Questo tema
scaturisce da una domanda, sorta dall’articolo «Giudizio
di Dio su Maria, ma non su Aaronne? (Numeri 12)». In esso mostravo
che, sebbene al momento Dio avesse risparmiato Aaronne (a causa del suo ufficio
di sommo sacerdote), non dimenticò le sue trasgressioni e non mancò di
sanzionarle a modo suo e a tempo debito.
Caro fratello
Nicola Martella, ho letto l’interessantissima risposta. Mi fa riflettere molto
l’affermazione che fai: «In ogni modo, tutti i nodi vengono al pettine, prima o
poi. Anche laddove Dio perdona, ma non dimentica di sanzionare il peccato».
Quindi quando confessiamo anche oggi al Signore un peccato, pur certi del Suo
perdono a fronte di un sincero ravvedimento, dobbiamo anche pensare comunque che
riceveremo una «sanzione» per questo peccato? Ma in Gesù non siamo perdonati e
giustificati? E seppur ci sia questa «sanzione», essa, per così dire, riduce
(passami il termine) il premio finale? {Stefano Frascaro; 01-12-2011} |
1. Perdonare
significa dimenticare?
Qui non affrontiamo direttamente la questione se Dio, quando perdona, dimentica,
avendo già affrontato questo argomento [►
Dio perdona, ma non dimentica] e avendolo già discusso insieme
(qui).
Faccio presente solo alcune cose. Un Dio onnisciente, per rimanere tale,
non può dimenticare. Inoltre, come fa il supremo «Giudice di tutta la
terra» (Gn 18,25) ad avere amnesie storiche? Faccio presente che gli uomini
saranno giudicati secondo le cose, che saranno scritte nei libri (Ap 20,12).
Anche i redenti riceveranno premi e biasimo secondo quanto avranno
operato in vita (2 Cor 5,10); ciò premette che il ricordo dei loro atti non sia
cancellato. Fintantoché viviamo, Dio non dimentica quanto ha perdonato, ma non
se lo
riporta a memoria; questo è qualcosa di diverso. Mentre dimenticare è
qualcosa di passivo, non riportarselo alla mente, non guardarlo o non farne
conto è un’azione attiva; non volerlo ricordare è qualcosa di diverso da
dimenticarlo (cfr. Dt 9,27; Sal 25,7; Gr 31,34). Al contrario, si veda il dato
di fatto, secondo cui Dio si ricorda delle iniquità passate per
sanzionarle (Gr 14,10; Os 9,9), i nuovi atti iniqui fanno riaffiorare alla mente
quelli passati (Ez 21,29; Os 8,13s) e addirittura la richiesta che Dio ricordi
al riguardo (Sal 56,7; 109,14s).
2. Perdonare
significa rinunciare alla sanzione amministrativa?
Come già detto, qui di seguito non vogliamo parlare tanto del fatto se perdonare
significherebbe dimenticare. Vogliamo, invece, sfatare l’opinione secondo cui,
quando Dio perdona la trasgressione di un credente, elimini automaticamente la
corrispondente sanzione. Questo è un terribile abbaglio.
Bisogna distinguere l’accesso al patto salvifico e la pratica di giustizia in
esso. Dio salva per grazia mediante la fede; poi, però, richiede dal credente la
pratica della giustizia. La santificazione ha a che fare con l’esercizio
della giustizia. In tale processo il perdono delle colpe (aspetto spirituale)
non elimina automaticamente le sanzioni amministrative. Ad esempio, si può ben
perdonare un conduttore, che si è macchiato di fornicazione, di adulterio
o di ladrocinio, ma ciò non significa che egli possa tornare (e subito) a
predicare, come se nulla fosse successo.
In ogni azione negativa che facciamo, dobbiamo distinguere sempre diversi
aspetti. Per esemplificare la cosa, prendiamo l’esempio di qualcuno, che
infrange la legge, andando contromano e scontrandosi con un altro veicolo. C’è
il problema della colpa e del danno arrecato a sé, agli altri e alla pubblica
proprietà. La contravvenzione per l’infrazione e la punizione eventuale (ritiro
della patente, sequestro del mezzo o altro) non estingue la problematica del
danno materiale e morale arrecato, che bisogna indennizzare. La colpa si
perdona, il danno si ripara. L’una non significa automaticamente l’altro.
Anche sul piano spirituale, all’interno del processo della santificazione,
il perdono della colpa significa la rinnovata accettazione nella comunione, dopo
essere stati trasgressori in qualcosa; ciò non inficia però la sanzione
(restituzione, riparazione, punizione). Purtroppo, «l’evangelo a poco prezzo»,
che viene predicato, fa asserire che il perdono della colpa estingua
automaticamente anche la sanzione. Tuttavia, ciò è deleterio, poiché non crea
dei solidi credenti, che poi operano la giustizia, ma dei religiosi, che o sono
furbi (doppia morale) o credono che una dichiarazione verbale (pratica
devozionale) estingua tutto. Le cose non stanno biblicamente così, poiché la
riparazione è un atto importante della giustizia, che i redenti devono
esercitare.
Il vero ravvedimento del credente verso una certa trasgressione non porta
con sé solo la richiesta del perdono divino, ma è parimenti la prontezza a
rimediare e ad accettare la sanzione divina e umana.
Israele conosceva la differenza fra perdono e
sanzione e riconosceva liricamente: «Fosti per loro un Dio perdonatore [o
clemente], benché tu punissi le loro male azioni»
(Sal 97,8). Tale verso recita letteralmente: «Fosti per loro un Dio
perdonatore e un vendicatore delle loro azioni».
La congiunzione mostra che tali due azioni erano congiunte e che l’una non
escludeva l’altra. Anche nella Legge leggiamo che «Egli perdona
l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole»
(Nu 14,18; cfr. già Es 34,7).
La sanzione divina in questa
vita è parte della sua pedagogia e della disciplina verso i suoi figli
(Eb 12,5ss). Che poi ci siano aspetti legati al premio finale dei
redenti, è evidente. Paolo parlò sia della possibilità di perdere il premio (non
la salvezza; Col 2,18), sia dell’eventualità di essere salvati come attraverso
il fuoco (1 Cor 3,15), ossia appena in tempo, ad esempio come il ladrone in
croce.
3. Conclusioni e applicazioni
Si noti che, in un certo
punto della migrazione, Dio ben perdonò nuovamente Israele, su richiesta
di Mosè, non distruggendolo (Nu 14,19s), ma subito diede la sua sanzione:
tutti gli uomini disubbidienti, usciti dall’Egitto, non sarebbero entrati nella
terra promessa (vv. 21ss). Questa dinamica morale e spirituale vale per certi
aspetti anche nel nuovo patto, laddove Dio priva di privilegi e benedizioni quei
credenti, che continuano a vivere nella disubbidienza, nella carne e
nell’instabilità morale e spirituale (Gcm 1,7s; cfr. v. 26; 1 Cor 5,5; 11,29;
cfr. At 5,1ss).
È vero che, guardando
indietro alla nostra vita passata, constatiamo che Dio è misericordioso e
clemente e non sempre ci tratta nella storia secondo le nostre iniquità (Sal
103,3.8-12); ciò avviene a causa della sua misericordia e della nostra fragilità
e caducità, che il Signore ben conosce (vv. 13-16). Tuttavia, non può essere un
alibi per i credenti, poiché Dio rimane giusto e santo e già in questa vita
premia coloro, che operano rettamente, e sanziona coloro, che operano
iniquamente; e lo fa non solo verso gli empi (cfr. Ap 18,10), ma anche fra
coloro, che sono credenti.
Per questo la Bibbia mette
una grande enfasi
sulla santificazione, sull’esercizio della giustizia, sulla riparazione
(restituire e aggiungere un quinto; Lv 6,4s; Nu 5,7) e sulla giusta sanzione
corrispondente al danno arrecato (2 Sam 21,1-9).
Ciò significa, per fare un
esempio concreto, anche che, se un conduttore ha peccato sessualmente,
per avidità o per abuso di potere, il perdono da parte della chiesa non è
sufficiente, ma deve seguire la pubblica confessione, la restituzione o
l’indennizzo e la sanzione amministrativa: egli sarà deposto dal suo incarico e
dai suoi ministeri e messo sotto disciplina ecclesiale. Ciò significa pure che
ciò che un conduttore ha commesso sul piano amministrativo (p.es. abuso
d’ufficio) non possa essere semplicemente affrontato solo sul piano personale e
devozionale (aspetto privato) verso le persone lese, ma deve essere risolto sul
piano amministrativo, nell’assemblea di chiesa (aspetto pubblico; 1 Tm 5,19s).
Come vediamo la fede
biblica è una cosa seria e dev’essere sempre accompagnata dal timor di Dio.
La grazia ricevuta implica la santificazione da parte dei credenti e la pratica
della giustizia; dove non avviene così, non ci sarà pace nella chiesa locale né
tra i credenti. La devozione (perdono) senza giustizia (giusta sanzione) non
solo non risolve veramente i rapporti interpersonale fra credenti (lascia tutto
sotto la cenere), ma crea un cristianesimo debole e precario. La pace vera è
sempre l’efflusso della giustizia; il resto è solo armistizio. Cerotti
devozionali (p.es. perdono formale senza riparazione né sanzione) lasciano
il pus nel bubbone e lo coprono bene, ma prima o poi tornerà a suppurare.
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Perdono e sanzione? Parliamone {Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Perdono_sanzione_EdF.htm
05-12-2011; Aggiornamento: 09-12-2011 |