Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.
Caro Nicola, [...] Sul mio computer ho un
file specifico, su cui ho riportato numerosi tuoi articoli che ritengo
interessanti per me, quali ad esempio la danza, le decime, Israele e per ultimo
la
disciplina; ed è proprio su quest’ultimo argomento che ti scrivo questa
e-mail.
Ricordo che in un tuo articolo, che non ho «salvato», se non ho capito male,
avevi scritto che quando nella Bibbia un’asserzione non è chiara, è
meglio non dargli valore; tale concetto lo hai messo più volte in pratica
nell’articolo «La
danza è l’obiettivo santo di Dio?» con espressioni del tipo:
«Ma dov’è il brano chiaro che dimostra ciò?»; oppure: «Dov’è un chiaro
comandamento»; e anche: «…dove è scritto in modo chiaro». Mi fermo qui.
Nel tuo articolo «I
provvedimenti di fuori comunione» scrivi «che concetti come
“fuori comunione”, “scomunica”, “mettere sotto disciplina” e altri simili non
compaiono mai nella Bibbia», quindi non ci potrà essere un «brano chiaro»
che parli di scomunica, oppure «un chiaro comandamento» di mettere fuori
comunione qualcuno, eccetera! Insomma tutte le citazioni a sostegno della
«disciplina», un sostantivo che pochissimi comprendono, mi sono sempre apparse
come forzature del testo. Perché, mi domandavo, tutti questi espedienti per
dimostrare che la scomunica è scritturale?
La risposta l’ho avuta nel partecipare al convegno anziani del 1996 e si può
riassumere in una sola parola: «potere». Faccio presente che il fratello Pasquale Di
Nunzio — che era stato scelto dagli organizzatori per trattare il tema: «La
necessità d’un risveglio spirituale nelle assemblee. Ostacoli e caratteristiche»
— nella sua esposizione ha elencato i «motivi di disciplina». E uno dei punti è
stato il seguente: «Coloro che non hanno una vita ordinata secondo i principi
della Parola e coloro che rifiutano di sottomettersi agli anziani devono
essere disciplinati
(2 Ts 3,14; 1 Ts 5,14, Ebrei 13,17)». Leggo dalla Nuova Riveduta: «Ubbidite
ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per la vostra
vita come chi deve renderne conto, affinché facciano questo con gioia e non
sospirando; perché ciò non vi sarebbe d’alcuna utilità» (Ebrei 13,17). Dove
sta scritto qui il chiaro comandamento di scomunica? Ecco un esempio di
forzatura del testo e soprattutto di
potere: dovete fare come diciamo noi, altrimenti
fuori! In questo modo si spiega
perché la scomunica regnerà in «eterno» nelle nostre Assemblee, a meno che
qualcuno cominci a pensarci un pochino.
Ti sarei grato se m’indicassi quello studio in cui hai affermato che le
indicazioni non chiare non sono da prendere alla lettera, o qualcosa di
simile. Ricordo che ho apprezzato moltissimo tale osservazione, non l’ho copiata
subito e poi non ho più trovato lo scritto. Grazie! Fraterni saluti nell’amore
di Cristo Gesù... {Eliseo Coleottero, ps.; 2 novembre 2009}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Avrei voluto capire
meglio l’obiettivo di questo lettore; voglio credere che sia quello
dell’approfondimento scritturale e della ricerca della verità. In ogni modo,
proprio per amor di verità, facciamo sempre bene a distinguere pere da mele e a
non citare d’un articolo solo ciò che corrobora la nostra tesi.
Faccio notare che l’accertamento della mancanza di alcuni concetti ed
espressioni (p.es. «fuori comunione», «scomunica», «mettere sotto disciplina»)
non nega che vi siano altri termini tecnici o locuzioni più aderenti al
linguaggio delle persone dell’AT e del NT, come mostro nel secondo punto
(Terminologia biblica) dell’articolo «I
provvedimenti di fuori comunione». Quindi bisogna evitare ogni
strumentalizzazione. Il testo biblico parla, secondo i casi, attribuendo
perlopiù a Dio l’onere dell’azione, di recidere, sterminare, rendere oggetto di
maledizione o un interdetto, maledire, rendere anatema, legare, dare in man di
Satana, allontanare il malvagio e così via. Bisogna certo distinguere se ciò fu
espresso all’interno della teocrazia d’Israele (la legge religiosa era legge di
Stato) o all’interno del nuovo patto, il solo ingiuntivo per i cristiani.
Bisogna quindi distinguere il mettere sotto disciplina o addirittura fuori
comunione come atto di «giusta causa» (limitato ai casi concretamente
descritti nel nuovo patto) o come atto d’arbitrio di un’autorità ecclesiale
senza «giusta causa» o addirittura per umiliare o eliminare chi si crede un
ostacolo alla propria egemonia.
Ricordo che nel terzo punto dell’articolo sunnominato mostro «la via salutare da
percorrere» prima che un conduttore di chiesa arrivi a un provvedimento di
disciplina, come ultima ratio, quindi dopo aver esplicato tutto il
proprio dovere di insegnante della Parola, con cui si vuol correggere, e di
curatore d’anime, con cui si vuol recuperare e curare. Quindi non nego la
possibilità della disciplina ecclesiale o d’un provvedimento di fuori
comunione, ma invito a rimanere sui chiari binari delle chiare indicazioni del
nuovo patto, suggerendo tra altre cose quanto segue:
■ Un conduttore non deve mettere nessuno sotto disciplina o fuori comunione
per motivi dottrinali, a meno che qualcuno non predichi un «altro Cristo»,
un «altro Evangelo» (Gal 1,6-9), l’idolatria, la falsa profezia o un’altra
dottrina centrale che contrasta visibilmente con una verità biblica chiaramente
dichiarata (p.es. la salvezza per grazia mediante la fede; Dio quale unico
creatore di tutte le cose).
■ Un conduttore non deve mettere nessuno sotto disciplina o fuori comunione
per motivi morali, a meno che qualcuno non contravvenga chiaramente alle
indicazioni descritte con precisione dal NT (p.es. fornicatore, avaro,
oltraggiatore, ubriacone, rapace; 1 Cor 5,11).
Un caso di gestione negativa
della disciplina ecclesiale e d’un intervento di fuori comunione lo mostro
nell’articolo «Caduta
e pentita, ma non accettata dalla chiesa»,
sebbene l’insegnamento di Gesù (Mt 18,12-18; Lc 17,3s) e quello apostolico (2
Cor 2,6-11; Gcm 5,19s) sia completamente differente da ciò.
Per evitare il
potere e l’arbitrio derivante, nelle chiese in cui sono stato coinvolto come
missionario fondatore, abbiamo introdotto come regola che i conduttori si
presentino a verifica periodica (4-5 anni), per ricevere conferma dei loro
carismi e del loro operato. Questo vale anche per i diaconi. Nelle comunità, in
cui si va avanti senza conduttori o in cui si rimane guide della chiesa senza
verifica e conferma periodiche, i conduttori diventano piccoli «papi» a vita, il
potere spiritualmente mascherato diventa incontrastato e l’arbitrio possibile e
ricorrente.
Va da sé che da
indicazioni non chiare non bisogna trarre precetti ecclesiali vincolanti per
tutti. Probabilmente questo lettore fa riferimento alla regola ermeneutica, da
me ricordata, secondo cui non bisogna interpretare un brano chiaro mediante un
brano oscuro. Per fare un esempio caro alle frange più massimaliste delle
Assemblee, non bisogna interpretare 1 Corinzi 11,4s (come uomo e donna possano
pregare e profetare pubblicamente), che è un brano chiaro ed esplicito, usando 1
Corinzi 14,34 (si tacciano le donne), che è un brano oscuro e controverso; si
veda al riguardo il 6° contributo del tema «Velo
fra assolutismo e banalizzazione? Parliamone»; cfr. «Profetare
significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto». Ricordo
tale regola ermeneutica, discutendo al riguardo brani specifici, anche nei
seguenti articoli: «Due
tesi a confronto sulla perdita della salvezza 3» (3. 1
Giovanni 5,16); «Il
ruolo della donna nel culto? Parliamone» (2° contributo: 1 Cor
11 / 1 Cor 14); «Spirito
Santo e preghiere a Lui rivolte» (3° contributo: «Mostrami
quindi un solo brano chiaro e incontrovertibile in tutta la Bibbia, in cui lo
Spirito Santo venga invocato, supplicato, pregato o adorato. Pur studiando la
Bibbia fin dalla mia infanzia e pur avendola insegnata da decenni, io non l’ho
trovato»).
Mi sembra però che tale regola ermeneutica non abbia direttamente a che fare con
il tema della disciplina ecclesiale o con il provvedimento di fuori
comunione. Giustamente il lettore ha mostrato che Ebrei 13,17 non c’entri con
tale argomento. Al riguardo faccio notare che
sottomissione e ubbidienza a un’autorità non sono un bene né un obiettivo a
sé stanti e assoluti, ma solo vie e strumenti verso una meta più grande (Eb
13,17… perché… affinché… perché). A ciò si aggiunga che traducendo
letteralmente tale testo dal greco, la realtà può essere ben differente e non
lascia spazio a possibili abusi di potere! Estraggo tale verso dalla traduzione
della lettera agli Ebrei, che ho fatto tempo fa e che rispetta la dizione
originaria del testo:
«Dare retta ai vostri
conduttori e siate
arrendevoli! Infatti, essi
vegliano sulle vostre anime, come coloro che renderanno conto; affinché facciano
questo con gioia e non sospirando; perché ciò vi [sarebbe] disutile»
((Eb 13,17). Il
contraltare a tale brano è costituito da quest’altro: «Pascete il gregge
di Dio che è fra voi,
non forzatamente, ma volonterosamente
secondo Dio; non per un vile guadagno, ma di buon animo; e non come
signoreggiando quelli che vi sono toccati in sorte, ma essendo gli esempi
del gregge» (1 Pt 5,2s). In pratica, tali versi affermano la stessa cosa,
una volta parlando ai credenti in genere e l’altra parlando ai conduttori.
Ambedue non lasciano spazio a una gestione autoritaria delle chiese e a
una pretesa di essere ubbiditi, in quanto si ricopre un ufficio
ecclesiale; ambedue gli scrittori mettono l’enfasi sull’esortazione e sul
convincimento benefico. Si veda similmente il rapporto, che si trova fra
l’ingiunzione ai figli d’essere ubbidienti (Ef 6,1 ubbidite nel Signore;
Col 3,20) e la responsabilità dei padri a non provocare continuamente i figli a
ira (Ef 6,4; Col 3,21).
Così i conduttori non sono i padroni dei credenti, ma le loro guide; non
sono gli addomesticatori, ma gli allenatori dei discepoli. La loro carica non è
illimitata, ma dura fintantoché essi rispecchiano le prerogative di 1 Timoteo 3
e Tito 1. Quando non si hanno più tali qualità, essi fanno sempre bene a
smontare dal cavallo prima di provocare seri danni. Infatti, quando si perde
l’autorità morale e spirituale, spesso si cerca di compensare ciò con
l’autoritarismo, basato su soggettivismo, carnalità e arbitrio, certo tutto
«spiritualmente» velato. Allora la disciplina ecclesiale, invece di mirare a
preservare il gregge e a guarire la pecora malata, può diventare un subdolo
strumento di carnale politica religiosa, che mira a tacitare chi la pensa
diversamente o a disfarsi di chi dissente con tale tipo di conduzione.
►
Fuori
comunione senza cura pastorale?
{Nicola Martella} (D)
►
URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Ab-uso_disciplina_eccles_UnV.htm
03-11-2009; Aggiornamento: 10/01/2020 |