Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CRISTIANI SENZA CHIESA? PARLIAMONE

 

 di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l'articolo «I "senza chiesa" e le "chiese senza…"». Esso rappresenta alcune riflessioni sull'articolo «Cristiani senza chiesa?» di Paolo Moretti, che è in generale condivisibile. Chi viene molto contatto dai credenti, conosce le valutazioni, le loro giustificazioni e i problemi dei «senza chiesa», ossia di Cristiani che non hanno una vita comunitaria regolare e non frequentano abitualmente gli incontri di una chiesa locale. Abbiamo visto che la disaffezione verso una comunità deriva da un certo individualismo. Dall'altra parte, ho fatto notare che da molto tempo è mutato anche l’essere chiesa locale, che da vita comune dei credenti si riduce alla sola frequenza degli incontri nel locale di culto. Oltre a ciò, dal modello di «tutti dinanzi a tutti» , si è passati col tempo al modello di «pochi dinanzi a tutti», relegando la massa a passivi spettatori. Non intendiamo giustificare i «senza chiesa», ma neppure le «chiese senza…» partecipazione, vita comune, operosità, fermento, comunione e quant'altro caratterizza una comunità.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Davide Galano

2. Milena Stradiotti

3. Monica Tamagnini

4. Francesco Abortivi

5. Monica Tamagnini

6. Alfons Karrica

7. Paola Chiarapini

8. Antonio Santoro

9. Stefano Frascaro

10. M.-T. Borgomastro

11. Matteo Ricciotti

12. Autori vari

13. Francesco Abortivi

14. Gaetano Nunnari

15.

16.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Davide Galano}

 

Contributo: Se pensiamo alla primitiva chiesa, c’è tanta strada da fare... e con l’aiuto del Signore possiamo farla, guai a fermarci. Dobbiamo riconoscere che manchiamo di zelo per la frequenza dell’assemblea che il Signore ci ha donata. Alcune volte mi sono trovato a visitare una chiesa, passando per quella località, e ho notato tante sedie vuote... Alla fine dell’incontro qualcuno mi ha detto: «Fratello, perché non hai avvisato della tua visita, avremmo annunciato e ci sarebbero stati più credenti». La mia riflessione è: Ma per quale motivo andiamo in adunanza? Andiamo per far piacere al fratello, che ci visita? Dovremmo andare per onorare Colui che è al centro dell’incontro, per assaporare il cibo spirituale, che il Maestro ha preparato esclusivamente per me, secondo il mio bisogno, e non mi preoccuperò del cibo che serve al fratello al mio fianco, perché siamo incoraggiati ad approfittare di queste occasioni, e ricevere risposte alle nostre domande. Se ci sentiamo liberi di non frequentare e abbiamo un nostro modo di vedere, mi chiedo, perché quando incontriamo i credenti, che frequentano, e ci chiedono: «Perché non vieni in adunanza?», allora si scatenano bugie stratosferiche, che peggiorano la nostra comunione con Dio, perché la bugia è peccato. Allora, certamente se ci sono dei problemi, vanno affrontati altrimenti se un mio parente, dopo una mia testimonianza, mi chiedesse: «Voglio venire ad ascoltare un vostro culto», dove lo portiamo? Il Signore è pronto a togliere ogni ostacolo, ma forse sarebbe meglio dire al Signore: «Io sono un ostacolo, voglio riprendere la comunione con te e con i miei fratelli, donaci la saggezza e il discernimento di essere dei tuoi collaboratori seri, equilibrati e pronti a lasciarci guidare da te, che sei il nostro unico Maestro». {28-07-2010}

Franco Sellan: Davide Galano afferma: «Dobbiamo riconoscere che manchiamo di zelo per la frequenza dell’assemblea». Sicuramente questo potrebbe e, anzi, è un punto importante, ma allo stesso tempo se partiamo sempre dal fatto che sia solo e principalmente importante partecipare, ossia fare la presenza alle riunioni, non risolveremo mai il problema di chi a un certo punto ha deciso di non frequentare più. Forse dobbiamo liberarci da questo unico obiettivo e pensare di più a chiesa come insieme, come rapporto tra persone, come chiesa nel senso più completo della parola. Forse dovremmo anche a volte porci le domande: «Perché alcuni non frequentano più? Cosa possa fare io, cosa non ho fatto o cosa ho fatto, perché qualcuno se ne andasse?». {28-07-2010}

 

Davide Galano: Certo l’ostacolo, può essere chi frequenta, e chi si assenta la responsabilità è personale, ma coinvolge anche la testimonianza. {28-07-2010}

Franco Sellan: Parlare di testimonianza? Non so se può essere utile all’analisi del problema per poter arrivare a una soluzione, perché questo dovrebbe essere l’obiettivo. Se parliamo di testimonianza, allora dovremmo anche analizzare la testimonianza di alcuni, che frequentano; forse non danno buona testimonianza, perché la testimonianza non è data dalla frequenza, ma dalla vita. {28-07-2010}

 

Nicola Martella: Davide Galano, se tu con la tua famiglia e casa tua foste chiesa, avresti un problema a portarci un tuo parente o un tuo amico, dopo essergli stato di testimonianza? Se c’è la «chiesa in casa» tua (Rm 16), sapresti dove rendere il culto al Signore e non avresti imbarazzo a portarvi gli altri.

     È tutta la questione sballata: una sala individuata come luogo privilegiato di culto. Le sale sono un mezzo non un fine. Esiste una vita di chiesa anche di là dalle sale. La chiesa siamo noi. La chiesa primitiva, a cui t’appelli e verso la realizzazione del cui modello affermi ci sia «tanta strada da fare», non conosceva sale di culto e non aveva complessi d’inferiorità al riguardo. Pur contando migliaia di credenti, non costruì nessuna «mega chapel», ingaggiando i migliori architetti... Eppure cresceva e s’inventava nuovi modi di radunarsi (At 2), di organizzarsi (At 6), di espandersi (At 8). Gli obiettivi erano più importanti delle forme.

     Ecco una riflessione generale sulle Assemblee. Il Signore non ci ha chiamato a conservare le forme e le tradizioni dei nostri «padri», ma a vivere oggigiorno secondo il loro spirito (novità di vita, ritorno alla Scrittura, consacrazione personale, intraprendenza), creando otri nuovi per un nuovo vino. Chi si dedica a curare un museo della memoria, guardando al tempo dei «padri» (convinzioni, convenzioni, tradizioni, forme) come a quello migliore e a loro come eroi, crede che stia facendo la cosa giusta; ma probabilmente proprio ciò gli impedirà loro di vivere in modo intraprendente come i «padri», che buttarono giù la zavorra ereditata per volare più in alto.

