Caleb mi ha scritto, ponendomi un quesito su questo tema «molto sensibile» in
alcune compagini ecclesiali. Ricordo una volta che, visitando una chiesa locale,
il conduttore aveva affisso alla porta della sala di culto una fotocopia in
formato manifesto (A3) che riproduceva un articolo di un mensile, in cui il
direttore si schierava contro i bicchierini e a favore del calice unico. Su
questo argomento si sono già spesso divisi gli animi e, qualche volta, le
comunità. Vogliamo cercare di parlarne in modo pacato e razionale.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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sottostante
1.
{Caleb [?]} ▲
Mi chiamo Caleb, e vorrei
condividere con te una mia perplessità. L’argomento che vorrei che trattassi è
quello della Santa Cena e precisamente lo svolgersi di essa. Ho fatto visita a
dei fratelli e al momento della santa cena, ho visto che, alla distribuzione del
vino, è stato fatto passare un calice e allo stesso tempo diversi bicchierini...
Ho
chiesto come mai e mi è stato detto che alcuni credenti si sentono
«igienicamente» più sicuri e per amore di questi si è deciso di distribuire il
vino in questi due modi, perché quello che conta non è il modo di distribuire,
ma il significato intrinseco dell’atto, perciò non bisogna essere formalisti, ma
avere la libertà di gestire queste cose senza sentirsi legati a delle forme
esteriori.
I
bicchierini per gli «igienisti» e il calice per i formalisti. Io devo
confessarvi che tutto ciò mi ha disturbato un po’, perché ho sempre creduto che
fu Gesù stesso a dire di distribuire il calice fra tutti... Non è così?
C’è
qualche appoggio biblico a tutto questo? Bere nel calice è un comandamento o è
facoltativo?
I bicchierini mi parlano di...
distinzione. Il calice mi parla di comunione. Non voglio assolutamente essere
polemico, ma ti confesso che questa cosa non mi fa bene.
Spero che tu mi risponda, grazie.
Dio ti benedica nel tuo lavoro e nella tua vita. {2007}
2.
{Nicola Martella} ▲
Caro Caleb (avrei preferito conoscerti anche per cognome), il tema da te
proposto è quello che ha fatto spaccare chiese. In questa problematica tieni
presente i seguenti aspetti quali spunti di riflessione. ■ Il nostro approccio razionalista e occidentale è
spesso ritenuto quello «biblico» (?). ■ La prassi della nostra denominazione e della nostra
chiesa locale è spesso ritenuta quella «biblica» (?).
Sulla problematica legata al concetto «biblico», cfr. Nicola Martella (a cura di), «Il bianco, il nero e il
grigio»,
Uniti nella verità, come affrontare le diversità
(Punto°A°Croce, Roma 2001). Si veda qui anche l’articolo
«Quando nessuno ha ragione» (di Marvin Oxenham). |
■ Il nostro «provincialismo» occidentale ci porta a
certe radicalizzazione in una delle tante direzioni del problema. ■ Il nostro approccio anti-cattolico nella
concezione e poi simil-cattolico nella pratica ha il suo ruolo nel
problema. ■ Chi crede di dover essere «biblicamente» rigoroso col
calice, dovrebbe esserlo poi anche nel tempo in cui fu praticata dai Giudei:
«l’ultima cena» era una «Pasqua» annuale (cfr. 1 Cor 5,7). È inverosimile che i
credenti giudei «tutti zelanti per la legge» (At 21,20) avessero mutato
una pratica così radicata e complessa, qual era la Pasqua, in un’attività
quotidiana o settimanale!
■ In molte zone del mondo non esiste il «frutto della
vigna» da centinaia di anni, se non da millenni. E allora? Cosa diranno qui i
razionalisti? Hanno sbagliato i credenti di tali posti a celebrare la cena del
Signore con altro? Si tenga presente che la vitis vinifera prospera nelle
zone temperate della terra tra il 50° e il 30° grado di latitudine nord e il 30°
e il 40° grado di latitudine sud. Durante il corso della storia, il vino
fu introdotto in molti paesi solo col cristianesimo e
la vite fu coltivata spesso solo presso i monasteri. L’Islam portò poi,
nei paesi in cui prese piede, pressoché alla scomparsa della viticoltura. Per
l’approfondimento cfr. M. Fregoni, Storia della vite e del vino (Musumeci
editore, 1991).
■ In molte zone del mondo non esistono né calici né
bicchierini, ma i credenti usano quello che hanno, anche barattoli (in cui c’era
prima una bibita gassata) o noci di cocco. ■ In molte zone del mondo i credenti sono perseguitati
e non hanno tempo per pensare a queste questioni cervellotiche degli
occidentali. ■ Non bisogna trascurare neppure gli usi e i costumi.
Quand’ero ragazzo, mangiavamo tutti da un grande piatto; chi aveva sete, andava
a un contenitore di coccio (non avevamo l’acqua corrente), in cui conservavamo
l’acqua pulita, e con una specie di mestolo prendevamo l’acqua e bevevamo.
Oggigiorno dei miei figli nessuno berrebbe a casa mia dal mio bicchiere o da
quello di loro madre. È comprensibile che abbiano un senso di disagio a bere da
un calice che passa da bocca a bocca di persone che non fanno parte del loro
clan famigliare... e ciò in un atto che dovrebbe essere solenne. Non si possono
prendere usi e costumi ebraici e «biblicizzarli». La stragrande maggioranza
delle chiese nel primo secolo erano «chiesa in casa» (cfr. Rm 16), ossia erano
composte da nuclei famigliari (che erano grandi) e da persone strettamente
legate insieme. Se hanno usato un solo calice o vari calici, non è stato
tramandato. Ma la loro vita di «casa» e di «chiesa» non si differenziava, mentre
oggi sì. Penso che bisogna usare un po’ di buon senso quando si affrontano tali
questioni, senza ideologizzare ed estremizzare le cose. ■ Bisogna anche stare attenti a non diventare come i
Farisei del tempo di Gesù che colavano moscerini e inghiottivano cammelli, che
lavavano il fuori e dimenticavano il dentro delle cose. Si può litigare sulla
forma (e magari dividersi) e dimenticare la sostanza della Cena del Signore o
Pasqua del nuovo patto. E questo è sempre la cosa grave. {2007}
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Calice o bicchierini? {Tonino Mele} (A)
►
Calice o bicchierini? Parliamone {Nicola Martella} (T)
►
Rompere il pane: la cena del Signore? {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Calice_bicchierini_UnV.htm
09-02-2007; Aggiornamento: 06-10-2009
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