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HERMANN BAVINCK E LA PSICOLOGIA

LA PSICOLOGIA TRA SCIENZA E RIVELAZIONE 

 

 di Tonino Mele

 

1. Introduzione

2. La psicologia ai tempi di Bavinck: Wilhelm Wundt

3. La critica di Bavinck alla «psicologia scientifica»

4. L’evoluzione della psicologia

5. Conclusione: ciò che rimane della critica di Bavinck

 

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1.  INTRODUZIONE: Ho letto con vero piacere quanto Fernando De Angelis ha scritto con «molta partecipazione» sul libro di Hermann Bavinck, Filosofia della rivelazione (Alfa & Omega, Caltanissetta 2004). Si vedano al riguardo i seguenti contributi:

Note a margine a Bavinck: Un ultimo avvertimento all’Europa {Fernando De Angelis}

Citazioni di Herman Bavinck, estratte dal suo libro {Fernando De Angelis}

 

Ho ritenuto quindi utile continuare la riflessione su un aspetto particolare del libro in questione: l’approccio di Bavinck alla psicologia. L’autore tratta l’argomento soprattutto nel capitolo «Rivelazione ed esperienza religiosa» (pp. 219-259). Anche qui si può notare un teologo che si è saputo confrontare col suo tempo (inizi del ’900), che ha saputo precorrere i tempi, e che quindi riesce a darci spunti di riflessione validi ancora oggi, malgrado rimanga fondamentalmente un uomo del suo tempo.

     Il tema in questione (la psicologia) è anch’esso interessante e poco dibattuto, perché funestato di prese di posizione spesso diametralmente opposte, che non lasciano spazio ad alcuna forma di dialogo. Una posizione estremamente refrattaria si è spesso contrapposta a una «visione acritica» della psicologia, lasciando spazio soprattutto a pregiudizi, caricature e luoghi comuni, che non hanno aiutato il confronto, ma lo hanno stroncato. Così, è interessante rilevare che Bavinck si è confrontato con la psicologia, e, pur muovendo da una posizione fondamentalmente critica, ne ha saputo dire anche bene.

     Prima di procedere è utile dire qualcosa sul nostro metodo di ricerca. Essendo questa trattazione una sorta di «recupero» del passato e mirando a farne anche qualche trasposizione nel presente è necessario recuperare tutti i «dati», in modo che qualche «tassello» mancante non pregiudichi la riuscita dell’operazione. In particolare, qui dobbiamo prendere in considerazione che Bavinck scriveva nel lontano 1909 e che nel frattempo la psicologia stessa si è evoluta. La cornice storica è dunque determinante per sapere ciò che Bavinck ha detto e soprattutto ciò che può dire ancora oggi. Il nostro programma sarà dunque il seguente: vedremo la psicologia che Bavinck aveva in mente, vedremo la critica che egli ha rivolto a questa psicologia, vedremo come nel frattempo la psicologia si è evoluta e noteremo ciò che rimane oggi delle cose dette da Bavinck su questo argomento.

 

 

2.  LA PSICOLOGIA AI TEMPI DI BAVINCK: WILHELM WUNDT: Nel suo libro Bavinck cita spesso il fondatore della «psicologia scientifica» Wilhelm Wundt e quando parla di «psicologia empirica» (pp. 231-234), sembra che abbia proprio in mente la psicologia di quest’ultimo. In realtà, Bavinck parla anche di «psicologia della religione» (pp. 222-229, 253), e qui ha in mente William James e il suo libro del 1902 «Varietà delle esperienze religiose». Essendo questa però una «applicazione» della «psicologia scientifica», noi tratteremo soprattutto di quest’ultima. E, dal momento che la critica di Bavinck riguarda sia l’oggetto che il metodo della psicologia scientifica inaugurata da Wundt, è utile soffermarci un po’ su di lui.

     Wilhelm Wundt (Neckarau 1832 - Lipsia 1920), figlio di un pastore luterano è considerato a tutti gli effetti il padre della «psicologia scientifica». La sua prima opera, dove presenta la psicologia come una scienza nuova e indipendente, è stata «Contributi alla teoria della percezione sensoriale» che, insieme agli «Elementi di psicofisica» di Gustav Theodor Fechner (Gross-Sarchen 1801 - Lipsia 1887), è considerata come l’atto di nascita della psicologia scientifica. Nel 1863 pubblicò un’altra importante opera dal titolo «Lezioni sulla psiche umana e animale» che contribuì parecchio a dare una visione sperimentale di molte questioni psicologiche. Nel 1879 costituì a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale e nel 1881 costituì, come organo del laboratorio, la rivista «Studi filosofici», considerata la prima rivista di psicologia sperimentale.