 

 

2. {Milena Stradiotti}

 

Contributo: Interessante argomento. In effetti frequentare le riunioni della chiesa non vuol dire frequentare la chiesa. In 20 anni di frequentazione di una assemblea dei Fratelli, sia io che mio marito abbiamo sperimentato proprio questa grande contraddizione: nostro malgrado abbiamo sentito sermoni ineccepibili da un punto di vista biblico sull’amore fraterno e poi una totale incapacità di metterlo in pratica proprio da chi lo aveva appena finito di annunciare dal pulpito!

     Come famiglia e anche come singoli abbiamo sperimentato che gesti di vera solidarietà e amicizia vengono spesso (non sempre!) da persone non credenti che non si fanno portavoce di nessun messaggio biblico ma che sanno amare semplicemente il prossimo. Secondo te, perché?

     Dal mio punto di vista noi evangelici abbiamo un po’ perso questa apertura ai sentimenti e ci siamo trincerati dietro un decalogo di regoline e a una serie di comportamenti stereotipati privi di slancio e autenticità.

     Con gli anni e le delusioni all’interno della chiesa (divisioni, dottrine prima condivise e poi silenziosamente dimenticate, problemi caratteriali, egoismi e scarsa conoscenza biblica...) io e mio marito siamo giunti alla conclusione che, se smettessimo di frequentare completamente, la nostra fede s’indebolirebbe. Tuttavia, ora abbiamo messo da parte molte nostre aspettative nei confronti dei credenti e nell’«istituzione» Chiesa. Il nostro «frequentare» è più disincantato e distaccato, se non altro questo protegge da sofferenze e delusioni! {Famiglia De Luca; 29-07-2010}

 

Nicola Martella: Questo discorso è comprensibile. Tuttavia è come dire: io curo una malattia con un’altra malattia, invece di guarire e partecipare alla guarigione altrui. Invece di passare all’azione, si rimane nella reazione. Invece di «essere» chiesa, si assume una posizione distaccata e critica. Sono tipici sintomi di una patologia cronica e conclamata. Le cisti sono piene di pus, ma noi mettiamo unguenti sulla pelle perché non si notino e non esplodano. Si prendono farmaci palliativi, i quali non danneggiano ulteriormente, ma non fanno neppure guarire; però tranquillizzano in qualche modo, dando il sentimento che si sta facendo qualcosa. Questo non è certo «essere» chiesa e vivere nel «pari consentimento» con compagni di via, da discepoli ubbidienti al Signore, mettendo vino nuovo in otri nuovi. Si cominci a incidere le cisti, a purificarle e farle guarire; poi si viva da guariti e «gente nuova». Una famiglia rinnovata, può essere la cellula di un rinnovamento propositivo, di un nuovo modo di «essere» chiesa. Ciò è coinvolgente...

 

Milena Stradiotti: Non pretendo di essere da esempio, ma tra il non frequentare più e il frequentare con un certo distacco emotivo ho preferito il secondo... se non altro per i miei figli. {29-07-2010}

 

3. {Monica Tamagnini}

 

Contributo: Il problema è che la chiesa locale, in molti casi, non è più quella che dovrebbe essere. La chiesa dovrebbe essere una famiglia, in genere in dimensioni non troppo estese, per poter permettere una vera conoscenza e un vero rapporto di comunione fraterna, un ambiente in cui potersi «rilassare», essere se stessi, perché siamo i chiamati fuori, quelli che condividono Cristo. Io sono nata così, in una chiesa-famiglia in Inghilterra, e lì ho capito cos’è l’amore fraterno. È stato il Signore stesso a scegliere di metterci in un corpo, affinché, come pietre di uno stesso tempio, entrando in contatto gli uni con gli altri, possiamo affinare i nostri spigoli e crescere, incoraggiandoci l’un l’altro, alla statura di Cristo.

     Credo che molta della freddezza che incontriamo in tanti ambienti di chiesa sia proprio un sintomo di questi ultimi tempi. La vera chiesa, quando è amore, confidenza, fiducia, preghiera, condivisione, è la cosa più bella che ci sia. Personalmente credo molto alla chiesa in casa, peraltro realtà biblica. Mi sono sentita d’intervenire perché questo argomento è molto vicino al mio cuore e comprendo bene i fratelli De Luca. Gloria a Dio quando saremo col Signore sarà tutto molto diverso. Shalom nel suo meraviglioso amore. {29-07-2010}

 

Damaris Lerici: Sono pienamente d’accordo con Monica. «La chiesa dovrebbe essere una famiglia, in genere in dimensioni non troppo estese, per poter permettere una vera conoscenza e un vero rapporto di comunione fraterna, un ambiente in cui potersi «rilassare», essere se stessi, perché siamo i chiamati fuori, quelli che condividono Cristo». Ma così non è purtroppo, almeno nelle realtà che conosco io. Che fare a questo punto? {29-07-2010}

 

Monica Tamagnini: Cara Damaris, comprendo il tuo cuore, che è anche quello di tanti: Che fare? Per quel che sento, per prima cosa spandere il nostro cuore davanti al Signore e dirgli quanto desideriamo poter condividere il suo amore con la fratellanza nel modo biblico e nel contesto di chiesa, che Lui descrive nella sua Parola. Io so per esperienza diretta che Dio «è in grado di fare immensamente di più di quanto possiamo chiedere e immaginare» (Efesini 3,20). E poi, possiamo cominciare noi a seminare amore, amore, amore, sempre e comunque. Offrendo una parola, una preghiera, un abbraccio, l’ascolto, l’amicizia, la fiducia, colmando un vuoto che tanti sentono. Shalom nel suo amore. {29-07-2010}

 

Nicola Martella: Nessuno a Gerusalemme si lamentava che la chiesa fosse troppo estesa, contando alcune migliaia di persone. Certo non c’era una mega-sala di culto, ma la vita avveniva nelle case. Gli apostoli e i loro collaboratori dovettero imparare un nuovo tipo di organizzazione, che permettesse la comunione, l’insegnamento, la cura pastorale, l’assistenza, la supervisione e così via. A Gerusalemme c’erano sicuramente innumerevoli «chiese in casa» e tutti i credenti si consideravano parte di un tutto, pietre di una casa vivente.

     Ora, il nostro individualismo può farci lamentare che la chiesa locale non sia più quella che dovrebbe essere o della freddezza di tanti ambienti di chiesa. Ciò potrebbe farci parlare della fine dei tempi o farci anelare l’avvento del Signore. Al presente però cambia poco.

     Già ora tutto può essere «molto diverso», se noi cominciamo a dalla reazione all’azione, a «essere» chiesa e porci come punto di sublimazione di un modo nuovo di praticare un cristianesimo vero, partecipato e coinvolgente. Tutto comincia col rinnovamento della nostra mente, nel fare ciò che ci aspettiamo. Così apriremo il nostro cuore, la nostra vita e le nostre case all’essere «otri nuovi» per il «vin nuovo» del nuovo patto. Nessuna pietra cade in acqua senza creare cerchi. Nessun seme di senape è all’inizio così appariscente da attirare gli sguardi, ma i risultati poi si vedono (Mt 13,31s). Provare per credere.

     Su che fare in concreto, devo ricordare le tante situazioni incancrenite durante la storia d’Israele. Il rinnovamento nacque sempre dopo la scoperta personale della parola di Dio (come nel caso di Giosia) e dell’incontro personale col Signore (p.es. Isaia, Geremia). Isaia non fu più lo stesso, dopo l’incontro con Dio; alla sua chiamata, rispose: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). Nonostante la corruzione spirituale e morale intorno a sé, seppe essere con la sua famiglia «segno e presagio» (Is 8,18; 20,3).

     Io e mia moglie siamo stati coinvolti in prima persona nella fondazione di due chiese. Il metodo da noi usato sono le «cellule bibliche», il discepolato e la cura pastorale. La crescita delle persone come famiglia di Dio è enorme. Un nuovo modo di essere chiesa s’impara proprio nelle cellule, dove tutti sono dinanzi a tutti e tutti danno a modo loro un contributo per la cura e la crescita degli altri. La chiesa può anche essere grande, se è costituita da «cellule bibliche» e «gruppi di servizio».

 

 

4. {Francesco Abortivi}

 

Contributo: Argomento interessante. Mi permetto di aggiungere alcune riflessioni. Quando i miei amici non Italiani mi chiedono perché ci sono tanti problemi nelle chiese italiane, rispondo che a mio parere ci sono due ragioni principali: una è l’individualismo estremo che ci porta a essere d’accordo solo con noi stessi e a non tollerare chi la pensa diversamente, oltre a non tollerare ogni autorità costituita (comprese quelle di chiesa). L’altra è che chi invece quell’autorità l’esercita tende spesso a controllare le persone e «comandare» più che a guidare e incoraggiare. Queste due cose, che sono parte del «DNA spirituale» di noi italiani, sono insieme esplosive e provocano un sacco di morti e feriti (i senza chiesa).

     Non credo che il problema sia tanto il «come essere chiesa», la struttura o l’organizzazione, ma lo spirito che c’è dietro. Dobbiamo capire veramente cosa sia la grazia che abbiamo ricevuto. Venendo da una cultura cattolica, molti di noi si sono convertiti per grazia tramite la fede, ma hanno poi continuato per opere. In altre parole abbiamo bisogno di convertirci davvero, abbandonando il reciproco giudizio e ricostruendo su nuove basi di amore fraterno e, appunto, grazia.

     So che a molti non piace questo discorso, ma quello che vedo sempre più, è che ci sarà una netta divisione fra le chiese (tutte le chiese) capaci di rinnovarsi e presentarsi vere, aperte, attive e positive e le altre che saranno destinate all’estinzione. È solo un’opinione... {29-07-2010}

Nicola Martella: Alcuni dei problemi sono stati ben messi a fuoco: individualismo estremo e conduzione autoritaria. Aggiungerei altri elementi tipici della cultura religiosa corrente, diversi per ambiente ecclesiale:

     ■ In alcuni ambienti la fa da padrone la devozione spiritualista esperienziale combinata con generale ignoranza biblica. A ciò si aggiunga una delega data ai conduttori, visti e atteggiantesi come chierici (intercessori, mediatori di grazia, unti, santoni, guru).

     ■ In altri ambienti la fanno da padrone il massimalismo e il legalismo. A ciò si aggiunga un’anarchia generale, a una parte, e il «papismo» di alcuni, dall’altra.

 

Ci sarebbero da aggiungere ancora atteggiamenti della mente e dello stile di vita: il materialismo, il consumismo, l’egoismo e il narcisismo. Che le chiese s’inaridiscano e alcuni se ne vadano, dipende proprio dallo stato del cuore d’ognuno. Una falsa o distorta immagine di Dio (p.es. zio buono o poliziotto), produce falsi atteggiamenti mentali e scelte sbagliate. Allora come oggi, non si può servire a due padroni.

     Ammetto che un concetto di salvezza per «grazia», a cui non seguano immancabilmente «opere» di fede, mi è sconosciuto nella Bibbia. Gesù mostrò la necessità che i suoi discepoli praticassero le «buone opere» (Mt 5,16). Così insegnavano gli apostoli: sebbene i credenti non sono salvati per opere, lo sono in vista di praticare «buone opere» (Ef 2,9s), di cui bisogna essere ricchi (1 Tm 6,18s) per praticarle con cura (Tt 3,8.14) e per incitarci reciprocamente a farle (Eb 10,24); esse sono il loro distintivo dinanzi al mondo (1 Pt 2,12). E così facevano i veri discepoli (At 9,36; 1 Tm 5,10).

     Sul piano personale del «non giudicare» è vero che bisogna abbandonare «il reciproco giudizio» e ricostruire «su nuove basi di amore fraterno»; se ciò significa «convertirci davvero» e «grazia», secondo la Scrittura, non sarei così sicuro. Non bisogna però dimenticare il «giudicate voi» sul piano della conoscenza biblica; infatti, l’amore fraterno non è possibile senza l’amore per la verità. Molti dei problemi nelle chiese sono dovuti proprio alla mancanza di conoscenza e di discernimento biblici e, perciò, alla conseguente tolleranza verso il peccato (cfr. 1 Cor 5), in nome di falsi concetti di amore, grazia e misericordia. [ Accuse di calunnia: Quando non si comprende l’apologetica biblica]

     Ogni rinnovamento delle (e nelle) chiese non può avvenire a spesa della verità né dell’amore. Non sarà il sentimentalismo religioso a salvare le chiese, né certamente un massimalismo legalista.

 

 

5. {Monica Tamagnini}

 

Contributo: «Salutate i fratelli che sono a Laodicea, Ninfa e la chiesa che è in casa sua» (Colossesi 4,15). ▪ «Salutate anche la chiesa che si riunisce in casa loro» (Romani 16,5). ▪ «Le chiese dell’Asia vi salutano. Aquila e Prisca, con la chiesa che è in casa loro, vi salutano molto nel Signore» (1 Corinzi 16,19). ▪ «…alla sorella Apfia, a Archippo, nostro compagno d’armi, e alla chiesa che si riunisce in casa tua» (Filemone 1,2).

     È evidente come si riuniva la chiesa a Gerusalemme! Nessuno si lamentava che fosse troppo grande, perché c’era un’altra visione di «chiesa»: la chiesa era una «comunità», una «famiglia», che pur essendo grande in numero in una città e trovandosi insieme nel tempio, si riuniva nelle case in piccoli gruppi e che stava insieme nell’amore. C’era l’idea della famiglia, della condivisione, dell’edificarsi a vicenda. Avevano tutto in comune, non solo i beni materiali, ma principalmente le loro vite. Non c’era il concetto di mega locale impersonale, in cui ci si ritrova un paio di volte a settimana, dandosi le spalle e guardando ciò che succede su un palco. La «chiesa» era la loro vita!

     «Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati». È vero che le cellule a casa sono un ottimo e biblico sistema, purché non diventi appunto un «sistema».

     Incoraggio chiunque possa e voglia a ritrovarsi il più possibile a casa con altri fratelli e sorelle e ad avere una comunione dolce, fatta di sostegno, preghiera gli uni per gli altri, Parola e soprattutto lode insieme al nostro Dio! Non c’è gioia più grande! Facciamo della «chiesa» il nostro stile di vita. {29-07-2010}

 

Barbara Abate: Cara sorella Tamagnini condivido appieno la tua opinione. Proprio ieri sera si parlava con mio marito dell’importanza della riunioni in casa, perché credo che se siamo chiesa a casa, riusciremo a esserlo anche nella chiesa locale. {29-07-2010}

 

Monica Tamagnini: La chiesa in casa è ciò, di cui ci parla il Nuovo Testamento, come citato sopra. Parlando con vari credenti in Italia, molti stanno riscoprendo questa verità. E quando verrà la persecuzione, sarà senz’altro l’unica opzione. Shalom in Yeshua. {29-07-2010}

 

Antonio Di Santi: Grazie a Dio la chiesa è in continua riforma. Bisogna riscoprire il fare chiesa in casa. Senza tralasciare l’importanza della chiesa locale. Dio vi benedica. {29-07-2010}

 

 

6. {Alfons Karrica}

 

La chiesa è fatta di credenti (noi), perciò quando si verificano in essa degli errori, significa che in una certa misura ne siamo partecipi.

     Oggi la maggior parte delle chiese sono cadute nella trappola del tradizionalismo, limitando la testimonianza cristiana e riducendola alla semplice frequentazione degli incontri settimanali. Il servizio cristiano in queste chiese è diventato monopolio di un’elite scelta, rendendo gli altri dei semplici spettatori. Ma, anche questi spettatori si accontentano della loro posizione.

     Si fa presto a rimanere delusi dalla chiesa o dai credenti. È facile notare la disfunzione di ciò che doveva essere il corpo di Cristo; ma invece che intervenire si sceglie di abbandonare e cercare un’altra chiesa secondo i propri standard. Ecco perché il cristianesimo oggi non è altro che la somma dei «senza chiesa» e delle «chiese senza».

     «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, qui io sono in mezzo a loro» [Mt 18,20], non significa che questi due o tre, debbano per forza formare un’altra chiesa!

     Ma, che si tratti di «Assemblee di Fratelli» o di altre denominazioni, non fa differenza.

     Fermatevi un attimo e pensate che sia chi dirige così, sia chi fa lo spettatore dimostrano segni di tradizionalismo (religiosità).

     Nella vita del credente non esiste la frase: «Il cristiano deve fare o dovrebbe fare», ma «il cristiano fa». Il cristiano non punta il dito verso chi è mancante, ma chiede perdono delle proprie mancanze.

     Chi di noi non ha accusato qualche volta segni di formalismo cristiano, leggendo la Bibbia o frequentando la chiesa, semplicemente per abitudine? {29-07-2010}

 

 

7. {Paola Chiarapini}

 

Contributo: Carissimo Nicola Martella, io incominciai il mio cammino di fede nelle Assemblee dei Fratelli e, come dicevi, ci s’incontrava nelle case e per quanto riguarda Viterbo, a casa mia. Ogni mercoledì, dalle ore 19.00 in poi. Si faceva tardi, non esisteva il problema della cena, né dei figli piccoli. Certo c’erano problemi, soprattutto per una persona sola con un figlio da accudire e un lavoro da portare avanti. Poi, non mi dilungo in quello che è successo, ma di tante cose ne siete al corrente anche voi, ma quell’assemblea non esiste più.

     Non mi sono allontanata dalla Chiesa e neanche da nostro Signore, ma per me diventa ogni giorno più difficile vivere una vita di chiesa come la descrivi nella testimonianza. Forse ognuno vuole vivere la propria vita e la propria cristianità, ma in realtà mi sento ogni giorno più isolata. Mio figlio è cresciuto, da quasi un anno usa lui la mia automobile e non mi è facile spostarmi. Ho provato a frequentare una chiesa di Viterbo, ma mi sembra di far parte dell’arredamento e non riesco a inserirmi.

     Quindi, quando posso, vado in un’altra chiesa che sta fuori Viterbo. Spero che mio figlio conosca il Signore quale è e si decida a seguirlo, per ora mi accompagna in chiesa, ma non essendo «locale» mi sembra che quei pochi cristiani (veri cristiani), che conosce, non possano che dargli una testimonianza per il futuro (quando sarà grande!). Siamo quattro sorelle, che ci sentiamo, anche se non riusciamo a vederci e andare avanti nella vita come nella fede; frequentiamo chiese diverse e la domenica o quando ci sono riunioni di preghiera, io frequento una chiesa, una sorella un’altra, una sono quasi due anni che sta male e l’ultima (anche lei senza mezzo di trasporto), quando può, viene con me, altre volte frequenta qui a Viterbo.

     Cosa voglio dire con tutto questo? Noi, non abbiamo fatto niente per avere una situazione così dura, ma cos’è cambiato dal «primo amore»? Noi continuiamo ad amare Gesù e crescere nella sua Parola; ma come possiamo servire e portare la sua gioia? Sappiamo che chi serve Colui, che ha portato una corona di spine, non può aspettarsi di portare una corona di fiori, ma provare di nuovo la gioia di ritrovarci tutti insieme, come è già stato, è solo un nostro desiderio, oppure la nostra fede deve diventare sterile? Così non sia e che il Signore continui a farci crescere ogni giorno di più nella sua Parola.

     Chiedo solo che anche voi preghiate per noi il Signore, affinché anche qui noi possiamo servirlo come e dove Lui vuole essere servito. Che Signore benedica il suo popolo e tutta la sua creazione, oggi e sempre! {29-07-2010}

 

Nicola Martella: Non sono addentrato in tutto il problema di della chiesa di Viterbo, che nacque come gruppo della chiesa dei Fratelli di Monterosi, dove si praticavano gli incontri di cellula. Per quello che ricordo, tale gruppo di Viterbo si istituzionalizzò, si staccò dal movimento e diventando una chiesa protestante (se non sbaglio presbiteriana).

     È chiaro che chi ha conosciuto il fermento e l’entusiasmo di una chiesa partecipata, si senta come un pesce fuor dell’acqua e come un pezzo d’arredamento in una chiesa monocratica e verticista.

     Secondo me, bisogna smettere di considerare (e considerarsi) chiesa in funzione delle mura, in cui ci si incontra. Devo pensare a Tabita e alle sorelle, di cui lei si prendeva cura e del bene che lei faceva alla gente intorno a sé. Visto il legame d’intensa comunione, venne scomodato addirittura Pietro, quando lei morì. Che voglio dire? Quando ci sono intensi legami con altri credenti, si può praticare «l’essere chiesa» nelle proprie case, aprendole, invitando, aggregando, praticando il frutto dello Spirito; allora posso succedere miracoli. Quando non c’è altro, si può creare ciò che si può e usare la fantasia e l’intraprendenza. A Filippi diverse donne timorate di Dio crearono un gruppo d’orazione presso il fiume, certamente per quello che sapevano (At 16,13). Quando Paolo arrivò lì, parlò loro e specialmente una certa Lidia credette all’Evangelo e, dopo essere stata battezzata, aprì la sua casa (vv. 13ss). Non capisco perché tutto ciò non possa accadere ancora oggi, tanto più a donne già credenti! Paolo non cambiò il luogo d’adorazione (v. 16), ma certamente trasmise una chiara immagine biblica di Colui che dev’essere adorato.

     Chiaramente non sempre si è responsabili di ciò che avviene in un gruppo, con cui poi non ci si identifica più, a causa delle scelte istituzionali che esso ha fatto. Coloro, però, che continuano ad amare Cristo, devono cambiare mentalità, di cui un aspetto importante è il seguente: bisogna essere chiesa, non andare in chiesa; allora, pochi o tanti che siano, possono industriarsi a vivere una comunione gioiosa, partecipata e coinvolgente lì, dove si trovano, senza sensi di colpa. Anche a loro Dio potrebbe poi mandare un Paolo, prima o poi, e potrebbe permettere la formazione di una comunità particolare come quella di Filippi. Quindi, siate discepoli oggi, vivete in modo abbondante la grazia di Dio, edificatevi e consolatevi a vicenda, aprite i vostri cuori e le vostre case agli altri, ricominciate l’esperienza dell’inizio…

 

 

8. {Antonio Santoro}

 

Contributo: Buon giorno a tutti. Non volevo intervenire ma a giudicare da quanto riportato da Nicola Martella non posso fare a meno di non condividerlo. Purtroppo è la dura realtà che sta attraversando il «movimento dei fratelli» (non voglio entrare in altre realtà volutamente anche se da nessuna parte ci si può additare come infallibili).

     Oggi, devo rilevare purtroppo, sono in mezzo a noi personaggi che ben s’integrano nella parola «Sicofante». Per chiarezza includo un copia incolla del termine e precisamente: […] [N.d.R.: Per motivi di correttezza, è proibito fare copia-incolla della proprietà letteraria altrui, senza virgolette e specialmente senza citare la fonte. Tale fonte l’ho trovata qui: «Sicofante (Grecia antica)». La si legga e poi si continui qui.]

     Bene ora nelle chiese sta emergendo anche questa spregevole figura. A differenza di quella originale non prende «denaro» in senso stretto ma sparge a piene mani accuse al solo scopo di calunniare gli altri, ovviamente proteggendo la propria visione «personale» di vita comunitaria, spirituale, ecc., ecc.

     Oggi, il rischio ancora più grave e abbietto è quello che, quando queste persone sono poi scoperte all’interno delle chiese come dei rivoltosi e sobillatori, anche se la chiesa esercita sullo stesso la «disciplina» fino al punto di allontanarlo dalla comunione fraterna, il sicofante, oltre a non accettare tale decisione, apre, e dico apre addirittura una «chiesa locale personale a conduzione familiare». Questo è, a mio avviso, lontano mille miglia dall’insegnamento biblico. È cosa più indicibile è la benevolenza espressa da altri fratelli, che incoraggiano il «sicofante» di turno.

     Per me questi anche questi si possono annoverare tra i cosiddetti «senza chiesa»; non soltanto quelli che appartengono solo di facciata a una chiesa locale.

     È ovvio che vengono meno tutti quegli aspetti che sono descritti negli approfondimenti riportati nella seconda parte del commento di Nicola Martella.

     Ben vengano quelle sane e produttive «riunioni in casa», per ritrovare quel piacere spirituale della comunione fraterna oltre gli incontri canonici che tanto, a volte inaridiscono. Ben vengano se fatte nella piena consapevolezza della comunione al fine di pregare, presentare a Dio le necessità spirituali e pregando gli uni per gli altri. Ben vengano le riunioni in casa, se da esse scaturiscono le benedizioni nella propria famiglia, le quali formano in embrione la prima cellula vitale.

     Dio ci liberi dai personaggi, di cui ho trattato prima. Un caro saluto nel Signore a tutti i credenti. {30-07-2010}

 

Nicola Martella: Devo ammettere che non ho avuto una buona impressione da parte di chi intende richiamare a una coerenza biblica (o a un «purismo dei Fratelli») sul tema, sia per il tono usato (animosità), sia per le accuse rivolte subito a chi non la pensa come lui (essere un «sicofante»). Non è un buon inizio per chi voglia dialogare col prossimo.

     Non capisco che cosa abbia a che fare il termine greco «sicofante» col nostro tema, visto che colui era, in quella specifica cultura, «colui che, prezzolato, sosteneva le denunce anche false». Devo ammettere che con tali argomenti fuori contesto, si inacerbiscono solo gli animi e non si sarà d’aiuto a nessuno. Applicare poi tale concetto a persone nelle chiese, è fuori luogo e singolare, per non dire altro. Così si farà bella figura dinanzi ai «puristi», lanciando immani sospetti su tali persone che tramerebbero nel buio, ma non si sarà in grado di affrontare una questione molto seria, dando un contributo costruttivo. Inoltre sarebbe interessante sapere chi è stato calunniato qui con nome e cognome.

     Prendo atto anche dell’estrema semplificazione di questo lettore: tutto il vasto spettro della realtà ecclesiale viene appiattita sul caso dei rivoltosi e sobillatori (!), i quali, se messi fuori comunione, aprono la propria «chiesa domestica». Ridurre la variegata realtà a un solo aspetto e per di più negativo ed estremo, è l’ideologia tipica dei massimalisti. Ancora più grave è lanciare il sospetto che io o altri abbiamo espresso benevolenza e incoraggiamento per un caso simile. Nel mio articolo non ho trattato un caso del genere. Ho detto fin dall’inizio che l’articolo di Paolo Moretti è generalmente condivisibile e che anch’io conosco le loro giustificazioni dei «senza chiesa», oltre ai loro problemi, e non ho detto di condividerle né li ho incoraggiati a rimanere in tale stato. Inoltre nell’ultimo punto parlo dell’«inganno degli isolati», riportando due atteggiamenti diversi. Quindi devo rimandare al mittente tali accuse di incoraggiare il cosiddetto «“sicofante” di turno».

     Con tale riduzionismo massimalista e con tali accuse, non si può essere un vero interlocutore, saggio, equilibrato e pacato, né si potranno indicare vere soluzioni al problema. Invece di interloquire e mostrare quali punti sono apprezzabili e quali no, indicando precise alternative, si discredita tutto, riducendo ogni cosa a un aspetto, proprio a quello non trattato (!), ossia ai casi di rivoltosi e sobillatori. Così facendo, volenti o nolenti, si rischia di assumere i tratti di «sicofante», che si vorrebbe denunziare in altri. Tutto ciò mi rattrista soltanto.

     Ho dovuto pensare ai medici del Medioevo, che avevano per ogni tipo di patologia una sola diagnosi (squilibrio degli umori corporali) e un solo rimedio (o purga o salasso). Secondo la legge delle probabilità, tutto ciò a qualcuno poteva anche servire, ma non certo nella stragrande maggioranza dei casi. Si fa sempre male ridurre tutti i casi a uno solo anche in questioni ecclesiologiche e vedere una sola vera patologia in tutto ciò. Non è realistico e non aiuta. Una falsa diagnosi porta a erronei interventi e a gravi conseguenze.

     Condivido quanto afferma alla fine sulle «riunioni in casa». Usando un altro approccio, sarebbe stata una preziosa occasione per contribuire con più equilibrio, più serenità, più onestà intellettuale, più vastità di pensiero, meno animosità, meno spirito accusatorio e meno riduzionismo. Speriamo in meglio per il futuro…

 

 

9. {Stefano Frascaro}

 

Nota editoriale: Questo lettore appartiene alla chiesa dei Fratelli di Roma-Borgesiana (qui) e collabora con noi anche nell’opera missionaria di Tivoli (qui).

 

Sono «rinato» nell’ambito della chiesa «dei Fratelli», tra l’altro condotta, a quel tempo, proprio da Nicola Martella. E da essa ho potuto «gustare» veramente il concetto di «ecclesia» ripiena di «agape». Ho da subito partecipato a cellule di studio biblico nelle case e questo mi ha arricchito notevolmente, sia nell’ambito spirituale che nel campo della conoscenza personale del fratello che, di volta in volta, apriva la sua casa agli studi. Ho avuto il privilegio di avere una cellula di studio biblico settimanale per diversi anni a casa e ne ho goduto delle benedizioni del Signore.

     Sono quindi fondamentalmente d’accordo quando si parla di «chiesa in casa». Ogni casa deve essere una chiesa altrimenti saremmo degli ipocriti, dei «sepolcri imbiancati». Ma ritengo che per apprezzare l’insegnamento della «chiesa in casa» dovremmo andare a monte e porci una domanda: cosa dobbiamo fare nella nostra «chiesa»?

     In primo luogo rendiamo gloria a Dio con un tempo di adorazione, e poi passiamo (prima o dopo un tempo di condivisione fraterna) allo studio della Parola di Dio.

     Ed è su questo punto che allora mi viene in mente l’insegnamento di Gesù. Per Gesù ogni luogo poteva essere «chiesa» e infatti vediamo che insegnava su un monte (Mt 5,2), nelle sinagoghe (Mt 13,54, 21,23, Mc 1,21, 12,35, Lc 21,37, ecc), sulla riva del lago (Mc 2,13), sui prati (Mc 10,1), da una barca (Lc 5,3). ecc. Quindi personalmente non ritengo il luogo come importante ma saper «adoperare» ogni luogo per portare la Parola di Gesù.

     La chiesa, che dovrebbe essere in mano a Gesù Cristo, essendola sua sposa, è in realtà in mano ai suoi conduttori, e i conduttori, come ognuno di noi, vive nella carne.

     Vorrei aver frainteso, ma da questa discussione mi sembra che stia uscendo fuori che bisogna tornare alla «chiesa primitiva», o alla «chiesa in casa» e punto.

     Ma a mio parere non è tanto importante dove d’incontra la chiesa (anche Paolo, seppur salutando le varie «chiese in casa», insegnava nelle sinagoghe [At 18,4] e nelle scuole [At 19,9]), ma come è «condotta» la chiesa. I conduttori hanno tutte le prerogative, che il Signore richiede per il loro compito (seppur impossibile da raggiungere)? Hanno il sano «timor di Dio» per il compito, che il Signore ha suscitato loro? Senza di questo, i credenti dal cuore puro prima o poi si allontaneranno da questa chiesa.

     Io amo la mia chiesa in tutti i suoi membri, anzi ho il privilegio poter amare fraternamente due chiese, poiché oltre a quella di appartenenza, il Signore mi ha dato il privilegio di collaborare in un’altra chiesa sorella in formazione; e trovo anche che il riunirsi tutti insieme, nella pluralità anche di emozioni, che scorrono all’interno di esse, è un grande arricchimento personale. {30-07-2010}

 

 

10. {Maria-Teresa Borgomastro}

 

Contributo: Non sono d’accordo con Nicola Martella, perché anche se uno vorrebbe schiacciare quelle pustole per guarire, ha la chiesa contro. Infatti, la chiesa stessa è stata soggiogata da individui, che si dicono credenti, predicano, castigano i componenti della chiesa, prendendo dei provvedimenti (i fuori comunione) con facilità, come se loro fossero superiori a tutto e tutti. E loro non guardano ciò che fanno le loro stesse famiglie. Perciò, come fai a rompere queste pustole? {30-07-2010}

Nicola Martella: Non so a quale realtà particolare questa lettrice si riferisca. Nell’articolo non abbiamo contemplato casi di fuori comunione con o senza «giusta causa». Ho parlato di conduttori che, invece di essere allenatori, fanno i domatori; certo, in tali casi, fanno uso ricorrente dei cartellini giallo e rosso. Ho scritto in merito ai «provvedimenti di fuori comunione» e all’«uso e abuso della disciplina ecclesiale»; essi sono un tema particolare, che ci porterebbe molto lontano da quello attuale. Chiaramente, di là dal caso concreto di questa lettrice, anche l'abuso della disciplina di chiesa è un caso di «chiesa senza» (competenza, qualità e preparazione dei conduttori). Le cose affermate da questa lettrice formano l'altra faccia della medaglia rispetto a quanto affermato da Antonio Santoro sopra, che assumeva la disciplina di chiesa sempre come giusta ed equa.

     In ogni modo, ognuno di noi ha subito delle ingiustizie da parte di qualcuno, in autorità o meno. Chiaramente si può trovare nell’astio e nel rancore una ragione di vita, ma che vita! Incidere le pustole e purificarle avviene dinanzi al Signore e in funzione e in rapporto a Lui. È una decisione che non dipende dai comportamenti altrui. Devo pensare a Isaia, che ebbe la visione di Dio e fu purificato nelle labbra (doveva fare il profeta) mediante un carbone dell’altare (purificazione, santificazione; Is 6). Solo così poté diventare, insieme alla sua famiglia, un segno e un presagio in Israele.

     Non possiamo impedire ciò che fanno gli altri, specialmente se guidano chiese in modo ingiusto, ma possiamo metterci in sintonia con Dio e vivere da persone nuove, che offrono a Dio il loro «culto razionale» nel (e col) loro corpo (Rm 12,1s). Solo buttando giù la zavorra del passato, si può volare più in alto nel presente. Io ho inciso e purificato molte delle mie cisti, lo faccia anche questa lettrice; allora anche lei potrà vivere da segno e da presagio.

 

 

11. {Matteo Ricciotti}

 

Nota redazionale: Per capire ciò che afferma questo lettore, bisogna leggere il primo contributo, in cui Davide Galano e altri esprimono il loro pensiero, compreso me.

 

Contributo: Dice il fratello Nicola Martella: «È tutta la questione sballata: una sala individuata come luogo privilegiato di culto. Le sale sono un mezzo non un fine. Esiste una vita di chiesa anche di là dalle sale. La chiesa siamo noi. La chiesa primitiva, a cui t’appelli e verso la realizzazione del cui modello affermi ci sia “tanta strada da fare”, non conosceva sale di culto e non aveva complessi d’inferiorità al riguardo. Pur contando migliaia di credenti, non costruì nessuna “mega chapel”, ingaggiando i migliori architetti... Eppure cresceva e s’inventava nuovi modi di radunarsi (At 2), di organizzarsi (At 6), di espandersi (At 8). Gli obiettivi erano più importanti delle forme».

     Insomma, le sale non vanno bene? Le cellule, sì? Questo nuovo termine, cellula, da cosa nasce? Sarebbe meglio la sala o la cellula? Io conosco, nella Bibbia, il senso di chiesa e di corpo che si riunisce in un dato luogo, in senso fisico. Dunque, il corpo è la chiesa, il luogo è il posto in cui la chiesa, il corpo, si riunisce. Dire che la «questione è sballata...» non è giusto ed è, secondo me, irriverente. Credo che stiamo cavillando su termini e disquisizioni che non hanno senso, la questione non è la speculazione teologica e filosofica. Il corpo di Cristo soffre a causa di disquisizioni che non portano da nessuna parte.

     Il problema è «i senza chiesa», e questo problema lo dobbiamo considerare e affrontare. Chi ha lasciato la comune radunanza (Ebrei 10,25) si è venuto a trovare in molteplici situazioni: chi ha deliberatamente scelto di vivere secondo come meglio crede; chi è stato costretto perché è rimasto deluso; chi per «scomunica» (i diversi papi...) e poi non gli è permesso di ritornare; chi ha scelto di lasciare a causa di compromessi; chi ha trovato una nuova chiesa, o corpo, in cui esprimere la comunione fraterna per ritornare a respirare e riprendere a vivere; ecc. Questo il problema, e su questo dovremmo soffermarci.

     «Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza» [Ez 34,4].

     «Le mie pecore si smarriscono per tutti i monti e per ogni alto colle; le mie pecore si disperdono su tutta la distesa del paese, e non c’è nessuno che se ne prenda cura, nessuno che le cerchi!» [v. 6]. {31-07-2010}

 

Nicola Martella: Matteo Ricciotti, stiamo dicendo la stessa cosa in due modi differenti; chi però vuol seriamente contribuire a una riflessione, non banalizzi così il pensiero altrui, altrimenti si capirà che ha compreso ben poco di ciò che l’altro affermava in effetti. Prima bisogna veramente capire e poi bisogna rispondere senza animosità. Mi viene il dubbio se tu abbia letto il mio articolo su questo tema, visto che cavilli su una risposta data ad altri.

     Io ho detto che mettere le sale al primo posto e come incarnazione della chiesa locale e gli incontri in sala come unica espressione di socializzazione ecclesiale, sballa la questione, poiché le sale sono un mezzo e non un fine. La vita di «corporazione» («essere» corpo di Cristo o com-unità) è più importante di dove ci s’incontra. La chiesa siamo noi, ovunque e sempre stiamo servendo il Signore insieme. Se la chiesa comincia a casa nostra ed è protesa ad accogliere e curare, chi vorrà lasciare da se stesso una «serra» così coinvolgente?

     Che ci sia un corto circuito fra sala e chiesa, è mostrato da quei conduttori che, allontanando dei credenti dalla sala di culto senza giusta causa, ma per mania di «addomesticatore», pensano di allontanarli dalla chiesa. Che esistano «chiese senza» (qualità, vita, partecipazione, visione, amore, ecc.), è mostrato da varie realtà locali, in cui la vita di chiesa si riduce alla sola frequenza di due riunioni alla settimana, senza attese e prospettive particolari, quasi si fosse un club religioso.

     Tu stesso hai mostrato alla fine che si diventa «senza chiesa» non sempre per malanimo o falso calcolo. Elaborare la molteplicità dei casi e della problematica, ce ne fa rendere conto e ci aiuta a cercare soluzioni.

     Inoltre l’alternativa non è fra chiesa e cellula, poiché quest’ultima è solo una «chiesa in casa», dove per «chiesa» s’intende propriamente «raduno». La ekklesia è semplicemente il «raduno» di credenti per adorazione e comunione; il luogo è secondario («chiesa in sala» o «chiesa in casa»), la qualità di vita in tale corporazione non lo è.

     Quindi, di là da questa situazione particolare, si fa sempre bene a capire veramente prima il pensiero altrui nel suo complesso. Poi si fa bene a non banalizzarlo (p.es. «Credo che stiamo cavillando su termini e disquisizioni che non hanno senso, la questione non è la speculazione teologica e filosofica»), poiché ciò potrebbe mostrare di non aver colto il pensiero altrui e ciò diventa sempre un boomerang. E, infine, si fa bene a tenere un profilo costruttivo, senza animosità, poiché non sempre si è in grado di abbracciare una questione complessa e illuminarne tutti gli aspetti; e nelle cose che si dicono, si potrebbe apparire come chi ha capito poco del pensiero altrui o chi ha scoperto l’acqua calda, avendo già detto altri le stesse cose.

 

 

12. {Autori vari}

 

Claudia Falzone: Ottima analisi. Ne consiglierei la lettura a tutte quelle chiese di stampo clericale (moltissime in tutte le denominazioni) {30-07-2010}

 

Volto Di Gennaro: Ci sono senza-chiesa per molteplici motivi. Alcuni sono stati scacciati per futili motivi o per «dottrina» di scarso valore: per loro ho simpatia. Alcuni sono stati ingiustamente scacciati: a loro va il mio amore fraterno. Alcuni non vogliono impegnarsi (la fede è anche impegno, milizia!»), preferiscono «il mondo a Cristo»: non vorrei essere al loro posto! {30-07-2010}

Nicola Martella: Questa volta, di là dalla sintesi, questo lettore ha usato anche una grande precisione e chiarezza, basate certamente sullo spirito d'osservazione e sull'esperienza diretta. Grazie.

 

Gina Odessa, ps.: Personalmente ho vissuto sentimenti simili a quelli di famiglia De Luca, con la differenza di aver smesso di frequentare del tutto, dicendo il motivo (scrivendo in e-mail, dopo che mi è stato domandato il motivo del mio allontanamento): mi pare che si vive nella comunità nel compromesso... E io non posso e non voglio far parte di tutto ciò. {30-07-2010}

Nicola Martella: Non conoscendo il caso di questa lettrice né l'altra campana, non posso dire alcunché. Spero che, se le cose stanno così come lei afferma, abbai cercato una chiesa viva e senza compromessi, invece di rimanere nel «deserto dell'individualismo» e accrescere la schiera dei «senza chiesa».

 

Damiano Federici, ps.: Pur nuda e cruda, la verità dobbiamo accettarla e prendere atto della reale condizione di tante chiese. Fra queste, descritte da te, metto la mia. Hai toccato un punto dolente, che è «la chiesa senza», dove oramai gli incontri (solo 2, preghiera il giovedì e domenica il culto) sono limitati a pochissimo tempo, in quanto si hanno «cose da fare». Quello che hai scritto mi ha toccato in modo particolare e vorrei poter fare qualcosa in modo concreto, oltre a pregare per questa condizione. Ti ringrazio e prendo il messaggio come da parte del Signore. Tuo fratello in Cristo, Manfredi. {30-07-2010}

 

Salvatore Paone: Ogni nato di nuovo dovrebbe essere parte integrante di una comunità locale. Il nostro fondamento ossia la pietra angolare è Cristo Gesù e il nostro appoggio e sugli Apostoli e profeti (sola Scrittura). Ogni chiesa locale forma di per sé il corpo di Cristo e noi siamo membri di questo corpo e Cristo stesso ne è il Capo. Inoltre facciamo parte della famiglia di Dio, essendone coeredi ed eredi e concittadini dei santi. {30-07-2010}

 

Gianni Siena: Essere parte viva di una chiesa non è una cosa, che possa essere fatta con sforzi di tipo: «Devo riabituarmi ad andare in chiesa, con l’aiuto del Signore». L’aiuto di Dio è sempre di un certo «tipo»: Egli tocca il cuore della persona e questa scopre quanto sia meraviglioso avere comunione con Dio e con i suoi figli. Così la chiesa primitiva, così i vari movimenti di risveglio. Tuttavia, quando lo zelo s’affievolisce, nulla lo può riaccendere, salvo, lo Spirito Santo. Egli è sempre pronto a donare nuovo zelo e slancio alla fede. Dio vi benedica. {30-07-2010}

 

 

13. {Francesco Abortivi}

 

Credo che esista un momento per aspettare e sottomettersi, uno per denunciare e anche uno per andarsene. Il problema non è cosa si fa, ma perché lo si fa. Se scappo solo per egoismo, paura, insofferenza sono in torto; se rimango giudicando e lamentandomi, anche. Se scelgo un’altra strada nella pace, convinto che sia il meglio non solo per me, può essere buono, come può essere buono cercare di cambiare dall’interno con un atteggiamento positivo e costruttivo. Il problema sono il nostro atteggiamento e le nostre vere motivazioni.

     La chiesa in casa (ma a volte anche le cellule) segue la stessa regola... se diventa un modo per scappare da una chiesa, che non ci piace per non subirne l’influenza e l’autorità, per orgoglio o individualismo, non ci siamo. Se è un modo per migliorare la comunione fraterna e impegnarsi maggiormente insieme, è ottimo! Ripeto, il problema è il nostro cuore, non il «metodo». {31-07-2010}

 

 

14. {Gaetano Nunnari}

 

Abbiamo attraversato anche noi un periodo abbastanza lungo di senza chiesa. È stata una rivoluzione mentale in un certo senso, non priva di dolori. Dopo aver coltivato per anni dubbi dottrinali sulle pratiche pentecostali e ancor di più sulla cosiddetta «dimensione carismatica» in palese contrasto con gli insegnamenti biblici, e dopo esserci rimessi nelle mani del Signore, abbiamo lasciato il circolo pentecostal-carismatico, che noi consideravamo chiesa, e ci siamo presi un periodo sabatico, per fare la scelta giusta. Nicola conosce bene la nostra situazione, e lo ringrazio per le sue preghiere e il sostegno che ci ha dato.

     Qui dalle nostre parti, in Ticino siamo letteralmente infestati da guru carismatici, e non è stato facile trovare una chiesa biblica. La voglia di comunione fraterna ci ha portato a frequentare per un anno una comunità all’estero, ma i lunghi spostamenti, e la consapevolezza che una comunità così lontana non poteva essere una chiesa locale, più altre questioni subentrate in seguito, ci hanno fatto smettere di continuare le visite. Ciò nonostante abbiamo instaurato delle buone amicizie con diversi fratelli. Finalmente adesso, con l’aiuto di Dio abbiamo trovato una comunità che frequentiamo con piacere.

     Certo avere una stretta comunione con altri fratelli e sorelle in Cristo è qualcosa di fondamentale e che anche noi auspichiamo. Oltre a ciò, considero anche le parole di Gesù quando disse riguardo agli ultimi tempi: «L’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà» (Matteo 24,12). Siamo negli ultimi tempi e dobbiamo mettere in conto anche ciò. Tuttavia questo non giustifica un nostro atteggiamento superficiale, il fatto che dobbiamo sempre riformarci alla Parola del Signore resta un dovere. {02-08-2010}

 

 

15. {}

 

 

16. {}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Senza_chiesa_Avv.htm

29-07-2010; Aggiornamento: 22-09-2014

 

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