Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La lieve danza delle tenebre

 

Apologetica

 

 

 

 

L’occultismo viene presentato quale problema sociale, razionale e biblico.

  Alcuni dei temi principali sono i seguenti:
■ La superstizione
■ La divinazione
■ L’astrologia
■ Medianismo e fenomeni extra-sensoriali
■ Lo spiritismo
■ La magia
■ La massoneria
■ La neostregoneria
■ Il satanismo
■ Il paranormale
■ La religione
■ I fenomeni estatici e la falsa profezia
■ L’esoterismo
■ La dottrina occulta
■ I fenomeni occulti nella prospettiva biblica

 

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CONTINGENZA E RESPONSABILITÀ

 

 di Nicola Martella

 

1. Le tesi {Andrea Viel}

2. Alcune osservazioni {Nicola Martella}

3. Chiarimenti {Andrea Viel}

4. Osservazioni finali {Nicola Martella}

 

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1. Le tesi {Andrea Viel}

 

Fratello Nicola, pensavo, vedendo e ascoltando tutto quello che accade intorno a noi, per violenza, terrorismo o pura demenzialità, spinta da una feroce rabbia che serpeggia nei cuori degli italiani (lo so, di tutti, ma io vivo in Italia, e faccio il tifo per questa nazione...), vale la pena scontrarsi in diatribe teologiche, quando il nostro cristianesimo (evangelico) non sembra avere alcun impatto tra la gente intorno a noi?

     Se Gesù ci ha dato un comandamento di proclamare il vangelo a tutti, perché solo l’essere salvati, una reale nuova nascita può non solo farci evitare le fiamme eterne, ma produrre un tale cambiamento — cose vecchie passate, ogni cosa nuova — che il rapportarci l’uno con l’altro diventa occasione di crescita e sviluppo, e non di distruzione e odio; come mai il nostro messaggio non ha forza?

     Come mai la salvezza di Dio non è appetibile, come mai la libertà dai vizi e dalle passioni non è desiderabile, come mai una generazione che aspetta la manifestazione dei figli di Dio non sembra avere esempi da seguire. Come mai corriamo da una riunione all’altra alla ricerca di quello che possiamo ottenere dal predicatore di turno e non corriamo a cercare il mondo che geme e travaglia privo di valori.

     Ieri traducevo per la televisione una canzone degli Avalon (In Not Of) e parte delle parole del canto dicevano: «Aspetta un minuto, se diciamo che li amiamo perché non siamo tra loro, perché corriamo via e ci nascondiamo... Abbiamo maledetto le tenebre troppo a lungo, dobbiamo tenere ben salda in alto la nostra candela, dobbiamo andare e aggiustare l’errore, dobbiamo toccare il mondo con l’amore, con il Suo amore…».

     Se guardo quello che è intorno a me, mi sento sconcertato e un po’ arrabbiato. Non con il mondo. Devo dire neppure in prima battuta con il diavolo. Sono amareggiato che in questa nazione più o meno l’1% ha una esperienza evangelica, che i pastori lottano per il loro orticello e se li inviti a partecipare a un messaggio più ampio ti dicono — a me che ne viene? Sono arrabbiato che non s’alza la voce contro l’ingiustizia, che ci s’accontenta della mancanza, ipnotizzati da una falsa appartenenza alla divina santità, quasi che la salvezza è stato come fare «tana» al gioco del nascondino, e dopo che ce l’ho fatta io, che importa degli altri.

     E se qualcuno chiedesse ma cosa faccio io, io faccio quello che voglio vedere fare agli altri, spingendo, investendo soldi e tempo per comunicare il messaggio in televisione; senza però prenderne il merito né l’applauso, perché Dio me lo ha comandato e guai a me se non gli ubbidisco. Per cui che mi piaccia o no, che mi dia gioia o stanchezza, lo devo fare. Allora cerco di farlo con passione e impegno. E comunque Dio mi ripaga con gioia.

