Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Escatologia 1

 

Interpretazione biblica

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Questa opera contiene senz’altro alcune novità. Leggendo i brani escatologici della Bibbia sorgono vari interrogativi, ad esempio i seguenti:
■ I credenti, quando muoiono, vanno in cielo o in paradiso?
■ I morti nell’aldilà sono solo inattivi o anche incoscienti?
■ I bimbi morti dove vanno?
■ Se nessuno sa il giorno e l’ora dell’avvento del Messia, perché diversi cristiani hanno fatto predizioni circostanziate per il loro futuro imminente?
■ Qual è la differenza fra escatologia e utopia?
■ In che cosa si differenzia la speranza biblica dalla speranza secolarizzata di alcuni marxisti?
■ Il «rapimento» precederà o seguirà la tribolazione finale?
■ Quando risusciteranno i credenti dell’AT?
■ Il regno millenario è concreto o solo spirituale?
■ Durante il suo regno futuro col Messia regnerà sono Israele o anche la chiesa?
■ Nella nuova creazione i credenti abiteranno in cielo o sulla nuova terra?
■ Lo stagno di fuoco esisterà per sempre?
■ I morti si riconoscono nell’aldilà?
■ Non sarà noioso vivere nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il tempo nel nuovo mondo?
■ Ci sarà il matrimonio nel nuovo mondo?
■ Eccetera...

 

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Escatologia 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DUE TESI A CONFRONTO SU MATTEO 6,22-23 (5)

 

 di Argentino Quintavalle - Nicola Martella

 

9. Le tesi (5) {Argentino Quintavalle}

10. Osservazioni e obiezioni (5) {N. Martella}

 

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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (4)

 

9. La tesi (5) {Argentino Quintavalle}

 

Che Mt 6 debba essere spiegato alla luce di Luca 11 è un discorso preconcetto, poiché è vero il contrario, e cioè che Luca 11 debba essere spiegato alla luce di Mt 6, e questa è la mia opinione. Sull’argomento ho ancora da dire:

     ■ 1. I vocaboli greci haplotes e haplous hanno una vasta gamma di significati che vanno da «semplice» a «apertura», «senza secondi fini», «rettitudine», «dirittura», «indubitabile», «non equivoco», «chiaro» e «bontà» (quest’ultimo in riferimento a un donatore). Vedi Otto Bauernfeind, «haplous, haplotes», nel Dizionario Teologico del Nuovo Testamento (ed. Gerhard Kittel; Grand Rapids: Eerdmans, 1964). Quindi non è certo il suo significato greco che confuta la mia interpretazione.

     ■ 2. Non ho l’abitudine di salti mortali, specialmente se etimologici. Il significato di poneros non me lo sono inventato, ma l’ho preso da un ottimo dizionario, il quale aggiunge che tale significato si trova già in Esiodo, Tucidide, nelle iscrizioni e nei papiri.

     ■ 3. Soprattutto aggiungo che Dt 15,9 è un eccellente esempio dell’idioma ebraico «occhio cattivo» e Diodati traduce: «che l’occhio tuo non sia maligno inverso il tuo fratello bisognoso, sì che tu non gli dii nulla». Qui non ci troviamo nel medioevo, ma ai tempi di Mosè.

     Gli altri riferimenti nelle Sacre Scritture per «occhio buono / occhio cattivo» e che dimostrano che l’idioma non è d’origine medioevale, ma biblico, sono: Pr 22,9 (occhio benigno – Diodati); Pr 23,6 (occhio maligno – Diodati); Pr 28,22 (occhio maligno - Diodati); Dt 28,56 (occhio maligno – Diodati). Questo idioma si trova anche in Tobia 4,7-10,16: «…il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l’elemosina». L’idioma si trova anche nella Mishnah trattato d’Avot 5,13,19 (che riporta detti di rabbini anche precedenti a Gesù) e in vari altri posti.

     Adesso sull’argomento non ho più nulla da dire. È a dir poco incredibile non voler riconoscere che quest’idioma è biblico e non medioevale.

 

Riflessione

     Come si può sapere una cosa qualsiasi? Quali sono i mezzi per cui si giunge alla conoscenza? In che modo abbiamo appreso quelle informazioni che pensiamo di sapere?

     ■ L’intuizione: Persino il bambino ha questa capacità, perché vede che il suo piangere quando ha fame o paura produce l’effetto desiderato, cioè fa avvicinare la madre.

     ■ La conoscenza razionale: È l’abilità di ragionare e di giungere a conclusioni logiche, e di stabilire nessi logici tra un concetto e l’altro.

     ■ La conoscenza pratica: Questa conoscenza si ha quando sperimentiamo la realtà direttamente e personalmente con i nostri propri sensi: vista, udito, ecc.

     ■ La testimonianza: Tutte le cose che non sperimentiamo personalmente bisogna impararle tramite le informazioni raccolte da altri. Regoliamo la maggior parte della nostra vita in base alla testimonianza altrui. Tutto quello che leggiamo, gran parte di ciò che abbiamo imparato a scuola, insomma la maggior parte della nostra conoscenza proviene dalla testimonianza altrui: i genitori, i maestri, la stampa, i mass-media, ecc. Siamo stati salvati grazie alla testimonianza altrui.

     Chi afferma di credere solo a ciò che può sperimentare personalmente, oppure ciò che pare più ragionevole, dimentica come ha imparato tutto quello che pensa di sapere. Non ha riflettuto sufficientemente sulla natura della propria conoscenza e su come l’ha avuta. È debitore verso tutti quelli che gliel’hanno insegnata.

     Non è bene rifiutare la testimonianza d’Israele riguardo all’idioma ebraico in discussione, poiché significherebbe rifiutare la testimonianza d’Israele riguardo a sé stesso e questo nessuno ha il diritto di farlo. È stata utile per me questa discussione, perché se prima credevo che Mt 6,22 fosse un idioma ebraico soltanto per la testimonianza d’Israele, ora ci credo ancora di più per la conoscenza razionale.

 

 

10. Obiezioni e osservazioni (5) {Nicola Martella}

 

Il mio interlocutore scrive certamente di cose interessanti. Devo dire però che sono rimasto alquanto deluso. Lo avevo invitato a spiegare in modo sufficiente come mai lo stesso detto si trova in due contesti differenti (Mt 6; Lc 11) e dovrebbe significare, secondo lui, «generoso – avaro», sebbene ciò non sia evidente in greco, nella lingua in cui il NT fu scritto. Poiché gli autori (Matteo e Luca) non aggiunsero altra spiegazione a tale detto, la mia tesi è stata questa: tale detto era direttamente comprensibile ai lettori greci, senza bisogno di risalire a un «sottotesto ebraico / aramaico» e senza il bisogno di un «interprete giudeo» a portata di mano.

     Sono rimasto deluso, perché il mio interlocutore non ha fatto nulla per mostrare (e dimostrare) come i significati da lui postulati «generoso – avaro) siano da ritrovare in Lc 11, visto che il contesto non parla di soldi, ricchezze, eccetera. Lo stesso detto (proverbio, modo di dire, ecc.) non può significare due cose differenti in due contesti diversi; è contro la logica. Poiché i significati da lui postulati non sono evidenti in Lc 11, in Mt 6 si tratta di una dotta costruzione, che non convince.

     Invece di fare ciò, il mio interlocutore è tornato a rifare, quanto già presentato precedentemente.

     ■ 1. Il riferimento a Otto Bauernfeind non dimostra nulla a favore del mio interlocutore. Anzi haplous e haplotes mostrano che lo spettro dei significati non si può restringere a «generoso», tanto meno quando è abbinato a «occhio».

     ■ 2-3. Il mio interlocutore cita ora vari brani dell’AT (diversi dei quali per altro già introdotti da me precedentemente), prendendo ad autorità non il testo ebraico, ma la traduzione di Diodati. Poi conclude: «Qui non ci troviamo nel medioevo, ma ai tempi di Mosè». E aggiunge che «gli altri riferimenti nelle Sacre Scritture per “occhio buono / occhio cattivo” […] dimostrano che l’idioma non è d’origine medioevale, ma biblico». Questo è un modo scorretto di interpretare le asserzioni altrui (a ciò si aggiunga che in Mt 6 e Lc 11 c’è «occhio semplice» e non «occhio buono»). Io stesso ho mostrato che tale modo di dire ricorre nell’AT, ma ho aggiunto che è discutibile che avesse il significato che il mio interlocutore gli attribuisce. Questa è un’altra cosa! Ciò che afferma posteriormente il Talmud non deve per forza coincidere con ciò che dissero Mosè e gli altri scrittori dell’AT.

     Quanto ai brani, citati dal mio interlocutore, bisogna chiedersi: Qual è la vera espressione ebraica nel singolo brano? La Settanta ha tradotto qui veramente con «occhio semplice» e «occhio cattivo» come in Mt 6 e Lc 11? Ricorrono queste esatte espressioni in Tobia 4,7-10,16? Se si guarderà brano per brano in ebraico e poi in greco, si rimarrà alquanto delusi dei risultati.

     ■ Per Pr 6,17; 16,30 (da lui non elencati) si veda la mia risposta in: Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (1). Ora passo all’analisi dei brani da lui elencati.

     ■ Dt 15,9 recita letteralmente: «Guarda te stesso che nel cuore tuo non nasca il cattivo pensiero: “Il settimo anno, l’anno di remissione, e vicino!” — e che la cattiveria del tuo occhio [non sia] in tuo fratello, il povero, e tu non gli dia nulla. Egli però griderebbe contro di te all’Eterno, e ci sarebbe del peccato in te». L’espressione ebraica è qui werā`āh `êne«e la cattiveria del tuo occhio», poiché rā`āh è sostantivo, non aggettivo. Quindi non ricorre letteralmente l’espressione «occhio cattivo». Qui si tratta del fatto che, essendo l’anno della remissione alla porte, anno in cui bisognava condonare i debiti, un Israelita per proteggere la sua proprietà decideva di non fare un prestito al suo connazionale indigente, sapendo che avrebbe perso comunque tale capitale. La «malvagità dell’occhio» di qualcuno verso un altro intendeva colui che chiudeva le sue viscere verso l’indigente, rimandandolo a vuoto.

     La Settanta tradusse nella parte, che ci interessa, così: kaì ponēreusēntai ho ofthalmós sou tō adelfō sou tō epideoménō «e il tuo occhio [non] tratti male tuo fratello, il bisognoso». È verosimile che il traduttore non avesse interpretato rā`āh come sostantivo, ma come verbo (3a m. sg.) «pascere, pascolare, brucare interamente (quindi divorare, distruggere)». Il verbo rā`āh nel senso di «brucare interamente», quindi di «divorare», si trova in Ez 34,18: «Vi pare troppo poco: voi divorate [rā`āh] questo buon pascolo e il resto del vostro pascolo voi lo calpestare con i vostri piedi?». Questo aspetto negativo si trova anche in Gr 6,3: ognuno «bruca interamente» (ossia divora) il suo settore durante l’assalto alla città. In Mi 5,5 tale «brucare interamente» (divorare) avviene con la spada. In Gr 2,16 si parla di «divorare il cranio». In Gb 20,26 ricorre: «lo consumerà un fuoco». Secondo Gb 24,21, l’iniquo «divorava la sterile».

     Partendo da questo significato negativo del verbo rā`āh, si può tradurre il testo ebraico werā`āh `ênekā be’aḥîka hā’ëbejön come segue: «e il tuo occhio [non] divori tuo fratello, il povero».

     Quindi, come si vede, questo brano non contiene direttamente l’espressione `ajin rā`ah «occhio cattivo», e l’espressione «malvagità del tuo occhio» o «il tuo occhio [non] divori» non può essere usato come prova che in Mt 6,22s si intenda «essere avaro». Le prove devono essere chiare ed evidenti e devono adattarsi contemporaneamente a Mt 6 e Lc 11.

     ■ Per Dt 28,54.56 si veda la mia risposta in  «Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (3)».

     ■ Come ho già ribadito altrove [ Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (3)], in Pr 22,9 non ricorre «occhio semplice» in ebraico, ma ṭôb `ajin «buon occhio»; nel greco della Settanta non c’è qui ofthalmós haplous, ma ho eleōn ptōchòn «chi compassiona il povero [= chi ha pietà del povero]». Sembra che il mio interlocutore non prenda sul serio ciò di cui ho già parlato altrove e ripropone gli stessi argomenti!

     ■ Pr 23,6 recita letteralmente: «Non mangiare il pane della malvagità dell’occhio e non desiderare le sue prelibatezze». Anche se si traducesse «pane di chi ha l’occhio malvagio» il brano avrebbe comunque a che fare con la bramosia, non con l’avarizia. La Settanta ha interpretato con mē syndeipnei andrì baskànō «non mangiare con un uomo ammaliante (o maliardo)»; quindi niente ofthalmós «occhio» e niente ponērós «cattivo».

     ■ Pr 28,22 recita letteralmente: «Un uomo della malvagità dell’occhio s’affretta verso il possesso e non riconosce che gli piomba addosso la penuria». Anche qui, sebbene si traducesse «Uomo dall’occhio malvagio», il brano avrebbe a che fare con l’avidità, non con l’avarizia. La Settanta ha interpretato con speudei ploutein anēr báskanos«l’uomo ammaliante (o maliardo) s’affretta ad arricchire»; anche qui niente ofthalmós«occhio» e niente ponērós «cattivo».

     ■ Il testo menzionato di Tobia 4,7-10,16 sarebbe troppo vasto per poterlo controllare in greco (possibile che quella breve frase occupi 6 capitoli!?). È chiaro che il mio interlocutore non ha verificato personalmente il testo, ma ha solo citato un altro autore.

     Dopo tanto cercare, ho trovato in Tob 4,16 quanto citato dal mio interlocutore, che proviene dalla traduzione della «Bibbia di Gerusalemme». Non entriamo in merito sulla tale singolare dottrina giudaica dell’elemosina, che in Tobia occupa intere pagine e secondo cui creerebbe meriti salvifici dinanzi all’Altissimo (cfr. 4,10s). A ciò connesso ci sono strane dottrine filo-pagane, come ad esempio: «Versa il tuo vino e deponi il tuo pane sulla tomba dei giusti» (Tob 4,17). Si veda anche 12,9: «L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato»; quindi l’elemosina ha una funzione salvifica. Non si può certamente prendere il libro di Tobia come esempio di ortodossia!

     Torniamo al testo citato secondo tale traduzione: «Da’ in elemosina quanto ti sopravanza e il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l’elemosina» (Tob 4,16). Il testo greco recita: kaì mē fthonesátō sou ofthalmòs en tō poiei se eleēmosynēn «e il tuo occhio non invidi [o non rifiuti] mentre fai l’elemosina». Il verbo greco fthoneō significa «invidiare, rifiutare, negare, ricusare, ecc.».

     Come si vede, nella frase citata non ricorre direttamente ofthalmós ponērós «occhio cattivo» per poter fare un confronto diretto con Mt 6 e Lc 11.

 

Il punto della discussione

     Il mio interlocutore mi ha nuovamente costretto a tirar fuori il testo ebraico, il testo greco corrispondente della Settanta e addirittura un apocrifo. Ho dovuto controllare brano per brano in ebraico e in greco. Alla fine di tutta questa interessante analisi, devo constatare che non c’è nessun elemento nuovo che abbia gettato luce, in modo risolutivo su Mt 6 quanto al detto in esame. Se ero convinto che in Mt 6,22s non si intendesse «generoso» e «avaro», ora lo sono ancor di più. Tutta questa analisi rafforza in me la convinzione che il lettore ellenista capisse perfettamente il testo greco di Mt 6 e Lc 11 così com’era, senza bisogno di risalire a un «sottotesto ebraico / aramaico» e senza il bisogno di un ermeneuta giudaico nelle comunità gentili.

     Il mio interlocutore afferma: «Adesso sull’argomento non ho più nulla da dire». Peccato che — invece di fare una carrellata di versi che non hanno chiarito le espressioni greche di Mt 6,22s e non hanno dimostrato le sue tesi — non abbia mostrato in modo chiaro ed esauriente come lo stesso detto si trovi in Lc 11 e significhi la stessa cosa ipotizzata in Mt 6!

     La sua riflessione generale sull’acquisizione del sapere è certamente interessante. Essa potrebbe stare in un tema a sé stante. Per quanto riguarda il corrente tema di discussione ciò non aggiunge nulla di nuovo come elemento probatorio. Nessuno ha detto che ha imparato tutto da solo, senza aver avuto bisogno di mediatori e maestri.

     E poi, tutto questo discorso per dire: «Non è bene rifiutare la testimonianza d’Israele riguardo l’idioma ebraico in discussione»? Stana logica di mostrare e dimostrare quanto si afferma. Come ho mostrato negli altri contributi, «Israele» (quindi la sua cultura) e gli «idiomi ebraici» (a parte se questi ultimi ci sono veramente o meno nel testo ebraico dell’AT in ogni caso specifico!) non sono dati fissi e immutabili. Una cultura, i modo di dire, gli idiomi e quant’altro mutano nel tempo. Ne abbiamo parlato a sufficienza altrove. Un modo di dire, nato in un certo contesto, non deve valere per forza in altri contesti. Un idioma nato in una certa fase storica, non deve essere esistito con tale significato fin dai tempi d’Abramo o di Mosè! Dipende sempre caso per caso.

     Nessuno rifiuta la «testimonianza d’Israele riguardo a sé stesso» (nel bene e nel male) così come si evince dai testi biblici. E poi, quando non si hanno argomenti sufficienti, bisogna evitare di argomentare così da «terrorizzare» sempre il proprio interlocutore, attribuendogli una specie di «antisemitismo» ogni qual volta dissente su qualcosa; non è corretto.

     Certo che in Mt 6,22s (e in Lc 11) gli autori tradussero in greco delle asserzioni che Gesù fece in ebraico / aramaico, ma ciò non vuol dire che bisogna intendere ciò che il mio interlocutore ha cercato di affermare. Io ritengo che sono stati degli ottimi traduttori che hanno reso al meglio le parole di Gesù perché ogni lettore le comprendesse subito e direttamente.

     Visto che il mio interlocutore ha affermato di non avere più nulla da dire riguardo a Mt 6,22s e, nonostante il mio invito, ha deciso di non affrontare il parallelo con Lc 11, per spiegarlo in modo contestuale, corretto, sufficiente e probatorio — questo tema di discussione è da intendere ora definitivamente chiuso.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Mt6,22s_supposizioni5_Esc.htm

27-06-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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