Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Radici 5-6

 

3. Cultura biblica

Scrivi @ F. De Angelis

Spiegazione delle rubriche

 

 

Oltre alle parti introduttive (Bibbia, AT) e al Giochimpara finale, il libro contiene due parti distinte dell’AT: l’Epoca Babilonese e l’Epoca Persiana. In appendice ci sono tre excursus:
■ I nomi ebraici di Dio
■ Il patto, i patti e i testamenti
■ La Bibbia fra criticismo e modernismo.

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca babilonese («Libri storici e profetici III»):
■ L’epoca babilonese in generale
■ Sofonia
■ Habacuc
■ Geremia
■ Lamentazioni
■ Daniele
■ Ezechiele
■ Il tempo dell’esilio. 

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca persiana («Libri storici e profetici IV»):
■ L’epoca persiana in generale
■ Esdra-Nehemia
■ Ester
■ Aggeo
■ Zaccaria
■ Malachia
■ L’epoca intertestamentaria.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONFRONTO TRA GLI AUTORI DELLE DUE RECENSIONI

 

 di Fernando De Angelis e Irene Bitassi

 

[Indice] [Bitassi] [De Angelis 1] [De Angelis 2] [Confronto]

 

Herman Bavinck, Filosofia della rivelazione (Alfa & Omega,

Caltanissetta 2004; traduzione di uno scritto del 1909), pp. 335; € 24,10.

 

Fernando De Angelis (1)

Irene Bitassi (1)

Fernando De Angelis (2)

Irene Bitassi (2)

Fernando De Angelis (3)  

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

Primo {Fernando De Angelis} ▲

 

Ti sottopongo questa «proposta di dialogo» e affronto un solo argomento: il rimprovero che fai alla fine a Bavinck di non dimostrare sufficientemente la sua filosofia della rivelazione. Mi sembra un rimprovero da «scientista», perché presuppone che la Filosofia si possa dimostrare, mentre tutto il discorso di Bavinck si basa sull’impossibilità di costruire una qualsiasi Filosofia senza una preliminare scelta (consapevole o inconsapevole, ma sempre oltre la ragione) di propri presupposti. L’inconsistenza di una ragione che poggi su se stessa mi sembra molto biblica e mi rafforza che l’abbia messa ben in luce Pascal («la ragione comprende i suoi limiti», cito a senso).

     Il filosofo Mirri conclude così un suo saggio: «È al santo in preghiera che occorre rivolgersi per avere risposta alla domanda “chi è Dio?”. Al filosofo non resta che la coscienza di una necessaria ascesi del pensare dall’insensata assolutizzazione umanistica del finito, e la capacità di indirizzarlo a quelle regioni dove Dio si fa manifesto; ma in queste il suo dire inevitabilmente tace: perché la filosofia, nel rifulgere della luce meridiana del vero, trova la sua sera». [Edoardo Mirri, Pensare il Medesimo (Napoli, 2006), p. 516] Insomma, la santità fa capire la realtà più della cultura.

     Mi colpì, a suo tempo, la lettura della 1 Corinzi, per esempio dove dice che nessuno conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui, così come nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio (2,11). Anche per le cose dell’uomo bisogna dunque partire dallo spirito, il solo a poter illuminare la ragione; una ragione che si ritenga autonoma è una contraddizione in termini, perché essa poggia su una rivelazione innata e tradizionale che al cane manca.

 

 

Secondo {Irene Bitassi} ▲

 

Personalmente, la mia posizione «filosofica» è kantiana pura, nel senso che ritengo che razionalmente non si possa presupporre nulla al di là delle manifestazioni fenomeniche. Mondo, Dio e anima sono concetti al di là della conoscenza (l’errore dell’evoluzionismo è sostanzialmente quello di aver cercato l’origine del «mondo»). A mio avviso, l’uomo non può andare oltre ciò e questo rappresenta esattamente il distacco dovuto allo stato di peccato originale. Tutte le filosofie che sono venute dopo tentando di superare questo punto morto della filosofia kantiana, a mio avviso, si sono solo perse in voli di fantasia. La conoscenza di Dio perciò deve venire dall’altra parte della «barricata», cioè non dall’uomo, ma dalla grazia. A questo punto, però, mi chiedo se abbia senso una teologia che non sia semplice esegesi della Bibbia o studio storico su di essa. Infatti, non si rischia di fare voli di fantasia su Dio, se la nostra razionalità si ferma prima?

     Per quanto riguarda la morale kantiana, devo dire che all’epoca degli studi per me costituiva un motivo di grande imbarazzo. Infatti, è abbastanza facile concordare con Kant che un’azione è morale solo e soltanto se non è motivata da un secondo fine. Questa definizione è stata spesso liquidata come troppo fredda, ma penso che non si riesca veramente a contestarla, anche se ci mette davanti all’evidenza che quasi nessuna delle nostre azioni è strettamente «morale» e disinteressata. Essendo io all’epoca cattolica, sentivo in modo particolare questo peso, perché alla fin fine dietro ad ogni «buona» azione c’era anche il pensiero di assicurarsi un posto in paradiso. Si trattava di un fine buono, ma pur sempre di un secondo fine che di fatto toglieva moralità all’azione. Soltanto quando ho conosciuto la salvezza per grazia, mi sono sentita veramente in grado di compiere pienamente un’azione morale, visto che il paradiso è già assicurato dall’opera di Cristo e posso compiere un’azione solo perché è giusto compierla. A mio modesto parere, l’uomo religioso che non conosce la grazia non è nelle condizioni di compiere azioni morali in senso kantiano. Paradossalmente, in questo senso un salvato per grazia e un ateo sono molto più vicini: per entrambi esiste una «indifferenza» a ciò che sarà di loro dopo la morte (anche se per motivi diametralmente opposti, perché un ateo si sente sicuro che non esisterà, mentre il credente sa che sarà in paradiso) che secondo me è presupposto implicito della morale kantiana.

     Bavinck mi sembra in certi punti oscillare un po’ tra la constatazione che umanamente non si riesca andare al di là della filosofia kantiana e il tentativo di «razionalizzare» la grazia, inserendola in un sistema filosofico. Mi sembra che, in generale, il libro dimostri abbastanza chiaramente come la fede nel Dio biblico risolva molti problemi filosofici, ma poi, come sempre in filosofia, nasce il problema di «dimostrare» Dio. Personalmente, a quel punto, io avrei scritto a chiare lettere che la fede è solo una grazia e avrei chiuso lì. Bavinck, invece, raccoglie la sfida e «butta lì» questo spunto anche piuttosto originale e interessante della, passami il termine, «dimostrazione sociale». Però come lettrice avrei preferito che avesse approfondito di più il concetto, seguendone le implicazioni e prevedendo qualche risposta alle obiezioni possibili. Questo voleva essere un po’ il senso della critica che avevo scritto.

 

 

Terzo {Fernando De Angelis} ▲

 

Mi era venuto il sospetto (a partire da piccoli indizi) che tu fossi kantiana e avevo già pensato di chiedertene conferma (arrivata spontanea), così ora mi confermi l’impressione di «razionalismo» che a volte mi dai, come per esempio quando ritieni possibile un’analisi «distaccata» e «semplicemente tecnica»: in una certa misura è possibile e doveroso, ma credo che tu non tenga conto a sufficienza che ognuno è sempre una «persona storica».

     Scrivi: «Ritengo che razionalmente non si possa presupporre nulla al di là delle manifestazioni fenomeniche». Le manifestazioni fenomeniche, però, sono un nulla rispetto alla complessità del reale (cito a memoria Wittgenstein: quand’anche avessimo la risposta a tutte le possibili domande scientifiche, non avremmo nemmeno sfiorato i veri problemi della condizione umana); se così è, allora la tua affermazione significa che «non si può conoscere nulla al di fuori del nulla», cioè che in fondo non si può conoscere nulla!

     È significativo che proprio su questo fondamento sia costruita la grande filosofia, che parte da un Socrate che «sapeva di non sapere nulla»! Perché allora i filosofi se lo dimenticano? Certo non perché credenti nella Bibbia, perché la necessità di una rivelazione si basa proprio sull’incapacità dell’uomo a comprendere con le sue forze. La teologia del Nuovo Testamento, per esempio, è essenzialmente la teologia dell’apostolo Paolo, che in fondo esprime in parole quella che era stata la sua esperienza sulla «via per Damasco» dove gli apparve evidente, da un lato l’inconsistenza perfino delle migliori intenzioni umane, dall’altro l’irrompere chiarificatore del rivelarsi di Gesù.

     Certo poi riconosci il ruolo essenziale della grazia, ma lo inserisci in un contesto «dualista», di contrapposizione fra grazia e intelligenza, mentre l’irrompere della grazia biblica distrugge il razionalismo e fa emergere la ragione. «Distruggiamo ogni ragionamento e facciamo prigioniero ogni pensiero che si eleva contro la conoscenza di Dio», dice Paolo. Anche Daniele in Babilonia distrusse il loro razionalismo e la loro autosufficienza perché illuminato dalla grazia di Dio. Per comprendere e accettare Gesù ci voleva qualcosa che andava oltre la ragione, ma Gesù accettò di scontrarsi con i suoi nemici usando le loro stesse armi (logica, fatti, Scrittura). Pascal ha insegnato che se la ragione funziona bene riesce a comprendere i suoi limiti. Lo Spirito illumina la ragione, mentre è solo una ragione abnorme, gonfiata, che si illude di poter fare a meno dello Spirito.

