Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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L’uomo e la donna nella Bibbia — Generi e ruoli 1

  Ecco le parti principali:

Entriamo nel tema (la problematica)

I generi nella Bibbia

Il matrimonio nella Bibbia 

 

La donna nel Nuovo Testamento — Generi e ruoli 2

  Ecco le parti principali:

La posizione della donna nella chiesa

Il ministero della donna nella chiesa

Aspetti conclusivi

La mia donna 

 

Vedi al riguardo le recensioni.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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IL POTERE DI TRADIZIONI E CONVENZIONI NELLE CHIESE

 

 a cura di Nicola Martella

 

La pratica usuale, il consenso, l’abitudine e quant’altro ci portano spesso a credere che il nostro modo di fare coincida del tutto con la prassi degli apostoli e della chiesa primordiale. Leggendo la Scrittura, si è portati a credere che i credenti del primo secolo fossero caratterizzati come noi, ad esempio, dai seguenti elementi socio-religiosi: avessero dei locali di culto, dei conduttori o un pastore, che andassero in chiesa di domenica, celebrassero ogni domenica la cena del Signore, ci si sedesse nella sala come da noi, i culti avessero la «liturgia» della nostra comunità, eccetera. Può, quindi, succedere che il linguaggio religioso odierno (p.es. «unzione») e le varie pratiche religiose correnti (p.es. borsa delle offerte passata durante il culto) siano ritenuti «biblici» e addirittura usati come chiave ermeneutica, per spiegare alcune espressioni presenti nella Bibbia (p.es. «rompere il pane») e alcune pratiche della chiesa primordiale (p.es. la colletta). Le cose non stanno sempre e proprio così, ma l’uso e la convenzione danno l’illusione che questo sia il vero tenore delle cose. Questo non è solo da cercare nelle grandi denominazioni cristiane (prete, messa, sacramenti, struttura ecclesiale, papato, patriarcato, dottrine ecc.), ma anche nelle chiese libere di diversa nomenclatura e aggregazione.

     Certamente, al tempo del NT, venivano praticate delle buone tradizioni, come insegnate da Gesù, dai suoi dodici apostoli, da Paolo e da altri come lui. Il problema sta nel fatto di ritenere che le nostre abitudini, tradizioni e convenzioni religiose corrispondano alla prassi apostolica! È chiaro che ogni uso basato sulla convenzione e sulla tradizione, se non viene analizzato criticamente, può impedire l’accertamento della reale verità biblica e storica. Ed è quest’ultima, che a noi interessa appurare, non proiettare i nostri usi e costumi religiosi nella Scrittura, per crederli ortodossi.

     Ora, a chi viene in mente che la prassi della chiesa apostolica era del tutto differente da quella odierna? Infatti, non esistevano locali di culto, né grandi né piccoli, ma i credenti si radunavano normalmente nelle case, in genere in quella del conduttore (ci potevano essere, quindi, più luoghi d’incontro nella stessa città!); si veda l’espressione «la chiesa in casa tua / sua / loro» (Rm 16,5; 1 Cor 16,19; Col 4,15; Flm 1,2; cfr. At 8,3) e «quelli di casa di ***» (Rm 16,10s; cfr. Fil 4,22). Per la discussione dell’espressione «rompere il pane», attribuita spesso, in modo scontato e per convenzione, alla «cena del Signore», rimandiamo a: «Rompere il pane: la cena del Signore?».

     Durante la storia della chiesa (e delle chiese), nella dottrina si è assistito alla decontestualizzazione storica, culturale, teologica e letteraria delle asserzioni della Bibbia. Ciò, che nella Bibbia era inteso come letterale, fu reso simbolico, metaforico e allegorico (spesso portando avanti una politica religiosa); ciò, che era metaforico, fu reso materiale, per collegarsi alla moda religiosa dominante (p.es. lo gnosticismo e il sacramentalismo ivi insito). Durante la storia, le chiese hanno seguito ora Platone (trascendentalismo, spiritualismo, misticismo, ascetismo, sentimento), ora Aristotele (ragione, immanentismo, empirismo, materialismo, Realpolitik). E queste fasi, in azione e reazione, perdurano fino a oggi. L’approccio dottrinale e le pratiche degli evangelici italiani è spesso caratterizzata da un atteggiamento «contro» qualcosa (p.es. anti-cattolico, anti-pentecostale) o «a pro» di qualcosa (p.es. filo-americano, filo-carismatico). Ora, come spesso ribadisco, il contrario di una menzogna non è per forza la verità, ma può essere un’altra menzogna di segno contrario. Si tratta, quindi, di un atteggiamento reattivo, dettato da simpatia o antipatia. E ciò può impedire la ricerca della verità in sé e di tutta la verità.

     Al posizionamento rispetto alla denominazione dominante (p.es. contro ricorrenze festive specifiche) si aggiungono altri atteggiamenti ostili programmatici rispetto ad altri fenomeni, convinzioni, pratiche eccetera. Ecco alcuni casi:

     Alcuni non parlano più tanto di Spirito Santo, di carismi, di guarigione, e di miracoli, perché altri lo fanno troppo e in modo esagerato.

     Alcuni non parlano di apostoli e di profeti nelle chiese odierne (tutto sarebbe solo per quei tempi), perché altri lo fanno in modo sbagliato (falsi apostoli e falsi profeti). Tuttavia, il NT parla di apostoli (mandati, emissari, missionari) delle chiese (2 Pt 3,2 vostri apostoli; At 14,14 apostoli Barnaba e Paolo; 1 Cor 12,28ss presente continuo) e di profeti (proclamatori estemporanei, che edificano) nelle chiese (1 Cor 14,29ss).

    Alcuni non parlano di «regno messianico» escatologico (o millennio), perché altri lo fanno in malo modo (p.es. i seguaci della Torre di Guardia).

     Alcuni, ad esempio, non festeggiano il Natale, non perché non ve ne sia la libertà (Fil 4,8; 1 Cor 6,12,23) — anche Israele aveva aggiunto feste legittime a quelle prescritte dalla legge (Gdc 21,19; Est 9,29.31) e Gesù e gli apostoli le festeggiarono (Gv 5,1 una festa dei Giudei) — ma per reazione storica (diventata tradizione) alla denominazione dominante. Curiosamente non festeggiano neppure la Pasqua, sebbene sia espressamente scritto che Cristo è la nostra Pasqua e venga ingiunto: «Celebriamo, dunque, la festa» (1 Cor 5,7s).

     Alcuni evitano con imbarazzo del tutto il problema dell’«etica cristiana», ma parlano solo di «santificazione», lasciando così ad altri di porsi in modo critico rispetto ai vecchi e nuovi problemi della società e del cristiano in essa.

     La lista potrebbe continuare per altri temi, quali l’impegno sociale del cristiano, la presenza dei cristiani in politica, la posizione e il ministero della donna nella chiesa, la preghiera della donna, la presenza di più chiese locali dello stesso tipo nello stesso paese, eccetera.

 

Qual è l’elemento distintivo degli evangelici? Quale dev’essere la loro «identità» e il loro «posizionamento» sulla base del nuovo patto e in modo indipendente dalle tradizioni (anche dall’anti-tradizionalismo altrui) e dalle convenzioni, e nel senso di un’azione biblica, invece che una reazione alle esagerazioni o alle dottrine e alle pratiche religiose altrui, ritenute sbagliate? Quale può essere definita una buona e salutare tradizione dei «cristiani biblici»?

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

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I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Nicola Berretta

2. Pietro Calenzo

3. Maurizio Marino

4. Nicola Martella

5. Edoardo Piacentini

6. Nicola Martella

7. Rita Fabi

8.

9.

10.

11.

12. Autori vari

 

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1. {Nicola Berretta} ▲

 

Ritengo di estrema importanza la discussione riguardante la tradizione nella chiesa. Una chiesa è, infatti, chiamata a rimanere radicata negli insegnamenti del Capo, a cui fa riferimento, cioè Cristo; però, essendo formata da un insieme di persone inserite all’interno di precisi contesti culturali, risulta anche inevitabile assumere gesti, comportamenti e abitudini, che col tempo divengono rituali. In questo modo, anche inconsapevolmente, le verità immutabili, a cui la chiesa si richiama, si confondono con tradizioni umane, rivestite di autorità biblica. Diventa dunque prioritario per un credente il saper discernere ciò, che è davvero una verità scritturale, da quelli, che sono i propri convincimenti, derivati dalle proprie tradizioni.

     La conseguenza negativa della mancanza di discernimento spirituale su quelle, che sono le nostre tradizioni può essere riassunta in questi aspetti principali:

     ■ La forma sostituisce la sostanza. L’esteriorità formale, nata per rispondere a esigenze contingenti di un certo ambiente culturale, diviene prioritaria rispetto a esigenze nuove, sollecitate da un ambiente culturale diverso.

     ■ Si confondono quelle, che sono le tradizioni formali, con la Scrittura, dimenticando di fare le dovute distinzioni. Questo atteggiamento facilmente sfocia nel settarismo di coloro, che non considerano propri fratelli in Cristo coloro, che hanno differenti forme di espressione all’interno della loro realtà ecclesiale.

     ■ Si può giungere finanche a sostituire con la propria tradizione ciò, che la Scrittura afferma (Mc 7,5-13).

     ■ Si diviene chiusi e impenetrabili di fronte alla realtà, che ci circonda. Questo trasforma la chiesa in un’isola virtuale, chiusa in una campana di vetro, con conseguenze negative quali, ad esempio, le seguenti:

              ● 1. Si è incapaci di rapportarsi col mondo e comunicare l’Evangelo in modo pertinente ai bisogni dell’uomo di oggi.

              ● 2) Si vive una vita schizofrenica e incoerente tra la chiesa e il mondo del lavoro o della scuola.

              ● 3. Le generazioni più giovani si allontanano, soprattutto coloro che sono più intraprendenti e innovativi.

 

Occorre però anche evidenziare che nella Scrittura la «tradizione» non ha necessariamente una connotazione negativa. Il termine originario deriva dal verbo paradìdomi e significa semplicemente «trasmettere, consegnare», e può avere connotazioni negative, positive oppure anche neutre.

     ■ Un uso chiaramente positivo è quello in riferimento alle verità che Dio stesso ci ha trasmesso (Lc 1,2; Giuda v. 3), alle decisioni prese dagli apostoli a Gerusalemme (At 16,4) o al messaggio annunciato da Paolo (nei termini tradotti con «insegnamenti» o nel verbo «trasmettere» di brani come Rm 6,17; 1 Cor 11,2.23 e 15,3; 2 Ts 2,15 e 3,6).

     ■ Un uso neutrale è invece quello, in cui per «tradizione» ci si riferisce a quella trasmessa da Mosè (Mc 7,5; At 6,14).

     ■ Spesso, però, questo uso si traduce in connotazioni negative, quando quelle tradizioni sono messe in rapporto alla novità di Cristo. Per cui, ad esempio, Paolo parlò delle «tradizioni» dei padri, in cui si distingueva, le quali, sebbene egli non le considerasse negative in sé (Gal 1,4), erano oscurate dalla novità di Cristo (Gal 1,15s). Diversamente, però, usò il termine «tradizione» con una chiara connotazione negativa in riferimento a quelle tradizioni umane, che non si armonizzavano al messaggio di Cristo (Col 2,8). Anche Pietro parlò delle tradizioni dei padri in senso negativo, perché rapportate al «prezioso sangue di Cristo» (1 Pt 1,18s). Gesù diede un giudizio chiaramente negativo delle tradizioni in Mc 7,13 in quanto la loro osservanza comportava un annullamento della Parola di Dio.

     Sulla base di questi riferimenti, dunque, quando ci troviamo di fronte a delle tradizioni, dobbiamo chiederci, in primo luogo, quale sia la loro origine e, in secondo luogo, come esse si pongano in rapporto a Cristo. Rispondere a queste domande è prioritario, per evitare le possibili conseguenze negative della tradizione.

     Ciò detto, occorre a mio giudizio chiedersi se l’identificazione delle nostre tradizioni umane, distinguendole con chiarezza dalle verità bibliche, debba comportare automaticamente l’eliminazione di queste tradizioni. Io credo di no, infatti le tradizioni non sono necessariamente negative. Il problema è che, se non chiaramente individuate, possono facilmente trasformarsi in qualcosa, che ci può allontanare dalla verità di quell’Evangelo, di cui vogliamo essere testimoni.

     Quando dico che le tradizioni non sono necessariamente negative, mi riferisco al fatto che esse possono essere utili nel conferire un senso d’appartenenza, un legame col passato che proietta verso il futuro, una fierezza d’un passato che costituisce le nostre radici. Inoltre, la tradizione è, per sua natura, passata al vaglio di esperienze altrui, attraversando più generazioni, quindi porta con sé un bagaglio di saggezza utile alle generazioni più giovani. Permette dunque di non essere trascinati dall’effimero delle mode del momento. Infine, la «reperibilità» connaturata alle tradizioni ci rassicura, in un mondo che gira freneticamente.

     Affermare dunque che gesti quali l’effettuare la Cena del Signore ogni domenica o a scadenze diverse, il dare o meno importanza a un giorno specifico da dedicare al Signore, o anche l’utilizzo di un locale o di una casa privata per gli incontri comunitari, sono tutti espressione di tradizioni della nostra specifica realtà ecclesiale, non equivale al dare a essi una connotazione automaticamente negativa. Il problema sorge quando ci troviamo di fronte a tradizioni che contrastano con le verità bibliche, ma non credo che gli esempi appena riportati vadano in questa direzione.

     Al tempo stesso risulta imperativo individuarle, identificarle con chiarezza come tradizioni, senza nascondersi dietro a presuntuose affermazioni di purezza dottrinale. Spesso, infatti, noi cristiani evangelici tendiamo a negare l’esistenza di tradizioni nel nostro mezzo, additandole alla sola realtà della chiesa cattolica. Questa negazione è un grave errore, perché è proprio la mancanza di una chiara identificazione delle nostre tradizioni che ci espone a eresie future, in cui quelle stesse tradizioni potranno essere anteposte alla Scrittura, sostituendola. Identificare con onestà la loro esistenza ci permette invece di vaccinarci contro queste conseguenze negative e ci dà modo di vivere le nostre tradizioni con serenità e discernimento, senza confonderle con la Scrittura. Infine, ci permette di non fossilizzarsi su di esse, e se in futuro ci dovessimo trovare di fronte all’eventualità di doverle cambiare, saremmo in grado di farlo con disincanto, senza timore di venir meno all’ortodossia biblica.

     Non è una sfida facile, ma può essere vinta attraverso l’umiltà di guardare a ciò che la Scrittura afferma davvero e di sottometterci a essa. {04-2007}

 

 

2. {Pietro Calenzo}

 

Contributo: È come sempre un argomento molto, ma molto interessante. Ciò, a cui fai riferimento, è la trasposizione delle nostre esperienze comunitarie o ecclesiali e la relativa non sempre perfetta aderenza con una verità cultuale prettamente scritturale. Essa è una problematica che, penso, in senso assoluto, si possa risolvere ben difficilmente; comunque, per anelare a tale meta, ma ci possono essere di sussidio un sano spirito di autoanalisi spirituale e un sobrio concetto di se stesso, tanto più che stiamo discorrendo di temi relativi alla comunione con l’Onnipotente. Se tale predisposizione è il desiderio e l’anelito più importante di noi tutti, ossia celebrarlo o ricordarlo come l’Eterno ci comanda nella Sua Parola, il Signore stesso conforterà il desiderio del nostro spirito.

     Ora, siamo capaci di portare a buon fine tale intendimento? Ovviamente è molto difficile, ma avvicinarci di buon animo a tale agognato traguardo, è possibile. Molto dipende dai carismi, che lo Spirito Santo ci ha donato. Ci vuole costanza, impegno, studio, possibilità di spendere per sussidi bibliocentrici, ma in primo luogo un animo aperto ad ascoltare: «O Signore benedetto parla, il tuo figlio ascolta». Il dono deve essere coltivato.

     Ringraziando il Signore ci sono molti sussidi utili, come traduzioni bibliche, concordanze, commentari, dizionari biblici, ecc. E poi ci sono, in primo, luogo gli insegnanti nella chiesa locale o in assemblee vicine. (È molto rilevante pertanto l’interscambio anche fra assemblee vicine). Peculiare davanti a Dio, è l’avere un cuore aperto e desideroso di comprendere e apprendere quale sia la perfetta volontà del Signore. Se questo è un nostro desiderio o bisogno veramente preminente, troveremo, con l’aiuto di Dio, mezzi economici (magari rinunciando a un abito nuovo, o a una gita) tempo, occasioni, per crescere nella giusta comprensione del lessico biblico e dell’ordine biblico del culto, delle giuste attività da coltivare, o magari delle nostre convinzioni da correggere, anelando intensamente a che il nostro essere e il nostro fare si avvicinino il più possibile a quello inteso da Dio nel Nuovo Testamento. {14-04-2013}

 

Nicola Martella: Questo contributo contiene qualche accenno al tema, ma soprattutto spunti interessanti riguardo a come prepararsi per l’opera di Dio. Certamente sarebbe meglio se Pietro Calenzo intervenisse direttamente sulla questione come tradizioni e convenzioni esercitano il loro potere nelle chiese. Per quanto ho capito, per lui questo è un problema di difficile soluzione, e solo un’apertura di cuore (= mente) può aiutare a individuare le convinzioni da correggere.

 

Pietro Calenzo: Caro Nicola, sono persuaso che purtroppo, a volte a livello inconscio, il nostro modo di rapportarci con il Signore sia condizionato [da fattori esterni, N.d.R.], anche se in maniera minimale e non sui punti dottrinalmente eminenti o propedeutici della fede cristiana scritturale. Ciò capita a volte, a causa la religione di massa, che ci circonda, ed anche forse da alcuni approcci evangelici di rottura comprensibilissima nei confronti del Romanesimo. Faccio un esempio semplice, ma spero esplicativo. Personalmente pensavo che Gesù Messia additasse in blocco tutte le tradizioni sorte nell’ebraismo. Ho appreso dal tuo ultimo articolo che invece Gesù partecipò ad alcune ricorrenze ebraiche non presenti nelle Scritture veterotestamentarie. Il figlio di Dio, che ama la verità scritturale, deve sempre ringraziare il Signore, quando un insegnante della Parola di Dio o un altro sussidio didattico (letteratura cristiana di vario genere) ci fanno crescere nella conoscenza riguardo alla vita, al ministero, all’ambiente storico, al Signore Gesù Messia. Penso che sia un atto doveroso di ogni cristiano biblico, catturare ogni nostro pensiero e sottometterlo alla Parola di Dio. Ciò deve essere un processo continuativo, a volte progressivo, ma comunque propedeutico per crescere come Il Signore desidera. {15-04-2013}

 

 

3. {Maurizio Marino}

 

Caro Nicola, ti ringrazio per il tema che è sicuramente interessante e attuale. In realtà la cultura e le convenzioni hanno su di noi un potere spesso sottovalutato. Già dai tempi del NT ci si pose dei quesiti su cosa fosse o non fosse «adiaphora», cioè cosa fosse essenziale per la fede oppure no e, quindi, cosa potesse essere praticato oppure no, a seconda delle usanze culturali. Un esempio ce lo dà l’Apostolo Paolo in 1 Corinzi 8 quando parla delle carni sacrificate agli idoli.

     Quindi secondo me dovremmo imparare il metodo di Melantone e applicarlo più spesso: Nelle cose necessarie unità, nel dubbio libertà, in ogni cosa amore. Per esempio, molti fratelli ancora si scandalizzano dell’uso dei bicchierini al posto del calice, altri della presenza di strumenti musicali svariati, altri dei nuovi metodi di evangelizzazione oltre quelli classici. Secondo me, quando non si tratti di cose essenziali della fede cristiana, la parola d’ordine dovrebbe essere: «no al dogmatismo» {14-04-2013}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Mi ha stimolato il termine greco adiáforos «senza differenza, indifferente», sebbene sia poco ricorrente nelle Scritture stesse. Ecco che cosa afferma in proposito il vocabolario della Treccani alla voce «Adiaforo»: «Termine dotto, grecismo equivalente all’ital. indifferente; in partic., nell’etica dei cinici e degli stoici, era dichiarato adiaforo tutto ciò che è indifferente dal punto di vista morale, e cioè tutto, all’infuori della virtù e del vizio. Nella critica testuale, detto di lezioni o varianti di pari autorità documentaria, tra le quali è impossibile decidere in base a criterî interni o con l’aiuto dello «stemma». Nell’età della Riforma, il teologo ted. Melantone e altri teologi dichiararono (22 dic. 1548) adiaphora, cioè «cose indifferenti», in quanto non decisi dalla Scrittura, alcuni punti della dottrina teologica ed etica (la giurisdizione vescovile, certe costumanze come i digiuni, le feste, ecc.)» (grassetto redazionale).

     Di là dalla ricorrenza o meno del termine greco adiáforos «senza differenza, indifferente» nel testo biblico (i termini tecnici sono coniati nella storia per caratterizzare ciò, che già esiste!), la sostanza c’è. L’apostolo Paolo riporta esempi concreti in merito. Alcuni credenti della chiesa di Corinto gli posero la questione se fosse loro permesso di nutrirsi di carne sacrificata agli idoli. Egli rispose così: «Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo, non abbiamo nulla di meno; e se mangiamo non abbiamo nulla di più» (1 Cor 8,8).

     Il problema si pone laddove una cosa per uno è «indifferente» all’interno della sua cultura (p.es. cristiani gentili), mentre per un altro è rilevante all’interno della sua cultura (p.es. cristiani giudei; cfr. Rm 14). Quando tali due culture religiose vengono a incontrarsi e creano nel fratello una provocazione senza motivo o addirittura offesa e scandalo, per amor di lui conviene astenersi dalla cosa. Infatti, l’apostolo continuò dicendo: «Ma badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli. [...] Ora, peccando in tal modo contro i fratelli, ferendo la loro coscienza, che è debole, voi peccate contro Cristo. Perciò, se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello» (1 Cor 8,9.12s).

     Paolo parlò dei rapporti interpersonali all’interno della stessa chiesa locale. Egli non affrontò la questione degli usi e costumi devozionali diversi in chiese locali differenti. Come devono, quindi, rapportarsi due comunità, se fanno delle riunioni comuni, ad esempio se in una le donne pregano e nell’altra no? Oppure se in una usano il calice e nell’altri i bicchierini? Oppure se in una passano borse e canestri per le offerte, mentre nell’altra hanno una cassetta per le offerte? Paolo non approfondì neppure la questione se chi viene come ospite in una comunità, non debba adeguarsi lui alle decisioni di tale congregazione o almeno tollerarle. Oltre ai casi già esposti sopra, ad esempio, un credente americano, nella cui chiesa si predica che non bisogna bere vino, fa bene a polemizzare con la chiesa, che lo ospita in Italia, e a pretendere che si usi il succo di uva?

     Esistono, quindi, aspetti devozionali, cultuali o morali, che sono accettabili o meno, a seconda del contesto ecclesiale, della motivazione e della finalità del singolo credente o della singola comunità. Il problema, come abbiamo visto, nasce quando due differenti concezioni vendono a incontrarsi a un certo livello (interpersonale, interecclesiale, interdenominazionale, ecc.).

 

 

5. {Edoardo Piacentini}

 

Una tradizione dei «cristiani biblici», per essere autorevole, deve riguardare una verità creduta sempre (anche nel secolo apostolico), dovunque e da tutti (anche dai primi cristiani), e deve essere avvalorata e non essere in conflitto con la Parola di Dio.

     Riunirsi in un’abitazione privata è sicuramente biblico, ma anche riunirsi in un locale pubblico non è antibiblico, se consideriamo che, al tempo della chiesa primitiva, esistevano le sinagoghe, che erano case di orazione, dove si leggeva e meditava la Parola di Dio, le quali non avevano un fondamento biblico, ma nemmeno erano condannate dagli ebrei antichi e dai cristiani primitivi.

     Il culto della domenica ha il suo fondamento biblico negli Atti degli Apostoli e nelle lettere paoline, dove si parla di varietà di ministeri ed, in particolare, di ministeri di governo (1 Corinzi 12,28). La Cena del Signore era celebrata ogni domenica mattina in Troas (Atti 20,7). E la raccolta delle offerte è vivamente raccomandata dall’apostolo Paolo (1 Corinzi 9,7; 16,2). Si tratta, pertanto, di buone e salutari tradizioni. Dio ci benedica {14-04-2013}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

La premessa iniziale di Edoardo Piacentini è molto opportuna e condivisibile. Ero insicuro se rispondere al resto, visto che volevo tenere il tema sul generale e non scendere nei dettagli e visto che la risposta mi sarebbe costata molta energia e tempo. Le mie osservazioni sono dettate dalla comune ricerca della verità biblica. Tale occasione è comunque propizia per mostrare la differenza fra contenuto, forma e uso, e come tradizioni e convenzioni attuali facciano ricorso a versi biblici, spesso tolti dal contesto (storico, culturale, letterario), per accreditarsi.

     ■ 1. Quando ho parlato delle abitazioni quale luogo di culto abituale delle chiese (Rm 16), era per mostrare che la nostra abitudine di avere un locale di culto, non era ricorrente al tempo del NT; quindi, l’essenziale era radunarsi, non dove farlo. In tutto il NT non esiste la menzione di un solo locale di culto o di una «sinagoga cristiana», né a Gerusalemme, né altrove; questa è una verità storica e non significa che riunirsi in un locale di culto sia contrario alla Scrittura. In casi particolari i credenti appartenenti a diverse «chiese in casa» si radunavano per delle agapi comuni, ad esempio presso il podere o la villa di un credente possidente. Per questo Paolo, in occasione della sua visita a una chiesa, poté dire: «Gaio… ospita me e tutta la chiesa» (Rm 16,23). Sapere queste cosa, creerà gratitudine per i locali di culto, che abbiamo. Tuttavia, coloro, che si radunano in casa, non si sentiranno «quasi chiesa» e non devono essere considerati dagli altri delle «chiesa a metà», poiché l’assemblea (= gr. ekklesia) sono i credenti radunati, non gli edifici.

     ■ 2. Di un culto di domenica non si ha comandamento né traccia esplicita in tutto il NT. Altrimenti Paolo non avrebbe potuto dire: «L’uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Rm 14,5). Il primo era il Giudeo cristiano, che per cultura religiosa seguiva il sabato; il secondo era il cristiano gentile, che non aveva un giorno sacro. Nel concilio di Gerusalemme (At 15) non fu ingiunto un giorno particolare. L’Evangelo, arrivando in varie culture, per essere vincente, doveva adeguarsi alle forme culturali ivi vigenti. Nella nostra cultura è una risorsa che la legge riconosca un giorno (domenica), in cui si possa essere liberi dal lavoro, per dedicarsi al culto del Signore. E noi ci raduniamo volentieri tutti insieme di domenica, non perché sia un comandamento, ma perché è una buona convenzione; se per legge mutasse il giorno, in cui la maggior parte sono liberi (tranne i turnisti), non avremmo problemi ad adeguarci. Importante è il culto del Signore e la comunione fraterna, non il girono.

     ■ 3. Quanto all’abbinamento fra Cena del Signore e «ogni domenica mattina», ciò si basa su un assunto dettato dal falso sillogismo. Rimando nuovamente allo scritto «Rompere il pane: la cena del Signore?». Si veda anche «In Atti 2 si trattava di una quotidiana «Cena del Signore»?». In Troas c’era una un’agape non la Cena del Signore (At 20,7); la locuzione «rompere il pane» intendeva mangiare insieme. Mentre i credenti mangiavano, Paolo parlava. Poi, dopo che fu risolta la questione con Eutico, Paolo finalmente prese l’occasione per rifocillarsi (lui solo!), prima di continuare a parlare: «Ed essendo risalito, ruppe il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all'alba, senz’altro si partì» (At 20,9). In che giorno e a che ora si radunarono? Non certo domenica mattina. Presso gli antichi il giorno cominciava dopo il tramonto; quindi si trattava di sabato sera. Per questo si parla delle «molte lampade» e che Paolo parlò fino a mezzanotte (vv. 7s); inoltre, dopo la pausa forzata, Paolo continuò la sua catechesi fino all’alba (v. 11).

     4. È vero, la raccolta delle offerte fu vivamente raccomandata da Paolo; tuttavia, non si trattava di passar canestri durante i culti, ma si trattava di una raccolta speciale a favore dei credenti della Giudea. I credenti non dovevano portare tali offerte alle riunioni, ma metterle da parte a casa propria, per quando Paolo avrebbe mandato un emissario a raccoglierle. Tale occasione avrebbe esaurito il senso di fare collette. Letteralmente si legge: «Ogni primo [giorno] di settimana ciascuno di voi metta da parte presso di sé, accumulando [secondo] quanto possa prosperare, affinché, quando io vengo, non ci siano allora collette» (1 Cor 16,2). Ciò aveva un senso anche nel fatto che alla fine di una settimana e all’inizio della nuova (quindi da sabato sera in poi), si poteva fare bilancio delle entrate e delle uscite e mettere da parte quanto le proprie risorse effettive e la propria liberalità permettevano. Chiaramente l’opera del Signore necessita del sostegno finanziario dei credenti, ma per onesta bisogna ammettere che mai nel NT si parla di passare borse e canestri durante i culti. Nelle chiese, in cui sono stato coinvolto nella fondazione, abbiamo una cassetta per le offerte (in analogia con la prassi del tempio; cfr. Mc 12,14ss). Per il resto rimando al tema «Perché nelle chiese durante il culto si passa una borsa per le offerte?».

 

 

7. {Rita Fabi}

 

Dopo aver letto l’intero scritto di riferimento e il primo commento, mi viene solo da dire una piccola cosa, perché penso che sia stato già detto tutto, e cioè che l’unica vera distinzione di un cristiano, sia quella di rapportarsi solamente con la Parola di Dio. Non si può essere veri cristiani, quando chi ci guida non è la verità, ma i credi dogmatici della propria denominazione. Finché non si tornerà a difendere solo la verità biblica, lasciando da parte tutto ciò che è umano, non si potrà dire di appartenere alla vera chiesa degli apostoli.

     «O Eterno, chi dimorerà nella tua tenda? Chi abiterà sul tuo santo monte? Colui che cammina in modo irreprensibile e fa ciò che è giusto, e dice la verità come l’ha nel cuore, che non calunnia con la sua lingua, non fa alcun male al suo compagno, non lancia alcun insulto contro il suo prossimo» (Salmi 15,1-3).

     Comunque, è davvero una bella analisi, che dovrebbe far riflettere molti di noi. {14-04-2013}

 

 

8. {Adolfo Monnanni}

 

Contributo: Quando si dice «si è sentito – fatto – detto sempre cosi», è difficile smuovere le convinzioni tradizioni. Si può scadere fino al peccato? Può essere anche di sì. {14-04-2013}

 

Rita Fabi: Beh, dipende da cosa s’intende per «peccato». Se s’intende la mancanza del rispetto verso la verità di Dio, allora sì, si può scadere in questo peccato, perché vorrebbe dire che si è amato più ciò, che viene dall’uomo, di ciò che viene da Dio. E il primo comandamento, lasciatoci, è proprio di amare Dio al di sopra di tutto. {14-04-2013}

 

Nicola Martella: Le convenzioni, siano esse positive o negative, hanno un grande fascino, un grande potere omologante e creano un clima, in cui alcune cose diventano scontate. Ciò è positivo per le cose salutari. Per le cose deleterie si crea un clima devozionale e morale, in cui neppure ci si accorge del male che si fa. Ciò accade, ad esempio, dove si tollerano forme di velata idolatria e di sacramentalismo, affermando che siano permesse dalla Bibbia (p.es. alcuni santoni vendono a caro prezzo la terra di Gerusalemme, l’acqua del fiume Giordano, l’olio consacrato proveniente dal Monte degli Ulivi, la croce di Gerusalemme, ecc.). Ciò accade anche dove si tollerano costumi morali contrari alla Parola di Dio, appellandosi al fatto che Dio è amore e perdona (p.es. sesso prematrimoniale, convivenza, rapporti omosessuali, lavoro nero, evasione fiscale, ecc.). In tali casi si può scendere veramente fino al peccato.

 

 

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12. {Autori vari}

 

Guerino De Masi: Grazie, Nicola. È un argomento attualissimo e molto interessante. Grazie d’averlo posto. {15-04-2013}

 

► URL di origine: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Tradiz_convenz-GeR.htm

06-04-2007; Aggiornamento: 16-04-2013

 

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