Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Šabbât

 

Interpretazione biblica

1 | ► 2 | ► 4 | 5

 

 

 

Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DUE TESI A CONFRONTO SU MATTEO 6,22-23 (3)

 

 di Argentino Quintavalle - Nicola Martella

 

5. Le tesi (3)

{Argentino Quintavalle}

6. Obiezioni e osservazioni (3)

{Nicola Martella}

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere il punto sottostante

 

Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (2)

 

5. La tesi (3) {Argentino Quintavalle}

 

     Che dire? Prendere con leggerezza le interpretazioni di giganti dell’esegesi biblica come quelli da me citati, mi ha lasciato sbalordito e soprattutto preoccupato. E per quali motivazioni? Sono «vecchi» e non portano prove esegetiche. Se sono vecchi, anche noi un giorno saremo vecchi per quelli di domani. Ma questo non significa che l’interpretazione d’oggi sia inferiore a quella di domani, né che quella d’oggi sia superiore a quella d’ieri. Per quanto riguarda le prove esegetiche, così come le intende Nicola, è normale che non le portano, dato che ci troviamo di fronte a un idioma ebraico. Un «ebraismo» rimane un «ebraismo» anche se non ci sono prove esegetiche. L’ebraismo deve soltanto essere riconosciuto dal lettore. Se io traduco letteralmente in un’altra lingua (dalla cultura diversa dalla mia) l’espressione italiana «mangiare con gli occhi» o «ammazzare il tempo», chi mi legge, o riconosce questo modo di dire italiano o prende lucciole per lanterne. Sarebbe ben ridicolo che qualcuno si volesse ostinare a sostenere che il tempo si può ammazzare o che si possa mangiare con gli occhi perché non ci sono le prove esegetiche che quelle espressioni sono dei «modi di dire». Il Nuovo Testamento è pieno d’ebraismi, molti dei quali sono facilmente riconoscibili, altri meno.

     Ho l’impressione che qualunque altra argomentazione io possa portare non sortirà alcun effetto in chi non s’accontenta delle testimonianze (le quali sono prove biblicamente parlando) ma vuole solo prove esegetiche dei «modi di dire». Non crederebbe neanche se andasse in Israele e ascoltasse con i propri orecchi. «Vi abbiamo sonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto» (Lc 7,32).

     Per scrupolo di coscienza riporto l’interpretazione d’un altro contemporaneo: David H. Stern. Egli è un ebreo divenuto cristiano, nato negli Stati Uniti, è stato professore alla Ucla University, ha ottenuto un Master in Teologia al Fuller Theological Seminary, si è specializzato alla University of Judaism, è stato membro attivo del movimento ebraico messianico ed è tuttora vivente e vive a Gerusalemme. È l’autore del libro «Ristabilire l’ebraicità del Vangelo» edito dalla casa editrice Beth-lehem di Cremmago (Como). Ma la sua opera più importante è stata una straordinaria traduzione della Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento) in inglese, la Complete Jewish Bible. Ha scritto anche un commentario al Nuovo Testamento, ed ecco le sue parole su Mt 6,22s:

     «“La lampada del corpo è l’occhio”. Gesù cita evidentemente un comune proverbio e fa dei commenti su d’esso. Se dunque “l’occhio tuo è sano”. Questo è il testo greco, ma la spiegazione, cioè se tu sei generoso, l’ho aggiunta nella mia traduzione della Bibbia perché nel giudaismo “avere un occhio sano” [lett. “occhio buono”], un `ayin tovah, significa “essere generoso”, e “avere un occhio viziato”, un `ayin ra‛ah significa “essere avaro”. Che questa è l’interpretazione corretta è confermato dal contesto, dalla cupidigia e dall’ansietà per il denaro dei versetti che precedono e che seguono». (Jewish New Testament Commentary, p. 32).

     Non commettiamo l’errore di farci influenzare dalla nostra cultura per interpretare la Bibbia, altrimenti predichiamo bene ma razzoliamo male. Ma per questo ci vuole molta umiltà.

 

 

6. Obiezioni e osservazioni (3) {Nicola Martella}

 

Entriamo in tema

     Gli esegeti non si dividono in «giganti» e non, ma in quelli che in un certo brano fanno un’esegesi pertinente al testo o meno. Non si tratta neppure se sono «vecchi» o «nuovi», ma se lavorano con rigore esegetico o meno. D’altra parte non si può trascurare le discussioni recenti su una data questione, poiché nuove ricerche e scoperte potrebbero gettare luce su di essa. Inoltre, come ha affermato Gesù, «ogni scriba ammaestrato pel regno dei cieli è simile ad un padrone di casa il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie» (Mt 13,52).

 

La questione degli idiomi

     Un idioma (ebraico o meno) non è eterno, ma nasce in un dato momento della storia. Ad esempio dall’episodio in cui Abramo offerse in olocausto il montone invece del suo figlio sul monte Moria nacque in seguito un detto: «Per questo si dice oggi: “Al monte dell’Eterno sarà provveduto”» (Gn 22,14). È evidente che esso prima d’allora non esisteva; sebbene non si sappia quando nacque, al più tardi nell’«oggi» di Mosè esso esisteva.

     Un idioma, una volta nato, si perpetua nel tempo, sebbene muti la sua conformazione, ad esempio in «Dio vede e provvede». Altri idiomi scompaiono, ad esempio, ’el šaddaj fu usato al tempo dei patriarchi, nel libro di Giobbe e nella poesia, ma poi — non essendo un’espressione tipicamente ebraica — scomparve dall’uso quotidiano. Un uso evidente di un idioma caduto in disuso è il termine ro’ëh «veggente», che fu sostituito da nābî’ «profeta» (da nāba’ «chiamare»). Una glossa redazionale in 1 Sm 9,9 (forse dovuta a un revisore tardivo) ci istruisce che qualcosa era cambiato al riguardo rispetto ai tempi di Samuele: «Anticamente, in Israele, quando uno andava a consultare Dio, diceva: “Venite, andiamo dal veggente!”. Infatti colui che oggi si chiama profeta, anticamente si chiamava veggente». Per spiegare ciò, il redattore vide tale necessità a causa del fatto che tale idioma era ormai caduto in disuso.

     Un esempio storico relativamente recente è l’uso di «duce» nel senso di «conduttore» in Eb 2,10 («duce della loro salvezza») e 12,2 («duce e perfetto esempio di fede»). Dopo i fatti storici del fascismo e all’uso specifico di tale guida politica (il Duce), questo termine è caduto in disuso nella lingua comune. Anche le nuove traduzione hanno evitato tale nome ingombrante ed equivoco. La NR ha reso «duce» in Eb 2,10 con «autore» e in 12,2 con una locuzione: «colui che crea la fede e la rende perfetta».

     Perciò è importante sapere quando è nato un idioma ebraico, in quale ambito esso fu usato (attenzione al transfer indebito), come esso si distingue da idiomi simili, eccetera. Perciò espressioni come «mangiare con gli occhi» o «ammazzare il tempo» possono essere collegate nel tempo, verificando nella letteratura quando esse sono comparse la prima volta. Si può assistere anche che un’espressione muti nel tempo il suo significato, almeno all’interno di un certo contesto (si confronti, ad esempio, l'evoluzione dell’espressione inglese feedback negli ultimi decenni).

     A ciò si aggiunga pure che quando un’espressione idiomatica viene tradotta in un’altra lingua, non viene tradotta letteralmente, ma si riproduce il senso oppure mediante una un’espressione idiomatica simile. Ad esempio l’espressione ebraica ’anašê lebāb, ossia letteralmente «uomini di cuore», non può essere tradotta così, poiché l’idioma ebraico non intende una persona benigna, ma intelligente. Perciò la Settanta ha in Gb 34,10 synetoì kardías «intelligenti (o assennati) di cuore» e l’italiano «uomini di senno». Il traduttore italiano ha preservato «uomini», riproducendo il significato corretto di «cuore» quale «senno», il traduttore greco la preservato «cuore», spiegandone il significato.

     Similmente essere «senza cuore» (chasar-leb; Pr 7,7; 9,4; 17,16; Gr 5,21) non significava essere «spietato, gretto d’animo», ma essere «senza cervello, senza ragione, dissennato». [Cfr. Nicola Martella, «Cuore», Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 131ss].

     Ciò significa che, se al tempo di Gesù in Mt 6,22 con le espressioni ebraiche / aramaiche dibattute si intendeva «generoso» contro «avaro», l’autore avrebbe messo il risultato in greco per far intendere correttamente agli Ellenisti tali espressioni. Poiché ciò non accadde, significa che Gesù non intendeva ciò. Significa pure che tale idioma ebraico / aramaico è nato in seguito nel giudaismo; proiettarlo indietro nel testo biblico, è un’interpretazione postuma e come tale arbitraria. L’unica possibilità è dimostrare in modo chiaro e incontrovertibile che al tempo di Gesù tali espressioni effettivamente esistevano in tale combinazione (qui bisogna usare l’AT o la letteratura extrabiblica precedente a Gesù o contemporanea a lui) e che Egli abbia effettivamente inteso ciò. Così deve lavorare uno studioso serio. Gli anacronismi possono portare a risultati imprevedibili e a modificare il senso del testo alla luce di altri intendimenti. Gli autori non erano disavveduti quando scrissero in greco e trasferirono in essa idiomi ebraici / aramaici.

     Testimonianze postume non sono «prove biblicamente parlando». Citare fuori contesto Lc 7,32 non serve.

 

David H. Stern

     Egli avrà certamente innumerevoli meriti per il ministero e l’opera portati avanti alla gloria di Dio. Passiamo ad analizzare il contenuto delle sue asserzioni, che è ciò che ci interessa. Dice bene l’autore che Gesù cita probabilmente un proverbio dei suoi tempi. Il testo greco però ha «se l’occhio tuo è semplice» (integro); se avesse inteso «generoso», Matteo lo avrebbe tradotto direttamente così per far capire subito, come abbiamo visto per gli altri esempi di idiomi ebraici tradotti in greco. Poi avviene un transfer tra «occhio sano» (gr. «semplice») e «occhio buono», senza che l’autore dimostri che le due espressioni si equivalgano; ma il testo greco non ha «occhio buono» (ofthalmós agathòs) ma ofthalmós haplous «occhio semplice». L’autore ha addirittura aggiunto tale significato alla sua traduzione della Bibbia, perché ritiene che «nel giudaismo “avere un occhio sano” [lett. “occhio buono”], un `ayin tovah, significa “essere generoso”». Non spiega però in quale giudaismo e da quando: Al tempo dell’AT? Tra i due testamenti? Al tempo di Gesù e degli apostoli? Durante il Medioevo? Oggigiorno? Quindi, la sua interpretazione rimane una mera congettura. Come abbiamo visto, gli idiomi nascono, durano o si perdono nel tempo, mutano il loro significato (del tutto o in un certo settore), eccetera.

     L’autore non ha fatto nulla per dimostrare che ofthalmós haplous «occhio semplice» corrisponda a ofthalmós agathòs «occhio buono», ma assume tale congettura semplicemente per vera, perché il giudaismo odierno ha tale convenzione. È un modo poco professionale per fare esegesi in questo punto. L’unico luogo dove nell’AT ricorre ṭôb `ajin letteralmente «buon occhio» è Pr 22,9, che recita: «Chi è d’occhio buono sarà benedetto, perché dà del suo pane al misero». La traduzione CEI traduce «occhio generoso», la Riv., la NR e la ND hanno qui «sguardo benevolo», la Diod. traduce «occhio benigno»; Ricciotti addirittura passa all’interpretazione: «Chi è inchinevole [= incline] a compassione». Se i conti di David H. Stern dovessero tornare, qui nel greco dell’AT dovremmo avere ofthalmós haplous «occhio semplice» (questa sarebbe una grande prova per tale uso in Mt 6,22s!), ma qui ricorre ho eleōn ptōchòn «chi compassiona il povero [= chi ha pietà del povero]». Quindi le due immagini non si corrispondono.

     Che dire dell’espressione ebraica `ajin rā`ah, letteralmente «occhio cattivo», significa anche «essere avaro», come suggerisce David H. Stern, al tempo di Gesù?

     ■ Dt 28,54.56: Un espressione simile, in cui compare ajin «occhio» e la radice rā`a` «essere cattivo, malvagio» (rā` «cattivo, malvagio»), è la seguente nell’AT: tera` `ênô be’āchîw«il suo occhio avversa (o invidia) suo fratello». Il contrasto è fra «l’uomo delicato (d’animo)» e l’uomo imbarbarito che, mangiando la carne dei suoi figli durante l’assedio, guarda con cattiveria, invidia e rivalità suo fratello, sua moglie e i suoi figli. Lo stesso dicasi della donna delicata nei confronti del marito e dei figli in tale situazione coatta (v. 56 tera` `ênāḫ). In ambedue i brani la Riv. traduce «guarderà di mal occhio».

     ■ Mt 20,15: Al tempo di Gesù «mal occhio» non significava «avaro», ma «invidioso, astioso, rabbioso». All’operaio, che contestava il trattamento di favore verso gli altri operai, il padrone disse: «Non m’è lecito fare del mio ciò che voglio? o vedi tu di mal occhio che io sia buono?». Qui la Eberfelder traduce: «Guarda il tuo occhio con invidia, perché io sono buono?». In greco il testo recita: ho ofthalmós sou ponērós estin «l’occhio tuo è cattivo (maligno o rabbioso)». Qui ricorrono proprio i due termini greci, ofthalmós e ponēròs come in Mt 6,22s, e tale uomo non evidenziò l’avarizia del suo operaio, ma l’invidia, la cattiveria e la rivalità.

 

Conclusioni

     Come si vede le espressioni simili dell’AT (ebraico e greco) e del NT non sono specifiche ad avvallare la tesi della «generosità» contro «l’avarizia» in Mt 6,22s. Questa concezione non esiste nella Bibbia, ma è sorta nel giudaismo esternamente al pensiero biblico e con molta probabilità in tempi postumi al NT. Stando così le cose, Gesù e Matteo non conoscevano ancora tali idiomi ebraici, altrimenti l’Evangelista li avrebbe resi in greco in modo esplicito. Si fa quindi bene a non mischiare idiomi postumi con quelli presenti nella Bibbia e a non interpretare quest’ultima con quelli.

     Quando si accredita qualcosa con la sua ripetizione (anche da parte di studiosi), tale convenzione non significa di per sé che sia la verità, ma anzi sta in odore di manipolazione, cosciente o inconscia che sia. Fidarsi è bene, controllare è meglio.

     Terminerei parafrasando il mio interlocutore: «Non commettiamo l’errore di farci influenzare dalla cultura ebraica medioevale o odierna per interpretare la Bibbia…».

 

Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (4)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Mt6,22s_supposizioni3_Sh.htm

27-06-2007; Aggiornamento: 26-05-2010

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce