 4,6).
Quando Geremia invitò gli Ebrei a sottomettersi al re di Babilonia (Gr 38,2-3)
non li invitò a passare dalla signoria di Dio alla signoria d’un re pagano, ma
da una signoria di Dio speciale a una signoria di Dio più
generale. Dice infatti Dio: «Io ho fatto la terra, gli uomini e gli
animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e col mio
braccio steso; e do la terra a chi mi par bene. E ora do tutti questi paesi in
mano di Nebukadnezar, re di Babilonia, mio servitore» (Gr 27,5-6). Il libro
di Daniele chiarisce molto bene come Nebukadnezar, volente o nolente, portò
avanti un piano di Dio per il popolo d’Israele e per il mondo: che
principalmente fu quello di dare libertà all’ebraismo, consentendogli di
diffondersi in tutto l’impero (Dan 3,28-29; 4,34-37).
L’apostolo Paolo si mosse perciò nel solco di Geremia e di Daniele, quando
ammonì i cristiani che, pur essendo in speranza cittadini del cielo,
erano ancora anche cittadini di questo mondo e devono sottomettersi alle
autorità «che esistono», cioè quelle pagane, perché anche quelle sono «ministri
di Dio» (vedere anche l’articolo «I
regni li assegna Dio o il diavolo?»).
La
teocrazia
speciale per il popolo ebreo si fondava sulla legge di Mosè, non è un
caso allora che Paolo, proprio nell’Epistola ai Romani, introduca subito la base
giuridica per la teocrazia
generale alla quale è sottoposto tutto il mondo, basata sulla rivelazione
insita nella natura (Rm 1,20) e su quella della coscienza (Rm 1,15).
Nota redazionale: Per aspetti complementari e di approfondimento
rimandiamo all’articolo «Teocrazia».
Si veda anche l’articolo «Regno
di Dio». |
6.3.
CONCLUSIONE: Come si
può vivere da cristiani se non si percepisce che anche oggi Dio «domina sul
regno degli uomini e lo dà a chi vuole»? (Dn 4,32). L’Apocalisse ha proprio
la specifica funzione di rassicurarci che è Gesù, sebbene a suo modo, a essere
ancora «il principe dei re della terra» (Ap 1,5).
Concludiamo riprendendo un episodio al quale abbiamo solo accennato, ma che è
molto significativo per il tema trattato: quello riguardante Anania e Saffira
(At 5,1-11). Lì si vede che Pietro non venne scandalizzato dalla condanna a
morte inflitta da Dio a Anania e rivolse poi alla moglie parole dure, pur
sapendo che Dio le avrebbe trasformate in una spada che avrebbe giustiziato
anche Saffira (vv. 9-10). La Chiesa di quel tempo venne presa da gran timore, ma
non si disorientò; acquistò così una grande credibilità e Dio gli diede una
straordinaria potenza evangelistica e miracolosa: «E sempre di più
s’aggiungevano uomini e donne in gran numero […] La folla accorreva dalle città
vicine a Gerusalemme […] e tutti erano guariti» (vv. 14-16).
L’Evangelo assomiglia a una bevanda salutare, ma robusta. A volte sembra essersi
ridotto a un vinello, se non addirittura a un’aranciata, ed è evidente come la
mentalità moderna sopporti sempre meno la santità di Dio. Credo comunque che
anche Dio sopporti sempre meno certe mollezze di noi cristiani.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/312-Pena_di_morte_Sh.htm
14-02-2008; Aggiornamento: 15-02-2008
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