Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le Origini 1

 

Calvinismo

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L’opera si presenta in due volumi ed è organizzata come segue:

1° volume (Temi delle origini): Gli articoli introduttivi e i temi di approfondimento

2° volume (Esegesi delle origini): Il commento particolareggiato basato sul testo ebraico (comprende anche una traduzione letterale posta alla fine)

   Se si eccettua la prima parte del primo volume, che introduce a Genesi 1,1-5,1a, per il resto ambedue i volumi dell’opera sono suddivisi rispettivamente secondo le seguenti parti:
■ La creazione del mondo e dell’uomo 1,1-2,4a
■ L’essere umano nella creazione 2,4b-25
■ La caduta primordiale e il suo effetto 3
■ La fine del resoconto su Adamo 4,1-5,1a.

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Le Origini 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SOVRASTRUTTURE DOTTRINALI

E TEOLOGIA RIFORMATA (2)

 

 a cura di Nicola Martella

 

Essendo arrivati nuovi contributi, proseguiamo qui di seguito semplicemente il confronto iniziato col seguente tema di discussione: ► Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 1.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Rosa Fidelis, ps.

2. Nicola Martella

3. Gaetano Nunnari

4. Nicola Martella

5. Nicola Berretta

6. Rosa Fidelis, ps.

7.

8.

9.

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Rosa Fidelis, ps.}

 

Nota redazionale: L'autrice di questo contributo prende posizione riguardo a un  pensiero espresso precedentemente da Gaetano Nunnari in uno dei suoi interventi. Ora segue il contributo di Rosa.

 

Desidero dire qualcosa a proposito d’un pensiero espresso da Gaetano in uno dei suoi interventi. Egli dice: «Il concetto di grazia nel calvinismo, a mio avviso, rende la grazia di Dio ancora più immeritata e in qualche modo più speciale per i suoi riscattati».

     Io non sarei capace di condividere questo compiacimento: un favore, un dono, per me e per tanti altri, è veramente gradito quando viene da una persona amata. Un dono che viene da una persona che non amo potrei accettarlo per cortesia, o per bisogno; ma, a livello di relazione umana, non mi darebbe la stessa gioia. Ciò che suscita in me la simpatia è soprattutto la generosità della persona: una generosità oculata e avveduta, rivolta a chi ha bisogno, soccorrevole e capace di sacrificio personale. Non mi va l’idea d’un Dio che ha deciso dall’eternità di salvare solo una parte di quest’umanità altrimenti destinata alla dannazione (perché tutta ugualmente colpevole e meritevole dell’eterno castigo), dal momento che potrebbe salvarla tutta con la sua «grazia irresistibile». In termini giuridici questo si chiama «omissione di soccorso», e la norma che prescrive il dovere di soccorrere chi è in stato di grave necessità, è una forma d’indiscutibile progresso umano e sociale. Non può essere la religione a cancellare un valore che è sentito dal cuore umano fin dai suoi primordi e che è stato sancito da un progresso civile secolare e universalmente riconosciuto. Prima d’essere una norma di diritto, il soccorso agli altri è il primo dovere del cristiano, ed è un’esigenza interiore così fondamentale da essere avvertito, e spesso assai profondamente, anche dagli atei. La fede si realizza nella carità (Galati 5,6), e chi ha soltanto la fede, se non ha la carità, non è nulla (1 Corinzi 13,2). Gesù ci chiede addirittura d’amare anche i nostri nemici, di pregare per coloro che ci perseguitano (Matteo 5,44). Ci dice che in questo modo saremo figli del Padre nostro che è nei cieli, che fa piovere sui buoni e sui cattivi (Matteo 5,45)

     La Genesi dice che Dio ci ha fatti a sua immagine. Il peccato ha guastato in noi l’immagine divina e noi dobbiamo ricostituirla con l’aiuto di Gesù. Come è possibile desiderare veramente, dal profondo del nostro cuore, di diventare simili a questo Dio mediante la carità, se chi parla di lui con apparente competenza biblica gli attribuisce una crudele indifferenza verso la sorte eterna d’una parte degli esseri umani? Non voglio prescrivere a Dio ciò che deve fare. Sono convinta che non è questo il suo modo di procedere e che attribuire a Dio un simile comportamento costituisce una orribile bestemmia. Prima di me lo ha già scritto il pastore Geoffrey Allen e io non ho mai sentito cosa più giusta. E mi chiedo come si fa a gioire veramente della nascita dei nostri figli, se si pensa che Dio potrebbe averli esclusi dalla sua grazia fin dall’eternità.