     Qualcuno ha detto che, perché il male s’espanda è sufficiente che il giusto stia in silenzio.

     Se dovessi pubblicare questa mia, io vorrei che chi legge andasse un momento alla finestra, guardasse fuori. Forse vede una città in fermento o paesi lontani di campagna. Vorrei guardasse alla gente che cammina, alle finestre delle case, forse illuminate, a luci lontane in movimento. Si facesse una domanda: «Cosa ne farò di loro? Dio, come incontrerò questa generazione? Signore, cosa vuoi che io faccia?».

     Quella canzone degli Avalon inizia così, «Mi sono nascosto lontano da ogni problema, e il mondo all’esterno è sempre più nelle tenebre, così ho promesso di stare qui, vicino a fianco a Lui, di certo Dio vorrebbe ogni suo figlio al sicuro, poi mentre leggevo, i miei occhi si sono aperti, e ho scoperto che Lui ci guida ad andare fuori nel mondo, tra i santi caduti nell’errore e i peccatori, dove un po’ di grazia è veramente necessaria…». {13-11-2007}

 

 

2. Alcune osservazioni {Nicola Martella}

 

     ■ Il mio interlocutore chiede se, vista la situazione contingente, «vale la pena scontrarsi in diatribe teologiche, quando il nostro cristianesimo (evangelico) non sembra avere alcun impatto tra la gente intorno a noi?». Potremmo fare tale domanda ai dodici apostoli, due millenni fa. Che risponderebbero? Che risponderebbe Paolo che aveva a che fare con giudaisti (Gal), superapostoli gnostici (1-2 Cor), filosofi epicurei e stoici (cfr. Col; At 17), eccetera? Anche loro ebbero molte delusioni riguardo alla gente intorno a loro (At 17,32; v. 34 alcuni), agli stessi cristiani (Gal 3,1.3) e addirittura ai loro collaboratori (2 Tm 4,10) e ai conduttori di chiesa (3 Gv 1,9). Che tristezza e delusione nelle parole di un missionario: «Io temo, quanto a voi, d’essermi invano affaticato per voi» (Gal 4,11). Doveva Paolo fare a meno di riprendere pubblicamente l’apostolo Pietro per il suo giudaizzare (Gal 2) a causa di un «vogliamoci bene»? Ha sbagliato Paolo a prendere posizione contro i giudaisti nelle chiese e contro i «falsi operai» gnostici? Non doveva il concilio interecclesiale di Gerusalemme prendere storicamente posizione contro i farisei divenuti cristiani e le loro tesi (At 15,1.5) e scrivere alle chiese «noi non abbiamo dato loro nessun tipo di mandato» (v. 24)? E così via. Per la necessità dell’apologetica si vedano i seguenti articoli: L’importanza dell’apologetica; A ognuno la sua «missione possibile».

     ■ La proclamazione dell’Evangelo non è stato mai un semplice annunzio che prescindesse dalla difesa della verità, e questo è stato così fin da Giovanni Battista (ci ha perso la testa), passando per Gesù (opposizione di scribi e farisei) e i dodici apostoli e arrivando alla chiesa di Gerusalemme (perseguitata dai Giudei storici) e alla missione mediante Paolo e la sua squadra (osteggiata da più parti). Avevano essi un complesso d’inferiorità? Si lamentavano del poco impatto intorno a loro? (2 Cor 2,14ss). Non era allora la gente simile a oggi? (cfr. 2 Pt 2,12ss). A ciò si aggiungeva la persecuzione da parte dei Giudei, delle popolazioni locali e dei Romani (2 Cor 12,10; 2 Ts 1,4ss; 2 Tm 3,11). Molti missionari e apologeti della chiesa del primo e del secondo secolo d.C. hanno sperimentato qualcosa come le seguenti parole di Paolo, che dopo aver parlato di fatiche, carcerazioni, battiture, pericolo di morte, aggiunse: «Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; 25tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte sull’abisso. 26Spesse volte in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo di ladroni, in pericoli per parte dei miei connazionali, in pericoli per parte dei Gentili, in pericoli in città, in pericoli nei deserti, in pericoli sul mare, in pericoli tra falsi fratelli; 27in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità» (2 Cor 11,23-27; cfr. Rm 8,35).

     ■ È sempre giusto chiederci «come mai…?» e dovremmo sempre ingegnarci a come rendere comprensibile l’Evangelo ai nostri contemporanei. Anche Dio e i profeti si sono chiesto il motivo della disaffezione degli Israeliti dal patto, dalla verità, dal culto legittimo, dal Dio vivente e dalla morale della Legge. «Come mai…?» è l’urlo che ricorre spesso nelle Lamentazioni. Nel NT, quando gli operai chiesero al loro datore di lavoro: «Come mai, dunque, c’è della zizzania [fra il grano]?» (Mt 13,27), egli ben sapeva che «un nemico ha fatto questo» (v. 28) e che la soluzione migliore non era sradicare l’erbaccia (v. 29), ma aspettare fino alla raccolta (v. 30).

     Il «come mai…?» Gesù lo usò verso i discepoli duri di comprendonio (Mt 16,11; Gv 14,9), o per la poca fede (Mc 4,40) o per altro (Mc 9,12). Gesù usò tale espressione sulla mancanza di discernimento dei suoi contemporanei riguardo alla «pienezza dei tempi» (Lc 12,56) o riguardo ai pesanti apprezzamenti nei suoi riguardi (Gv 10,36). Anche i discepoli la usarono con Gesù (Gv 14,22). Anche altri si posero la stessa domanda su Gesù, non sapendo in che schema mentale mettere lui o le sue parole (Mc 2,16; Gv 4,9; 6,42.52; 7,15).

     Paolo usò tale espressione in modo retorico verso i Giudei, mostrandone le discrepanze fra il dire e il fare (Rm 2,21). Egli la usò anche con i credenti riguardo alle loro incoerenze dottrinali (1 Cor 15,12 risurrezione; Gal 2,14 giudaizzare; Gal 4,9 regresso spirituale e giudaizzare).

     Si noterà da tutto ciò che in tutto il NT le persone e gli scrittori non si pongono mai un «come mai?» riferito al «mondo», considerando che «noi sappiamo che siamo da Dio e che tutto il mondo giace nel maligno» (1 Gv 5,19) e che l’eccezione siamo noi che «siamo in Colui che è il vero Dio, nel suo Figlio Gesù Cristo» (v. 20). Il «mondo» è altresì il campo, in cui è seminata la «buona semenza», ossia i «figli del regno»; nello stesso campo sono seminate le «zizzanie», ossia i «figli del maligno» (Mt 13,38). Questa è la realtà.

     Quanto alla «manifestazione dei figli di Dio» essa è futura e coincide con la risurrezione (Rm 8,19.23) ed è aspettata non da una generazione ma dalla creazione (v. 21). Ciò non significa che i figli di Dio non debbano essere e portare luce in questo mondo (Fil 2,15).

     Ci sono molti modi per rapportarsi al mondo per portare luce a coloro che «sono sulla via della salvezza» (2 Cor 2,15), permettendo che «Cristo per mezzo nostro» spanda «da per tutto il profumo della sua conoscenza» (v. 14); non c’è da illudersi che saremo per alcuni un «odore di morte» e per altri un «odore di vita» (v. 16). Io ho deciso d’essere fra quel «noi» che non «adulterano la parola di Dio; ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo» (v. 17). Il mio ministero è mutato nel tempo in alcuni aspetti: evangelizzazione, fondazione di chiese, cura pastorale, pubblicistica, insegnamento e formazione, predicazioni, apologetica, eccetera. In questo tempo di confusione non solo nel «mondo» ma anche nelle chiese, tempo di disaffezione dalla fede biblica e di risveglio del misticismo e dell’esoterismo anche nelle chiese, vedo il mio compito attuale di difendere la verità biblica, accertata con l’esegesi corretta e contestuale, contro le varie sovrastrutture dogmatiche e contro il misticismo e lo spiritualismo che attingono a un «fuoco estraneo». Questi sono i miei carismi e questo è il mio compito. Quali sono i carismi e il compito del mio interlocutore e degli altri che si chiamano «cristiani», ossia «seguaci dell’Unto a Re? Dalla risposta personale a questa domanda dipendono i mutamenti che possono aversi intorno a noi tutti. Al riguardo i conduttori devono smetterla di essere «domatori» dei fratelli e diventare finalmente «allenatori»! Devono smetterla di tenere tutti bambini nella fede, magari per primeggiare, e lavorare per l’emancipazione di tutti i credenti, affinché tutti siano servitori attivi nella vigna del Signore!

     ■ Capisco che cosa dica canzone degli Avalon. In ogni modo a ogni servitore Dio chiede solo di fare il proprio dovere e di eccellere in ciò che fa. A una sentinella è chiesto di fare la guardia e vegliare. All’araldo è chiesto di annunciare i decreti di chi l’ha mandato. Al soldato è chiesto di combattere. E così via. A tutti loro non è chiesto di risolvere tutti i problemi di tutto il mondo, ma di fare il proprio dovere in corrispondenza alle proprie «regole d’ingaggio».

     Quanto alle percentuali degli evangelici, la chiesa primordiale si lamentava al riguardo d’essere solo pochi? Oppure si rallegrava per ogni nuova anima aggiunta al popolo di Dio? Pur essendo pochi in percentuale, erano militanti e, secondo la percezione altrui, essi avevano riempito Gerusalemme con la loro dottrina (At 5,28), anzi il mondo (At 17,6; 24,5).

     Certamente il malessere e lo sconcerto del mio interlocutore riguardo alla realtà del «mondo» e delle chiese è condivisibile. Ma che cos’è un «messaggio più ampio»? Sono i proclami e gli accordi di vertice fra le denominazioni? E poi che cos’è una «falsa appartenenza alla divina santità»? La salvezza è avercela fatta e poi muoia Sansone con tutti i Filistei? La testimonianza di Gesù quale Messia-Re è resa sempre da persone tra persone, con cui si ha a che fare di giorno in giorno e a cui si parla con la propria vita. Un’altra alternativa non la conosco.

     ■ È su quel «cosa faccio io» d’ognuno, in corrispondenza con i carismi (= «azioni di grazia») ricevuti, che si decide la partita. Così vale per il mio interlocutore, così vale per me e per tante altri servitori fedeli che fanno ciò per cui altrimenti dovrebbero dire: «Necessità me n’è imposta, e guai a me, se non…» (1 Cor 9,16). Ogni cristiano maturo, conduttori in testa, è chiamato a essere «irreprensibile, come economo di Dio» (Tt 1,7). Quindi il dovere e il sacrificio personale al proprio posto aiuta l’intero «corpo del Signore» a funzionare meglio: chi porta il nutrimento, chi l’ossigeno, chi come anticorpo difende da malattie e attacchi, eccetera. Siamo chiamati a essere «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2Del resto quel che si richiede dagli amministratori, è che ciascuno sia trovato fedele» (1 Cor 4,1s).

     Le domande poste sono giuste e porsi domande dinanzi a Dio e il mondo è salutare. È chiaro che per avere le risposte bisogna come Isaia essere stato alla presenza di Dio (Is 6). Lì fu Dio a porre una domanda e fu poi Isaia a rispondere! Dio stabilì a chi andare e quale «strano» messaggio portare. Isaia fu pronto a essere uno «strano» segno e presagio in quella generazione (Is 8,18; 20,3).

     Le parole degli Avalon sono apprezzabili. I problemi dei cristiani oggi in Italia sono, ad esempio, i seguenti: superficialità, poca conoscenza della Parola, poca emancipazione spirituale, materialismo, mondanità, poca conoscenza personale di Dio, poca consacrazione. La salvezza viene considerata un punto d’arrivo e non di partenza. Molti credenti, sebbene salvati, stanno perdendo il proprio premio (1 Cor 3) o se lo stanno facendo defraudare (Col 2,18).

