Ciò
che vorrei tentare di proporre in questo mio contributo è che le basi della
dogmatica calvinista riguardanti la predestinazione dell’uomo trovano un loro
fondamento nella cultura umanista che è emersa in Europa proprio a cavallo tra
la seconda metà del 15° e la prima metà del 16° secolo, epoca in cui operò
Giovanni Calvino (1509-1564), e che si consoliderà poi ancora di più nei secoli
successivi.
Tuttora, la cultura occidentale è permeata da quella
concezione della centralità dell’uomo, e dunque dell’individuo, visto come
fulcro, punto di riferimento, di tutta la realtà che gli ruota attorno, e
dunque, per il credente, anche punto di riferimento prioritario delle attenzioni
di Dio.
Con quest’affermazione non voglio colpevolizzare un
approccio individualista alla fede cristiana, che dà dunque enfasi alla salvezza
personale, al rapporto personale con Dio, all’amore di Dio per
ciascuno di noi, individualmente, tutti concetti chiaramente
condivisibili. Tuttavia, non è un caso che oggi molti brani che all’origine sono
stati scritti con un riferimento collettivo, vengano letti in chiave
individuale. Basti pensare al ben noto «tu sei mio» d’Isaia 43,1, oggi
letto in chiave personale, quando all’origine si parla del popolo d’Israele, nel
suo insieme. Ma si potrebbe aggiungere anche il famoso Giovanni 3,16 in cui
l’amore di Dio per il mondo, inteso nel brano in senso collettivo, viene più
comunemente reso dando enfasi all’individualità di ciascuno di noi, entro
cui si sviluppa l’amore di Dio per il mondo. Tutti questo è certamente
indicativo della tendenza che noi oggi abbiamo di riferire automaticamente
all’individuo le attenzioni divine, tralasciando l’aspetto collettivo della cura
di Dio per l’uomo. Dico questo, ripeto, non per svalutare l’importanza
dell’approccio individuale nella fede in Dio, ma per sottolineare quanto noi
tutti, a causa della mentalità umanista che permea la cultura occidentale in cui
viviamo, siamo portati a rapportarci alla Scrittura usando una chiave di lettura
di tipo individualista.
Questo approccio non è necessariamente negativo.
L’affermazione secondo cui Dio ha tanto amato il modo da donare suo figlio (Gv
3,16), non contrasta certamente con l’affermare che Dio ha amato Mario Rossi,
individualmente, tanto da donare suo figlio Gesù Cristo per Mario Rossi. Ciò
detto, quando la Scrittura fa riferimento a un’azione di Dio verso l’uomo in
senso collettivo, siamo autorizzati a tradurla automaticamente in senso
individuale? Io credo di no, e questo è un punto chiave dell’argomentazione che
sto tentando di sviluppare. I contrasti, a mio giudizio, si manifestano infatti
in tutta la loro drammaticità proprio quando parliamo di predestinazione.
Uno dei brani cardine della dogmatica calvinista sulla
predestinazione è quello che troviamo in Efesini 1,3-14. I versetti chiave, al
riguardo della predestinazione sono certamente i vv. 4-5: «In lui ci ha
eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili
dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo
di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà».
La nostra cultura umanistica, a cui accennavo
precedentemente, ci porta a tradurre automaticamente questo brano, che utilizza
la prima persona plurale (…ci
ha eletti… avendoci predestinati…), in senso individualista. Per cui noi
li leggiamo: «In lui, ha eletto me, Mario Rossi, prima della creazione del mondo
perché io, Mario Rossi, fossi santo e irreprensibile dinanzi a lui, avendo
predestinato me, Mario Rossi, nel suo amore a essere adottato per mezzo di Gesù
Cristo come suo figlio, secondo il disegno benevolo della sua volontà».
Ma, siamo davvero autorizzatati a leggere il brano
in questo modo? O piuttosto non facciamo un errore conseguente alla cultura
individualista che ci permea?
Chi…, o meglio… che cosa, è stato preordinato
prima della fondazione del mondo? L’oggetto del brano non è l’individuo, ma il
disegno benevolo della sua volontà, «che aveva prestabilito dentro di sé»
(v. 9). Questo disegno benevolo viene definito in modo chiaro e inequivocabile
al v. 10: «Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte
le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra».
Questo è il progetto benevolo che Dio ha
preordinato prima della fondazione del mondo. Questo progetto unificante di
Cristo si è realizzato nella Storia tre giorni dopo la morte di Cristo, quando è
resuscitato e si è seduto alla destra di Dio (Ef 1,20-23). La Chiesa è il
progetto benevolo di Dio. I Gentili, un tempo lontani dalla grazia di Dio, sono
stati avvicinati mediane il sangue di Cristo, che «dei due popoli ne ha fatto
uno solo e ha abbattuto il muro di separazione» (Ef 2,11-16).
Come si diviene partecipi a questo progetto? Come fa
cioè Mario Rossi, individualmente, a godere dei benefici di questo progetto? La
risposta a questa domanda la troviamo nel proseguo del brano d’Efesini 1, nei
vv. 13 e 14: «In lui voi pure,
dopo aver ascoltato la parola della verità, il l’Evangelo della
vostra salvezza, e avendo creduto
in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il
quale è pegno della nostra eredità
fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua
gloria». [N.d.R.: Qui possiamo riferire il «voi» / la «vostra [salvezza]» ai
singoli Mario Rossi (inglobati così nell’entità più grande [«noi» /)] «nostra
[eredità]»: voi
pure avete ricevuto il sigillo di ciò che è pegno della nostra
eredità).]
In questo passaggio tra il «noi» generale, dei vv.
4 e 5 e il «voi» circostanziato del v. 13 risiede, a mio giudizio, la chiave per
comprendere la relazione tra la predestinazione divina e la responsabilità
individuale d’ascoltare e credere al messaggio di salvezza (è da notare poi che,
nel caso specifico a cui il brano fa riferimento, il «noi» e il «voi» esprime
l’antitesi tra il popolo d’Israele e i Gentili, elemento dominante di tutta la
lettera).
Dio ha preordinato un disegno benevolo d’unificazione
in Cristo di tutte le cose. Questo è ciò che Dio ha predestinato fin dalla
fondazione del mondo: la Chiesa, come collettività, un comunità di persone
redente attraverso il sangue di Cristo. Colui che, individualmente, ascolta la
parola della verità, e vi pone fiducia, ne diviene parte, ricevendo il sigillo
dello Spirito Santo.
In che senso dunque la Chiesa, come collettività di
redenti, è
predestinata?
Permettetemi di fare un esempio. Immaginiamo un
ingegnere che elabora su carta un progetto d’un parco giochi gratuito per
bambini, con giostre, altalene, giochi e quant’altro. Lui elabora questo
progetto nella sua mente pensando già al chiasso e alle grida di gioia di tutti
i bambini che saltano da una parte all’altra. Poi realizza questo progetto e
lentamente tanti bambini entrano gratuitamente in questo parco, ma forse altri
non v’entrano, perché non sono interessati a quei giochi. Bene, ora l’ingegnere
guarda quel parco e sente con le sue orecchie quel chiasso e quelle grida di
gioia che lui aveva pianificato in sé. L’ingegnere aveva predestinato il parco a
quello scopo, quindi quei bambini sono stati
predestinati, come collettività, a un progetto pianificato in
precedenza dall’ingegnere. Allo stesso tempo, ciascun bambino è entrato nel
parco per propria scelta.
Io ritengo che sia giusto affermare, come afferma la
Scrittura, che Dio ha operato in Cristo sulla base d’un progetto preordinato,
fin dalla fondazione del mondo. Ma è sbagliato ritenere che io, Mario Rossi o
Lucia Bianchi, individualmente, siamo stati predestinati a ricevere quel
messaggio di salvezza, cioè a entrare in quel parco. Quando però entro nel patto
di grazia in Cristo, divengo parte d’un progetto benevolo pianificato prima
della fondazione del mondo e quindi divengo parte di quella collettività di
persone predestinate
nel suo amore a essere adottate per mezzo di Gesù Cristo.
Su quale base affermo questa convinzione? Semplicemente
basandomi sull’esempio del popolo d’Israele. L’elezione incondizionata del suo
popolo è chiaramente espressa nella Scrittura (cito come esempio Is 45,4).
Questa elezione collettiva d’Israele, prescindeva forse da una scelta
individuale
d’obbedienza a Dio? Certamente no. Altrimenti non si capirebbe il perché di
tanta enfasi nel Nuovo Testamento affinché anche i Giudei credano nel loro
Messia Gesù per la loro salvezza (Rom 1,16; 10,9-12; Gal 3,26-29). Se l’essere
collettivamente eletti come popolo di Dio, prescindesse da scelte individuali
d’obbedienza, nel Nuovo Testamento dovremmo trovare inviti a credere in Gesù
rivolti ai soli Gentili, dato che i Giudei sarebbero automaticamente salvati per
appartenenza collettiva al popolo di Dio.
Dio
ha eletto Israele, e ha tuttora un progetto da portare a compimento a favore del
suo popolo. Tuttavia, individualmente, ciascun israelita è oggi chiamato a fare
una scelta d’obbedienza a Dio e non può appellarsi alla sua appartenenza etnica
per la sua salvezza.
La logica è dunque la stessa. La predestinazione
collettiva, per ciò che riguarda Israele, s’accompagna a una responsabilità di
riporre individualmente la propria fiducia in Dio. Così è per la Chiesa,
predestinata come collettività, ma composta individualmente da persone le quali,
«dopo aver ascoltato la parola della verità, l’Evangelo della loro salvezza,
e avendo creduto in lui, hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era
stato promesso, il quale è pegno della loro eredità fino alla piena redenzione
di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria».
Concludo dunque ribadisco la mia convinzione che la
dottrina della predestinazione, riferita all’individuo, sviluppata da Giovanni
Calvino, sia frutto della cultura umanistica da cui questo grande riformatore è
stato influenzato e di cui è probabilmente anche uno dei maggiori artefici.
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 1 {Nicola Martella}
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 2 {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Predestinazione_individuo_Esc.htm
28-08-2007; Aggiornamento: 02-07-2010
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