Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Escatologia 1

 

Pentecostalismo

 

 

 

 

Questa opera contiene senz’altro alcune novità. Leggendo i brani escatologici della Bibbia sorgono vari interrogativi, ad esempio i seguenti:
■ I credenti, quando muoiono, vanno in cielo o in paradiso?
■ I morti nell’aldilà sono solo inattivi o anche incoscienti?
■ I bimbi morti dove vanno?
■ Se nessuno sa il giorno e l’ora dell’avvento del Messia, perché diversi cristiani hanno fatto predizioni circostanziate per il loro futuro imminente?
■ Qual è la differenza fra escatologia e utopia?
■ In che cosa si differenzia la speranza biblica dalla speranza secolarizzata di alcuni marxisti?
■ Il «rapimento» precederà o seguirà la tribolazione finale?
■ Quando risusciteranno i credenti dell’AT?
■ Il regno millenario è concreto o solo spirituale?
■ Durante il suo regno futuro col Messia regnerà sono Israele o anche la chiesa?
■ Nella nuova creazione i credenti abiteranno in cielo o sulla nuova terra?
■ Lo stagno di fuoco esisterà per sempre?
■ I morti si riconoscono nell’aldilà?
■ Non sarà noioso vivere nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il tempo nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il matrimonio nel nuovo mondo?
■ Eccetera...

 

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Escatologia 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LE ONDATE DELLO SPIRITO TRA DIFFERENZE E AFFINITÀ

Esiste un rapporto di causalità tra pentecostali e carismatici?

 

 di Tonino Mele

 

Questo articolo si trova all'apice di un cammino, iniziato già nel passato, allorché specialmente Tonino Mele e Nicola Martella si sono confrontati con rispetto e pacatezza con esponenti del movimento pentecostale classico, in particolar modo con Gianni Siena e con Antonio Capasso. Ultimamente una di queste tappe è stato l’articolo «Pentecostali nella versione 1.0, 2.0, 3.0 e oltre? Affinità e distinzioni fra pentecostali e carismaticisti». Ad esso ha fatto seguito il tema di discussione «Pentecostali nella versione 1.0, 2.0, 3.0 e oltre? Parliamone», in cui Tonino Mele aveva anticipato in sunto quanto segue nell'attuale scritto.

   Facciamo notare che il grassetto nelle citazioni è redazionale. Le note redazionali — indicate con «N.d.R.» — sono a cura di Nicola Martella.

 

 

1.  PREMESSA: Quando qualche anno fa i media di tutto il mondo hanno sottolineato il notevole tasso di crescita delle chiese pentecostali-carismatiche, esibendo cifre tra i 500 e i 700 milioni di pentecostali nel mondo, paradossalmente non hanno incontrato il favore di molti stessi pentecostali. All’immancabile «ottimismo d’alcuni personaggi del mondo pentecostale, molto favorevoli al mondo carismatico», hanno fatto da contrappeso quelle più pessimistiche d’esponenti pentecostali, i quali hanno affermato che «ragioni d’ordine statistico non possono avere la priorità su quelle teologiche» e non ci stanno all’idea, che vuol «considerare il movimento pentecostale-carismatico un unico movimento». Francesco Toppi, presidente delle ADI italiane per molti anni e autore di questa presa di posizione, ha anche aggiunto che bisogna fare dei «distinguo» d’ordine «teologico» tra gli uni e gli altri.[1]

     In sintonia con questo tentativo dei «pentecostali classici» di prendere le distanze dai carismatici di seconda e terza generazione, c’è anche il disconoscimento dell’espressione «ondate dello Spirito», che ormai è entrata nel gergo comune degli storici, dei sociologi e degli studiosi in genere, per definire e descrivere tutto il fenomeno pentecostale del 20° secolo.[2] Un esempio di critica di tale espressione la esprime lo stesso Toppi, in questo modo: «Questa definizione delle “ondate”, seppur molto suggestiva, ci sembra però poco corrispondente alla realtà delle chiese cristiane fondate sull’attualità dell’Evangelo. Non si tratta d’una manifestazione intensa e inaspettata di fervore emotivo, proprio come “un’ondata” che passa, ma dell’esaudimento divino alle incessanti preghiere dei credenti che desiderano vedere la potenza di Dio manifestata...». In realtà, dietro il disconoscimento di quest’espressione c’è il legame di causalità, che essa sottintende, tra le cosiddette «tre ondate dello Spirito» e che, in certo qual modo, indebolisce, secondo Toppi, «la nostra definita difesa dell’eredità di fede e d’esperienza dell’originale risveglio pentecostale degli inizi del secolo».[3]

     E non si può negare il fatto che la «seconda» e la «terza ondata» hanno messo in campo una serie di deviazioni teologiche e dottrinali, rispetto al pentecostalismo iniziale e classico, da considerare più che giustificata questa reazione di chi non ci sta a essere posto nello stesso calderone. Riprendendo le parole d’un altro pastore pentecostale, Toppi definisce giustamente questo movimento come segue: «È questo neopentecostalismo delle “ondate successive”, compreso il movimento carismatico, per usare una terminologia comune a molti sociologi e teologi moderni, che non è interessato alla “definizione”, alla “tesi”, alla “dottrina”, al “libro”, al “concetto”, in quanto attribuisce primaria importanza alla “descrizione”, alla “danza”, al “canto”, alla “parabola” e al “banchetto”».[4]