     Il particolare contributo di Wundt alla psicologia riguardò soprattutto l’oggetto della psicologia e la metodologia da adottare per fare di questa una scienza sperimentale e autonoma. Il presupposto che sottostava al lavoro di Wundt era la convinzione che la psicologia poteva costituirsi autonomamente come una qualsiasi altra scienza, con un suo specifico metodo sperimentale. Wundt aveva mutuato questa convinzione dalle scienze naturali, e in particolare dai suoi studi e dalle sue ricerche di fisiologia, dove già veniva applicato il metodo sperimentale a questioni fisiologiche confinanti con la psicologia (non a caso egli parlò di «psicologia fisiologica»).

     Dal suo «Compendio di psicologia» del 1896 Wundt descrisse l’oggetto della psicologia nei seguenti termini: «la psicologia... investiga l’intero contenuto dell’esperienza nella sua relazione col soggetto e nelle qualità, che sono immediatamente attribuite a esso dal soggetto». Per Wundt dunque, l’oggetto della psicologia era l’esperienza immediata, cioè i dati di coscienza appena percepiti dal soggetto, senza alcuna successiva elaborazione da parte sua. Questa definizione ebbe un ruolo di primo piano a quei tempi, perché tagliava definitivamente i ponti con ogni concezione filosofica e metafisica della psicologia. Come ha detto lo storico della psicologia D.P. Schultz, «asserendo che l’oggetto della psicologia era una scienza basata sull’esperienza, Wundt fu in grado di evitare ogni discussione sulla natura dell’anima immortale e sul suo rapporto con il corpo mortale. Semplicemente, ma con forza, asserì che la psicologia non si occupa di questo problema».[1]

     Sempre nel «Compendio» Wundt parlò di questi «contenuti immediati dell’esperienza» come di «processi di natura composta» e così delineò il ruolo della psicologia intesa come «ricerca scientifica»: «Di fronte a una natura così complessa dei fatti psichici la ricerca scientifica deve condurre a termine consecutivamente tre compiti. Il primo consiste nell’analisi dei processi composti, il secondo nel mettere in luce le connessioni tra gli elementi trovati mediante l’analisi, il terzo nell’investigazione delle leggi, che presiedono al sorgere di tali connessioni».

     Si intravede in queste parole la concezione elementistica e associazionistica (di matrice empirista) che Wundt aveva della coscienza, cioè un insieme di elementi associati che ai fini della sperimentazione, bisognava scomporre nelle loro parti più semplici e irriducibili, cioè le percezioni sensoriali. Tuttavia (malgrado l’elementismo di cui spesso è stato criticato) egli sosteneva che, componendosi, questi elementi della coscienza, danno luogo a formazioni psichiche con nuove proprietà; questa è stata chiamata la teoria della sintesi creativa. I processi superiori quali il pensiero o il linguaggio invece non venivano indagati sperimentalmente perché andavano oltre l’esperienza immediata, in una sfera influenzata dal sociale che ha bisogno di altri strumenti per essere indagata. Anche se banditi dal laboratorio di Lipsia, questi processi, insieme ad «altri prodotti dello spirito», quali i miti e i costumi, diventarono comunque oggetto delle sue osservazioni speculative culminando nella sua voluminosa «Psicologia dei popoli», opera in dieci volumi scritta tra il 1900 e il 1920.

     Il metodo seguito da Wundt nei suoi esperimenti era basato su un tipo di introspezione rigidamente controllata, cioè un resoconto quantitativo, fornito dal soggetto, in base alla sua auto-osservazione di come percepiva gli stimoli sensoriali, riguardo la loro durata, grandezza e intensità. Da questo resoconto doveva essere tagliata fuori ogni influenza soggettiva, quali il pensiero, le emozioni e la volontà, per cui molto importante era la terminologia da usare. Ad esempio, se mi fa male la testa e dico «ho mal di testa», sto già dando un’interpretazione che va oltre l’esperienza immediata del mio mal di testa, per cui dovrei descrivere le varie sensazioni che questo male mi provoca se voglio dare un resoconto più diretto e quindi più oggettivo. Il criterio a cui sottoponeva la validità dei suoi esperimenti era quello della ripetibilità anche in condizioni opportunamente manipolate; solo così poteva stabilire anche con contro-prove se i risultati erano oggettivi.

     Il principio per il quale Wundt era sicuro che la manipolazione di uno stimolo sensoriale avrebbe dato modo di studiare elementi più complessi della vita psichica era il parallelismo psicofisico. Secondo tale principio esiste una corrispondenza puntuale, cioè punto a punto, tra i processi sensoriali e i processi mentali tale da renderli paralleli; non che gli uni siano causa degli altri, «ma a ciascun cambiamento dei primi corrisponde puntualmente un cambiamento dei secondi».[2] Per questo Wundt è stato tacciato di materialismo. Ma proprio il Bavinck osserva che «la sua teoria del parallelismo psicofisico» ha segnato per Wundt, «un cambiamento di opinione che gli attirò il sarcasmo di Haeckel, in base a cui, cioè, sarebbe normale nella vecchiaia “che giunga una graduale degenerazione tanto nel cervello quanto negli organi esterni”».[3] Il teologo olandese riconosce così nel «parallelismo psicofisico» un superamento del monismo materialista di Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919), tanto da attiragli il suo sarcasmo.

 

 

3.  LA CRITICA DI BAVINCK ALLA «PSICOLOGIA SCIENTIFICA»: Uno dei rilievi critici rivolti alla psicologia scientifica di Wundt riguarda soprattutto i risultati della sua impostazione. Fino a che punto può portare un’indagine sperimentale sull’anima umana? Tirando la somma di tutte le sperimentazioni scientifiche, possiamo dire che la psicologia scientifica ci possa dare una piena comprensione della psiche umana? Herman Bavinck, così riassume questo tipo di obiezione: «…la psicologia empirica non sarà mai capace di spiegare completamente la vita psichica. Può esaminare con la massima precisione i fenomeni della coscienza, le sensazioni, i sentimenti, le passioni e può cercare di concepire il loro funzionamento in modo meccanicistico, può persino cercare di spiegare l’io o la consapevolezza di sé attraverso l’associazione delle idee, ma non può penetrare in modo naturale all’interno di ciò che giace al di sotto della coscienza, ne può accendere alcuna luce nei luoghi segreti del cuore».[4]

     Prima di procedere è utile notare che il Bavinck non si esprime contro l’assunto che sta alla base della psicologia empirica, secondo il quale è legittimo indagare la vita psichica dell’uomo. La sua tesi è che «la psicologia empirica non sarà mai capace di spiegare completamente la vita psichica» (corsivo nostro). Riconosce però dei «vantaggi»[5] nel metodo empirico in uso al suo tempo, e nel dire questo si riferiva molto probabilmente al metodo privilegiato da Wundt. Ma vediamo meglio le sue argomentazioni. Esse sono di due tipi: la prima riguarda l’oggetto dello studio della psicologia e la seconda riguarda il suo metodo di studio.

     Riguardo all’oggetto, Bavinck dice che la psicologia empirica «non può penetrare in modo naturale all’interno di ciò che giace al di sotto della coscienza» (corsivo nostro).[6] L’oggetto della psicologia empirica può essere solo la coscienza e oltre non può andare. Essa, infatti, non ha gli strumenti per poterlo fare. Il modo in cui la psicologia empirica si pone verso l’essenza dell’uomo non è quello naturale, ma quello meccanicistico, che altro non è se non una distorsione della reale natura dell’uomo. Ed essendo questo il suo oggetto di studio, ossia un oggetto limitato che non dà ragione di tutta la complessità della psiche umana, Bavinck conclude che la psicologia empirica non ci potrà mai dare una spiegazione completa e totale dell’essere umano.

     Riguardo al metodo di studio proprio della psicologia empirica di Wundt, Bavinck critica la sua concezione elementistica della coscienza quando dice che, «il tutto non può essere spiegato in maniera atomistica per mezzo di una combinazione delle sue parti, ma al contrario, le parti debbono essere concepite in modo organico spiegando la totalità. Al di là del particolare c’è l’universale e il tutto precede la parte».[7] In particolare, il teologo olandese, addebita a questo metodo il fatto che «separa l’uomo dal suo ambiente sociale, i processi psichici dal loro contatto con la vita e, in quei processi psichici, essa nuovamente, isola dei processi definiti come le sensazioni di tempo, di spazio o colore a partire dalla vita psichica».[8] È un «illusione» per Bavinck che «la vita psichica dell’uomo possa mai trovare la sua spiegazione in questo modo».[9]

     Pur riconoscendo alla «psicologia empirica» «un importante significato pedagogico», in quanto «conduce alla realtà», per Bavinck, «essa prende la sua origine dalla — e anche rimanda alla — psicologia metafisica. E così diviene manifesto che la vita empirica è radicata in un dato aprioristico che non prende vita attraverso uno sviluppo meccanicistico, ma è un dono della grazia di Dio ed è frutto e risultato della sua rivelazione» (corsivo nostro).[10] In altre parole, per Bavinck, la psicologia scientifica, non può esprimere, sulla vita psichica, giudizi di valore. La vita psichica va oltre i dati empirici in cui si manifesta. C’è un dato aprioristico, che sfugge all’osservazione scientifica ed è qui che entra in gioco la «psicologia metafisica» e la «rivelazione». È interessante che Bavinck dica questo della vita psichica in genere. Forse, qui emerge il suo calvinismo, secondo il quale tutta la vita dipende da Dio, non solo quella religiosa. E c’era da aspettarsi che avrebbe confermato tutto questo, quando scende sullo specifico, e parla della «psicologia della religione» e della «conversione» religiosa.

     Qui egli afferma che «la psicologia della religione indaga soltanto sull’esperienza dell’anima e non può formare un giudizio sul suo diritto e sul suo valore. Osserva e descrive i fenomeni della coscienza religiosa, ma non si può pronunciare circa la loro verità e purezza... Non ha una norma attraverso cui esprimere un giudizio su che cosa sia la conversione. Di per sé, indaga solo sulla conversione descrivendola come fenomeno psicologico. Considerato da questo punto di vista, il tradimento di Giuda è tanto importante quanto la penitenza di Pietro e la conversione non è nient’altro che una delle tante trasformazioni della coscienza o alterazioni della personalità che si verificano così frequentemente nella vita umana. Se tutti questi fenomeni religiosi sono studiati solo da un punto di vista psicologico, ne risulta che perdono il loro carattere e il loro contenuto viene sacrificato alla forma... Ciò che la conversione è e dovrebbe essere, nessuna psicologia della religione può insegnarcelo: solo le Scritture ce lo possono dire e, se non lo facessero, nessuno lo saprebbe. Questa osservazione non si applica soltanto alla conversione, ma anche a tutte le esperienze religiose...» (corsivo nostro).[11]

     Insomma, anche se, il tagliare i ponti con la filosofia e la rivelazione, costituiva per la nascente psicologia scientifica, soprattutto un’esigenza di tipo metodologico e scientifico, bisogna prendere atto, come osserva il Bavinck, che la psicologia non potrà mai dire l’ultima parola sull’uomo, perché esiste un dato aprioristico, che sfugge persino alla sua osservazione.

 

 

4.  L’EVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA: Che dire dinanzi alle obiezioni fatte da Bavinck? Esse colpivano una psicologia scientifica ancora nascente. All’inizio di ogni scienza ci si è sempre chiesti se si era davanti a una scienza dalle gambe corte, che aveva il diritto di nascere, ma forse, non di crescere. Così è successo con la scienza psicologica. E visto che le obiezioni del teologo olandese colpivano sia il metodo che l’oggetto di studio della psicologia appena nata è legittimo chiedersi se hanno avuto un peso e una rilevanza scientifica? A quanto pare, sì! E paradossalmente bisogna dire che sono considerazioni del tipo espresso dal Bavinck che hanno permesso alla psicologia di svilupparsi e migliorare il suo oggetto di studio e la sua metodologia. Anche qui egli ha precorso i tempi.

     Gli storici della psicologia sono i primi ad affermare che anche se «la posizione di Wundt... non ha retto alla prova del tempo»[12], questo però non ha portato alla fine prematura della psicologia scientifica, ma alla sua evoluzione. In seno alla psicologia medesima c’è stato un processo di autocritica che l’ha portata, di volta in volta, a precisare l’oggetto e il metodo di studio della nuova scienza psicologica.[13] Nuove correnti scientifiche si sono affacciate dopo Wundt, nel panorama della psicologia sperimentale, che, sulla base di nuove ipotesi, hanno portato avanti la ricerca. Grazie alla scoperta dell’inconscio, oggi ne sappiamo molto di più di «ciò che giace al di là e al di sotto della coscienza». La psicologia della Gestalt ha ribadito e dimostrato sperimentalmente la preminenza della totalità sui singoli elementi e del «tutto che precede la parte». Il funzionalismo, il comportamentismo e il cognitivismo hanno studiato meglio altri aspetti dell’uomo che Wundt aveva tagliato fuori dal suo laboratorio. Oggi ne sappiamo di più del comportamento dell’uomo, dei suoi processi mentali, delle sue emozioni, ecc. Il concetto meccanicistico dell’essere umano è stato sempre più messo da parte per dare spazio alle sue relazioni con l’ambiente che lo circonda. Bisogna registrare comunque, che tutto ciò ha prodotto collateralmente, anche una serie di approcci diversi alla psicologia. Oggi abbiamo a che fare con tante psicologie, tutte diverse tra loro, e non è sempre facile barcamenarsi tra di esse[14].

 

 

5.  CONCLUSIONE: CIÒ CHE RIMANE DELLA CRITICA DI BAVINCK: Pur considerando quella di Bavinck una critica in parte datata, come datato è ormai quel particolare approccio alla psicologia scientifica che il teologo olandese aveva preso di mira (l’approccio wundtiano), dobbiamo dire che permane un elemento critico fondamentale. Bavinck ha giustamente osservato: «la psicologia empirica non sarà mai capace di spiegare completamente la vita psichica».[15] Quest’affermazione, in parte coglie le potenzialità della psicologia empirica e in parte né coglie il limite. Quest’ultima può dare delle risposte sulla vita psichica dell’uomo, ma non può darle tutte. In quest’acuta osservazione del teologo olandese noi vediamo il punto di equilibrio tra una visione acritica della psicologia e una posizione di chiusura totale. Bisogna diffidare di una «psicologia» totalizzante e assolutistica che vuol dare giudizi di valore che non le competono, ma bisogna anche riconoscerle quel ruolo positivo che essa può avere. Ad esempio, parlando proprio della «psicologia della religione», Bavinck diventa così esplicito, che quasi ci sorprende. Egli dice: «Non vi è dubbio che questa giovane scienza — alla quale il pietismo e il metodismo hanno preparato la strada e che è frutto della psicologia empirica e della teologia — abbia il diritto di esistere e che ci si possa aspettare che sia di grande ausilio alla conoscenza e alla regolamentazione della vita religiosa... Infine, possiamo riconoscere che la dogmatica, specialmente nella dottrina dell’ordo salutis, debba divenire più psicologica e tenga maggiormente conto dell’esperienza religiosa» (primi due corsivi e l’ultimo nostri).[16]

     Questo vale anche per la psicologia empirica o scientifica in genere, di cui, a detta dello stesso Bavinck, la psicologia della religione è «un frutto».

     Del resto, il limite su accennato non è vero solo per la psicologia, ma anche per altre discipline scientifiche e i loro specifici ambiti. E.P. Davies, un fisico, ha scritto: «Attraverso la scienza noi esseri umani siamo in grado di afferrare, almeno in parte, i segreti della natura» (corsivo nostro).[17] Tutta la scienza dunque ha una comprensione parziale delle cose. Sempre è stato così, ma ora se ne ha più la consapevolezza. Essa manca di quella norma attraverso cui esprimere un giudizio di valore sulle cose, norma che sappiamo e crediamo essere nella Rivelazione.

 

Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «Psicologia e cura d’anime», Entrare nella breccia (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 162-178. ● Per gli aspetti della psicologia cfr. in Nicola Martella, Dizionario delle medicine alternative, Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003), i seguenti articoli: «Medicina psicosomatica», p. 327; «Placebo (Effetto~)», pp. 430-435; «Psicosomatica e Bibbia», pp. 440ss; «Psicoterapie alternative», pp. 442-446. ● Per gli aspetti dottrinali della medicina cfr. in Nicola Martella, La salute fra scienza, religioni e ideologie, Malattia e guarigione 1 (Punto°A°Croce, Roma 2003), i seguenti articoli: «Peculiarità dell’AT e il suo rapporto con la medicina», pp. 118-121; «Peculiarità del NT e il suo rapporto con la medicina», pp. 135-140.

 

 

[1]. D.P. Schultz, A History of modern psychology (Academic Press, New York and London 1969), trad, it. Storia della psicologia moderna (Giunti, Firenze 1993), p. 72.

[2]. P. Legrenzi, Storia della psicologia (il Mulino, Bologna 1992), p. 73.

[3]. H. Bavinck, Filosofia della Rivelazione (Alfa & Omega, Caltanisetta 2004), p. 115.

[4]. Ibid., p. 232.

[5]. Ibid., p. 233.

[6]. Ibid., p. 232.

[7]. Ibid., p. 233.

[8]. Ibid.

[9]. Ibid.

[10]. Ibid., p. 233s.

[11]. Ibid., pp. 225ss: cfr. p. 253.

[12]. D.P. Schultz, op. cit., p. 73.

[13]. Ibid.

[14]. Per un approfondimento di alcune delle correnti psicologiche su accennate si legga: G. Giuni, Teorie psicologiche e Bibbia, Lux Biblica 33 (IBEI edizioni, Roma 2006).

[15]. H. Bavinck, op. cit., p. 232.

[16]. Ibid., p. 225.

[17]. P. Davies, The mind of God (Simon and Schuster, NewYork 1992), p. 173.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/A2-Bavinck_psicologia_EnB.htm

26-04-2007; Aggiornamento: 05-07-2010

 

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