Avevo ricevuto una
lettera circolare di Gianni Geraci, esponente significativo del «Gruppo del
Guado», che riunisce molti «cristiani omosessuali» di fede cattolica. Essa
era titolata «Lettera aperta a monsignor Silvano Maria Tommasi, osservatore
permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite in seguito alle sue
dichiarazioni sull’omofobia». Non entro in merito a essa, poiché le tesi della
curia romana e dei gruppi omosessuali, che si rifanno al cristianesimo, sono
note. [►
Etica: Omosessualità] E anche perché ho discusso della questione già
in passato con Gianni Geraci.
[►
Omosessualità quale fornicazione?]
Non essendo rivolta a me, risposi a tale lettera circolare semplicemente
ricambiando col link del nuovo tema di discussione: «Salvezza
nell’Antico Testamento». Egli ha reagito a questo articolo con un
contributo specifico al tema, asserendo di essere d’accordo con i suoi
contenuti. Rispondendogli, ho cercato di mostrare l’altra parte della medaglia,
quando una persona accetta efficacemente la grazia di Dio. L’apostolo Paolo
espresse tali due aspetti concomitanti della grazia efficace e della fede
verace come segue: «Ma pure il solido fondamento di Dio rimane fermo,
portando questo sigillo: “Il Signore conosce quelli che sono suoi”; e: “Si
ritragga dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore”» (2 Tim 2,19).
1. LE TESI (Gianni Geraci):
Ciao Nicola, ho appena finito di leggere il tuo testo sulla salvezza nell’Antico
Testamento e ti ringrazio per avermelo mandato. Ci sono, in particolare, alcune
cose, con cui mi sono sentito molto in sintonia. La cosa mi ha fatto piacere,
anche perché essendo cattolico so benissimo che abbiamo alle spalle tradizioni
molto diverse. Te le ripropongo così come sono risuonate in me.
Dio ha un solo
metodo di salvezza nella storia. Egli salva per grazia mediante la fede.
In realtà, credo che anche tu sia d’accordo, non è la fede a generare la grazia,
ma è la grazia di Dio, che ci suscita la fede. Nel nostro catechismo la fede è
una virtù teologale, viene quindi da Dio ed è appunto suscitata dalla sua
grazia. Tutte le volte che sento, nel «Dies Irae», quel «Rex tremendae
maiestatis, qui salvandos salvas gratis» [→ sotto: ***], sento forte il
senso della gratuità dell’azione di Dio. Non siamo noi a meritarla, né con la
fede, né con le opere. È lui che si muove verso di noi e la sua azione suscita
in noi la fede nella sua salvezza e le opere, che di questa fede sono la
conseguenza naturale (pensa a 1 Giovanni quando ci chiede come facciamo a dire
di amare Dio, che non vediamo, se non amiamo il fratello, che vediamo?).
Bellissima poi
l’immagine del romanzo storico che si legge conoscendone la fine.
Mi pare che renda davvero il rapporto che, per noi cristiani, ci deve essere tra
il Vecchio e il Nuovo Testamento. Leggere il Primo Testamento dimenticandosi che
il secondo ne continua la narrazione, significa negare il senso
dell’incarnazione di Gesù. Ma anche leggere solo il Nuovo Testamento (come
facciamo spesso noi cattolici), dimenticandoci di quel mondo, così ricco e così
diverso dal nostro, che nel Primo Testamento è stato il luogo dell’azione di
grazia, con cui Dio ci ha portato verso la salvezza, significa dimenticare il
fatto che Dio ha voluto la salvezza dell’umanità fin da quando l’umanità è
comparsa.
Un saluto cordiale. {Gruppo del Guado, Cristiani Omosessuali; 25-03-2011}
*** Nota
editoriale: Visto che non tutti sanno il latino, riporto la traduzione
italiana del brano tratto dal discutibile «Giorno d’ira», un canto gregoriano,
che mischia aspetti biblici e profani (p.es. già nella prima strofa: «Il giorno
dell’ira… come annunciato da Davide e dalla Sibilla», una famosa divinatrice
romana!):
Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis. |
Re di
tremendo potere,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà. (fonte) |
2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI
(Nicola Martella): Chiaramente mi sentirei di sottoscrivere quanto detto da
Gianni Geraci. Tuttavia, sono costretto a indicare l’altra parte della medaglia:
la fede nella grazia di Dio, che può diventare un alibi per il proprio stile
di vita; è il frutto che mostra l’albero. Se bisogna contrastare coloro, che
vogliono acquistarsi meriti dinanzi a Dio con le proprie opere, problema dei
farisei di tutti i tempi, non bisogna scivolare, per contrappasso, in una
grazia a buon mercato, che afferma: «Credi e poi fai ciò che vuoi!».
Senza la grazia di Dio non è possibile entrare nel suo patto, ma si può entrare
in esso alle sole condizioni di Dio, ossia accettando la sua Signoria
sopra di sé, il suo giogo (Mt 11,28ss), i comandamenti della sua volontà, che
esprimono una vita santa. Non è l’uomo a poter decidere o patteggiare con Dio
riguardo a ciò, che è moralmente valido al suo cospetto, ma chi entra nel patto
di grazia, lo fa con l’esplicito impegno a ubbidire ai chiari
comandamenti di Dio. Chi afferma di amare Dio, osserva i suoi comandamenti; chi
non lo fa, è
bugiardo anche nel suo presunto amore (1 Gv 2,3ss).
Un albero selvatico innestato con un innesto domestico, immancabilmente
produrrà buoni frutti, proprio in virtù di tale innesto. Chi afferma di aver
accettato Cristo come personale Signore e Salvatore ed è stato immerso nel corpo
di Cristo mediante una sincera conversione e la rigenerazione dello Spirito
Santo, ha ricevuto la «mente di Cristo» (1 Cor 2,16), penserà come il
Signore su questioni dottrinali e morali e farà immancabilmente la volontà di
Dio in ogni cosa. Come ha detto Gesù, sono quindi i frutti che mostrano
l’albero. Se i frutti sono malvagi, l’albero non può essere buono (ossia non
è stato ancora innestato), e viceversa (Mt 7,17ss). Chi è stato reso dalla
grazia di Dio un «uomo dabbene», non può trarre dal suo buon tesoro cose
malvagie, e viceversa (Mt 12,33-37). Questa è la prova del nove, se si è
nella grazia o se si aderisce solo all’arbitrio di un umanesimo cristianizzato.
«Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede; provate voi stessi»
(2 Cor 13,5).
Quindi, chi entra nel patto di grazia, accetta di fare soltanto la volontà di
Dio. Quand’ero ragazzo e m’ero convertito a Cristo, un predicatore a me caro
usava questa
illustrazione: Sulla porta all’entrata del regno di Dio c’è un cartello che
recita: «Entra, la salvezza è per grazia». Chi entra, chiudendo poi la porta,
legge un altro cartello affisso sul retro della stessa: «Benvenuto nel regno di
Dio! Ora, fa’ la volontà del Signore!».
Chi accetta la grazia di Dio, ma non muta il suo stile di vita, mostra che tale
credere è solo un’adesione mentale o culturale senza una vera
rigenerazione spirituale e morale. Infatti, chi è rigenerato, chi è nato da Dio,
non vive nel peccato
(1 Gv 3,9; 5,18). Per contrappasso, chi vive con uno stile di vita peccaminoso,
non conosce Dio e la sua grazia e non è rigenerato. «Chi commette
[continuamente] il peccato è dal diavolo, perché il diavolo pecca
[continuamente] dal principio. […] Da questo sono manifesti i figli di Dio e i
figli del diavolo: chiunque non opera la giustizia, non è da Dio» (1 Gv
3,8.10).
Con Gianni Geraci ne abbiamo già discusso in passato. Abbiamo affrontato il
fatto che egli voglia essere cristiano e praticare l’omosessualità, anzi
è a capo di un gruppo che insegna la legittimità di tale pratica e che preme
affinché le autorità cattoliche riconoscano tale pratiche, accettino le coppie
omosessuali e le sposino pure. Dovrei qui ripetere quanto già evidenziato in
passato, ma sintetizzo. Un qualunque stile di vita sessuale all’infuori del
matrimonio
fra un maschio e una femmina esclude dal regno di Dio (1 Cor 6,9s; Gal 5,19ss).
A coloro, che erano fornicatori, adulteri, effeminati o sodomiti prima della
loro conversione a Cristo, l’apostolo Paolo, indicando il completo e radicale
cambiamento, poté dire: «E tali eravate alcuni; ma siete
stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati
giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del nostro
Dio» (1 Cor 6,11; cfr. Col 3,5ss).
Abbiamo visto sopra che i frutti mostrano l’albero e che ciò, che uno tira fuori
dal suo tesoro (buono o malvagio che sia), mostra la natura di tale
persona. Chi accetta la grazia di Dio, deve permettere a Dio di cambiare la sua
vita spirituale e morale, per renderla adeguata al modello: Gesù Cristo. Chi
afferma di aver accettata la grazia di Dio, ma vive a proprio arbitrio, così
facendo mostra di essere ancora nelle tenebre e che il suo umanesimo
culturale cristianizzato non lo salverà dinanzi al giusto giudizio di Dio. Chi
accetta la grazia, si sottomette a tutti gli espliciti insegnamenti e
comandamenti di Dio, espressi nella sua santa Parola, senza decidere lui
arbitrariamente che cosa ubbidire e cosa no, senza sterilizzare i precetti
divini e senza metterli fuori uso con la dialettica umanista. Il comando «Fuggite
la fornicazione» (1 Cor 6,18), qualunque essa sia (eterosessuale,
omosessuale), non è sindacabile al pari di altri comandamenti, ad esempio: «Fuggite
l’idolatria» (1 Cor 10,14; 1 Gv 5,21).
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Grazia di Dio, alibi per stile di vita peccaminoso? 2: Una devozione cristiana senza un’etica sessuale biblica?
{Gianni Geraci - Nicola Martella} (T/A)
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Grazia di Dio, alibi per stile di vita peccaminoso? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Grazia_alibi_pecca_EdF.htm
28-03-2011; Aggiornamento: 14-04-2011
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