Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Elementi della fede

 

Cattolicesimo

 

 

 

 

Tutto ciò che serve per istruire il neofita nella sana dottrina e in una sana morale cristiana, per così orientarsi nell'insegnamento biblico di base, nella devozione e nel discernimento spirituale riguardo alle questioni che attengono alla fede biblica e al saggio comportamento nel mondo. È «vademecum» per chiunque voglia trasmettere la fede biblica.

   Ecco le singole parti principali:
01. La via che porta a Dio;
02. Le basi della fede
03. La Sacra Scrittura
04. Dio
05. Creazione e caduta dell’uomo
06. Gesù Cristo
07. Lo Spirito Santo
08. La salvezza dell’uomo
09. Il cammino di fede
10. La chiesa biblica
11. Ordinamenti e radunamenti
12. L’opera della chiesa
13. Il diavolo
14. Le cose future
15. Aspetti dell’etica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COME SONO DIVENTATA EVANGELICA

 

 di Fiorina Pistone

 

Il grande interesse per la Parola di Dio

     Mi chiamo Fiorina Pistone e saluto tutti i lettori del sito, in particolare quelli che mi hanno conosciuta come cattolica romana. Ora, a sessantaquattro anni, da un po’ di tempo frequento una chiesa evangelica.

     Nei miei ultimi decenni di professione della fede cattolica sono stata molto praticante, perché avevo constatato che la preghiera assidua, fatta con totale abbandono a Dio, cambia molto il cuore d’una persona, mentre i semplici sforzi personali non approdano a nulla.

     Ero comunque una cattolica piuttosto critica, a cui, per esempio, quasi tutti i dogmi mariani davano fastidio, perché mi sembrava che esaltassero in modo eccessivo una creatura. Inoltre constatavo che alcuni cattolici confondevano i dogmi mariani tra loro: per esempio per alcuni l’immacolata concezione diventava la perpetua verginità e la perpetua verginità diventava l’assenza di peccato, e ne deducevo che la dottrina della mia Chiesa era troppo complessa. Mi pareva, poi, che questa complessità distraesse molti fedeli dai concetti essenziali della fede cristiana.

     Io mi facevo un problema di questa mia difficoltà ad aderire integralmente all’insegnamento della mia Chiesa e, avendo imparato ad affidare a Dio tutti i miei problemi, soprattutto quelli spirituali, gli dicevo: «Signore, fammi credere ciò che tu vuoi». In questo modo ritrovavo la pace.

     Io ho sempre avuto un grande interesse per la Parola di Dio. Ero tra gli undici e i dodici anni quando una domenica, entrata in chiesa troppo presto e sedutami in un banco, vidi davanti a me un messale (libro per seguire la messa) che conteneva molti brani del Vangelo e, apertolo, m’imbattei nel versetto che dice: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te…» (Matteo 5,9). Io, pur senza capire il collegamento coi versetti precedenti, ne fui affascinata. Fino ad allora avevo conosciuto, attraverso i testi scolastici, solo alcune passi che parlavano della misericordia di Dio, come, ad esempio, la storia del figliol prodigo; ma, da soli, non mi facevano una così forte impressione. Per la prima volta conoscevo, direttamente attraverso il testo biblico, non solo il Dio misericordioso, ma anche il Dio esigente, che faceva agli uomini la proposta di un’amicizia autentica, offrendo e chiedendo fedeltà con un linguaggio pieno di forza.

     Ormai desideravo di possedere un Vangelo completo, ma vi riuscii soltanto a sedici anni. A diciassette anni entrai di nuovo in libreria per chiedere una Bibbia. Me ne proposero una incompleta, ma che tuttavia conteneva per intero diversi testi comuni a tutte le Bibbie cristiane che non conoscevo ancora, come la Genesi, l’Esodo, il primo e secondo libro di Samuele, Ruth, Ester, Giona, gli Atti degli Apostoli. C’erano, inoltre, molti passi dei Profeti e alcuni Salmi. Per il momento avevo un’ampia disponibilità di letture bibliche, che affrontavo da sola, con l’aiuto delle poche note, perché a quei tempi i cattolici leggevano, quando andava bene, il Vangelo, e la mia zona era ancor meno favorita, dato che abitavo in campagna, in una frazione dove c’era un unico prete, e poco motivato. Più avanti v’aggiunsi le Lettere degli apostoli, e infine mi comprai una Bibbia completa (ormai c’era stato il Concilio Ecumenico e nella parrocchia dove mi trovavo in seguito al mio matrimonio era giunto un prete che amava la Scrittura e organizzava serate bibliche).

     La lettura della Bibbia spesso per me comportava problemi di comprensione, ma nel complesso ha sempre rafforzato la mia fede, e a volte mi ha anche fatto ritornare, dopo periodi d’oscurità.

     Ormai per me non era più difficile approfondire: possedevo sempre più Bibbie ben fornite di note e i preti della mia parrocchia a volte mi davano spiegazioni.

 

Salvati per grazia o per opere?

     Io avevo sempre avuto interesse per le credenze religiose degli altri, in particolare per la dottrina dei «protestanti». Quando facevo il liceo sentivo dire dai miei insegnanti che loro pensavano di salvarsi soltanto per fede e mi sembrava strano, perché nella Chiesa Cattolica, quando si parlava di fede, s’intendeva di solito la semplice adesione mentale: come potevano queste persone pensare di salvarsi con così poco? Solo diversi anni più tardi, quando il Concilio Ecumenico era ormai finito (1965), cominciai a sentire alcune spiegazioni più esatte del concetto di salvezza per fede dei protestanti. V’erano persone che cominciavano a rendersi conto che, su questo punto, i protestanti non erano stati capiti.

     Il Concilio Ecumenico aveva dato una definizione di fede (abbandonarsi a Dio totalmente, prestandogli l’ossequio dell’intelligenza e della volontà) ben più completa di quella a cui eravamo abituati, ma essa stentava a farsi strada nel parlare quotidiano dei cattolici, anche dei nostri preti.

     Io, nel leggere la Bibbia, trovavo la proclamazione di questa verità soprattutto nelle lettere di Paolo.

     A volte leggevamo la Bibbia in gruppo, in parrocchia, e capitò anche di leggere che siamo stati salvati per fede. In quel momento c’era con noi un prete e qualcuno gli chiese: «Ma ci si salva per fede o per opere?». Il prete rispose: «Occorrono la fede e le opere». Io avrei voluto dire che le opere nascono dalla fede, intesa come affidamento a Dio, ma in genere quel discorso non veniva recepito.

     Dopo il Concilio Ecumenico la Chiesa Cattolica aveva cominciato a colloquiare con i Luterani, e infine ciò diede il frutto che io da tempo desideravo: nel 1999 la Chiesa Cattolica e quella Luterana firmarono una dichiarazione comune in cui due autorevoli rappresentanti delle due Chiese riconoscevano che l’uomo si salva per grazia divina, accogliendola in un umile atto d’affidamento a Gesù.

     Io ne fui molto contenta: pensavo che finalmente i preti avrebbero smesso di dirci che per salvarsi occorrevano la fede e le opere, e ci avrebbero invece spiegato che la vera fede consisteva nel chiedere a Dio la grazia d’essere liberati dalla forza del peccato per fare la sua volontà. Così difatti avvenne, ma vi fu presto una contraddizione: appena un anno dopo, nel duemila, il papa indisse il giubileo, concedendo l’indulgenza plenaria (remissione totale delle pene del purgatorio) a chi, confessato e comunicato, avrebbe compiuto determinate opere di fede (preghiere, visita a una cattedrale, elemosina).

     Io pensavo che non era così che si poteva progredire spiritualmente, andando davanti a Dio con la pretesa di meritare qualcosa perché s’erano compiute determinate cose.

     Nella mia delusione mi sentii vicina ai Luterani che protestavano per la concessione dell’indulgenza e mi rammaricavo che questo potesse essere un ostacolo al dialogo tra le nostre Chiese.

 

Approccio telematico con gli evangelici e questioni cruciali

     Passò qualche anno e mia figlia, che già s’era fatta comprare il computer per battere la tesi di laurea, richiese il collegamento a internet per un corso di specializzazione.

     Trovandomi a disposizione questo strumento, anch’io imparai a «navigare», così m’imbattei nelle prime persone di fede evangelica, e capitai, infine, sul sito di Nicola Martella. Quello che m’attraeva nel sito «Fede controcorrente» era la presenza di continui dibattiti su problemi di teologia e d’etica cristiana. Cominciai anch’io a proporre interventi, che spesso venivano pubblicati e discussi.

     Avevo imparato, nei miei viaggi sulla rete, che uno dei principali punti di discussione e di critica degli Evangelici nei confronti dei Cattolici era il culto di Maria e dei Santi. Io non trovavo che vi fosse alcun male nel chiedere a persone defunte, e che si riteneva fossero state particolarmente fedeli a Dio, di pregare per noi. Non mi pareva che si potesse definire tutto ciò idolatria, perché queste persone erano soltanto umili servi del Signore, e soltanto per questo noi rivolgevamo loro le nostre preghiere, e ponevamo talvolta un mazzo di fiori davanti alla loro immagine.

     Quanto alla proibizione del culto delle immagini d’Esodo 20,4, la conoscevo benissimo, ma pensavo che fosse una norma da non ritenersi più valida nella Nuova Alleanza.

     Anche Nicola Martella e un suo amico, Argentino Quintavalle, presto proposero quest’argomento di discussione e m’invitarono a intervenire. Io difesi le mie idee, dicendo che, come chiedevo alle mie amiche di pregare per me, ritenevo di poterlo chiedere anche a Maria e che la Bibbia, secondo me, non proibiva di pregare i morti, come loro sostenevano, citando Isaia 8,19, ma soltanto di consultarli. Dissi anche che noi cattolici non adoravamo Maria e i santi, ma ci limitavamo a venerarli.

     Altre cose che mi dissero, come il fatto che di Maria nella Bibbia si parla pochissimo e che le preghiere in tutta la Scrittura sono sempre indirizzate soltanto a Dio, non mi fecero alcuna impressione, perché già le sapevo e non mi facevano problema. Non che io fossi assolutamente certa delle mie convinzioni; anzi, il mio carattere è più portato al dubbio che alla certezza, e il dubbio per me diventa stimolo alla ricerca, per cui sono stata in ricerca quasi tutta la mia vita. Però dentro di me pensavo: «Dopotutto le nostre preghiere hanno Dio come termine ultimo, e se non è Maria o qualche altro Santo a riceverle per primo, Dio certamente le accoglierà direttamente nelle sue mani». [ Che pensare del culto a Maria e ai santi?]

     Dopo alcuni successivi interventi dei miei interlocutori, la discussione ebbe termine, ma dentro di me frullava ancora un’idea che stentava a prendere corpo: in che senso prostrarsi davanti ad una creatura (ma ai nostri tempi mi sembra meglio parlare d’inginocchiarsi, perché nella Chiesa Cattolica ci si prostra raramente, e solo davanti a Dio) doveva essere proibito, dal momento che nell’Antico Testamento (e anche nel Nuovo) questo gesto appare così comune, e vediamo che, ad esempio, Giuseppe si prostra davanti al padre Giacobbe (Genesi 48,12), Mosè davanti al suocero (Esodo 18,7) e così in molti altri casi? In particolare m’aveva colpito un fatto: in Apocalisse 19,10 e 22,8 Giovanni si prostra di fronte a un angelo, e viene da quest’ultimo severamente ammonito, però lo stesso gesto viene addirittura incoraggiato da Gesù nei confronti del responsabile della Chiesa di Filadelfia in Apocalisse 3,9. Da che cosa dipendeva questa differenza? Per me la spiegazione era questa: in Apocalisse 19,10 e 22,8 si trattava d’adorazione, mentre in Apocalisse 3,9 si trattava di venerazione, e le due cose differivano nel senso che l’adorazione comporta il riconoscimento d’una signoria assoluta, la venerazione è un semplice atto d’umiltà di fronte a chi ha raggiunto un grado eminente di perfezione spirituale.

     Venne il momento in cui mi decisi a proporre la mia interpretazione a Nicola Martella.

     Egli mi rispose invitandomi a leggere un articolo che aveva collocato appositamente sul sito: «Adorare e venerare: una differenza legittima?». L’articolo rimandava a un altro: «Prostrarsi ai tempi della Bibbia». Entrambi gli articoli erano stati da lui scritti per l’occasione.

     Al termine del primo articolo, che a un certo punto richiedeva la lettura del secondo prima di proseguire, Nicola m’esortava a «avere l’onestà di riconoscere la verità che rende liberi», facendo «una scelta radicale».

     Mi stupii d’una richiesta così drastica, perché nei due scritti non mi pareva d’aver trovato niente di nuovo. Il secondo conteneva una moltitudine di citazioni bibliche, tratte da brani che conoscevo, e classificate secondo lo scopo che i protagonisti dei vari passi si proponevano di conseguire di volta in volta con il loro gesto di prostrarsi: offrire sottomissione, rivolgere una supplica ecc.

     Io, comunque, sono solita rileggere, anche a distanza di tempo, gli scritti per cui provo un certo interesse, e anche quelli a cui gli altri attribuiscono un interesse che a me non appare evidente, per capirne le ragioni. Letture successive mi danno spesso l’occasione d’approfondire la lettura con ricerche, e, se si tratta di questioni a carattere biblico, il principale strumento di ricerca diventa allora per me la Bibbia. A distanza di circa dieci mesi, andai così a rileggermi tutte le citazioni fatte da Nicola Martella nell’articolo «Prostrarsi ai tempi della Bibbia», approfondendole nel contesto biblico, e mi resi così conto d’una differenza che non m’era mai stata chiara: nella Bibbia gli angeli a volte sono creature con una propria esistenza autonoma, mentre altre volte sono semplici manifestazioni di Dio.

     Nel primo caso, diceva Nicola Martella nell’articolo, la Scrittura proibisce di prostrarsi davanti a loro, essendo appunto creature (è il caso d’Apocalisse 19,10 e 22,8) nel secondo, invece, il gesto è lecito. Quanto agli esseri umani in carne e ossa, è lecito prostrarsi davanti a loro in segno di sottomissione o di supplica (così Nicola Martella spiegava l’episodio d’Apocalisse 3,9), ma non per venerazione religiosa.

     Io, inizialmente, avevo letto lo scritto di Nicola Martella senza cogliere il filo logico che lo percorreva, ma non me ne rendevo neanche conto, essendomi smarrita tra le molte citazioni.

     Ero ormai in piena crisi, e ne ero, oltre che vivamente addolorata, anche alquanto sbalordita: il progresso che avevo fatto nella mia conoscenza della Bibbia mi sembrava, in fondo, modesto; eppure, quasi all’improvviso, mi sentivo più evangelica che cattolica. Mi sentivo come se, facendo un solo passo, mi fossi trovata, con mia sorpresa, in una stanza diversa.

     Cominciò dentro di me una lotta estenuante: continuavo a domandarmi se era proprio da questa parte della parete che dovevo stare. Spesso al mattino mi svegliavo evangelica e alla sera ero di nuovo cattolica, e a volte succedeva anche l’inverso.

     Continuavo a frequentare la chiesa della mia parrocchia, ma non m’univo più alle preghiere mariane, però il fatto di trovarmi in Chiesa mentre venivano recitate mi faceva sentire in una condizione d’ambiguità, come di chi non dà una testimonianza sincera.

     Io chiedevo a Dio di farmi compiere la a sua volontà e, nei momenti in cui mi sentivo maggiormente inclinata verso la fede evangelica, gli chiedevo semplicemente la forza d’andarmene.

 

Approccio diretto con gli evangelici

     In uno di questi momenti telefonai al pastore della chiesa pentecostale A.D.I. della mia città per cominciare a «rompere il ghiaccio» e fargli alcune domande: gli chiesi, per esempio, se nelle riunioni di preghiera avrei dovuto indossare il velo. Egli, sentendomi angosciata per la decisione che dovevo prendere, s’offrì di mandarmi sua moglie a farmi visita. La accolsi con sollievo, pensando che ero riuscita a fare un primo passo, ma le dissi che cambiare Chiesa significava per me avviarmi su d’una strada molto difficile. Lei mi disse: «La strada è Gesù», e prima d’andarsene condivise una preghiera con me, chiedendo a Dio di darmi luce.

     Veramente, più che di luce, io sentivo il bisogno di ricevere forza. Temevo, infatti, l’opposizione dei miei famigliari, e soffrivo all’idea che non sarei più andata in chiesa con mia figlia, e che avrei perso le poche amicizie che avevo cominciato a farmi a Novara, dove risiedevo da poco tempo. Inoltre la nuova chiesa, in cui avrei voluto andare, distava almeno quattro chilometri da casa mia, io non guidavo la macchina e la località non mi sembrava abbastanza servita dai mezzi pubblici.

     Dopo un po’ di tempo decisi di recarmi a una riunione di preghiera in questa nuova chiesa, e in seguito la frequentai per alcune settimane.

     All’inizio mi sentii più serena, perché finalmente ero riuscita a decidermi, ma poi cominciai a sentirmi piena di sensi di colpa verso tutte le persone della chiesa cattolica da cui avevo ricevuto amicizia e aiuto, e il suono delle campane della mia parrocchia m’appariva come un richiamo dolcissimo e struggente.

     Devo anche dire che il modo di pregare dei pentecostali m’appariva poco confacente al mio temperamento, perché spesso prorompono tutti assieme in suppliche ed esclamazioni di lode, e io sono lenta di riflessi e a volte fatico a seguire anche una sola persona che parla, perciò nelle riunioni di preghiera mi capitava di sentirmi stanca e confusa.

     Tutte queste ragioni si cumularono assieme e, unite ai dubbi dottrinali che ancora avevo e alla distanza della chiesa evangelica, m’indussero a ritornare nella chiesa cattolica, col proposito di restarci per sempre.

     Così feci, ma non ero serena e ormai m’era anche difficile fare amicizie: non potevo dire a tutti che non volevo pregare Maria e i Santi e perciò non partecipavo neppure ai pranzi in parrocchia e alle gite parrocchiali, perché c’era sempre il pericolo che qualcuno mi dicesse: «Vieni a dire un rosario con me?».

     Ricominciai a pensare che forse era meglio che tornassi alla chiesa evangelica, ma la decisione m’appariva ancora più difficile della prima volta.

 

Il primato di Pietro e del vescovo di Roma?

     Mi restavano, tra l’altro, diversi dubbi dottrinali: mi chiedevo, ad esempio, se era vero che Gesù aveva attribuito il primato a Pietro nel passo di Matteo 16,18. A questo dubbio (da me comunque non espresso a nessuno) rispose presto un articolo sul sito «Fede controcorrente», firmato da Giovambattista Mele e Nicola Martella: «Pietro aveva il primato sugli altri apostoli?». Constatai così una cosa che non sempre emerge dalle traduzioni del passo di Matteo 16,18, dove Gesù dichiara a Pietro: «E io ti dico che tu sei “petros” [così suona il termine in greco] e su questa “petra” io fonderò la mia chiesa»: Petros non era soltanto il soprannome dell’apostolo in questione: era anche una parola che in greco significa «pietra», mentre invece «petra» si può tradurre anche con «roccia», e questa traduzione nel passo in questione appare abbastanza ovvia, visto che questo termine compare anche in Matteo 7,24, dove Gesù dice: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia» (in greco «petra»). Appare infatti evidente che in quest’ultimo passo la roccia è la parola di Gesù. Così anche in 1 Corinzi 10,4, dove Paolo fa riferimento a una «roccia spirituale» da cui gli Ebrei bevevano durante la loro marcia nel deserto verso la terra promessa. Infatti Paolo a questo punto aggiunge: «E questa roccia [gr. “petra”] era il Cristo».

     «Dunque» — pensavo — «probabilmente non è vero che Gesù ha voluto Pietro come capo supremo della Chiesa universale in età apostolica, e neanche risulta che a quel tempo vi sia stato un altro capo supremo. Perché mai allora dovremmo ritenere necessario che tutta la cristianità sia unita attorno ad un unico capo, che sarebbe il papa?».

 

Un nuovo inizio

     Ricominciai a chiedere a Dio di darmi la forza d’andarmene dalla chiesa cattolica, però stavolta avevo una difficoltà del tutto nuova: provavo imbarazzo all’idea di farmi rivedere alla chiesa pentecostale.

     All’inizio di giugno, al momento di presentare la denuncia dei redditi, il patronato, a cui m’ero rivolta, m’aveva chiesto delle visure, così m’ero recata al catasto. Qui un’impiegata di fede evangelica m’aveva riconosciuta e, dato che per andare alla chiesa faceva la mia stessa strada, m’aveva offerto, nel caso che intendessi ritornare, un passaggio. Mi ricordai di lei e andai di nuovo nell’ufficio per cercarla. Così ritornai nella chiesa pentecostale in sua compagnia e fu tutto molto facile.

     Ora, per la prima volta dall’inizio della mia crisi religiosa, sono serena e decisa a proseguire su questa strada. {23 dicembre 2009}

 

Il catechista carismatico e la neo-evangelica {P. Elia - F. Pistone - N. Martella} (T/A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Diventata_evangelica_EdF.htm

07-01-2010; Aggiornamento: 04-03-2010

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce