Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Uniti nella verità

 

Interpretazione biblica

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DUE TESI A CONFRONTO SU MATTEO 6,22-23 (4)

 

 di Argentino Quintavalle - Nicola Martella

 

7. Le tesi (4) {Argentino Quintavalle}

8. Obiezioni e osservazioni (4) {Nicola Martella}

 

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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (3)

 

7. La tesi (4) {Argentino Quintavalle}

 

Si rifiuta deliberatamente d’accettare la testimonianza d’un intero popolo riguardo al proprio modo di parlare, e questa è una cosa molto grave che denota l’atteggiamento spirituale che si ha nei confronti d’Israele. Si rifiuta di prendere nota del contesto dei versi prima e dopo il detto di Gesù dove si parla di servire Dio e non il denaro. Perché mai Gesù in mezzo avrebbe parlato di qualcos’altro?

     Comunque, la parola greca haplotes ha in sé il concetto di generosità e bontà. Nel giudaismo, nell’ambito dei rapporti umani, espressi soprattutto nell’atto di donare, haplotes in riferimento al donatore equivale a bontà. La prova documentaria per questo si trova in Giuseppe Flavio, Antichità 7,3,3. La stessa parola, nel TestIss 3,8 (Testamento d’Issachar, uno scritto non canonico) è intesa come una caratteristica del cuore.

     In Gcm 1,5 haplous definisce lo stile con cui Dio dona: «abbondantemente» (vedi Ricciotti).

     All’uomo è richiesto di darsi integralmente a Cristo (haplotes eis Christon), un atteggiamento che Paolo raffigura con l’immagine d’una fidanzata che si dà a un solo uomo (2 Cor 11,2s).

     Paolo, intende la colletta, che le comunità gentili raccoglievano per quelle d’Israele, come giusta espressione dell’unità, e in questo contesto haplotes acquista una portata straordinaria di «liberalità», «generosità», «larga beneficenza», «abbondanza» (2 Cor 9,13,11; 8,2 – Ricciotti).

     Rom 12,8 «chi dà, dia con haploteti», si può tradurre: «chi dà, dia con generosità».

     Dov’è dunque il problema a riconoscere questo significato anche in Mt 6,22s se non nella disposizione mentale di rifiuto aprioristico di chi legge?

     Per quanto riguarda poneros, il termine deriva da ponos (= lavoro, fatica) e poneo (= trovarsi al lavoro, faticare). Il verbo originario è penomai (= faticare, essere povero), donde anche penia (= povertà), e penichros (= povero, misero) come in Luca 21,2 in riferimento alla vedova poveretta che gettava i due spiccioli nella cassa delle offerte. Da qui il concetto di penuria e di colui che è scarso nel dare e per estensione, quindi, a colui che pur potendo dare con generosità, dà come se fosse povero (significato passivo). Ma può avere anche significato attivo: cattivo, riprovevole.

     Non vedo alcun problema a riconoscere il significato dato dagli autori da me citati negli articoli precedenti in riferimento al detto di Gesù. Stiamo solo perdendo tempo ed energie, bastava riconoscere l’idioma ebraico che non è un’invenzione degli ebrei medioevali ma esisteva anche nel primo secolo, così come testimonia oggi Israele.

 

 

8. Obiezioni e osservazioni (4) {Nicola Martella}

 

Entriamo in tema

     Il mio interlocutore parla della «testimonianza d’un intero popolo», non tenendo presente le mie osservazioni sul fatto che un modo di dire nasce in un certo periodo in un dato settore della vita e che non può essere retro-proiettato né applicato dapprima a tutti gli altri settori. Sorvolo nuovamente sulle conclusioni nuovamente affrettate e partigiane, che lo spingono a tirare in ballo continuamente un «atteggiamento spirituale che si ha nei confronti d’Israele» ogni qual volta dissento su qualcosa (sob!).

     Poi si fa riferimento al contesto prima e poi, chiedendo: «Perché mai Gesù in mezzo avrebbe parlato di qualcos’altro?». Potrei rispondere perché Gesù andò direttamente al problema di base, ossia all’atteggiamento del cuore, di cui l’occhio è lo specchio, citando un modo di dire generale dei suoi tempi. Ma di ciò ho già parlato. Poi è una questione di coerenza all’interno della Scrittura: lo stesso modo di dire non può significare due cose diverse in due differenti brani; di questo ne parlo sotto a propositi di Lc 11,33-36.

 

Osservazioni e obiezioni

     Il termine haplótes è troppo generico per essere ristretto solo a «generosità» (cfr. sotto Lc 11,33-36). Citare Giuseppe Flavio e lo pseudoepigrafo «Testamento d’Issachar», senza riportare le citazioni e il contesto, non serve a nulla. In ogni modo, il mio interlocutore parla che qui è «intesa come una caratteristica del cuore»: infatti la «semplicità» (schiettezza, integrità) è tale anche senza un contesto economico (generosità contro avarizia).

     Di Gcm 1,5 ne ho già parlato e il brano non ha nulla a che fare con le finanze. La Elberferder traduce: «…Dio, che dà a tutti volenterosamente e non rinfaccia nulla…». Il termine greco intende «con semplicità, con schiettezza», ossia senza secondi fini. Non sempre i traduttori traducono letteralmente, anzi a volte è riportano le loro interpretazioni. Qui e in tutti gli altri brani si intende quindi «con semplicità», ossia di cuore o d’animo.

     In tutti gli altri brani del NT, in cui haplótes ricorre, non c’è il termine «occhio» per poter trovare una comparazione. Anche in essi si può partire dal significato di «semplice» (schietto d’animo, integro di cuore). Certo si può proiettare un significato diverso nei brani in cui compare haplótes, ma ciò non è accertamento della verità, ma mera interpretazione.

     ■ In Rm 12,9 si può tradurre in modo letterale come segue: «Chi dà, dia con semplicità», ossia di cuore, quindi con schiettezza e senza secondi fini.

     ■ Anche in 2 Cor 8,2 si può intendere letteralmente «profonda povertà… nelle ricchezze della loro semplicità», ossia della loro schiettezza di cuore, senza secondi fini; «essi erano volenterosi di propria iniziativa» (v. 3). Sarebbe stato semplice mettere qui «generosi» (megalopsychoi), ma Paolo non lo fece. Tradurre qui «liberalità», come alcuni fanno, è un’interpretazione. Infatti la Vulgata tradusse: in divitias semplicitatis eorum.

     ■ Lo stesso dicasi di 2 Cor 9,11.13 dove si intende la «semplicità», ossia la schiettezza d’animo: «resi ricchi in ogni semplicità» (v. 11; lat. abundentis in omnen simplicitatem) e «per la semplicità della partecipazione verso di loro e verso tutti» (v. 13; lat. et semplicitate communicationis in illos, et in omnes).

     ■ In 2 Cor 11,3 haplótes «semplice (schietto, integro)» sta in contrasto con panourghía «astuzia» e in analogia a «purità rispetto a Cristo». La «semplicità… rispetto a Cristo» è quella indirizzata solo su di lui e non su un «altro Gesù» (v. 4). Qui non c’è nulla di economico con cui essere generoso verso il prossimo.

     ■ Similmente in Ef 6,5 Paolo esortò i servi a ubbidire ai loro padroni «nella semplicità del cuore vostro, come a Cristo», quindi con schiettezza e senza secondi fini.

     ■ Ciò fu accentuato dall’apostolo anche in Col 3,22, in cui la «schiettezza» fu contrapposta alla parvenza che si dà per opportunismo: «…non servendoli soltanto quando vi vedono come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore». Questi due ultimi brani mostrano che «semplicità» sta per «semplicità di cuore».

     ■ Nell’unico brano in cui nelle traduzioni italiane ricorre «liberalità» e «avarizia» (2 Cor 9,5) e in cui si poteva presumere che ricorressero i termini haplótes e ponērós, le cose stanno diversamente, quando si traduce letteralmente: «Perciò ho reputato necessario pregare i fratelli, perché venissero essi prima da voi e preparassero la vostra già annunciata benedizione [euloghía], cosicché essa sia preparata come benedizione e non come avarizia [pleonexía]». Ecco che cosa succede con le approssimazioni nelle traduzioni e nelle interpretazioni!

     Un ogni modo, in nessuno di questi brani ricorre il termine «occhio» associato a haplótes per fare un confronto omogeneo. Quest’ultimo termine può essere inteso e tradotto per quello che è (semplice di cuore, schietto d’animo), senza traduzioni interpretative. A ciò si aggiunga che — come si constata — i lettori greci potevano comprenderlo direttamente, senza dover risalire a un «sottotesto ebraico» e senza doversi servire di un interprete giudeo!

     In Mt 6,22s si tratta quindi di una mera proiezione.

     Quanto a ponērós, è curioso come il mio interlocutore si serva di un salto mortale etimologico, pur di far quadrare il cerchio e concludere: «Ma può avere anche significato attivo: cattivo, riprovevole». Sorprende il suo «anche». Prendendo un dizionario di greco, ci si accorgerà che questo è il significato normale e prevalente: cattivo, male, maligno, malvagio, malevole. Meraviglia il riferimento probatorio del mio interlocutore a Lc 21,2! Se egli desse un’occhiata al testo greco, si accorgerebbe che qui si parla di una kēran penichràn «vedova indigente» e non di una kēran ponēràn «vedova malvagia». La gente usa le parole al presente nel loro significato attuale e di là dalla loro etimologia. È come se si volesse tradurre «generazione malvagia [ghenèa ponērà] e adultera» (Mt 12,39; cfr. v. 45; 16,4) con «generazione povera (o indigente)», a causa dell’etimologia!

     Tutto ciò mi ricorda quel cristiano che non usa il termine «augùri» (speranza o voto di felicità, ecc.) — neppure «auguri di benedizione nel Signore» — perché l’etimologia lo porta agli «àuguri» (pronosticatori) romani. Ciò mi ricorda pure quell’altro cristiano che non usa termini come «cazzuola», «cazzotto» e simili, perché ciò gli suscita imbarazzanti reminiscenze etimologiche o affinità sonore.

 

Luca 11,33-36

     Questo è un brano focale per la comprensione della discussione. L’espressione proverbiale di Mt 6,22s poteva essere compresa da un greco per quello che era di per sé, senza alcun aggancio diretto a questioni economiche e all’atteggiamento verso il denaro (generosità contro avarizia)? La risposta è assolutamente sì. Infatti Gesù la menzionò in Lc 11 e la spiegò nei particolari, senza far alcun riferimento a ricchezze e all’atteggiamento verso di esse.

     In Lc 11 Gesù difese il suo ministero dagli attacchi dei suoi avversari che attribuivano i suoi miracoli a Beelzebub (vv. 14-26), poi chiamò felici coloro che erano facitori della Parola di Dio (vv. 27s) e, infine, si rifiutò di fare un segno, ricordando l’atteggiamento dei Niniviti alla predicazione di Giona. A tutto ciò seguirono le parole dell’occhio e della lampada, che riportiamo in una nostra traduzione. «Nessuno, però, che abbia acceso una lampada, la mette in un [luogo] nascosto o sotto il moggio, ma sul candeliere, affinché gli entranti vedano lo splendore. 34La lampada del corpo è il tuo occhio; se l’occhio tuo è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso; ma se è malvagio, anche il tuo corpo è tenebroso. 35Guarda dunque che la luce che è in te non sia tenebra. 36Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, non avendo alcuna parte tenebrosa, sarà tutto luminoso come quando la lampada t’illumina col suo raggio» (Lc 11,33-36).

     È chiaro che Gesù parlò della coscienza (ossia dell’atteggiamento del cuore che si mostra nell’occhio) dell’uomo rispetto alla Parola di Dio e a lui che la promulgava. «L’occhio semplice» denotava una coscienza schietta e integra, «l’occhio malvagio» indicava una coscienza cattiva.

     Non fu un caso che subito dopo seguì la veemente censura di Gesù (vv. 37-53) verso i Farisei stolti e ipocriti e specialmente verso i loro rabbini («dottori della legge»), che erano l’esempio di un «occhio malvagio», poiché essi tutti nettavano l’esterno delle cose, dimenticando il loro interno, che rimaneva «pieno di rapina e di malvagità» (v. 39), e seguivano una religione dell’apparenza (v. 43) e della prevaricazione della gente (v. 46), oltre a fare delle manovre subdole e insidiose per screditare Gesù dinanzi al popolo (vv. 53s). Questo è l’esempio illustrativo e chiarificatore di ciò che Gesù intendesse per «occhio malvagio».

 

Aspetti conclusivi

     Abbiamo perso tempo ed energie? Bastava riconoscere l’idioma ebraico perché esistente già nel primo secolo? Ciò che testimonia oggi Israele valeva già allora e proprio nel detto di Gesù? Il mio interlocutore ha portato prove veramente convincenti che Gesù intendesse in Mt 6,22s proprio «generoso» contro «avaro»? La mia risposta è un no assoluto. Il mio interlocutore ce l'ha messa tutta per convincermi delle sue tesi; egli ritiene che le sue conclusioni siano realistiche, ma non mi hanno convinto.

     Il punto focale è Lc 11, un brano in cuiGesù usò la stessa asserzione in un contesto completamente differente e in cui non si parlava per nulla di ricchezze e denari. Come i lettori greci l’hanno capita lì direttamente, l’hanno intesa anche in Mt 6, senza dover presumere un sedicente «sottotesto ebraico» e senza dover ricorrere a un ermeneuta ebraico / aramaico. Il mio interlocutore mi spieghi quindi a sufficienza la sua tesi nel rapporto fra Lc 11 e Mt 6.

     Consiglio al lettore di consultare l’interessante articolo seguente su Lc 11: Giovanni Bissoli, «Occhio semplice e occhio cattivo in Lc 11,34 alla luce del Targum» (Studium Biblicum Franciscanum, 1996).

 

Il punto del confronto

     Esso è stato alquanto sofferto, ma molto utile per l’ermeneutica. Sia io che il mio interlocutore abbiamo cercato di interpretare il testo in modo corretto. La base di partenza, la metodologia e i risultati possono essere differenti, ma non si può negare la sincerità e la serietà d’ognuno. Possa servire come stimolo e aiuto a chi intende interpretare in modo corretto il testo biblico, distinguendo fra le opinioni degli interpreti nel corso della storia e le vere asserzioni testuali dell’autore del testo biblico. Non mi sono tratto indietro alla sfida lanciatami dal mio interlocutore, né di affrontare le sue ripetute offensive, né di dare risposta alle questioni da lui poste.

     Spetta ora al lettore di trarre le debite conclusioni. Ecco qui di seguito alcune domande di orientamento. Essendo il NT stato scritto in greco, bisognava che il lettore ellenista risalisse veramente a un «sottotesto ebraico» per capire Mt 6,22s e Lc 11,33-36? Il lettore doveva avvalersi veramente di un ermeneuta giudeo di estradizione giudaico / aramaico per capire tali testi? Oppure gli autori scrissero in modo così chiaro nella lingua dei lettori greci che questi potevano capire subito, direttamente e chiaramente? La maggior parte dei Giudei non parlava allora greco? La cultura ellenista del primo secolo non era aperta e cosmopolita?

 

Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (5)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Mt6,22s_supposizioni4_UnV.htm

27-06-2007; Aggiornamento: 26-05-2010

 

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