 

 

3. Chiarimenti {Andrea Viel}

 

Fratello Nicola, grazie per la risposta al mio contributo, che era una reazione a quanto vedevo intorno. Se hai deciso di pubblicarlo, spero sia utile a uno scuotimento di coscienze.

     Volevo però essere sicuro d’essermi espresso bene quando ho parlato di «diatribe teologiche». Questo non voleva essere irrispettoso del tuo ruolo apologetico, né considerare inutile lo sforzo di mantenere nella giusta verità biblica i pensieri di chi partecipa alle discussioni. Le diatribe teologiche non erano le tue, ma tutto quest’accanirsi variopinto su cavilli, che credo abbiano similmente addolorato ai loro tempi gli stesi apostoli, e coloro che appunto pensavano d’aver lavorato arduamente invano, ad ascoltare il proliferarsi di concetti che alla fine portavano solo divisioni ed erronei insegnamenti.

     Molte volte tanto parlare è prodotto solo dall’ozio del fare. Poco coinvolti nell’andare, molto nel puntualizzare. Ma ripeto, non mi riferisco a te. Come dici tu, a ognuno il suo compito.

     Innegabile che strateghi e generali non si possono infilare nella battaglia corpo a corpo, altrimenti se perdiamo la mente e il coordinamento, tutto l’azione dell’esercito si sgretola.

     Ma se chi è chiamato a combattere, perseguire l’obbiettivo, rifornire di munizioni, rimane in trincea cercando di squalificare, indebolire o cavillare e ricercare il proprio tornaconto prima di saltare fuori e «andare», come otterremo la vittoria che è già stata preparata per noi?

     Benché «la manifestazione dei figli di Dio è futura e coincide con la risurrezione», ritengo che sia ora che i figli di Dio manifestino a questo mondo la loro fede. Se le nostre rimangono parole, e il nostro stile di vita non va d’accordo con le parole che diciamo, se nell’abitudine della bugia del mondo, lo stesso non sente che noi non ci tiriamo indietro dal dire la verità, se tra l’indifferenza generale e l’egoismo dei più non vede che amiamo il nostro prossimo come noi stessi, come riusciranno a capire cosa vuol dire amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto sé stessi?

     Nella mia città, Roma, c’è un luogo che si chiama Circo Massimo. Molti si riferiscono al Colosseo, quando si parla di martiri cristiani. Ma nel Colosseo non è morto nessun cristiano, era il luogo dei gladiatori negli scontri tra loro e contro qualche bestia feroce. Il Circo Massimo, poco distante, è stato il luogo che ha visto il suo terreno impregnarsi del sangue dei cristiani.

     Io pensavo a loro questa mattina. Pensavo a loro di riflesso a una serie di pensieri riferiti alle priorità. Pensavo a un Esaù che ritenne una zuppa rossa più immediatamente necessaria d’una primogenitura. Se non siamo fedeli nelle prove piccole, come riusciremo a superare le prove grandi.

     Qualche volta cammino su quel suolo di martiri per la fede. È come se mi trovassi tra di loro. La spinta emotiva che ricevo dalla loro scelta, dalla loro fede, dalla innegabile priorità al momento della prova, mi sfida nella mia vita cristiana.

     Potevano forse giocare su d’un rinnegare con le labbra e credere con il cuore. Non lo hanno fatto. Identificati con Cristo fino alla morte. Non solo il dolore fisico, ma la paura. Non solo il loro sgomento, ma sotto i loro occhi, quello dei loro bambini, delle loro mogli, dei mariti, dei padri, delle madri.

     Erano perfetti? Forse no. Quelli che rimasero in vita, avrebbero avuto l’impegno di perfezionarsi, per riprodurre una sana dottrina. Loro, i primi, erano solo innamorati di Gesù.

     Molti pagani hanno riso e goduto d’un tale spettacolo, e molti di quelli che sono passati vicino a Gesù per le strade di Gerusalemme hanno poi gridato: «Crocifiggilo!».

     Ma la loro scelta di non tirarsi indietro, anzi essere un pubblico spettacolo di testimonianza della verità, ha permesso sino ai giorni nostri d’ottenere la stessa speranza. Che ne farò io di quest’eredità. Non tu, fratello Nicola. Che ne farò io.

     Tu scrivi: «Ma che cos’è un “messaggio più ampio”? Sono i proclami e gli accordi di vertice fra le denominazioni?». A me non interessano le denominazioni. Il logo dei miei programmi televisivi è GC3Veuropa. Che vuol dire, Gesù Cristo Via Verità Vita per l’Europa. Questo, e solo questo, m’interessa nel mio messaggio in televisione.

     Il «messaggio più ampio» è riferito al messaggio evangelico proclamato senza opportunismo e senza che mi preoccupo della raccolta del mio orticello. Una volta un evangelista mi ha detto che, se la sua predicazione non portava frutto direttamente per il suo ministero e per la chiesa a cui era collegato, non predicava. Altri pastori hanno detto che se la loro predicazione televisiva non portava anime alla loro chiesa, ma veniva «dispersa» in tutta Italia, l’investimento era inutile.

     Passione per le anime? Se mi ritorna qualcosa. Perché anime producono decime.

     Tu scrivi: «E poi che cos’è una “falsa appartenenza alla divina santità”?».  È agire come se s’appartenesse a Cristo, aver imparato a muoversi come un cristiano, usare il deodorante-spray del profumo di santità-appartenenza-separazione, vestirsi della candida pelle di pecora. Vuol dire stare di fronte al pruno ardente con i sandali, o entrare nel luogo santissimo attraverso lo squarcio della cortina con un cuore impuro. E pensare: «Vedi? Non mi succede nulla». Grazie per le tue parole. {14-11-2007}

 

 

4. Osservazioni finali {Nicola Martella}

 

È sempre una cosa buona, quando ci si può spiegare e intendere. Sono sempre d’accordo per uno «scuotimento di coscienze» e chiedo che Dio cominci da me. Infatti il problema dei cristiani non è la fede in Dio, ma spesso la mancanza del timore di Dio! Ciò è spesso dovuto a un’immagine sbagliata che si ha di Dio (zio buono, poliziotto, Dio della filosofia, Dio immutabile, ecc.). Per l’approfondimento si veda l’articolo «Chi è Dio?» in Entrare nella breccia, pp. 103-111.

     L’apologetica nasce dalla necessità proprio di combattere i «cavilli» che vengono portati da fuori nel cristianesimo (sincretismo, misticismo, razionalismo, materialismo, edonismo, «teologia di***», ecc.). Così era la tempo del NT e così è oggigiorno. Per il 2° secolo d.C. ricordo: Quadrato, Aristide, Melitone, Apollinare, Aristone, Giustino, Taziano il Siro, Atenagora, Milziade e Teofilo; nel 3° secolo: Clemente Alessandrino, Ermia e Origene; qualcuno ha fatto notare che la stragrande maggioranza dei primi scrittori cristiani era costituita da apologeti. Partecipare alle discussioni franche e fraterne è una buona medicina contro tutti gli ideologismi, gli estremismi, le divisioni e gli erronei insegnamenti. Su molti siti, forum e community anche cristiani si parla purtroppo spesso «per prurito d’udire». Accanto a chi conosce la Scrittura, prende la parola chi, avendo poca conoscenza e le labbra incirconcise, fa del primo un oggetto di apprezzamenti che non fanno onore per chi afferma d’essere un cristiano. Le proprie opinioni vengono spacciate per «saggezza» biblica; c'è anche chi attinge a «fuoco estraneo» e lo cristianizza (cfr. l'ufologia, l'esoterismo, il pan-spiritualismo). Tali persone, volendo fare i «generali» (per ripetere l’allegoria del mio interlocutore), lasciano scoperte le funzioni per cui hanno carismi e competenze, e danno così facile gioco al nemico. Ecco la necessità di un’apologetica corretta, basata su una rigorosa esegesi contestuale, che valga sia verso fuori sia verso dentro.

     Quanto alla manifestazione dei figli di Dio oggigiorno, ricordo nuovamente un verso a me caro: «Siate irreprensibili e schietti, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale voi risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la Parola della vita» (Fil 2,15).

     Il ricordo storico dei martiri del passato è pertinente. Non dobbiamo dimenticarcene. Mi permetto di ricordare che molti di loro erano apologeti e hanno lasciato trattati di apologetica mirabili, morendo per le loro convinzioni (cfr. Aristide, Giustino, Melitone, Apollinare, Teofilo). Certamente hanno lasciato una grande eredità e l’Evangelo per mezzo di loro è arrivato fino a noi. È un fiume di benedizione che non deve finire in un «Mar Morto».

     Quanto all’opportunismo e al «fare per tornaconto» delle guide di chiesa, di cui Andrea parla, ne prendo atto, visto che egli deve averne fatta molte volte l’esperienza. In campo editoriale io e altri abbiamo fatto l’esperienza del malcostume di alcuni credenti che pensano che il materiale teologico, appartenendo al Signore, dev’essere gratis per loro; certo non si chiedono chi l’ha pagato con grandi sacrifici! [ Il travaglio di un editore] La stessa cosa succede pure in altri ambiti. [ Progetti traditi]

     Quanto alla falsa appartenenza alla divina santità, di cui ho ora capito il senso, ho dovuto pensare a coloro che, già nelle chiese del 1° secolo, avevano «le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza» (2 Tm 3,5). Quindi nulla di nuovo. Mi fermo qui.

 

°*°*°*°*°*°*°*°*

 

 Excursus: Ecco alcuni suggerimenti che mi sento di dare sulla base della Parola nell’attuale contingenza in cui ci troviamo.

     ■ Sul piano morale Dio ci chiama a essere «irreprensibili e schietti, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale voi risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la Parola della vita» (Fil 2,15). Inoltre non dobbiamo partecipare alle «opere infruttuose delle tenebre; anzi, piuttosto riprendetele» (Ef 5,11).

     ■ Sul piano civile e politico Dio ci chiama a essere sottoposti alle «autorità superiori» (Rm 13,1-6): «Rendete a tutti quel che dovete loro: il tributo a chi dovete il tributo; la gabella a chi la gabella; il timore a chi il timore; l’onore a chi l’onore» (v. 7). Inoltre veniamo esortati a pregare per le autorità (1 Tm 2,1s).

     ■ Sul piano spirituale Dio ci chiama a fare opere di bene (1 Tm 5,25; Tt 2,7.14; 1 Pt 3,6). In tal modo si potrà anche turare «la bocca alla ignoranza degli uomini stolti» (1 Pt 2,15.20) e svergognare «quelli che calunniano la vostra buona condotta in Cristo» (1 Pt 3,16s).

     ■ Sul piano ministeriale Dio ci chiama a questo: «Tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa l’opera d’evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero» (1 Tm 4,5; 1 Pt 4,11). E ancora: «Studiati di presentare te stesso approvato dinanzi a Dio: operaio che non abbia a essere confuso, che tagli rettamente la parola della verità» (2 Tm 2,15).

 

Per la lenta involuzione giudaizzante, avvenuta in Andrea Viel, e per la sua successiva conversione al giudaismo storico, rimandiamo ai seguenti articoli (si vedano anche i temi connessi): Andrea Viel ha rigettato Gesù quale Messia; Dalla luce di Cristo alle tenebre del giudaismo; Falsi maestri fra i giudeo-messianici odierni.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Contingenza_responsabilita_Oc.htm

13-11-2007; Aggiornamento: 03-07-2010

 

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