     Mi scrivi anche: «La conoscenza di Dio perciò deve venire dall’altra parte della “barricata”, cioè non dall’uomo, ma dalla grazia. A questo punto, però, mi chiedo se abbia senso una teologia che non sia semplice esegesi della Bibbia o studio storico su di essa. Infatti, non si rischia di fare voli di fantasia su Dio, se la nostra razionalità si ferma prima?». Come se si potesse fare esegesi senza interpretazione. Come se la Bibbia esponesse la verità alla maniera greca (cioè con affermazioni di carattere assoluto) quando invece tutta la Bibbia è rivelazione STORICA; non posso leggere l’epistola ai Romani come se fosse l’epistola a Fernando, certo che devo farla mia e applicarla a me, ma è pur sempre una APPLICAZIONE che segue un’interpretazione. Chi dice di fare solo esegesi, in realtà vuol far passare per ASSOLUTA la sua particolare teologia e la sua particolare applicazione. La Bibbia non è un libro che ci consente di fare a meno di Dio e del suo Spirito. Perfino con Mosè vivente c’era bisogno di una colonna di nuvole e di fuoco che guidasse il popolo di Dio. Perfino l’apostolo Paolo aveva bisogno di interpretare certi sogni non proprio univoci per sapere dove lo Spirito voleva che evangelizzasse (non in Asia, ma piuttosto in Grecia).

     Sembra che tu sia contraria ai «voli di fantasia» e non hai tutti i torti. Ma Abramo, il padre della fede, non andò dietro i sogni? Nessuno può vivere senza sognare, non solo di notte, ma anche di giorno! Certo, i sognatori biblici cercavano poi delle corrispondenze con la realtà concreta, ma piuttosto che contrapporre i sogni alla concretezza, bisogna integrarli (l’Evangelo non ci rivela un Gesù pieno di sogni e di concretezza?).

     Scrivi: «È abbastanza facile concordare con Kant», come se fosse una questione di logica, mentre è soprattutto una questione di storia. Quello che a un occidentale appare logico non appare altrettanto logico a un arabo o a un indiano o a un cinese e, guarda caso, la tua comprensione e condivisione di Kant è aumentata quando sei entrata in quell’area «pietista» dalla quale proveniva Kant!

     Scrivi: «Bavinck mi sembra in certi punti oscillare un po’ […] poi, come sempre in filosofia, nasce il problema di “dimostrare” Dio». Perdonami la brutalità, ma hai guardato al moscerino, ignorando il cammello! Anziché guardare il credente Bavinck con la tua sensibilità da credente, hai cercato in lui le giuste risposte alle false domande della filosofia. Erano i greci a voler «dimostrare» Dio, arrivando però a una resa totale e a fare un altare «al Dio sconosciuto». Il Dio biblico non si «dimostra» ma si «mostra»: è il Dio che si  rivela. Quando l’apostolo Paolo doveva spiegare cosa credeva, raccontava la propria storia, perché la rivelazione di Dio gli era arrivata a un certo punto della sua vita e aveva dato alla sua vita una direzione sovrumana. L’Evangelo non è tanto la dottrina di Gesù, quanto la storia di Gesù. La tua fede è nata all’interno della tua storia e non potrà che crescere all’interno di essa, continuando a coinvolgerti nei pensieri, nelle esperienze, nei sentimenti e nei sogni!

     Gesù, da buon profeta, si sentì responsabile verso la sua generazione: avvertì dell’imminente pericolo («Non sarà lasciata pietra sopra pietra» del tempio) e indicò la via pratica per scampare (fuggire da Gerusalemme), intravedendo gli eserciti che stavano per arrivare e sarebbero venuti 40 anni dopo. Anche Paolo, nel centro dell’Impero e ai capi dell’Impero, fece sapere quale cancro stava sgretolando quelle fondamenta che sembravano «eterne». Qualcosa di simile fece Geremia e credo che pure Bavinck abbia assolto al suo compito di «sentinella», intravedendo nel 1908 quelle guerre che avrebbero distrutto l’Europa. Questa credo che sia l’essenza del suo libro, che doveva avere le caratteristiche di parlare alla gente del suo tempo e gli argomenti dovevano colpire sulla base delle convinzioni e dei presupposti della gente del suo tempo.

     Piuttosto che insistere su quanto scritto da Bavinck, però, credo che come credenti abbiamo l’obbligo di porci le sue stesse domande: «Qual è la condizione della nostra generazione? Quali sono i pericoli che si vanno profilando? Come parlare alla nostra generazione nel loro linguaggio? Quando la nave è in pericolo di affondare, è «santo» pensare solo alla nostra cameretta e alla nostra scialuppa? In ogni caso, i profeti non fecero così e inviarono messaggi a tutte le nazioni! Cosa diranno di me nel futuro, quando leggeranno la mia analisi di questi tempi e le prospettive che intravedo? Forse molti di noi nel futuro appariranno ridicoli, ma a me sembra che i «pii cristiani» ci hanno in genere visto giusto (anche perché sono i malvagi a sapere chi devono perseguitare!). In ogni caso, preferisco rischiare esponendo le convinzioni alle quali sono pervenuto (credo con la guida di Dio, in qualche misura) piuttosto che correre il rischio di mettere la lampada sotto il tavolo.

 

 

Quarto {Irene Bitassi} ▲

 

Perché i filosofi si dimenticano che la grande filosofia è fondata da un Socrate che affermava di sapere di non sapere nulla? L’impressione che ho sempre avuto studiando è che alcuni di essi riconoscano la propria ignoranza mettendo in un certo senso dei punti fermi alla stessa filosofia. Poi, però nessuno riesce a convivere con queste limitazioni, perciò ci si trova davanti a due strade: o accettare una rivelazione superiore o lanciarsi nei famosi voli di fantasia. Secondo me, è così che nascono tante assurde filosofie.

     Non riesco sinceramente a considerare «dualista» la mia visione tra grazia e razionalismo. La razionalità riconosce per logica che le sue conoscenze si fermano ben presto e di lì parte la grazia e la rivelazione: la definirei una staffetta. Il primo tratto possiamo farlo tranquillamente in compagnia degli atei e degli agnostici, perché si tratta di intendersi solo sulle questioni di logica. Durante il secondo tratto, invece si tratta di dimostrare l’assurdità delle filosofie che pretendono di indagare l’essenza e di predicare l’Evangelo. Possiamo aiutarci appellandoci al buon senso e alla razionalità, ma non possiamo indagare a fondo razionalmente, perché la logica si ferma al tratto precedente.

     Hai ragione quando mi fai notare che la mia espressione «È abbastanza facile concordare con Kant» è troppo generica, perché non apparirebbe altrettanto logica a un arabo o a un cinese. In effetti pensavo in maniera implicita alla staffetta di cui ho scritto sopra e di come percorrere il tratto in comune con i non-credenti. Ho verificato che su Kant si riesce a trovare un punto di incontro con gli atei (persino con quelli così estremisti che tendono a considerare come inesistente qualsiasi cosa che non si misura con il metro!). Naturalmente, queste persone sono comunque influenzate dalla cultura «cristiana» in cui sono cresciute.

     Di seguito, nella tua lettera, mi rimproveri di aver «maltrattato» il credente Bavinck in favore delle false domande della filosofia e in un certo senso è vero. Quello a cui pensavo è come far arrivare il messaggio evangelico a un non-credente impastato di filosofia e per farlo cercavo di mettermi dal suo punto di vista, ponendomi nel suo schema mentale. Anche tu più avanti poni questa domanda: «Come parlare alla nostra generazione nel loro linguaggio?». Per riuscirci, penso (ma posso sbagliare, s’intende: non sono una grande evangelizzatrice!) di dover fare l’avvocato del diavolo ed essere implacabile nelle obiezioni da fare a ogni argomentazione dei credenti. Non per distruggerle davvero o sminuirle, ma solo per obbligarci a renderle sempre più chiare e convincenti per quando saranno vagliate davvero dai non credenti.

 

 

Quinto {Fernando De Angelis} ▲

 

La tua immagine della «staffetta», fra prima fase razionale e seconda fase che va oltre, la condivido pienamente, come pure condivido quanto esprimi in relazione a Kant: le divergenze su questi punti, perciò, erano solo equivoci. Rifletto solo che, essendo la cultura moderna di derivazione essenzialmente protestante, con certi giovani scettici (come quelli da te citati) ci possono essere convergenze dovute proprio al loro essere in qualche misura (e spesso in modo stravolto) «protestantizzati».

     Fai certamente bene a immaginarti come «avvocato del diavolo» e così prepararti alla difesa, ma bisogna armarsi anche di spada (attacco) e non fermarsi solo allo scudo. Per distruggere il sistema del «nemico» (che non è mai un essere umano, il quale è semmai una vittima), bisogna vagliare il suo sistema cercando di disarticolarlo, usando sì le sue categorie di pensiero, ma mettendone in evidenza l’insostenibilità.

 

Hermann Bavinck e la psicologia: La psicologia tra scienza e rivelazione {Tonino Mele}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/Proiezioni/306e-Bavinck_confronti_R56.htm

Aggiornamento: 02-05-07

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce