Qui proseguiamo la discussione molto avvincente su questo tema. Per la prima
parte e le questioni di base, si veda «Arti
marziali tra Oriente e Occidente 1».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1. {Maurizio
Marino}
▲
Arti marziali e fede cristiana
Entriamo in tema
Da giovane sono stato un cultore d’arti marziali e in special modo del
Karàte (l’accento non è sull’ultima). Per diversi anni ho praticato
quest’arte in diverse palestre, con diversi maestri giapponesi e non, e
ho anche accresciuto la mia cultura in materia con la lettura di libri e
riviste specializzate. Sono arrivato al grado di 1° kyù (cintura
marrone) e stavo preparandomi a sostenere l’esame di 1° dan (cintura
nera), quando il Signore mi fece incontrare Apollonia, la donna che poi
è divenuta mia moglie, liberandomi, tramite lei, da questo laccio
subdolo delle arti marziali (l’amore per la donna è stato più forte
dell’amore per il Karate). Non avevo ancora conosciuto il vero e unico
Maestro della vita, ma Egli mi stava già attirando a sé. Da queste
ultime parole puoi capire come la penso sulla relazione tra fede
cristiana e arti marziali.
Alcuni anni fa, un giovane della chiesa di Villalba mi confidò che s’era
appassionato al Judo. Io lo informai delle mie idee e lui volle saperne
di più, così gli preparai uno scritto sulla storia delle arti marziali,
della filosofia da cui erano scaturite, sulla loro attuale
trasformazione, la vita di palestra e le compromissioni possibili per un
credente. Purtroppo quella trattazione non la ritrovo più, altrimenti te
l’avrei mandata e sarebbe stata giusta per l’occasione.
Un po’ di storia
Le arti marziali hanno prevalentemente una radice storica indiano-cinese
e buddista in particolare. Il patriarca buddista Bodidharma
codificò un’arte marziale attraverso lo studio del comportamento degli
animali. La sua necessità era di difendersi, durante i suoi spostamenti,
dagli attacchi dei briganti. Partendo da quest’applicazione pratica, sia
lui che i suoi successori del tempio Shaolin trovarono una applicazione
filosofico-spirituale: se l’uomo riesce a dominare il proprio corpo e
la mente attraverso una severa disciplina, allora il suo spirito sarà
libero d’elevarsi (nirvana?).
Questo è già un primo ostacolo per il cristiano perché la Parola di Dio
c’insegna che nasciamo schiavi del peccato e non possiamo liberarci da
soli. «Così parla il SIGNORE: «Maledetto
l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui
cuore s’allontana dal
Signore!» (Geremia
17,5).
Successivamente le arti marziali arrivarono nelle isole Ryu Kyu, a
Okinawa, dove gli indigeni abbracciarono queste filosofie. Molto più
tardi i Giapponesi occuparono queste terre con pugno di ferro. Per
difendersi gli abitanti d’Okinawa riscoprirono le arti marziali per
difesa personale, aggiungendo lo studio di nuove tecniche con l’uso
d’attrezzi agricoli e della pesca (le armi vere erano vietate). Queste
tecniche divennero vere e proprie arti marziali e presero il nome di
«Jutsu» (arte) di cui conosciamo forse meglio il «Ju-Jutsu» (arte della
cedevolezza), il «Bo-Jutsu» (arte del bastone), il «ken-Jutsu» (arte
della spada), ecc.
Intorno alla fine dell’Ottocento, un certo Funakoshi (nativo
d’Okinawa ma ormai giapponese) andò a studiare a Tokio e in
quell’università aprì un «Dojo» (si traduce palestra ma è limitativo) di
«Karate-Jutsu» (arte della mano vuota).
In quel periodo il Giappone stava vivendo grandi stravolgimenti.
L’imperatore, consigliato dalla borghesia, voleva abbandonare il sistema
feudale di governo dei Samurai (vassalli), dando un’impronta
occidentale al Giappone. Ne seguì una forte reazione xenofoba da
parte dei Samurai (vedi il film «L’ultimo Samurai») e della popolazione
a loro fedele; ma questo non impedì l’avvio di nuove idee moderniste
come per esempio l’adozione del servizio militare civile (prima solo i
Samurai potevano combattere) e dello sport sociale nelle scuole e
università.
Quando Funakoshi aprì questo «dojo», moltissimi lo seguirono perché era
un buon sistema per far passare tecniche tipicamente marziali (jutsu), e
quindi legate al passato, in una nuova cultura per il miglioramento di
«sé»: queste arti si trasformarono quindi in vie («do» = via).
Allora il «Ju-Jutsu» si trasformò in «Ju-do» (la via della cedevolezza),
il «karate-Jutsu» in «Karate-do» (la via della mano vuota), «Ken-Jutsu»
in «Ken-do» (la via della spada), ecc.
In poche parole la radice filosofica e spirituale buddista ritornò a
galla e si trasformò in breve in un sistema utile a plasmare le giovani
menti, sistema che sfociò nel nazionalismo della seconda guerra mondiale
e alla nascita dei famosi Kamikaze. L’epoca dei samurai era
tornata nella nuova forma di governo delle menti.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale i giapponesi capirono che le
arti marziali incutevano interesse e ammirazione tra i soldati
americani. E quindi negli anni successivi cominciarono a partire per
gli Stati Uniti un gran numero di «maestri» e le arti marziali divennero
il primo business giapponese, ancor prima delle famose «radioline a
transistor».
Dagli anni 60 in poi, per allargare il fenomeno, si decise di
trasformare queste arti marziali in veri e propri sport, con
gare, campionati, ecc. E s’adattò il sistema d’insegnamento alla cultura
occidentale, togliendo tante pratiche tipicamente orientali, che gli
occidentali non avrebbero mai «digerito» facilmente.
Gli aspetti pratici
Dal
punto di vista fisico le arti marziali sono un buon esercizio, e
tutto il corpo ne riceve una buona influenza. È vero che molte posizioni
s’adattano alla conformazione corporea degli orientali (portando agli
occidentali qualche problema alle anche e alle articolazioni delle
gambe), ma negli anni sono stati variati gli stili per adattarsi al
fisico degli occidentali (per es. scuola «Wado Ryu»).
Anche dal punto di vista formativo e caratteriale (umano), non ho
grandi remore al riguardo. Anzi, per il giovane d’oggi sarebbe buono
riscoprire il rispetto per le autorità, la vita in comune della
palestra, il valore positivo dell’anzianità (chi è più maturo aiuta il
neofita, che a sua volta rispetta i suoi colleghi più anziani).
Per ciò che riguarda l’aspetto religioso, devo dire sinceramente
che in tanti anni non ho mai sentito parlare di Buddismo o altro. È vero
che sulle pareti dei «dojo» ci possono essere immagini di maestri del
passato, ma mai nessuno mi ha invitato a venerarle. Stanno lì come
esempio di vita, o per ricordo del fondatore dello stile (scuola). Solo
occasionalmente un maestro ci faceva provare ogni tanto una specie di
meditazione o training autogeno: lui diceva che era buono ricaricare le
batterie!
Quando s’entra nel «dojo» si rispetta un certo cerimoniale, con
inchini
verso l’istruttore e verso i colleghi ma questo viene visto più come un
senso di rispetto. Quindi niente di compromettente dal punto di vista
religioso.
Negli ultimi anni però sono state aperte palestre collegate al tempio
Shaolin: una di queste sta proprio a Roma-Finocchio e il maestro dice
d’essere un vero e proprio monaco zen.
In questi casi bisognerebbe tenersi
veramente alla larga.
La cosa veramente negativa, che io ho trovato, è la compromissione
morale a cui i ragazzi vengono spesso sottoposti. I maestri spesso
fanno partecipare i giovani a tornei sportivi, in cui la lealtà e il
rispetto dell’avversario dovrebbero essere la prima cosa. Invece molte
volte i maestri fanno competere cinture di grado superiore, spacciandole
per principianti, al solo scopo di prevaricare l’avversario e portare
meriti alla palestra. E questa è una cosa frequentissima. Queste cose
sono conformi alla visione mondana della vita e noi credenti
dovremmo fuggire da queste cose.
■ «Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli,
tutte le cose giuste... siano oggetto dei vostri pensieri»
(Filippesi 4,8).
■ «Ci preoccupiamo d’agire onestamente non solo davanti al Signore,
ma anche di fronte agli uomini » (2 Corinzi 8,21).
■ «Siamo decisi a condurci onestamente in ogni cosa» (Ebrei
13,18).
Inoltre, quando si gareggia, la regola prevede il controllo dei colpi:
bisognerebbe portarli con la dovuta concentrazione e potenza, sfiorando
soltanto l’avversario, ma senza affondare il colpo. Voi capite che
questo è già difficile di per sé; a ciò si aggiunga, al contrario, che
in queste gare i maestri incitano gli allievi alla violenza, per
far sentire all’avversario la consistenza del colpo con lo scopo
d’intimorirlo e prevaricarlo.
Anche questo contrasta con l’insegnamento apostolico, che ci
spinge a «mostrare sempre lealtà perfetta» (Tito 2,10).
Nelle arti marziali gira questo pensiero: «Diventa forte per non
applicare mai la forza»! In poche parole le arti marziali avrebbero
un ruolo dissuasivo verso chi, nella vita di tutti i giorni, fosse male
intenzionato, cosicché se ne vada alla chetichella per non incorrere in
cose spiacevoli. Inoltre il praticante, conscio della sua superiorità,
si sentirebbe spinto a non mettere in campo la sua potenza spesso
devastante. In relazione a questo ci sono versetti nella Bibbia che
contraddicono chiaramente questa cosa. [N.d.R.: Infatti, di là
dalle buone intenzioni, chi ha il potere, lo usa pure. Con sobrietà è
scritto che gli uomini iniqui mettono a effetto il male macchinato,
quando ne hanno il potere in mano (Mi 2,1). Le intenzioni sono una cosa
e la realtà è un’altra: «Ecco, tu parli così, ma intanto commetti a
tutto potere delle male azioni!» (Geremia 3,5). «O Eterno, io so
che la via dell’uomo non è in suo potere, e che non è in potere
dell’uomo, che cammina, il dirigere i suoi passi» (Geremia 10,23).]
■ «La paura degli uomini è una trappola,
ma chi confida nel
Signore è al sicuro»
(Proverbi 29,25).
■ «Ciò che è stato è quel che sarà; ciò
che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole»
(Ecclesiste 1,9).
In realtà la vita e la storia c’insegnano il contrario dei proclami
teorici
degli uomini e delle loro filosofie. Consideriamo per esempio la storia
degli ultimi 60 anni tra i blocchi contrapposti USA-URSS. Da ambo le
parti nacque l’esigenza di creare un arsenale nucleare al fine di
dissuadere l’altra parte a usare proprio gli armamenti nucleari. Quale è
stato il risultato? Che reciprocamente hanno sviluppato arsenali sempre
più potenti, che fossero in grado di sconfiggere l’avversario
all’occorrenza. E quante volte si è andati vicino alla soluzione finale?
Dai telegiornali sappiamo alcune cose, ma chissà quante volte nella
realtà abbiamo corso questo pericolo!
Così se io mostro di saper «usare le mani e i piedi», un delinquente
sarà portato ad aspettarmi sotto casa, usando un coltello e magari di
più. Molti anni fa i ladri erano caratterizzati dal fatto che non
usavano armi d’alcun tipo. Oggi non si fa furto o rapina senza l’uso di
pistole o kalashnikov. ■ «Anche se tu pestassi
lo stolto in un mortaio, in mezzo al grano con il pestello, la sua follia non lo
lascerebbe» (Proverbi 27,22).
■ «Non
rispondere allo stolto secondo la sua follia, perché tu non gli debba
somigliare» (Proverbi 26,4).
Alcuni anni fa, vidi un film dal titolo «Il giocattolo» con Nino
Manfredi. Tratta la storia d’un semplice ragioniere che fa amicizia con
un poliziotto e tramite lui scopre d’avere una mira infallibile. Allora
compra una pistola per esercitarsi al poligono, ma la vita (satana!)
lo porta a incrociarsi con dei delinquenti e a usare l’arma. La sua vita
si trasforma allora in un inferno e lui diventa una sorta di
«giustiziere della notte». È scritto: «Il
cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e hanno la follia nel
cuore mentre vivono» (Ecclesiaste 9,3).
Quindi
il mio consiglio per i credenti è il seguente:
Lasciamo le palestre d’arti marziali e
frequentiamo le palestre del Signore (le chiese locali).
■
«Io ringrazio colui
che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore» (1
Timoteo 1,12).
■ «Combatti il
buon combattimento della fede,
afferra la vita eterna
alla quale sei stato chiamato» (1 Timoteo 6,12). {11-11-2009}
2. {Nicola
Martella}
▲
Già aver parlato a voce con Maurizio è stato illuminante. Questo
interessante contributo ha completato il quadro. Alcune domande restano
comunque aperte. La «palestre del Signore» (comunità) sono in contrasto
con le palestre sportive di qualsiasi genere, oppure bisognerebbe fare
qualche distinguo? Visto che Maurizio è un conduttore di chiesa, che
cosa risponderà a un suo membro che gli chiederà consiglio riguardo a
quale attività sportiva, atletica e agonistica possa frequentare, ad
esempio per motivi di salute o perché ne ha capacità? Sbagliano i
cristiani biblici ad aprire e gestire associazioni sportive e atletiche?
Inoltre è sbagliato l’intento di sportivi e atleti cristiani, che
operano a livello diverso, a voler portare testimonianza dell’Evangelo e
giustizia in questi ambiti, anche per non lasciarli solo in mano di
coloro che in essi agiscono senza scrupoli e senza moralità? Chiaramente
qui si va, per certi aspetti, a un tema nuovo del tipo: «Un credente
biblico dovrebbe praticare uno sport?». In ogni modo, i conduttori di
chiesa dovrebbero potervi rispondere con la Bibbia alla mano e
spiegandola al riguardo in modo chiaro ed evidente.
3.
{Irene Bitassi}
▲
Aggressività e violenza
Innanzitutto, visto che sembra un problema molto sentito, ritorno sulla
questione dell’aggressività e
della violenza espressa in combattimento, perché per
questioni di lunghezza non ero entrata troppo nei dettagli nella mail
precedente.
Prima di tutto, bisogna mettere in chiaro che
chi accetta
di praticare un’arte marziale, accetta non solo di dare dei
colpi, ma anche di riceverli. Non si combatte contro ignari
passanti indifesi, ma contro propri pari protetti da armature, seguendo
delle regole ben precise atte a evitare che un divertimento si possa
mutare in tragedia. Ci sono norme per curare la manutenzione delle spade
in modo che non avvengano incidenti. Non si combatte per far male, ma
per divertimento (reciproco).
In realtà, fra l’altro, si combatte poco. Infatti,
la maggior
parte dell’allenamento normale non è costituito da combattimento,
ma da esercizi in cui a turno un atleta si fa colpire dall’altro per
permettergli d’imparare. Lo sforzo è concentrato essenzialmente sul
controllo del proprio corpo (equilibrio, movimento di piedi e mani,
ampiezza del caricamento, coordinazione piedi-spada, ecc.) e non certo
ad aggredire chi sta davanti.
In questi esercizi, non si è avversari, ma anzi si collabora
attivamente. Un ambiente amichevole permette di migliorare tutti più
velocemente.
Per fare un esempio «fresco di giornata», ieri sera mi sono trovata a
fare da bersaglio per una ragazza che ha iniziato da poche settimane.
Durante il suo esercizio mi ha colpito in maniera scomposta diverse
volte. Il maestro tuttavia non ha ripreso lei, ma me, perché, essendo io
quella che riceveva i colpi, era mia
responsabilità pormi a una distanza corretta per permetterle d’eseguire
l’esercizio. Questo per spiegare che per lo più l’allenamento non
prevede avversari che s’intralciano, ma compagni che lavorano insieme.
Si tenga anche presente che sia la corretta manutenzione
dell’attrezzatura (indispensabile per la sicurezza), sia la vestizione
vera e propria devono essere insegnate e, in buona parte, è affidato ai
compagni più esperti perché seguano e assistano i nuovi.
Tipi di
combattimenti
Essi sono di
due tipi con scopi differenti:
■ Lo «jigeiko» è una forma di studio. I due atleti cercano di
colpirsi, facendo tecniche e contro-tecniche contemporaneamente. Il
combattimento più anche diventare «tosto», ma deve conservare le
caratteristiche di studio collaborativo. Ad esempio, se si viene
preceduti dall’avversario, gli si permette di colpire il punto senza
spostare la testa. Non s’infierisce su un compagno che sia di grado
molto inferiore, ma gli si permette di fare anche lui le sue tecniche
per imparare. Insomma s’usa l’altro come bersaglio, ma nello stesso
tempo ci si dà come bersaglio per l’altro senza preoccuparsi d’essere
colpiti. A volte, può capitare di diventare più duri in combattimento,
se il compagno appare troppo sfiduciato o rinunciatario con lo scopo
preciso di stimolarlo e aiutarlo a riprendersi. Generalmente ciò è
compreso e apprezzato dall’altro.
■ lo «shiai»
è il combattimento da gara in cui non solo è necessario colpire per il
punto, ma anche evitare di farsi colpire. Così, se l’avversario sta per
arrivare sulla testa, la si sposta a costo di scomporre la propria
figura. Se l’avversario ci sta per colpire un punto al fianco, si può
tirare giù il gomito per evitare il punto (si guadagna un gran bel
livido, ma conosco chi l’ha fatto per salvare il risultato!). Se
l’avversario è molto più debole, peggio per lui. È l’unico momento del
«kendo» in cui tra i due opponenti esiste solo antagonismo e nessuna
forma di collaborazione.
Siccome lo «shiai» tende a produrre un «kendo» più sporco, è
praticato molto poco in allenamento (chi è contrario a far diventare il
«kendo» più marcatamente uno sport, teme fra l’altro che, aumentando
l’importanza dello «shiai», si peggiori proprio la qualità della
disciplina). È normale invece finire ogni allenamento con un po’ di
«jigeiko». Anche durante gli esami di passaggio di grado viene valutato
solo lo «jigeiko» e non lo «shiai».
A conti fatti, come si vede, la maggior parte del tempo è occupata non a
vincere un avversario, ma a migliorare la propria tecnica in maniera
collaborativa. Ci si sbaglia, perciò se s’immagina un allenamento di
«kendo» come una zuffa incontrollata d’invasati picchiatori, il cui
unico scopo è fare male a chi sta davanti.
Concentrazione e autocontrollo
Bisogna inoltre tenere in considerazione che
la scherma
in generale (anche quell’occidentale) richiede molto
autocontrollo. Infatti, le tecniche per essere efficaci devono
essere portate con precisione e all’istante corretto. Le reazioni
scomposte, che a volte può capitare d’avere per eccesso d’aggressività
(o al contrario di paura), danno scarsi risultati in fatto di corretta
esecuzione (e quindi di punteggio, dato che valgono solo le tecniche
«pulite»).
Tempo fa, un compagno in palestra raccontava che ha scelto di praticare
«kendo», perché lui è una persona molto aggressiva. Siccome questo tipo
di sport obbliga a trattenersi per essere eseguito bene, lo aiuta
proprio nell’autocontrollo. Non ne avevo parlato nel precedente
contributo, perché a me, come cristiana, non interessa imparare
l’autocontrollo da uno sport, ma farmi trasformare dal Signore. Però è
evidente che non si può accusare questo sport d’incentivare
l’aggressività, se c’è chi lo pratica proprio per cercare di
controllarla.
Non voglio con questo negare che ci possano essere arti marziali (o
anche palestre di «kendo») in cui venga fomentata ad arte l’aggressività
e la cattiveria degli atleti, però voglio far presente che l’equazione
«sport da combattimento» = «cattiveria e aggressività» non è sempre
corretta. Come già ho scritto nel precedente contributo, ho visto cose
ben peggiori sui campi da calcio.
Mi si permetta a questo punto
un’ultima annotazione che spero non risulti polemica. Mi
stupisce sempre che in ambito cristiano si sente tante volte dire che
«bisogna usare la verga con i figli» e poi ci si scandalizza se per
sport degli adulti di mutuo accordo si tirano due bastonate su
un’armatura ben imbottita. Insomma, non c’è un po’ di contraddittorietà
tra i due atteggiamenti? Chi vede una violenza inaccettabile in un
combattimento sportivo regolamentato come fa a leggere il libro di
Giosuè? Non c’è sproporzione?
Risposta ad alcune questioni
Per quanto riguarda l’autodifesa,
vorrei far presente che non tutte le arti marziali hanno una ricaduta a
favore dell’autodifesa. La mia, per esempio, non dà molto in questo
senso (a meno di non voler andare in giro con una «katana»!), perciò non
viene evidentemente praticata con questo fine.
In quanto ai riflessi buoni, essi non servono solo per andare in
giro a staccare orecchie alla gente, ma possono essere molto utili in
automobile, per esempio.
Per quanto riguarda
il problema di mantenersi puri, evitando contagi con
filosofie e idoli orientali, come avevo già scritto nel precedente
contributo, occorre discernimento. Ad esempio, la disciplina
complementare al «kendo» è lo «iaido»: insegna l’estrazione della
«katana» e il taglio. Essendo eseguito con spade vere, non prevede
combattimento. Molti «kendoka» lo praticano, perché migliora il
controllo della spada. Semplificando molto, da quello che ho capito
informandomi, diciamo che dell’uso della «katana» il «kendo» è la
pratica, lo «iaido» è la filosofia. Ma proprio per questa sua
caratteristica è inzuppato di religione zen. Perciò ho preferito non
provare neanche, anche se so che mi sarebbe molto utile dal punto di
vista tecnico.
Alcune questioni degli sport occidentali
Se quest’attenzione è necessaria con le arti marziali, tuttavia, a mio
avviso, essa è d’obbligo anche con gli sport occidentali. Infatti,
tralasciando del tutto la questione dell’origine pagana e militare di
molti nostri sport (a Maratona non c’era un convegno di cristiani
pacifisti!),
non vorrei che nella giusta preoccupazione d’evitare gli idoli
stranieri, ci buttiamo senza considerazione negli idoli moderni
di casa nostra: il successo e la vittoria a tutti i costi
(anche imbrogliando o con il doping) e la perfezione fisica (andando
incontro all’anoressia o all’uso d’anabolizzanti).
Non sono problemi così lontani, come può sembrare, o limitati solo ai
professionisti, perché l’uso di sostanze per gonfiare i muscoli o
migliorare le prestazioni è notoriamente diffuso anche a livello
amatoriale. Ed è noto che alcune scuole di danza pesino regolarmente le
adolescenti per obbligarle a rimanere longilinee con conseguenze anche
gravi sull’accettazione di sé e l’insorgere di disturbi alimentari.
Ci si potrebbe trovare facilmente coinvolti in
casi di coscienza
anche con uno sport tradizionale. Ad esempio, un
cristiano, che si mantiene pulito non assumendo doping, come si deve
comportare se vede un compagno di squadra che invece ne prende? Parlare
con lui, con l’allenatore, con il responsabile della società sportiva o
denunciarlo direttamente all’autorità giudiziaria?
Se è nostro figlio a praticare uno sport in una società sportiva, la
vigilanza e il dialogo, a mio avviso, non dovranno essere inferiori che
se pratica un’arte marziale. Nello sport occidentale esiste infatti il
discreto rischio che gli vengano offerte sostanze malsane.
Ci sono poi anche degli altri
problemi
che possono turbare la serenità d’un cristiano e si manifestano di più
negli sport tradizionali che nelle arti marziali:
■
L’uso d’un linguaggio osceno (e a volte addirittura la bestemmia) è
abbastanza frequente durante gli allenamenti e le gare. Nelle arti
marziali l’etichetta piuttosto rigida previene generalmente il problema
almeno dentro la palestra; con questo non intendo dire che appena uscite
certe persone non torneranno immediatamente a un linguaggio deprecabile,
ma almeno non obbligheranno i compagni a sentirlo durante l’allenamento.
■ Quando la divisa (o il costume di scena nel caso della danza) è
imposta, facilmente l’abbigliamento sarà più succinto di quello che un
cristiano sceglierebbe. Gli abiti tradizionali giapponesi sono più che
decorosi.
■ In un normale campo da calcio regna l’assoluta mancanza di rispetto
reciproco: l’allenatore insulta normalmente l’arbitro e talvolta i
propri giocatori, i giocatori protestano continuamente contro le
decisioni dell’arbitro e spesso anche contro quelle del proprio
allenatore, tra giocatori avversari oltre agli insulti volano a volte
spintoni. Ricordo d’aver visto volare delle bottiglie d’acqua dalla
panchina per colpa d’un allenatore che l’autocontrollo non sapeva
minimamente cosa fosse! Nel «kendo», non so neanche come venga
sanzionata una protesta eccessiva nei riguardi d’una decisione
arbitrale, tanto sarebbe anormale un comportamento del genere.
Aspetti conclusivi
Non voglio invitare tutti a iscriversi a un corso d’arti marziali;
infatti io stessa ho evidenziato che bisogna verificare caso per caso se
è giusto farlo e a volte è meglio rinunciare. Quello che vorrei solo
sottolineare è che non esiste uno sport occidentale puro e l’arte
marziale impura, ma che entrambi gli ambienti, essendo gestiti e
praticati soprattutto da non credenti, presentano delle insidie a cui
bisogna stare molto attenti. {12 novembre 2009}
4. {Emanuele
Proietti}
▲
Vorrei innanzitutto precisare che quando ho detto che in combattimento usavo la
cattiveria, era in realtà una sensazione personale che ho incominciato a provare
solo arrivato a cintura nera, quando ho cominciato a combattere con gente di
gran lunga più forte di me, cosa che non ho provato alle cinture inferiori e
successivamente praticando Judo. Ho comunque conosciuto credenti che non
potrebbero fare Judo e credenti che sono cinture nere di Karate e altre
discipline e non hanno avuto questo problema riuscendo, come me a conciliare lo
sport con il fatto d’essere credenti, senza fare compromessi; ovviamente sia io
che loro tralasciavamo la parte filosofica. Affrontiamo ora la cosa dal punto di vista biblico. Le
arti marziali, come detto più volte, si dividono in una parte filosofica e una
parte fisica. La parte filosofica, a parte il «combattere solo per difesa», è
tutta da scartare; ma le palestre, che ho visto io, di filosofico non c’era
nulla. Quando facevo «Tae kwon do», il maestro ha provato una volta a fare una
lezione a partecipazione volontaria di meditazione… non c’è andato nessuno, e la
palestra era frequentata di più di 80 persone. Nello Judo invece il maestro era
ateo; gli inchini in entrambi i casi si facevano solo quelli standard
all’entrata per salutare chi c’era, l’avversario e l’eventuale giudice; quindi
se uno cerca un po’… e neanche più di tanto, di palestre che insegnano solo la
parte sportiva, se ne trovano quante se ne vogliono. Quindi se è possibile
separare lo sport dalla filosofia, rimane solo da vedere cosa dice la Bibbia
sulla lotta. ■ «Ma ora, chi ha una borsa, la prenda; così pure
una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Luca
22,36). Gesù dice di prendere una spada; resta implicito che se si ha un’arma,
si deve essere capaci a utilizzarla e, se necessario, anche pronti a farlo,
ovviamente come ultima istanza. ■ «Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto
al pugilato, ma non come chi batte l’aria» (1 Corinzi 9,26). L’esempio di
Paolo è sulla box, uno sport di lotta, non condannato da Paolo, anzi
utilizzato per un importante insegnamento. ■ «Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: “E noi,
che dobbiamo fare?” Ed egli a loro: “Non fate estorsioni, non opprimete nessuno
con false denunzie, e contentatevi della vostra paga”» (Luca 3,14). Giovanni non
dice ai soldati di cambiare mestiere, ma solo di comportarsi onestamente, è più
che logico che come soldati s’allenassero nel combattimento. ■ A Cornelio, centurione romano, non gli viene detto di
cambiare mestiere, è logico che anche lui s’allenasse e facesse allenare
nella lotta (Atti 10,1-48). ■ Dio non ha mai condannato Davide perché si
allenava nella lotta o perché ha ucciso in guerra, ma solo perché ha
commesso un omicidio.
Alla luce di questi passi a mio avviso sembra che la forza è l’ultima delle
possibilità, tuttavia non vedo che la Bibbia la escluda, né come allenamento, né
l’utilizzo se si rende necessario di difendere noi o qualcuno che è in pericolo.
Inoltre parlando in generale di sport la Bibbia non ne vieta la pratica né la
mette in alternativa alla vita spirituale, anzi se vogliamo la palestra è un
ottimo posto per testimoniare (nelle palestre d’arti marziali e d’altri generi
ho testimoniato non poco). E se vogliamo, la Bibbia è favorevole a qualcosa che
porta beneficio al fisico, senza andare contro le leggi di Dio; e di fatto lo
sport è salutare per il corpo e, a seconda di come è fatto e degli obbiettivi
che uno si prefissa, non presenta controindicazioni nella Bibbia. {12-11-2009}
5. {Nicola
Martella}
▲ Faccio
solo qualche nota aggiuntiva di chiarimento al contributo precedente.
■ Riguardo a Luca 22,36, faccio notare che in tale brano è
evidente che Gesù parlasse qui spiritualmente e non materialmente, visto
che subito dopo, avvenne la seguente scena: i discepoli dissero: «“Signore,
ecco qui due spade!”. Ma egli disse loro: “Basta!”» (v. 38). È
probabile che qui Gesù, affermando «chi non ha spada, venda il
mantello e ne compri una» usasse un detto popolare o comunque
intendesse: «Ora le cose si fanno serie; preparatevi al peggio» (cfr. v.
37). Inoltre, nel Getsemani Gesù rimproverò Pietro, il quale aveva
frainteso le parole del suo Maestro e la spada se l’era portata e
l’aveva usata (vv. 49ss).
■ All’inizio di 1 Corinzi 9,26 Paolo, parlò anche della corsa,
oltre che poi di pugilato.
■
Davide cantò di Dio come suo allenatore: «Egli ammaestra le mie
mani alla battaglia e le mie braccia tendono un arco di rame» (2 Sm
22,35 = Sal 18,34). «Benedetto sia l’Eterno, la mia rocca, che
ammaestra le mie mani alla pugna e le mie dita alla battaglia» (Sal
144,1). È probabile che Elifaz di Teman facesse riferimento proprio
all’allenamento fisico come metafora, quando usò con Giobbe le
seguenti parole in senso morale: «Ecco tu ne hai ammaestrati molti,
hai fortificato le mani stanche; le tue parole hanno rialzato chi stava
cadendo, hai raffermato le ginocchia vacillanti» (Gb 4,3s).
Chiaramente, sebbene oggigiorno la nostra battaglia è spirituale, ciò
non significa che non possiamo allenarci anche fisicamente al
combattimento e al tiro all’arco.
6.
{Stefano Frascaro}
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Penso che si sia persa di vista la domanda principale
del tema, ovvero: «È buono per un credente praticare delle arti marziali?». «Cicero pro domo sua»! È chiaro che ognuno tiri l’acqua
al proprio mulino, ma a parte gli interventi di Maurizio e Fausto (con i pro e i
contro per ognuno) nessuno, io per primo, ha passato lo sport praticato «al
colino» della
Parola di Dio. Da quanto ho letto, sono giunto alla conclusione che un
credente non può praticare uno sport a livello agonistico. E questo, a
prescindere che si tratti d’arti marziali o meno, poiché qualsiasi sport mira
alla sconfitta dell’avversario. Chi pratica lotta greco romana, boxe o lotta
libera, usa il corpo per vincere l’avversario in maniera diversa di chi fa
ciclismo o atletica leggera, ma il fine che devono raggiungere è lo stesso,
ovvero la sopraffazione di chi si ha davanti. E più c’è differenza tra primo e
secondo e più il vincitore è contento. E se c’è un vincitore c’è anche lo
sconfitto! Certo, nelle arti marziali c’è in più «l’aggravante» della filosofia
di base, ma questa è appunto un’aggravante. È chiaro che Irene troverà tutti i lati positivi nel «Kendo»,
per l’eleganza, la grazia, l’autocontrollo che impone a chi lo pratica, ma
sempre d’un «combattimento» contro un avversario, per quanto protetto da
materassi, si tratta! Per crescere di cintura (se esiste nel «Kendo») sempre
combattimenti devono essere fatti. E quei combattimenti tendono (o tendevano) a
neutralizzare l’avversario. Stessa cosa vale per il Karate di Simone o
Marco, e per lo «Judo» o il «Rugby» che praticavo (poiché anche in questo
gioco, che per il suo «fair play» è denominato uno «sporto da macellai praticato
da signori», vale il principio di sconfiggere l’avversario) e per
l’atletica. Il fine è sempre lo stesso: Sii superiore e sconfiggi chi hai
davanti. È del tutto diverso dal combattimento per cui
dobbiamo impegnarci e che l’apostolo Paolo ci ricorda (Ef. 6,12), dal
combattimento che dobbiamo sostenere per i nostri fratelli (Col 2,1), da quello
che dobbiamo affrontare per la nostra fede (1 Tm 6,12) per giungere alla fine e
poter dire abbiamo combattuto il buon combattimento, abbiamo finito la corsa e
conservato la fede (2 Tm 4,7). {13 novembre 2009}
7. {Nicola
Martella}
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È chiaro che ogni tema nuovo porti con sé un certo e amplio discorso,
specialmente se nuovo, prima di arrivare a rispondere in modo differenziato e
saggio a una domanda, anche per non banalizzare e per non estremizzare le
risposte. Su questioni del genere lo scopo di un confronto su «Fede
controcorrente» non è tanto quella di arrivare a una uniformità di
convincimenti, ma di presentare tutte le varie sfaccettature della questione,
sforzandoci di metterle su una base scritturale. Così ci si ammaestra a vicenda
e si matura insieme, evitando estremismi e massimalismi di vario genere. Perciò non mi sento di essere intransigente come
Stefano, anche perché egli, al momento della stesura del suo attuale scritto,
non conosceva ancora il secondo contributo di Emanuele Proietti né il mio, che
segue a esso. Io come moderatore ho fatto sempre osservazioni e
obiezioni, cercando di indirizzare il discorso sui principi biblici e
correggendo il tiro dei miei interlocutori (si vedano le risposte Stefano
Frascaro e a Fausto Gaeta e le domande fatte a Maurizio Marino, che restano
ancora senza risposta). I contributi dei lettori sono come i figli: si accettano
così come arrivano e si cerca di migliorarli come si può. Non condivido le conclusioni, secondo cui un credente
non possa praticare uno sport a livello agonistico, qualunque esso sia.
Le motivazioni le ho già espresse precedentemente, quindi non le ripeto. Penso
che ogni credente abbia la sua vocazione e il suo mandato; rimando qui alle
considerazioni fatte per la
politica: se non si pensa in modo differenziato, si cade in massimalismi,
che rappresentano prigioni mentali. Non penso che i credenti debbano lasciare
tale campo importante (sport, atletica, agonismo) semplicemente nelle mani di
increduli, empi, ideologi, affaristi e quant’altri. Come è stato mostrato sopra,
gli apostoli non parlarono male degli sport né li proibirono, ma al contrario li
usarono come metafora positiva per la vita cristiana. Che in una gara ci siano vincitori e sconfitti,
non significa che ci siano vivi e morti. Altrimenti non si potrà competere
neppure a scacchi, a dama, a bocce, a tiro alla corda e a qualunque attività
ludica, in cui ci si misuri individualmente o a squadre. Si può esprimere una
preferenza o una riserva su un certo sport, ma penso che sia sbagliato «buttare
via il bimbo con tutta l’acqua sporca», solo perché l’agonismo porta con sé che
ci siano vincitori e vinti (non vivi e morti). Misurarsi con gli altri in uno
sport (p.es. ciclismo, corsa, bocce) aiuta tutti a crescere e a tendere
all’eccellenza, oltre che a favorire i rapporti sociali. Il combattimento spirituale è una priorità per
il cristiano, qualunque cosa faccia e dovunque si trovi. È sbagliato
contrapporlo al resto della vita, altrimenti i credenti usciranno dal mondo,
lasciando molti aspetti della vita in mano a increduli e malvagi, diventeranno
mistici, perdendo l’occasione di essere sia luce che sale. Di là dalle legittime
preferenze sportive che si possono avere, non mi sento di condividere una tale
visione manichea della vita, che dica un no assoluto, dove la Scrittura non lo
fa. Paolo aveva amici fra importanti politici e magistrati (At 19,31) e c’erano
credenti anche nella casa di Cesare (Fil 4,22). Egli, come ricordato, usò
alcuni sport del suo tempo come metafora, senza quindi condannarli.
Il problema si pone per lo sport come per qualunque
attività umana, quando diventa una sorta di «religione sostitutiva», da
cui si è dipendenti. Al riguardo e per alcuni principi d’orientamento rimando
all’articolo «Etica
della fede nel mondo». Si veda al riguardo anche l’articolo «L’etica
della libertà e della responsabilità».
8. {Vincenzo
Russillo}
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Etica e sport: quale via scegliere?
Un cristiano realmente fedele alla Parola di Dio, si trova a compiere una
moltitudine di scelte. Nella Bibbia non ci vengono dati chiari comandi per ogni
situazione. Allora quale via scegliere? Certamente le basi di un’etica cristiana, li
possiamo trovare in questi versetti: «Se dunque siete stati risuscitati con
Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio.
Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi
moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita
nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria.
Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni,
desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria. Per queste cose viene l’ira di
Dio sugli uomini ribelli» (Colossesi 3:1-6). Quando però una questione non viene chiaramente
affrontata cosa bisognerebbe fare? Un motivo di discordia può essere la pratica
di sport violenti. Innanzitutto penso che tutti gli sport presentano motivi
di scorrettezza, pensiamo ad esempio al calcio o al rugby, ma anche al
doping in sport dove non esiste il contatto fisico. Detto questo, un cristiano
può far certamente dello sport non per vanità, ma tener in forma il proprio
corpo, per predicare la Parola di Cristo, pur tenendo conto che lo sport non
diventi un idolo come avviene per molti tifosi. Nella fattispecie andando a considerare gli sport dove
avviene il contatto fisico, si potrebbe obiettare che il principale scopo per
arrivare alla vittoria è prendere a calci e pugni l’avversario. Tutto ciò
potrebbe essere vero anche se esistono dei regolamenti ben precisi, per
cui si devono seguire regole di correttezza e di lealtà. Quindi mi chiederei
sbagliava Paolo a far riferimento alla boxe in Corinzi 9,24-27? Di certo la
Bibbia non ci dice nulla sulla pratica di questo tipo di sport. Quindi sarebbe
bene che ogni cristiano agisse secondo coscienza.
Bisognerebbe però fare alcune distinzioni, ad esempio
nelle arti marziali vi è sì il contatto fisico, ma non si vuole la «distruzione
dell’avversario»; in secondo luogo viene insegnato ad usare le proprie
conoscenze solo per difendersi e mai per offendere. Ci sono, invece, altri tipi
di sport che incitano alla violenza; penso ad esempio al Wrestling o all’MMA
(Arti Marziali Miste), molto diffusi negli USA, in cui l’obiettivo è quello di
ferire l’avversario, usando qualunque tecnica di lotta estrema. Di certo la
Bibbia non ci dà dei chiari comandi al proposito, anche se sul piano educativo
si potrebbe obiettare che sono poco educativi tali sport e viene insegnata
esclusivamente la violenza.
Lo sport è competizione ma un cristiano deve
sicuramente comportarsi correttamente. La lotta appare anche nell’AT, a voler essere proprio
pignoli: «Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all’apparire
dell’alba; quando quest’uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura
dell’anca, e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava
con lui» (Gn 32,24s [N.d.R.: Qui si trattava addirittura di una teofania
divina!]). Sebbene con questi versetti non voglia prendere la difesa delle arti
marziali o sport affini, lascerei la scelta a ogni buon credente,
incoraggiandolo a fare tutto alla gloria di Dio (1 Cor 10:31) e a essere un
testimone irreprensibile di Cristo (1 Pietro 3,15). {14-11-2009}
9.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Arti_marziali_orient2_Mds.htm
11-11-2009; Aggiornamento: 15-11-2009 |