[Indice]
[Bitassi]
[De
Angelis 1] [De
Angelis 2] [Confronto]
▼
1.
Un retroterra complesso
▼
2.
Il compito del «filosofo cristiano»
▼
3.
Tre tipi di rivelazione
▼
4.
I percorsi paralleli di Bibbia e filosofia
▼
5.
Tante perle… e una macchia
Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.
Herman Bavinck, Filosofia della rivelazione (Alfa
& Omega,
Caltanissetta 2004; traduzione di uno scritto del 1909), pp. 335; € 24,10.
Un pietista olandese di un secolo fa si è confrontato con la cultura del suo
tempo e ha visto con grande acutezza la demolizione delle basi cristiane che si
stava operando in Europa. Egli presagì perciò una catastrofe che di lì a poco
(prima guerra mondiale) si sarebbe abbattuta sul Vecchio Continente; il quale,
però, non avendo capito la lezione, ha poi ripetuto la tragedia. Qui di seguito
sono riportate alcune riflessioni suscitate dalla lettura del libro.
▲
1.
UN RETROTERRA COMPLESSO:
Lutero e Calvino non disprezzavano certo l’adesione al loro messaggio da parte
di singoli individui, ma l’interesse primario era rivolto ai popoli e alle loro
istituzioni (per questo, per esempio, invitavano a rispettare le autorità
politiche anche se di religione non protestante). L’Olanda (Paesi Bassi) fu una
di quelle aree che accettarono il calvinismo (seconda metà del ‘500), dopo
l’avvento del quale ci fu una tal fioritura da arrivare al primato mondiale sul
piano economico-politico. Il cosiddetto «secolo d’oro» olandese terminò intorno
al 1670 con l’emergere della potenza inglese, promossa anch’essa da persone
(Cromwell e i puritani) in qualche modo calviniste.
Dopo lo slancio iniziale, nelle popolazioni che avevano
adottato la Riforma, si rese evidente che il cristianesimo delle masse restava
superficiale, così si formarono gruppi di credenti che vivevano l’Evangelo in
modo più coerente. A volte questi gruppi restavano all’interno delle chiese «di
massa» nazionali, altre volte si organizzavano a parte, però mantenendo in
genere atteggiamenti unitari piuttosto che di contrapposizione. In Germania questo tipo di movimento fu chiamato
«pietista» (perché si incentrava su una messa in pratica più rigorosa della
«pietà» cristiana, cioè del comportamento cristiano), ed Herman Bavinck
proveniva da un ambiente olandese di questo tipo. Il retroterra di Bavinck,
perciò, intrecciava il calvinismo col pietismo. Ciò spiega il suo interesse per
l’andamento dell’intera società, il suo concepire il cristianesimo come
«passione» che investe tutta la persona (fede e opere, intelletto e cuore), il
suo essere ancorato strettamente alla Bibbia e a un’etica rigorosa. «Sembra» —
scrisse Bavinck con toni tipicamente pietisti — «che noi, oggi, non conosciamo
più la realtà del peccato e della grazia, della colpa e del perdono, della
rigenerazione e della conversione. In teoria, le conosciamo bene, ma non le
sperimentiamo più nella profonda realtà della vita» (p. 6). Proprio per dedicarsi a suscitare una genuina fede
cristiana, rifiutò una cattedra universitaria ad Amsterdam (offertagli ancor
prima che terminasse gli studi!) e si dedicò all’insegnamento teologico
all’interno del proprio ambiente pietista. Vent’anni dopo, però, accettò un
nuovo invito dell’Università di Amsterdam, dove nel 1902 divenne professore di
teologia sistematica, con l’intenzione di «applicare la teologia cristiana ai
vari campi dell’esistenza umana» (dall’Introduzione dell’editore
italiano, p. 7).
Insomma, se ne sarebbe stato volentieri in disparte, ma
non si sottrasse al confronto con una cultura che andava poggiandosi sempre più
su basi non cristiane e che perciò stava portando l’Europa al disastro. Questo
lo predicò e lo scrisse poco prima (1908) che l’Europa cominciasse la sua
autodistruzione innescando due guerre mondiali, ammonendo con un messaggio che
parlava all’intelligenza e al cuore, ma che non fu ascoltato da un continente
ormai non più in grado di sentire la voce di Dio.
Il libro ha alla base alcune conferenze tenute negli
Stati Uniti e questo mi pare un dettaglio illuminante. L’impronta religiosa a
quella nazione viene collegata ai «Padri Pellegrini» della nave Mayflower, che
erano per lo più inglesi rifugiatisi in Olanda, dove però non trovarono una
piena libertà. Le conferenze furono tenute principalmente in quella stessa costa
orientale, dove approdò la famosa nave. Se c’è un limite nell’analisi di
Bavinck, è proprio quello di non vedere che, a fronte di un’Europa sempre più
«scristianizzata» e in rovina, stava emergendo quel popolo che non a caso lo
aveva invitato e che avrebbe vinto le due guerre mondiali, mantenendo una
civiltà che si richiamava (in qualche modo e in qualche misura) alla Bibbia.
▲
2.
IL COMPITO DEL «FILOSOFO CRISTIANO»:
Qualcuno rimprovera a Bavinck di essere più convincente quando critica le
filosofie altrui, piuttosto che quando propone la sua filosofia della
rivelazione. La valutazione è condivisibile, ma penso che il compito primario di
un filosofo cristiano sia quello di demolire le «idolatrie filosofiche»,
mettendo in evidenza la loro incapacità di spiegare il mondo (senza con questo
sminuirne ciò che c’è di positivo).
Un cristiano riconosce che ha avuto e ha bisogno di una
rivelazione generale e di quella della Bibbia. Solo chi non accetta quella
«bussola» ne chiede un’altra filosofia, arrivando così a guardare il mondo alla
luce di Hegel, Kant, Marx o altri. Definirsi però hegeliano o kantiano,
significa contraddire (in parte o in tutto, consapevolmente o inconsapevolmente)
il proprio essere cristiano.
Una filosofia cristiana in positivo è sì possibile, ma
partendo dall’accettazione della rivelazione biblica, si fonda su presupposti
non accettati da tutti. Bavinck propone a tutto campo una filosofia della
rivelazione, ma non credo che la consideri come interamente razionale e
dimostrata. Credo invece che sia stato spinto a osare perché l’uditorio delle
sue conferenze era fatto in prevalenza da credenti, con i quali condivideva
molti presupposti e molta sensibilità. Chi oggi ha un retroterra simile troverà
ragionevoli e sensate le sue riflessioni, che però non si indirizzano al solo
intelletto e non sono accettabili da tutti (anche se tutti potrebbero trovarci
motivi di interesse).
▲
3.
TRE TIPI DI RIVELAZIONE:
C’è un sottofondo scientista nella cultura italiana che rende difficile
riconoscere la necessità della rivelazione. Prendendo spunto da certi stimoli di
Bavinck, mettiamo ora in evidenza, fra le altre, tre rivelazioni che sono state
date a noi uomini e senza le quali la cultura non sarebbe potuta sorgere, né
potrebbe sussistere.
La prima rivelazione che consideriamo è quella
innata. È impressionante constatare le capacità psicologiche di un bambino e
l’acutezza con la quale analizza la realtà che lo circonda. Un padre, osservando
la figlia appena nata, ha dichiarato che aveva l’impressione che venisse da
lontano, conosco poi madri che si sentivano messe in imbarazzo dal penetrante
sguardo del loro piccolo bambino. Un cane vede con i suoi occhi le stesse cose
del suo padrone, ma non ha un retroterra umano e perciò non potrà avere la
stessa percezione. Con un cane infatti si può condividere la gioia e la paura,
ma non il senso e l’esigenza di infinito.
La seconda rivelazione ci viene dalla
tradizione. La storia della filosofia è, in realtà, un susseguirsi di persone
che sono state figlie del loro tempo, del loro luogo, di una cultura che hanno
trovata, assimilata in qualche misura e poi rielaborata. Nessun neonato scrive
di filosofia e, se arriva a farlo, i condizionamenti ricevuti non sono certo
secondari. I grandi filosofi, non a caso, sorgono in genere in una successione
di tempi e di luoghi che è indicativa (filosofi greci, cultura latina, filosofia
tedesca, per esempio).
La terza
rivelazione che consideriamo è la più importante, essendo quella della
Bibbia. Se ci facciamo caso (ma la cultura ci fa poco caso), il percorso
geografico della Bibbia è parallelo a quello della grande filosofia, ma questo
lo descriveremo nel prossimo paragrafo.
▲
4.
I PERCORSI PARALLELI DI BIBBIA E
FILOSOFIA: Il contesto dal quale emerge la Bibbia (Antico
Testamento) è certamente quello mediorientale (la «Fertile Mezzaluna» fra il
Nilo e l’Eufrate) ed è anche da lì che provengono le radici profonde della
cultura occidentale.
Poi l’Antico Testamento verrà tradotto in lingua greca
(traduzione dei «Settanta», terzo secolo a.C.), lingua nella quale sarà redatto
il Nuovo Testamento. Ci sarà poi l’irrompere della teologia in lingua latina
(Tertulliano, fine del secondo secolo d.C.) e la traduzione della Bibbia in
latino (Girolamo). Sarà proprio l’incontro fra il pensiero greco-romano e quello
ebraico-cristiano a gettare le basi di un rifiorire della cultura a opera di
quei «teologi-filosofi» che furono i cosiddetti «Padri della Chiesa», i quali
dettero nuovo impulso a due lingue e a due culture che apparivano esauste. Anche il successivo Islam nacque in un contesto
fortemente influenzato, oltre che dal paganesimo, anche dall’ebraismo e dal
cristianesimo.
Il primo popolo moderno a usare largamente la Bibbia in
lingua volgare è stato quello tedesco (grazie alla traduzione fattane da
Lutero): è allora un caso se, per approfondirsi nella filosofia moderna, è
pressoché obbligatorio conoscere la lingua tedesca? Si parla in genere della
«grande filosofia tedesca», ma essa non è separabile (nel bene e nel male) dalla
teologia tedesca; i vari Hegel, Kant, Marx, Weber, Freud, Nietzsche,
Heidegger e altri sono più facilmente comprensibili se si tiene conto del
sottofondo anche biblico della cultura di provenienza, senza contare che i
maggiori autori avevano di solito una conoscenza biblica non superficiale. Si
possono anche rifiutare le soluzioni ai problemi che la Bibbia propone, ma le
culture tribali, che sono restate lontane da quella fonte, non si sono quasi
poste quei problemi cruciali; in ogni modo, esse hanno partecipato poco o niente
allo sviluppo di una civiltà che è nata sulle sponde del Mediterraneo e che è
andata avanti anche assorbendo altri apporti, ma sempre in continuità con le
proprie fasi precedenti.
Non è un caso, infine, che oggi a prevalere sia la
lingua inglese, cioè la lingua di due nazioni (Gran Bretagna e Stati Uniti) che
hanno preso vigore dopo aver fatto quelle Rivoluzioni puritane (inglesi e
americana) promosse da persone giudicate dagli altri «troppo radicali» nella
loro lettura della Bibbia, libro che poi hanno fortemente contribuito a
diffondere in tutto il mondo.
▲
5.
TANTE PERLE… E UNA MACCHIA:
In sintonia con la migliore tradizione protestante, anche nell’affrontare
difficili questioni filosofiche, il libro cerca di mantenere un linguaggio per
quanto possibile semplice, usando spesso espressioni riassuntive di grande
chiarezza ed efficacia. Possono giovarsene perciò non solo gli specialisti, ma
anche tutti quelli che sono lettori abituali. Ciò che più mi ha colpito è la denuncia che Bavinck fa
(nel 1908!) dell’idolatria nazionalista, avvertendo l’avvicinarsi di una guerra
senza precedenti (nel 1914 in effetti scoppierà la prima guerra mondiale). Viene
abitualmente ripetuto che l’ascesa di Hitler fu una reazione alla umiliazione
inflitta alla Germania con la prima guerra mondiale, mentre lo scritto di
Bavinck dimostra che il popolo tedesco si era preparato da tempo per sostituire
l’Evangelo con l’idolatria di se stesso (pp. 323s).
Il libro è stato una miniera di informazioni e
valutazioni interessanti, che mi hanno ricreato l’intelletto e lo spirito. È un
acuto «giro d’orizzonte» sulla cultura europea di un secolo fa che il tempo, più
che ingiallire, ha ancor più valorizzato. Bavinck ha visto in anticipo i primi
segni di un percorso di smarrimento che l’Europa stava intraprendendo: oggi non
solo la sua analisi è attualissima (la cultura europea sembra non essere
cambiata granché), ma risulta più appropriata di quella di molte altre
«sentinelle» che non si accorgono del pericolo nemmeno quando ci sono immerse, o
gli è passato davanti. Puntuali e attualissime sono anche le sue valutazioni
sull’evoluzionismo, che già un secolo fa appariva (a chi non ne era succube) in
tutta la sua inconsistenza e pericolosità. Proprio l’acuta critica
dell’evoluzionismo, però, rende difficilmente comprensibile come Bavinck possa
essere caduto in una valutazione positiva dell’eugenetica, auspicando
l’impedimento del matrimonio alle persone affette da gravi malattie (pp. 295s).
I lettori di Proiezioni Culturali, in conclusione, ci
troveranno temi e sensibilità che sono stati già introdotti e che perciò in
parte già conoscono. Temi che Bavinck a volte ha sviluppato più a fondo o visti
da un’altra angolatura, mescolati ad altri temi che risulteranno nuovi. Ho
trovato in Bavinck, insomma, un «compagno di viaggio». A questo punto, non mi
resterebbe altro da fare che riportare le sue espressioni che ho trovato più
utili. Al riguardo rimandiamo a un altro articolo.
►
Hermann Bavinck e la psicologia: La psicologia tra scienza e rivelazione
{Tonino Mele}
Aggiornamento: 02-05-07
|