     Tuttavia, pur simpatizzando con questa strenua difesa della propria identità, a cui va tutta la nostra stima e la nostra ammirazione, dobbiamo in pari tempo affermare che non ci convince del tutto il tentativo di disconoscere quel legame di causalità che esiste tra i pentecostali classici e i neopentecostali. Ammesso che una chiara distinzione esiste tra «pentecostali classici» e carismatici della «seconda» e «terza ondata», non è pacifico dire che non ci siano analogie, anche con valore di causalità, tra gli uni e gli altri. Qui di seguito tenteremo d’indagare se le evidenti differenze e analogie tra pentecostali classici e carismatici siano tali da annullare o giustificare un nesso, oltre che cronologico, anche causale. Noi sosteniamo che le analogie ci siano!

 

 

2.  SOPPESANDO LE DIFFERENZE: Il pastore valdese Eugenio Stretti, studioso «esterno» del movimento pentecostale e autore d’un pregevole libro sulla loro storia italiana[5], s’interroga a un certo punto (pp. 76-78) sulle differenze tra pentecostali e carismatici. Intanto è utile osservare che, in questo libro, lo Stretti fa la storia delle ADI italiane, che sono solo una componente di tutto il pentecostalismo classico. Comunque, egli parla di «differenza di fondo» tra i due movimenti, critica «la tendenza ad associare i due movimenti», che «è tipica della riflessione sociologica e teologica nordamericana», ed esprime in modo lapidario, ma chiaro la sua tesi, secondo cui: «I linguaggi, paiono simili, ma la sostanza è diversa». E per sostenere questa tesi fa i seguenti due esempi.

     ■ 1. «Con la formula: “Gesù salva, battezza e guarisce”, i pentecostali radicano la loro testimonianza nelle Scritture e non al di fuori d’esse. Il movimento carismatico pone l’accento sull’esperienza del soggetto, meno sul testo biblico, fondamentale per ogni evangelico».

     ■ 2. «Un’altra differenza fondamentale è costituita dalla partecipazione, da parte dei carismatici, a iniziative di tipo interconfessionale».

 

Insomma, ciò che per Stretti costituisce la «diversa sostanza» dei due movimenti è la «teologia dell’esperienza» e il carattere ecumenico del movimento carismatico. A questo egli aggiunge anche un’altra differenza, riprendendo in verità le tesi del pastore pentecostale Francesco Toppi[6], ossia se il pentecostalismo classico debba essere collocato nel terzo protestantesimo, chiamato anche protestantesimo del Risveglio, insieme al movimento di santità e al fondamentalismo evangelico, oppure nel quarto protestantesimo, insieme al movimento carismatico. Questa differenza però è ancora oggetto di discussione tra gli storici e i sociologi e probabilmente non ha tanta rilevanza ai fini del nostro discorso.

     Restano, dunque, le altre due differenze proposte dallo Stretti. Sulla seconda, cioè sulla natura ecumenica del movimento carismatico, non c’è molto da ridire. In effetti, anche i «detrattori» del pentecostalismo classico, o per meglio dire, coloro che non tacciono i paralleli tra esso e il movimento carismatico, riconoscono che quest’ultimo ha come suo grande obiettivo: «“Unità a ogni costo»; per raggiungerlo il movimento carismatico ha creato il seguente slogan, tipico per loro: “I dogmi separano, l’amore unisce!”», laddove, i primi, cioè i pentecostali, «confessano l’infallibilità delle Sacre Scritture e hanno rifiutato, per molti decenni, la chiesa cattolica romana e l’ecumenismo».[7] Del resto, il modo trasversale in cui il movimento carismatico è nato, prima con «l’esperienza pentecostale» dell’anglicano Dennis Bennet, poi con «l’esperienza pentecostale» del luterano Larry Christenson, passando insomma di denominazione in denominazione fino a pervenire al cattolico «Rinnovamento dello Spirito», ha favorito grandemente la natura ecumenica di questo movimento.

     Tuttavia è giusto parlare di «diversità di fondo» e non di «identità di fondo», cioè l’esperienza pentecostale e il suo presunto valore teologico ed escatologico, che si è implementata in contesti diversi, subendo così le aggiunte dottrinali che conosciamo? Se il novum del pentecostalismo è stato proprio quest’esperienza, che li ha contraddistinti fin dall’inizio, facendo persino passare in secondo piano, in modi più o meno marcati, la comune identità evangelica, perché ora far leva su questa e non sulla prima, per stabilire chi condivida con loro una «identità di fondo» e chi no? È sufficiente far leva su queste «mutazioni» per negare che esiste un’identità di fondo che attraversa trasversalmente tutti questi movimenti, data appunto dalla comune «esperienza pentecostale»? È sufficiente far leva su questa natura trasversale del movimento carismatico, con le sue tante, strane e strambe dottrine, per dire che «l’esperienza pentecostale» da esso fatta, salvo le differenze dottrinali susseguitesi, non sia della stessa sostanza di quella fatta dal pentecostalismo classico? Più che parlare di «diversa sostanza» non si deve parlare invece della «stessa sostanza», trapiantatasi su un ceppo diverso?

     Quando poi lo Stretti addebita ai carismatici e non ai pentecostali una «teologia dell’esperienza» ci suona oltremodo strano. La «teologia dell’esperienza» nasce da una diversa concezione del «rapporto Spirito-Parola» propria di Lutero e Calvino, perché attribuisce alla «guida dello Spirito» e quindi all’esperienza diretta dello Spirito, ciò che essi attribuivano all’esperienza mediata dello Spirito, attraverso la «guida della Parola». E, guarda caso, è lo stesso Stretti che fa una considerazione al riguardo, quando pone in relazione il pentecostalismo con una teologia del «rapporto Spirito-Parola» contrapposta a quella di Lutero e Calvino. Stretti dice: «Se per Lutero e Calvino la Parola è lo strumento mediante il quale lo Spirito viene dispensato ai fedeli, tenuto — potremmo dire — al guinzaglio dalla Parola, per il Riformatore di Zurigo Ulrico Zwingli, è lo Spirito che suscita la fede, la Parola non la crea, la nutre soltanto e, soprattutto le dà le parole per dire se stessa, le fornisce il linguaggio per esprimersi».[8]

     Chiaramente, il pastore pentecostale Toppi, che presenta il libro dello Stretti, accusa il colpo e glielo contesta, come «forse l’unica obiezione che si può muovere al presente lavoro», ossia, secondo le parole di Toppi, il «luogo comune che attribuisce al Movimento pentecostale italiano la volontà di prediligere la priorità dello Spirito sulla Parola».[9] Il Toppi però non è convincente, quando cerca di smontare questa tesi. Afferma: «Dio Spirito non agisce in contrasto o al di sopra della sua Parola, ma permette che emergano le verità in essa contenute».[10] Cosa vuol dire che «permette che emergano le verità in essa contenute»? Vuol dire che il pentecostalismo è il frutto d’un intervento speciale dello Spirito, il quale ha fatto «emergere» nel 20° secolo delle verità «contenute» nella Parola? Se così fosse, questo pone ulteriori e imbarazzanti interrogativi. Perché lo Spirito ha nascosto per 20 secoli, anche alla sua chiesa fedele, delle verità importanti per la sua vita spirituale? Che senso ha parlare ancora di «rivelazione» scritta, se poi la Bibbia è un libro misterioso, che abbisogna d’interventi speciali ed escatologici dello Spirito per essere svelato? Se la Bibbia non detiene, in ogni tempo, un’evidenza facilmente verificabile, da parte di chi ha i giusti requisiti spirituali, morali e intellettuali, chi può più porre un freno all’arbitrio di chi declama l’ultimo e più recente intervento dello Spirito?[11] Su che base possiamo verificarlo se è lo Spirito che fa «emergere» quelle verità altrimenti nascoste? Chi può più contestare che la seconda, la terza e la quarta ondata non siano interventi dello Spirito, che hanno fatto «emergere» nuove verità «contenute nella Parola»? Non è questo il cuore d’una teologia dell’esperienza e d’un approccio soggettivo alla Scrittura?

     Questa è una teologia, per la quale il canone e il criterio della fede non sono più la Scrittura con le evidenze che le sono proprie, ma la presunta esperienza dello Spirito che fa «emergere» verità non meglio precisate. E questo poi si riflette nel momento in cui bisogna «discernere l’esperienza» stessa dello Spirito. Una «teologia dell’esperienza» ci proietta in una «esperienza senza teologia», cioè un’esperienza dello Spirito non verificata né verificabile. Persino un pentecostale «collaudato» come Carmine Napolitano, che ha «alle spalle una “tradizione” pentecostale, familiare ed ecclesiale, plurigenerazionale», ha riconosciuto che «la valenza pneumo-carismatica della concezione pentecostale conduce direttamente al problema ermeneutico non solo come questione relativa all’interpretazione dei testi biblici, ma anche come questione relativa al discernimento dell’attività carismatica in quanto funzione dello Spirito Santo. In sostanza il problema ermeneutico che pone il vissuto pentecostale non è solo a livello teorico e formale, ma fenomenologico ed esistenziale... ponendo il problema del rapporto Spirito-Scrittura, Spirito-Parola, Spirito-Individuo, Spirito-Chiesa, e così via. In questa prospettiva viene meno quasi del tutto il caposaldo del fondamentalismo basato su un’oggettività della conoscenza di fede... il vissuto pentecostale manca di quella necessaria verifica storica e teologica».[12] Ed è per questo che nel documento «Valdesi, Metodisti e Pentecostali in dialogo», non si è avuta nessuna remora ad affermare: «Lo Spirito trasforma la lettera biblica in Parola di Dio».[13]

     Anche questa «differenza» è in realtà la «stessa sostanza» che si è storicamente affermata con il pentecostalismo e si è poi innestata in un ceppo diverso e tuttavia compatibile, un ceppo che, per sua natura presentava in sé sostanze diverse e che ha dato luogo ai «pentecostalismi» di seconda, terza e forse quarta generazione. Ed è proprio quell’approccio soggettivo ed esperienziale alla Scrittura, inaugurato dal pentecostalismo classico, che non ha saputo limitare l’inarrestabile avanzata delle altre «ondate».

     Avendo così esaurito la scorta delle «differenze sostanziali» proposte dallo Stretti, tra pentecostali e carismatici, e avendo notato una certa loro inconsistenza, ci si chiede: quanto possono valere queste differenze a smontare la tesi, secondo cui esiste un nesso causale fra questi due movimenti, suffragato com’è da forti paralleli? Abbiamo già rilevato che tali differenze possono essere spiegate con la natura trasversale del movimento carismatico, il che fa pensare a una degenerazione dovuta ai diversi apporti, con cui è nato. Queste differenze dunque non sono tali da poter dimostrare che tale nesso causale non esista, tanto più se si prova che la stessa esperienza pentecostale ha poi fecondato l’esperienza carismatica. Per intenderci, ciò che qui fa la differenza, non è l’esperienza pentecostale o carismatica in sé, ma il diverso contesto in cui questa è attecchita. È plausibile dire dunque che il pentecostalismo originario ha generato il movimento carismatico, di cui fanno fede le stesse analoghe manifestazioni, con una sola vera differenza che spiega tutte le altre: il grembo, ossia il contesto in cui il movimento carismatico è nato era molto più diversificato, tanto da annoverare persino influssi di tipo esoterico. Questo ragionamento in certo qual modo deresponsabilizza il pentecostalismo classico, ma allo stesso tempo dà anche da pensare sulla genuinità dello stesso, perché s’impone il seguente interrogativo: com’è possibile che le stesse «manifestazioni» possano avvenire in contesi così diversi e opposti tra loro?

 

 

3.  SOPPESANDO LE ANALOGIE: In una breve ricerca da me condotta su autori, che hanno già studiato il fenomeno pentecostale e carismatico, è stato interessante rilevare come tutti, di principio, riconoscono la differenza tra questi due movimenti, ribadendo soprattutto la natura trasversale del secondo. Tuttavia, poi, nell’atto di trattare le varie dottrine del movimento carismatico o della «terza ondata», non ne parlano come di dottrine «piovute dal cielo», ma le pongono in relazione con i «precedenti» dottrinali del pentecostalismo classico.

     In via generale, si possono citare i seguenti studiosi. C’è chi dice che «il movimento carismatico» è «dottrinalmente e storicamente legato al Pentecostalismo classico», anche se «è rimasto in gran parte all’interno degli organi della chiesa storica».[14] C’è chi dice addirittura: «Non c’è quasi nessuna differenza riguardante le dottrine fra questo movimento [carismatico] e quello pentecostale. Tuttavia sono sopraggiunti alcuni nuovi insegnamenti e pratiche che fino a poco tempo fa non si evidenziavano nel movimento pentecostale... le “tre ondate” non possono essere delimitate in modo netto. Molti uomini, noti come esponenti della “terza ondata”, sono contemporaneamente pentecostali e carismatici. Inoltre i tre movimenti collaborano generalmente o s’assorbono a vicenda».[15] C’è chi usa un linguaggio abbastanza interessante per descrive il parallelo che esiste tra pentecostali e carismatici: «I nuovi fenomeni “entusiastici” si sono associati a quelli più classici del pentecostalismo... Ecco alcune caratteristiche di questo movimento, in qualche modo neopentecostale... La reciproca compenetrazione fra movimento pentecostale tradizionale e movimento carismatico può far parlare quasi indifferentemente di movimento neopentecostale o neocarismatico... Nel pentecostalismo, prima, e nel carismaticismo, poi, è stato solitamente insegnato…».[16] Cito infine chi dice che «cristianesimo carismatico o pentecostale... i due termini non coincidono ma sono sinonimi e descrivono fenomeni affini».[17]

     È evidente che in tutto questo c’è materia per scrivere un libro e non è certo questa la sede per poterlo fare, per cui, mi limito a indicare due elementi fondanti che hanno avuto inizio col pentecostalismo classico e tendono a ripetersi negli altri movimenti:

     ■ 1. L’elemento escatologico, ossia l’idea d’essere il prodotto d’un intervento speciale di Dio, previsto per gli ultimi tempi.

     ■ 2. L’elemento dottrinale, ossia quel nucleo di «verità» che stanno alla base del movimento pentecostale-carismatico.

 

Questi due elementi sono strettamente connessi, perché l’uno inquadra il fatto escatologico, su cui si fonda il movimento pentecostale-carismatico, cioè «l’esperienza pentecostale» di Azusa Street e i suoi sviluppi, considerati una nuova «effusione dello Spirito»; l’altro tenta invece di fornire la base biblica e teologica di questo fenomeno. Mentre l’elemento escatologico tenta di mostrare come sia possibile e plausibile l’esperienza pentecostale del 20° secolo, l’elemento dottrinale si configura come un tentativo di renderla normativa e necessaria. Malgrado le differenze che si possono riscontrare in quello, che Toppi ha definito «l’arcipelago pentecostale», le quali si possono spiegare con i diversi contesti, in cui il movimento pentecostale-carismatico si è sviluppato, esiste un nucleo esperienziale e teologico, che sta alla base di tutta «l’esperienza pentecostale» del tempo attuale e paradossalmente è persino usato dagli apologeti pentecostali-carismatici, come vedremo tra breve.

     In merito all’elemento escatologico è risaputo che tutti questi movimenti si riallacciano alla profezia di Gioele riportata poi negli Atti degli Apostoli. Qualcuno ha parlato dei «gruppi carismatici e pentecostali, i quali affermano che il cristianesimo moderno può riscoprire e riappropriarsi della potenza dello Spirito Santo, descritta nel Nuovo Testamento e in particolare nel libro degli Atti degli Apostoli».[18] Non è un mistero che il movimento pentecostale-carismatico si consideri un «adempimento» della profezia di Gioele, una «seconda pioggia» del 20° secolo, che corrisponde alla «prima pioggia» del 1° secolo. Ed una volta che è passato questo discorso, non si capisce perché non debba esserci anche una «terza pioggia» e una «quarta pioggia», come sostengono i carismatici, e come negano loro i pentecostali, in verità con un po’ di presunzione. Ma non è questo il punto. Il punto è che tutti si ritengono il prodotto di precise profezie fatte sul proprio conto e che considerano la «propria» effusione dello Spirito Santo. In merito, Seibel ha potuto dire: «Tutti i movimenti di questo tipo, sia il movimento pentecostale di Los Angeles del 1906, che il movimento carismatico iniziato intorno al 1960, o il movimento carismatico cattolico iniziato nel 1967, i primi gruppi sono sorti sulla base di profezie che iniziavano con le parole: “Così dice il Signore”».[19] È l’idea d’essere i protagonisti d’una nuova effusione dello Spirito, prevista dalle Scritture, che li ha differenziati da tutti gli altri sporadici fenomeni delle lingue occorsi nella storia della chiesa. Questa «intuizione» ha consentito loro di compattarsi anche fuori del cristianesimo storico e diventare movimento a sé. Ed è proprio questa convinzione, che con maggior forza viene evidenziata dagli esponenti della «terza ondata».

     Questo elemento è così importante che nessuno vi vuol rinunziare e per questo si ripete come una «costante» e con sempre maggior forza in ogni nuova «ondata». Il motivo è presto detto. Questi movimenti rappresentano un elemento di forte discontinuità storica, in seno alla chiesa. Forse non a caso il primo capitolo del libro di John Sherril «Essi parlano in altre lingue», sulla storia del movimento pentecostale e carismatico, si intitola «Il salto». Il movimento pentecostale-carismatico rappresenta «un salto» nella storia della chiesa di ben 20 secoli, dalla «prima» alla «seconda pioggia». E gli esponenti stessi del movimento pentecostale hanno insistito spesso nel dire che le loro radici storiche sono nella Pentecoste e non nel cristianesimo storico. In più occasioni hanno preso volutamente le distanze dalla Riforma protestante, considerandosi a loro volta dei riformatori e dei rivoluzionari. Nel libro di Sherrill si può leggere: «Il movimento pentecostale, con la sua enfasi sullo Spirito Santo, è più che un solo altro risveglio. È una rivoluzione dei nostri giorni... paragonabile in importanza, al sorgere dell’originale Chiesa Apostolica e alla Riforma Protestante».[20] In uno scritto del pastore pentecostale Roberto Bracco dal titolo significativo «Non siamo Protestanti» s’afferma quanto segue: «Il “Risveglio Pentecostale” non trae la propria origine dalla Riforma promossa da Martin Lutero... ma da quel soffio misterioso del vento di Dio che ha dato vita attraverso i secoli a una lunga catena di movimenti evangelici che nella semplicità apostolica hanno saputo far rivivere nel proprio seno... i carismi dello Spirito». Meraviglia dunque che Toppi ne faccia una questione, se collocare il movimento pentecostale nel «terzo» o nel «quarto protestantesimo» e che si voglia fare fronte comune col cristianesimo storico, contro i carismatici, disconoscendo che anch’essi, come già hanno fatto i pentecostali della prima ora, hanno diritto a rivendicare la loro propria «pioggia».

     Comunque sia, questo «salto» di 20 secoli nella storia della chiesa andava non solo affermato, ma anche spiegato e, in certo qual modo, «giustificato». Cosa che gli apologeti del movimento hanno cercato di fare, sia in ambito pentecostale, che carismatico. Bisognava cioè spiegare come mai lo Spirito Santo abbia saltato 20 secoli di storia della chiesa, per rivelarsi nel modo, in cui si ritiene faccia oggi in questi movimenti. E qui bisogna dar conto dei due principali modi con cui questo movimento ha risposto a questa legittima questione. Il primo, forse quello più immediato, è stato d’addebitare alla «disubbidienza» o alla semplice «non ricerca» delle manifestazioni dello Spirito, da parte del cristianesimo storico, per 2000 anni, il che, come c’era da aspettarsi, ha creato un muro-contro muro, frutto non solo della reazione delle denominazioni storiche, ma anche d’un atteggiamento un tantino «settario», mostrato da certe frange del pentecostalismo storico. Il secondo, forse frutto d’una riflessione teologica più matura, è stato quello di non additare più in modo presuntuoso e pretestuoso la presunta «infedeltà» della chiesa nei suoi precedenti 20 secoli di storia, ma di considerare la nuova effusione dello Spirito, come l’adempiersi d’un preciso disegno escatologico di Dio. L’elemento escatologico è diventato così fondante di tutta l’esperienza pentecostale del 20° secolo e la risposta più coerente che i teologi del movimento hanno potuto produrre contro il rilievo più forte fatto loro dal cristianesimo storico, secondo cui, certe manifestazioni erano «cessate» per sempre. Sta di fatto che questo elemento fondante ha permesso alla «seconda ondata» d’implementare «l’esperienza pentecostale» in ambienti diversi, senza doverne uscire fuori. Ma è soprattutto la «terza ondata» che fa leva su questo elemento, come anche afferma il Martella: «Alla base di questo movimento c’è il bisogno che le predizioni di Gioele s’adempiano di nuovo, di continuo».[21]

     In merito all’elemento dottrinale, sarebbe utile esaminare le dottrine una per una ed evidenziarne l’evoluzione da un movimento all’altro. Ma rimando a quanto scritto da altri autori. C’è però un ceppo dottrinale che si ripete puntualmente in queste «diverse ondate» e che è strettamente collegato all’elemento escatologico già considerato. Questo ceppo dottrinale lo esprime molto bene John MacArthur: «Alla base della dottrina pentecostale/carismatica, perciò troviamo tre elementi che la riassumono tutta: un battesimo dello Spirito successivo alla nuova nascita, reso evidente di solito, perché si parla in lingue, e ottenuto con il requisito d’una ricerca sincera».[22] Queste tre dottrine, battesimo dello Spirito Santo successivo alla nuova nascita, il segno del parlare in lingue e la ricerca di queste manifestazioni sono in una tale logica concatenazione e successione, che a buon diritto hanno assunto il valore d’elemento fondante di tutta l’esperienza pentecostale-carismatica.

     Altre volte, nella storia della chiesa si sono avute manifestazioni come il parlare in lingue, ma mai hanno avuto un retroterra dottrinale e teologico come lo hanno avuto col movimento pentecostale. Anche lo Stretti lega «il novum nella storia del protestantesimo», che questo movimento ha rappresentato, con la «logica successione» delle sue dottrine, giungendo a dire che «caratterizzarono il pentecostalismo nascente e lo differenziarono da movimenti analoghi sorti nel corso della storia millenaria del cristianesimo».[23] E se talvolta abbiamo sottovalutato l’elemento dottrinale e teologico, che ha dato origine al movimento pentecostale, faremo bene a tener presente le parole che dice Toppi: «Il risveglio pentecostale, pur sottolineando l’importanza dell’esperienza con Dio, nasce, però, dalla ricerca biblica, quindi sorge prima teologicamente, e poi sperimentalmente, riaffermando l’attualità del battesimo dello Spirito Santo, come era stato ricevuto il giorno della Pentecoste».[24]

     Anche questo dunque è un elemento irrinunciabile per ognuno di quei movimenti, che a differenza del cristianesimo storico, asseriscono il valore attuale delle particolari manifestazioni dello Spirito, presenti nel libro degli Atti. Senza l’affermazione vigorosa di questo punto da parte del movimento pentecostale storico, le «ondate» successive avrebbero rischiato d’essere soltanto delle «comparse» nel panorama cristiano, come la storia del cristianesimo ci ha insegnato.

     Ecco perché si può affermare che il pentecostalismo classico è «premessa» delle altre «ondate», senza per questo «voler rappresentare il movimento pentecostale come il “padre” di tutte le eresie dei movimenti derivati»: esso ha fornito ai posteri di propria «somiglianza» la base escatologica e dottrinale per affermare, in modo stabile, la loro esperienza pentecostale. Senza questa «eredità», probabilmente, sarebbero rimasti dei fatti isolati e temporanei, come solitamente è successo nella storia di questi fenomeni (Montanisti, profeti delle Cevenne, ecc.). Che poi abbiano incamerato una serie di deviazioni dal pentecostalismo originario, questa è un’altra storia. Le eresie sopraggiunte andrebbero meglio spiegate con i diversi contesti, in cui l’esperienza pentecostale si è implementata nelle «ondate» successive, e con i diversi apporti a cui hanno attinto, tipo l’esoterismo, la spiritualità orientale (P. Yonggi Cho), la spiritualità cattolica (Rinnovamento dello Spirito), ecc. Questo, come già accennato, in parte deresponsabilizza il pentecostalismo iniziale, ma dei dubbi li fa venire, in merito a un’esperienza, quella «pentecostale», che così facilmente s’implementa e convive con realtà diametralmente opposte, senza poi contare gli «strani fenomeni» che si sono riscontrati sin dall’inizio, con lo sconcerto persino di C.F. Parham, uno dei padri del pentecostalismo. L’unico rilievo che facciamo in proposito è dunque il seguente: com’è possibile che queste «manifestazioni dello Spirito» possono convivere su così larga scala con tali deviazioni dalla verità?

 

 

4.  CONCLUSIONE: Ci fa piacere che nel pentecostalismo storico ci siano «coscienze critiche» come le ADI, che vogliono prendere le distanze dagli «abusi» dei «nuovi pentecostalismi». Anche nelle «ondate successive», però, stanno venendo fuori delle «coscienze critiche» proprie; tra di esse si può citare l’esempio di John Bevere. E questo mi convince che non basta più «correre ai ripari» o additare gli abusi d’un fenomeno che tende comunque a riprodursi o essere semplicemente «coscienze critiche» degli altri e non di se stessi. Bisogna mettere in ordine la propria casa ed essere sufficientemente radicali.

     Prendiamo atto che si è, per troppo tempo, assolutizzato la «fenomenologia pentecostale» degli Atti, affermando che in essa si concretizza la pienezza del Vangelo e che il «movimento delle lingue» e il «movimento profetico» del 20° secolo ne fosse una riedizione in chiave escatologica, senza peraltro produrre un’evidenza scritturale incontrovertibile. Si è così relativizzato la comprensione del Vangelo propria dell’evangelismo storico, che poneva nella croce e non nella pentecoste il suo centro propulsore. Si è inoltre contrapposto al «sola Scriptura» un «tota Scriptura»[25], che allargava la base del Vangelo e di ciò, che è normativo, a particolari transitori e descrittivi della Scrittura, chiamando in causa una nuova comprensione degli stessi, «rivelata» a hoc dallo Spirito Santo. Sono questi fatti che hanno gettato le basi d’un fenomeno che da subito si è manifestato incontrollato e incontrollabile. Gli storici dicono che, Seymour, un padre del pentecostalismo, era così disperato che chiamò in aiuto il suo maestro Parham, il quale comunque espresse un giudizio negativo sui fenomeni di Azusa Street.[26]

     Lo stesso Carmine Napolitano dice: «In sostanza, da Azusa Street è stato ereditato un pentecostalismo spettacolare e meraviglioso che di fatto ha tracciato una via diversa alla cui estremità non vi è nessuna possibilità di discernere l’azione dello Spirito e porre la giusta distinzione tra psichico e pneumatico o tra queste dimensioni e qualcosa di più inquietante».[27] Per correttezza bisogna dire che Napolitano addebita questa «estremità» al «neopentecostalismo», però, ai fini della tesi in discussione, è interessante che ne parli come di «un’eredità» del pentecostalismo di Azusa Street, cioè del pentecostalismo storico. Ma, pur prendendo di mira i nuovi pentecostalismi, questo studioso pentecostale non tace gli errori del pentecostalismo storico. In uno scritto del 1999, dal titolo «Tra Pentecoste e pentecostalesimo», dice cose estremamente interessanti per chi voglia veramente assumere una «coscienza critica»: «Il pentecostalesimo... ha senz’altro accentuato l’importanza della fenomenologia pneumatica (problema già piuttosto evidente nel pentecostalesimo classico) trascurando sempre più il necessario aggancio cristologico e cristocentrico... una cosa è l’evento di Pentecoste a cui loro rimandano, altra cosa è il pentecostalesimo che è nato per ridare un significato a quell’evento... L’esperienza nello Spirito, infatti, è cosa che non si può ridurre solo alla fenomenologia pentecostale. Sono in errore i pentecostali quando mostrano di credere che la presenza e l’opera dello Spirito santo nella vita del credente sia dimostrata solo dalle loro esperienze e dalla fenomenologia che le accompagna... non si possono e non si debbono relativizzare le storture, le esagerazioni, le assolutizzazioni e l’incapacità propositiva degli ambienti pentecostali che tante volte hanno causato l’incomprensione d’altri anche ben intenzionati; chi scrive pensa di conoscere abbastanza bene i limiti dell’ambiente in cui vive... Fin dalle origini si capiva che l’evento di Pentecoste preso come modello e punto di riferimento era qualcosa di diverso dall’esperienza fatta dai pentecostali; che troppo spesso un’imitazione e una semplice riproduzione d’esperienze riportate nel libro degli Atti non erano garanzia d’autenticità... Pentecoste rappresentò un evento straordinario nella storia della salvezza e fu fondativo per la chiesa... Non si può credere che la fenomenologia con la quale nel racconto di Luca vengono descritti questi eventi rappresenti in modo assoluto la sostanza degli eventi (errore storico dei pentecostali)... In questa prospettiva i pentecostali devono ri-orientare il senso della percezione che hanno dato dell’esperienza nello Spirito tirandola fuori dal dottrinalismo angusto nella quale è stata chiusa nel momento in cui è stata confinata nei limiti d’una fenomenologia che può ben rappresentare il punto di partenza, ma certamente non quello d’arrivo; l’esperienza di Dio che l’effusione dello Spirito permette non può essere unica e uguale per tutti».[28]

     Insomma, prendere le distanze da ciò che è venuto dopo non basta, bisogna anche fare un passo indietro! I «distinguo» teologici non bastano, bisogna anche assumersi le «responsabilità» teologiche. Se si è scaduti in una «Pentecoste senza Cristo», come ha denunciato David Wilkerson nel 1999, è perché la ricerca spesso ossessiva della «fenomenologia pentecostale» ha offuscato la semplice fiducia nel Cristo crocifisso e nella potenza della croce. Dall’evento salvifico, cioè dalla croce e dalla risurrezione, l’attenzione è stata spostata sull’effetto, cioè la pentecoste e la sua particolare fenomenologia, nonostante il silenzio degli apostoli, i quali invece hanno sempre posto al centro del loro insegnamento il Cristo crocifisso e risorto. «Il movimento sembrava minimo, ma (come accade quando si verifica un leggero spostamento della crosta terrestre) ne è seguito un terremoto»[29], con «onde anomale» o tsunami!

 

Le ondate dello Spirito tra differenze e affinità? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 



[1]. Francesco Toppi, «Quarto Protestantesimo?», in Cristiani oggi (Roma, agosto 1996).

[2]. N.d.R.: Per la nascita e gli sviluppi del pentecostalismo nelle sue diverse «ondate» rimandiamo a Nicola Martella, Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), specialmente agli articoli: «L’influenza di Agnes Sanford», pp. 9-17; «Le “tre ondate” dello spirito», pp. 18-30.

[3]. Ibid.

[4]. Ibid.

[5]. Eugenio Stretti, Il movimento pentecostale (Claudiana, Torino 1998).

[6]. F. Toppi, op. cit., pp. 6-7.

[7]. Wolfgang Bühne, «Le seduzioni religiose più importanti ed attuali per la chiesa (II)», in Il Cristiano (ASPE, Arezzo agosto 2003), pp. 374s.

[8]. E. Stretti, op. cit., p.13.

[9]. Ibid., p. 8.

[10]. Ibid.

[11]. N.d.R.: Si veda qui, ad esempio Montano (2° sec.) e Gioachino da Fiore (12°-13° sec.). Riguardo a Montano e a Gioacchino da Fiore rimandiamo in Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso. Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), ai seguenti articoli: «L’escatologia gnostica» (Montano e altri), pp. 42ss; «Nel Medioevo», pp. 54-66 (Gioacchino da Fiore).

[12]. Carmine Napolitano, «Cento anni di storia pentecostale», in Fedeltà n° 242 (Lug.-Ago. 1998), p. 164.

[13]. AA.VV., Valdesi, Metodisti e Pentecostali in dialogo (Claudiana, Torino 2002), p. 46. N.d.R.: La distinzione fra «sacra Scrittura» e «Parola di Dio» è tipica della «teologia esistenzialista» e della teologia liberale. Si afferma che la Bibbia diventa «Parola di Dio» per il credente soltanto nel momento in cui essa gli parla in modo personale. È chiaramente una distinzione equivoca e pericolosa, che apre le porte all’arbitrio e relativizza l’autorità della sacra Scrittura. A questo punto, come affermano alcuni, pressoché ogni cosa, che leggo, può diventare per me «Parola di Dio».

[14]. J.R. Williams, Elwell Evangelical Dictionary.

[15]. W. Bühne, op. cit., p. 374.

[16]. N. Martella, Carismosofia, pp. 5, 27, 29, 35.

[17]. P. Ricca, Valdesi, metodisti e pentecostali in dialogo (Claudiana, Torino 2002), p. 11.

[18]. Alister E McGrath, Teologia Cristiana (Claudiana, Torino 1999), p. 139.

[19]. A. Seibel, La chiesa sottilmente ingannata (Biblos, Verona 2001), pp. 66-67.

[20]. J. Sherrill, op. cit., p. 31.

[21]. N. Martella, op. cit., p. 20.

[22]. J.M. Arthur, I carismatici (Centro Biblico, Napoli 1987), p. 99.

[23]. E. Stretti, op. cit., p. 18.

[24]. Ibid., p. 82.

[25]. In un intervista del 1996, riportata nel mensile «Fedeltà» n° 235 (Ott.-Nov. 1997), p. 211, Toppi diceva: «Le chiese della Riforma protestante si sono allontanate dal messaggio originario, non basta il “Sola scriptura”, è necessario il “Tota scriptura”».

[26]. Carmine Napolitano, «Cento anni di storia pentecostale», in Fedeltà n° 270 (Sett. 2001), p. 184.

[27]. Ibid.

[28]. Carmine Napolitano, «Cento anni di storia pentecostale», in Fedeltà n° 252 (Sett. 1999), pp. 178-180.

[29]. R.C. Sproul, Sola fede (Passaggio, Mantova 1999), p. 167.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Ondate-SS_diff_affin_Esc.htm

09-01-2009; Aggiornamento: 24-01-2010

 

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