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Il contributo di Rosa Fidelis contiene vari spunti di riflessione. Lascio agli altri di intervenire. Sebbene Dio abbia, a prescindere da tutto, il diritto di scegliere alcuni e destinarli a salvezza e di lasciare altri nella perdizione, la Scrittura ci convince che Egli non ha fatto uso di tale sua prerogativa divina, ma ha amato il «mondo» e il suo proposito è la salvezza di tutti gli uomini (Gv 3,16; 1 Tm 2,4). Vorrei prendere posizione, però, solo su un punto, quando ella afferma: «Il peccato ha guastato in noi l’immagine divina e noi dobbiamo ricostituirla con l’aiuto di Gesù».

     ■ Immagine di Dio e peccato: Una ricerca nella Bibbia mostra come risultato che l’espressione «immagine di Dio» non è mai messa in collegamento contrastante con peccato, trasgressione, iniquità, empietà e derivati. Essa non è qualcosa che si può acquisire o perdere, ma è ontologicamente il suo stato nei confronti della creazione e di Dio. Infatti, l’immagine divina è la «specie» secondo cui Dio ha creati gli uomini ed ha fatto di loro «sua discendenza» (At 17,28s). Ciò permette agli uomini di comunicare con Lui — che siano essi trasgressori (Adamo ed Eva, Gn 2s; Caino, Gn 3), ebrei (cfr. Abramo, Gn 19; Hagar, Gn 21; Isacco, Gn 26; Giacobbe, Gn 28; Saulo, At 9,4), cristiani (cfr. Anania, At 9,10ss; Pietro, At 10,9ss) o pagani (cfr. Abimelek, Gn 20,3; Balaam, Nu 22,9) — quando Egli si manifesta loro. Sia nel Sal 8 si afferma che Dio ha fatto l’uomo «poco minore di Dio» e l’ha «coronato di gloria e d’onore» (v. 5); e nel NT si afferma che l’uomo è l’immagine di Dio (Gcm 3,9). Si tratta infatti della specie d’appartenenza.

 

Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, Esegesi delle origini. Le Origini (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 76ss. Cfr. in Nicola Martella, Temi delle origini. Le Origini (Punto°A°Croce, Roma 2006), gli articoli: «L’uomo quale immagine di Dio», pp. 134-145; «Immagine di Dio e dominio della terra», pp. 146-163.

 

     ■ Ricostituirla con l’aiuto di Gesù?: In senso ontologico l’uomo è e rimane «immagine di Dio». In senso spirituale, l’uomo non può ricostruire in sé tale immagine, neppure con l’aiuto di Gesù. Spiritualmente parlando, Dio ha dato Cristo quale gloriosa «immagine di Dio» del nuovo mondo (2 Cor 4,4; Col 1,15). Predicare Gesù quale Messia significa mettere davanti agli uomini tale modello di «uomo nuovo», che verrà raggiunto dai credenti come caparra nella rigenerazione (o nascita dall’alto, ossia da Dio) e ontologicamente con la risurrezione della carne.

     L’uomo non può ricostruire in sé tale immagine, ma come rese chiaro Gesù a Nicodemo: «Se uno non è nato dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3.7; 1,13). Solo chi ha sperimentato tale rigenerazione spirituale mediante lo Spirito Santo, può svestire il «vecchio uomo», mediante la santificazione, e — mediante il rinnovamento nello «spirito della vostra mente» — può «rivestire l’uomo nuovo che è creato all’immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità» (Ef 4,22ss).

     È l’illusione dell’umanesimo cristianizzato quello di credere che l’uomo possa migliorarsi e contribuire alla sua salvezza. Il metodo biblico è la rigenerazione mediante lo Spirito di chiunque crede in Gesù quale Messia.

     Lo spartiacque è questo: «Chi crede nel Figlio, ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui» (Gv 3,36; 1 Gv 5,12). Qui non c’è spazio per migliorie e aggiustamenti.

 

 

3. {Gaetano Nunnari}

 

Vorrei nuovamente precisare che l’argomento da me proposto non riguarda il calvinismo in generale. Come già detto non condivido assolutamente la teoria del patto unico, il battesimo dei bambini e nemmeno l’amillenarismo. La questione da me posta riguarda esclusivamente il concetto d’elezione dei salvati. Prendo anche le distanze da tutti coloro che perentoriamente non accettano il dialogo pretendendo a priori d’essere nel giusto. Come detto e lo ripeto io non mi riconosco nell’ideologia riformata. Tuttavia il concetto di predestinazione è complesso e per quanto mi riguarda non è da escludere a priori. Replico dunque al pensiero di Rosa.

     Rosa afferma: «Io non sarei capace di condividere questo compiacimento: un favore, un dono, per me e per tanti altri, è veramente gradito quando viene da una persona amata. Un dono che viene da una persona che non amo potrei accettarlo per cortesia, o per bisogno; ma, a livello di relazione umana, non mi darebbe la stessa gioia.

     Qui Rosa parte dalla sua personale opinione, riflettendola poi su Dio. «Io non sarei capace di...» non è un modo per spiegare biblicamente la propria opinione sull’elezione. Io voglio basarmi solo su ciò che la Bibbia afferma in proposito. A tale riguardo anche l’apostolo Paolo non riesce più a dare una risposta valida al raziocinio umano, e afferma: «Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! Poiché egli dice a Mosè: “Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione”. Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia… La Scrittura infatti dice al faraone: “Per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra”. Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole. Tu allora mi dirai: “Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?”. Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa plasmata dirà forse a colui che la plasmò: “Perché mi hai fatta così?”. Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile? Che c’è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d’ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri?» (Rm 9,14-24).

     Non siamo noi a doverci quindi creare l’idea che più ci piace di Dio. Ma prendere atto di ciò che Lui ci ha trasmesso nella sua Parola.

     Per quanto riguarda il fatto che Rosa preferisce ricevere un dono da una persona che ama piuttosto che da qualcuno che non ama, la Bibbia mostra che è sempre Dio a fare il primo passo verso la sua creatura che ha peccato. «Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi» (Romani 5,6).

     «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». E ancora: «Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi».

     Con queste affermazioni mi sembra anche difficile affermare come ha detto Nicola che Dio non ha fatto uso di questa sua prerogativa. I passi di Giovanni 3,16 e 1 Tm 3,4. Quel «tutti» può anche essere interpretato in senso relativo. Non ho detto che sia così, ma potrebbe anche essere.

     Il passo spartiacque che Nicola ha citato è: «Chi crede nel Figlio, ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui» (Gv 3,36; 1 Gv 5,12). Una persona faziosa replicherebbe che chi rifiuta di credere non è stato scelto da Dio. Non è una sua pecora. Il solo fatto di credere è il segno della predestinazione di Dio nei suoi confronti.

     Io non sono di parte. Mi piacerebbe in ogni modo (se umanamente possibile) tracciare il confine tra quanto dipende da noi e quanto da Dio.

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Vorrei fare alcune osservazioni al contributo precedente. È tipico del metodo dogmatico l’accumulo di versi, sradicati dal loro contesto naturale. Anche Gaetano non ne è (ancora) immune. Abbiamo già ribadito che certe verità bibliche su Dio e la realtà si possono comprendere solo in modo «polare», ossia mostrando i due poli della questione (p.es. giustizia e misericordia; verità e amore), senza fatali scorciatoie verso una polarizzazione o sofisticate sintesi dialettiche.

 

Accesso alla verità solo in modo polare

     Abbiamo già ribadito che Dio nella sua sovranità ha tutto il diritto di scegliere chi vuole, di innalzare o abbassare, creare o distruggere. Ha quindi anche la libertà e il diritto di salvare o perdere. Qui si attivano le malsane scorciatoie dogmatiche della «doppia predestinazione» (Dio ha (pre)destinato gli uni a salvezza e gli altri a perdizione) e dell’universalismo (Dio alla fine salverà tutti). Per evitare tali scorciatoie dogmatiche e razionalistiche, bisogna lavorare qui esegeticamente! Allora si scoprirà che esiste qui una «verità polare»: da una parte, il diritto di Dio (libertà, sovranità) e, dall’altra, la sua volontà di salvare tutti gli uomini, avendo riconciliato con sé in Cristo ogni cosa. Qui fare una scelta discriminante per la tesi o l’antitesi oppure creare un’artificiosa sintesi porta a risultati ideologici «affascinanti» o a dogmi facili e «coerenti», ma significa anche non cogliere l’intera realtà della questione, che si può comprendere solo in modo polare; ciò significa altresì la superbia di non lasciare l’ultimo mistero in Dio e l’ultima parola a Lui.

 

Il gioco della decontestualizzazione

     Gaetano cita Rm 9,14-24, riportando la risposta di Paolo, ma dimentica la domanda e altresì, decontestualizzando il tutto, lo pone su un piano universale, dimenticando la contingenza storica specifica. La domanda che bruciava nel cuore dei credenti romani, in gran parte giudei (Rm 16), è perché proprio il popolo eletto (Israele), detentore di adozione, patti, promesse, culto legittimo e quant’altro (Rm 9,1-5), abbia così miseramente fallito riguardo a Gesù, sebbene come Messia sia provenuto «secondo la carne» proprio da loro (v. 5).

     Avremo modo di approfondire separatamente l’intera questione in Rm 9, mostrando qui solo il ragionamento complessivo. Proprio Israele, il popolo eletto da Dio per attuare il suo piano salvifico nella storia e che aveva tutte le carte storiche e teologiche in regola per farlo (vv. 4s), non ha ottenuto la «giustizia di Dio». Ciò è avvenuto per due motivi concatenati: Israele nel suo complesso ha cercato di ottenere la giustizia per opere e ha rifiutato Gesù quale Messia (v. 31ss; cfr. Gv 8); in tal modo si sono sottratti alla «giustizia di Dio» e quindi la salvezza (Rm 10,3), non riconoscendo la cesura storica e salvifica: «Il termine della legge è Cristo, per esser giustizia a ognuno che crede» (v. 4). Al contrario, i Gentili — che popolo eletto non erano e non cercavano la giustizia — hanno ottenuto la «giustizia che viene dalla fede»! (v. 30).

     Per trarre, quindi, un bilancio di Rm 9, bisogna asserire la validità della «verità polare»: l’elezione insindacabile di Dio verso Israele non ha protetto gli Israeliti nel loro complesso a fallire storicamente e teologicamente, quando hanno cercato di essere giustificati per le proprie opere giuste e hanno rifiutato Gesù quale Messia-Re e perciò la «giustizia di Dio» che si ha per grazia mediante la fede. L’elezione rappresenta il piano salvifico di Dio nella storia, ma non funziona automaticamente, se il singolo non lo accetta e non vi aderisce per fede, entrando personalmente nel nuovo patto.

     Al riguardo non si dimentichi che fin dall’inizio l’elezione divina perseguiva sempre uno scopo strumentale: il raggiungimento con la salvezza e la benedizione di coloro che non erano stati eletti, anzi di tutte le famiglie della terra (Gn 12,3 Abramo; 28,14 Giacobbe; cfr. Sal 22,27).

 

La generalizzazione di fatti contingenti

     Questo è un altro modo di cui si servono le filosofie dogmatiche: brani di Gesù circoscritti alla contingenza vengono generalizzati e resi universali.

     ■ Così si cita questo brano: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno», non menzionando neppure che si trova in Gv 6,44.65. Si dimentica qui la polemica di Gesù con i Giudei che lo rifiutavano come Messia, ma che lo cercavano come «profeta (o re) di comodo» per sfamarsi. Gesù li scandalizzò e lo fece anche con suoi seguaci e i suoi dodici discepoli, chiedendo loro, dopo che «molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro e non andavano più con lui»: «Non ve ne volete andare anche voi?» (vv. 66s). È scritto che Gesù disse loro: «“Fra voi ve ne sono alcuni che non credono”. Poiché Gesù sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano, e chi era colui che lo tradirebbe» (v. 64). Lo spartiacque viene mostrato da Pietro, che risponde alla domanda di Gesù: «Signore, a chi ce ne andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; 69e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (vv. 68ss), ossia il Messia. E proprio riguardo a «colui che lo tradirebbe» Gesù «diceva: “Per questo v’ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre”» (vv. 64s). E concludeva: «Non ho io scelto voi dodici? Eppure, un di voi è un diavolo» (v. 70). Come si vede l’elezione di Giuda da parte di Gesù tra i dodici, non impedì a tale discepolo di fallire e di tradire il suo Maestro! (v. 71).

 

     ■ La stessa cosa vale per l’altro verso: «Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi», che si trova in Gv 15,16, prosegue dicendo: «e v’ho costituiti perché andiate e portiate frutto…». Anche qui non si parla primariamente di salvezza ma dell’elezione strumentale dei discepoli. Qui parlava probabilmente solo agli undici, poiché Giuda era già uscito dalla cerchia dei commensali (Gv 13,30). Il brano di Gv 15 parla della scelta storica di vedere in Gesù il Messia promesso e la «vite» (termine usato dai profeti per Israele). Undici dei discepoli decisero di dimorare in lui (v. 4), mentre Giuda (oltre al giudaismo nel suo complesso; v. 24) avevano deciso di scegliere una via arbitraria ma infruttuosa (cfr. v. 6). Di per sé anche Giuda, come abbiamo visto, era stato scelto da Gesù, ma non dimorò in Lui.

 

     ■ Questa stesa dinamica si trova in Gv 17 (che non è una «preghiera sacerdotale» per i motivi di Eb 7,14). I discepoli e futuri apostoli furono così descritti: «Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu m’hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola» (v. 6). Essi avevano riconosciuto la provenienza di Gesù quale Messia e il suo ruolo storico-salvifico (vv. 7s). Essi sono al centro delle attenzioni, della preghiera e delle richieste di Gesù al Padre in prossimità della sua dipartenza (vv. 9-12a.15ss.24). Gesù contrappose tali apostoli da Giuda: «Quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione» (v. 12b). Poi aggiunse: «Io non prego soltanto per questi [= apostoli], ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola» (v. 20).

     Come si vede, la contestualizzazione dei brani e la loro corretta esegesi sono la migliore medicina contro le generalizzazioni ideologiche delle filosofie dogmatiche, che risiedono abbastanza sottocute a molti cristiani, ne siano coscienti o meno.

     In tal modo si combatte anche l’altra «mala bestia» — usata dallo stesso Gaetano — la relativizzazione dei dati: in Gv 3,16 e «chiunque crede» sarebbero solo gli eletti (!) e similmente in 1 Tm 3,4 «tutti gli uomini» sarebbero solo il «numero chiuso» o, per così dire, i «144.000» della dogmatica calvinista! Strana logica!

 

     ■ Infine arriviamo alla «faziosità», di cui Gaetano si fa avvocato, riguardo a Gv 3,36; 1 Gv 5,12. Che strana logica di una filosofia dogmatica che non tiene conto della contingenza storica e teologica, in cui le parole sono state dette: Gesù era stato rifiutato dai Giudei come Messia-Re (cfr. v. 19). Gv 3 non parla di elezione, ma di nascita dall’alto (o rigenerazione mediante lo Spirito di Dio) in contrasto con la «giustizia per opere» perseguita dal giudaismo, di cui Nicodemo era esponente. Giovanni Battista è il primo testimone di una scelta a favore di Gesù quale Messia, proceduto da Dio come suo Figlio (v. 35), per questo il v. 36 è preceduto dalla sua scelta netta (vv. 28-35). Il v. 36 era la scelta dinanzi alla quale Giovanni Battista metteva i suoi contemporanei giudei, appartenenti già al popolo eletto (!), che venivano a lui per farsi battezzare (v. 23). I Giudei battezzavano gli impuri Gentili, mentre Giovanni battezzava gli impuri Giudei in vista dell’avvento del Messia e del suo regno!

     Replicando ancora alle faziosità della filosofia dogmatica, aggiungiamo anche quanto segue, che è di carattere logico. Se «chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui» (Gv 3,36; 1 Gv 5,12), per essere valida questa asserzione, necessita di due aspetti importanti e concreti: ▪ 1) La piena reale disponibilità dell’offerta per tutti (credenti e non); ▪ 2) La piena libertà di accettare tale dono, che gli viene offerto concretamente, o di rifiutarlo. Se uno di questi due punti non è valido, tutta l’asserzione è falsa. Il «numero chiuso» a priori invalida questa asserzione. Non è scritto: Chi non è eletto a «credere al Figlio non vedrà la vita…», ma «chi rifiuta di credere»: ciò presume il libero intendere e volere.

     Come abbiamo visto, comunque, Giovanni Battista parlava ai Giudei, suoi contemporanei, ponendoli dinanzi a una scelta storica e teologica epocale.

 

     ■ Una nota personale alla fine. Gaetano parla di una «persona faziosa», con cui sembra non identificarsi, ma di cui fa stranamente l’avvocato (poco prima aveva detto però: «…mi sembra anche difficile affermare come ha detto Nicola che…»); poi aggiunge: «Io non sono di parte». Questo è meglio che lo giudichino gli altri, no?

 

 

5. {Nicola Berretta}

 

Ho trovato l'articolo di Argentino molto interessante e condivisibile. [ Riflessioni sull’elezione divina {Argentino Quintavalle - Nicola Martella}] La possibile antitesi con ciò che ho scritto io [ La predestinazione dell’individuo, figlia d’una cultura umanistica], riguardante l'elezione collettiva contrapposta a quella individuale, credo che l'hai chiarita in modo eccellente col tuo contributo, che condivido totalmente. Ciò che hai scritto lo trovo così esauriente, che preferisco non aggiungere nulla, anche per evitare un accanimento su un argomento che resta comunque difficile da catalogare nei nostri schemi razionali. Il rapporto tra elezione collettiva e responsabilità individuale è indubbiamente difficile da comprendere, ma credo che sia una chiave essenziale per non cadere in conclusioni non bibliche, quali quelle della dottrina calvinista.

 

Quanto è libero il «libero arbitrio»? {Nicola Martella}

 

 

6. {Rosa Fidelis, ps.}

 

Le parole pronunciate da Gesù in Giovanni 6,44 («Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira»), come già ha detto Nicola, possono essere intese rettamente soltanto se collocate nel contesto, partendo dall’inizio del sesto capitolo. Gesù, dopo aver sfamato la gente che lo seguiva mediante la moltiplicazione dei pani e dei pesci, si sottrae all’entusiasmo di coloro che vogliono farlo re, ritirandosi da solo sul monte; poi, sopraggiunta la notte, sale in barca coi discepoli che si recano a Cafarnao, dall’altra parte del lago di Galilea. Ma la gente viene a cercarlo anche lì. Gesù, allora, invita queste persone, che lo cercano perché lui continui a provvedere loro il cibo materiale (6,26), a guardare oltre la materialità del miracolo per riconoscerne il valore di «segno» che rimanda a una realtà soprannaturale. Il pane che queste persone hanno mangiato è un cibo che perisce (6,27) perché questo pane non mantiene a lungo le sue qualità nutritive e anche perché la parte d’esso che viene assimilata dal nostro corpo perisce col corpo stesso, alla nostra morte. Queste persone devono quindi cercare un pane che dura e conduce alla vita eterna (6,27); pane che Gesù darà loro (6,27b) e che è Gesù stesso (6,41), la sua vita e la sua morte, il suo dono di grazia, la sua santità e la sua giustizia: esse devono quindi credere in Gesù.

            Ma Gesù sa che non tutti i suoi interlocutori credono in lui e fa notare che per credere in lui occorre accettare il dono della rivelazione soprannaturale che il Padre offre a tutti («saranno tutti istruiti da Dio» 6,45a), sotto forma d’insegnamento-attrazione (6,44). Non tutti accolgono questa rivelazione, ma Gesù dice: «Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me» (6,45b).

            Quindi sta a noi ascoltare il Padre, che si rivela tramite la persona stessa di Gesù, Figlio del Padre e suo rivelatore, per accogliere questa rivelazione.

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Sovrastrutture_calvinismo2_Ori.htm

13-09-2007; Aggiornamento: 03-07-2010

 

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