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Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia.

  Ecco le rubriche principali:
■ Scenario biblico
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È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

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ARTI MARZIALI TRA ORIENTE E OCCIDENTE 2

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui proseguiamo la discussione molto avvincente su questo tema. Per la prima parte e le questioni di base, si veda «Arti marziali tra Oriente e Occidente 1».

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Maurizio Marino

2. Nicola Martella

3. Irene Bitassi

4. Emanuele Proietti

5. Nicola Martella

6. Stefano Frascaro

7. Nicola Martella

8. Vincenzo Russillo

9.

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Maurizio Marino}

 

Arti marziali e fede cristiana

 

Entriamo in tema

     Da giovane sono stato un cultore d’arti marziali e in special modo del Karàte (l’accento non è sull’ultima). Per diversi anni ho praticato quest’arte in diverse palestre, con diversi maestri giapponesi e non, e ho anche accresciuto la mia cultura in materia con la lettura di libri e riviste specializzate. Sono arrivato al grado di 1° kyù (cintura marrone) e stavo preparandomi a sostenere l’esame di 1° dan (cintura nera), quando il Signore mi fece incontrare Apollonia, la donna che poi è divenuta mia moglie, liberandomi, tramite lei, da questo laccio subdolo delle arti marziali (l’amore per la donna è stato più forte dell’amore per il Karate). Non avevo ancora conosciuto il vero e unico Maestro della vita, ma Egli mi stava già attirando a sé. Da queste ultime parole puoi capire come la penso sulla relazione tra fede cristiana e arti marziali.

     Alcuni anni fa, un giovane della chiesa di Villalba mi confidò che s’era appassionato al Judo. Io lo informai delle mie idee e lui volle saperne di più, così gli preparai uno scritto sulla storia delle arti marziali, della filosofia da cui erano scaturite, sulla loro attuale trasformazione, la vita di palestra e le compromissioni possibili per un credente. Purtroppo quella trattazione non la ritrovo più, altrimenti te l’avrei mandata e sarebbe stata giusta per l’occasione.

 

Un po’ di storia

     Le arti marziali hanno prevalentemente una radice storica indiano-cinese e buddista in particolare. Il patriarca buddista Bodidharma codificò un’arte marziale attraverso lo studio del comportamento degli animali. La sua necessità era di difendersi, durante i suoi spostamenti, dagli attacchi dei briganti. Partendo da quest’applicazione pratica, sia lui che i suoi successori del tempio Shaolin trovarono una applicazione filosofico-spirituale: se l’uomo riesce a dominare il proprio corpo e la mente attraverso una severa disciplina, allora il suo spirito sarà libero d’elevarsi (nirvana?).

Questo è già un primo ostacolo per il cristiano perché la Parola di Dio c’insegna che nasciamo schiavi del peccato e non possiamo liberarci da soli. «Così parla il SIGNORE: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore s’allontana dal Signore!» (Geremia 17,5).

     Successivamente le arti marziali arrivarono nelle isole Ryu Kyu, a Okinawa, dove gli indigeni abbracciarono queste filosofie. Molto più tardi i Giapponesi occuparono queste terre con pugno di ferro. Per difendersi gli abitanti d’Okinawa riscoprirono le arti marziali per difesa personale, aggiungendo lo studio di nuove tecniche con l’uso d’attrezzi agricoli e della pesca (le armi vere erano vietate). Queste tecniche divennero vere e proprie arti marziali e presero il nome di «Jutsu» (arte) di cui conosciamo forse meglio il «Ju-Jutsu» (arte della cedevolezza), il «Bo-Jutsu» (arte del bastone), il «ken-Jutsu» (arte della spada), ecc.

     Intorno alla fine dell’Ottocento, un certo Funakoshi (nativo d’Okinawa ma ormai giapponese) andò a studiare a Tokio e in quell’università aprì un «Dojo» (si traduce palestra ma è limitativo) di «Karate-Jutsu» (arte della mano vuota).

     In quel periodo il Giappone stava vivendo grandi stravolgimenti. L’imperatore, consigliato dalla borghesia, voleva abbandonare il sistema feudale di governo dei Samurai (vassalli), dando un’impronta occidentale al Giappone. Ne seguì una forte reazione xenofoba da parte dei Samurai (vedi il film «L’ultimo Samurai») e della popolazione a loro fedele; ma questo non impedì l’avvio di nuove idee moderniste come per esempio l’adozione del servizio militare civile (prima solo i Samurai potevano combattere) e dello sport sociale nelle scuole e università.

     Quando Funakoshi aprì questo «dojo», moltissimi lo seguirono perché era un buon sistema per far passare tecniche tipicamente marziali (jutsu), e quindi legate al passato, in una nuova cultura per il miglioramento di «sé»: queste arti si trasformarono quindi in vie («do» = via). Allora il «Ju-Jutsu» si trasformò in «Ju-do» (la via della cedevolezza), il «karate-Jutsu» in «Karate-do» (la via della mano vuota), «Ken-Jutsu» in «Ken-do» (la via della spada), ecc.

     In poche parole la radice filosofica e spirituale buddista ritornò a galla e si trasformò in breve in un sistema utile a plasmare le giovani menti, sistema che sfociò nel nazionalismo della seconda guerra mondiale e alla nascita dei famosi Kamikaze. L’epoca dei samurai era tornata nella nuova forma di governo delle menti.

     Dopo la fine della seconda guerra mondiale i giapponesi capirono che le arti marziali incutevano interesse e ammirazione tra i soldati americani. E quindi negli anni successivi cominciarono a partire per gli Stati Uniti un gran numero di «maestri» e le arti marziali divennero il primo business giapponese, ancor prima delle famose «radioline a transistor».

     Dagli anni 60 in poi, per allargare il fenomeno, si decise di trasformare queste arti marziali in veri e propri sport, con gare, campionati, ecc. E s’adattò il sistema d’insegnamento alla cultura occidentale, togliendo tante pratiche tipicamente orientali, che gli occidentali non avrebbero mai «digerito» facilmente.

 

Gli aspetti pratici

     Dal punto di vista fisico le arti marziali sono un buon esercizio, e tutto il corpo ne riceve una buona influenza. È vero che molte posizioni s’adattano alla conformazione corporea degli orientali (portando agli occidentali qualche problema alle anche e alle articolazioni delle gambe), ma negli anni sono stati variati gli stili per adattarsi al fisico degli occidentali (per es. scuola «Wado Ryu»).

     Anche dal punto di vista formativo e caratteriale (umano), non ho grandi remore al riguardo. Anzi, per il giovane d’oggi sarebbe buono riscoprire il rispetto per le autorità, la vita in comune della palestra, il valore positivo dell’anzianità (chi è più maturo aiuta il neofita, che a sua volta rispetta i suoi colleghi più anziani).

     Per ciò che riguarda l’aspetto religioso, devo dire sinceramente che in tanti anni non ho mai sentito parlare di Buddismo o altro. È vero che sulle pareti dei «dojo» ci possono essere immagini di maestri del passato, ma mai nessuno mi ha invitato a venerarle. Stanno lì come esempio di vita, o per ricordo del fondatore dello stile (scuola). Solo occasionalmente un maestro ci faceva provare ogni tanto una specie di meditazione o training autogeno: lui diceva che era buono ricaricare le batterie!

     Quando s’entra nel «dojo» si rispetta un certo cerimoniale, con inchini verso l’istruttore e verso i colleghi ma questo viene visto più come un senso di rispetto. Quindi niente di compromettente dal punto di vista religioso.

     Negli ultimi anni però sono state aperte palestre collegate al tempio Shaolin: una di queste sta proprio a Roma-Finocchio e il maestro dice d’essere un vero e proprio monaco zen. In questi casi bisognerebbe tenersi veramente alla larga.

     La cosa veramente negativa, che io ho trovato, è la compromissione morale a cui i ragazzi vengono spesso sottoposti. I maestri spesso fanno partecipare i giovani a tornei sportivi, in cui la lealtà e il rispetto dell’avversario dovrebbero essere la prima cosa. Invece molte volte i maestri fanno competere cinture di grado superiore, spacciandole per principianti, al solo scopo di prevaricare l’avversario e portare meriti alla palestra. E questa è una cosa frequentissima. Queste cose sono conformi alla visione mondana della vita e noi credenti dovremmo fuggire da queste cose.

     ■ «Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste... siano oggetto dei vostri pensieri» (Filippesi 4,8).

     ■ «Ci preoccupiamo d’agire onestamente non solo davanti al Signore, ma anche di fronte agli uomini » (2 Corinzi 8,21).

     ■ «Siamo decisi a condurci onestamente in ogni cosa» (Ebrei 13,18).

 

Inoltre, quando si gareggia, la regola prevede il controllo dei colpi: bisognerebbe portarli con la dovuta concentrazione e potenza, sfiorando soltanto l’avversario, ma senza affondare il colpo. Voi capite che questo è già difficile di per sé; a ciò si aggiunga, al contrario, che in queste gare i maestri incitano gli allievi alla violenza, per far sentire all’avversario la consistenza del colpo con lo scopo d’intimorirlo e prevaricarlo. Anche questo contrasta con l’insegnamento apostolico, che ci spinge a «mostrare sempre lealtà perfetta» (Tito 2,10).

     Nelle arti marziali gira questo pensiero: «Diventa forte per non applicare mai la forza»! In poche parole le arti marziali avrebbero un ruolo dissuasivo verso chi, nella vita di tutti i giorni, fosse male intenzionato, cosicché se ne vada alla chetichella per non incorrere in cose spiacevoli. Inoltre il praticante, conscio della sua superiorità, si sentirebbe spinto a non mettere in campo la sua potenza spesso devastante. In relazione a questo ci sono versetti nella Bibbia che contraddicono chiaramente questa cosa. [N.d.R.: Infatti, di là dalle buone intenzioni, chi ha il potere, lo usa pure. Con sobrietà è scritto che gli uomini iniqui mettono a effetto il male macchinato, quando ne hanno il potere in mano (Mi 2,1). Le intenzioni sono una cosa e la realtà è un’altra: «Ecco, tu parli così, ma intanto commetti a tutto potere delle male azioni!» (Geremia 3,5). «O Eterno, io so che la via dell’uomo non è in suo potere, e che non è in potere dell’uomo, che cammina, il dirigere i suoi passi» (Geremia 10,23).]

     ■ «La paura degli uomini è una trappola, ma chi confida nel Signore è al sicuro» (Proverbi 29,25).

     ■ «Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole» (Ecclesiste 1,9).

 

In realtà la vita e la storia c’insegnano il contrario dei proclami teorici degli uomini e delle loro filosofie. Consideriamo per esempio la storia degli ultimi 60 anni tra i blocchi contrapposti USA-URSS. Da ambo le parti nacque l’esigenza di creare un arsenale nucleare al fine di dissuadere l’altra parte a usare proprio gli armamenti nucleari. Quale è stato il risultato? Che reciprocamente hanno sviluppato arsenali sempre più potenti, che fossero in grado di sconfiggere l’avversario all’occorrenza. E quante volte si è andati vicino alla soluzione finale? Dai telegiornali sappiamo alcune cose, ma chissà quante volte nella realtà abbiamo corso questo pericolo!

     Così se io mostro di saper «usare le mani e i piedi», un delinquente sarà portato ad aspettarmi sotto casa, usando un coltello e magari di più. Molti anni fa i ladri erano caratterizzati dal fatto che non usavano armi d’alcun tipo. Oggi non si fa furto o rapina senza l’uso di pistole o kalashnikov.

     ■ «Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio, in mezzo al grano con il pestello, la sua follia non lo lascerebbe» (Proverbi 27,22).

     «Non rispondere allo stolto secondo la sua follia, perché tu non gli debba somigliare» (Proverbi 26,4).

 

Alcuni anni fa, vidi un film dal titolo «Il giocattolo» con Nino Manfredi. Tratta la storia d’un semplice ragioniere che fa amicizia con un poliziotto e tramite lui scopre d’avere una mira infallibile. Allora compra una pistola per esercitarsi al poligono, ma la vita (satana!) lo porta a incrociarsi con dei delinquenti e a usare l’arma. La sua vita si trasforma allora in un inferno e lui diventa una sorta di «giustiziere della notte». È scritto: «Il cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e hanno la follia nel cuore mentre vivono» (Ecclesiaste 9,3).

     Quindi il mio consiglio per i credenti è il seguente: Lasciamo le palestre d’arti marziali e frequentiamo le palestre del Signore (le chiese locali).

     ■ «Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore» (1 Timoteo 1,12).

     «Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato» (1 Timoteo 6,12). {11-11-2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Già aver parlato a voce con Maurizio è stato illuminante. Questo interessante contributo ha completato il quadro. Alcune domande restano comunque aperte. La «palestre del Signore» (comunità) sono in contrasto con le palestre sportive di qualsiasi genere, oppure bisognerebbe fare qualche distinguo? Visto che Maurizio è un conduttore di chiesa, che cosa risponderà a un suo membro che gli chiederà consiglio riguardo a quale attività sportiva, atletica e agonistica possa frequentare, ad esempio per motivi di salute o perché ne ha capacità? Sbagliano i cristiani biblici ad aprire e gestire associazioni sportive e atletiche? Inoltre è sbagliato l’intento di sportivi e atleti cristiani, che operano a livello diverso, a voler portare testimonianza dell’Evangelo e giustizia in questi ambiti, anche per non lasciarli solo in mano di coloro che in essi agiscono senza scrupoli e senza moralità? Chiaramente qui si va, per certi aspetti, a un tema nuovo del tipo: «Un credente biblico dovrebbe praticare uno sport?». In ogni modo, i conduttori di chiesa dovrebbero potervi rispondere con la Bibbia alla mano e spiegandola al riguardo in modo chiaro ed evidente.

 

 

3. {Irene Bitassi}

 

Aggressività e violenza

     Innanzitutto, visto che sembra un problema molto sentito, ritorno sulla questione dell’aggressività e della violenza espressa in combattimento, perché per questioni di lunghezza non ero entrata troppo nei dettagli nella mail precedente.

     Prima di tutto, bisogna mettere in chiaro che chi accetta di praticare un’arte marziale, accetta non solo di dare dei colpi, ma anche di riceverli. Non si combatte contro ignari passanti indifesi, ma contro propri pari protetti da armature, seguendo delle regole ben precise atte a evitare che un divertimento si possa mutare in tragedia. Ci sono norme per curare la manutenzione delle spade in modo che non avvengano incidenti. Non si combatte per far male, ma per divertimento (reciproco).

     In realtà, fra l’altro, si combatte poco. Infatti, la maggior parte dell’allenamento normale non è costituito da combattimento, ma da esercizi in cui a turno un atleta si fa colpire dall’altro per permettergli d’imparare. Lo sforzo è concentrato essenzialmente sul controllo del proprio corpo (equilibrio, movimento di piedi e mani, ampiezza del caricamento, coordinazione piedi-spada, ecc.) e non certo ad aggredire chi sta davanti.

     In questi esercizi, non si è avversari, ma anzi si collabora attivamente. Un ambiente amichevole permette di migliorare tutti più velocemente.

     Per fare un esempio «fresco di giornata», ieri sera mi sono trovata a fare da bersaglio per una ragazza che ha iniziato da poche settimane. Durante il suo esercizio mi ha colpito in maniera scomposta diverse volte. Il maestro tuttavia non ha ripreso lei, ma me, perché, essendo io quella che riceveva i colpi, era mia responsabilità pormi a una distanza corretta per permetterle d’eseguire l’esercizio. Questo per spiegare che per lo più l’allenamento non prevede avversari che s’intralciano, ma compagni che lavorano insieme.

     Si tenga anche presente che sia la corretta manutenzione dell’attrezzatura (indispensabile per la sicurezza), sia la vestizione vera e propria devono essere insegnate e, in buona parte, è affidato ai compagni più esperti perché seguano e assistano i nuovi.

 

Tipi di combattimenti

     Essi sono di due tipi con scopi differenti:

     ■ Lo «jigeiko» è una forma di studio. I due atleti cercano di colpirsi, facendo tecniche e contro-tecniche contemporaneamente. Il combattimento più anche diventare «tosto», ma deve conservare le caratteristiche di studio collaborativo. Ad esempio, se si viene preceduti dall’avversario, gli si permette di colpire il punto senza spostare la testa. Non s’infierisce su un compagno che sia di grado molto inferiore, ma gli si permette di fare anche lui le sue tecniche per imparare. Insomma s’usa l’altro come bersaglio, ma nello stesso tempo ci si dà come bersaglio per l’altro senza preoccuparsi d’essere colpiti. A volte, può capitare di diventare più duri in combattimento, se il compagno appare troppo sfiduciato o rinunciatario con lo scopo preciso di stimolarlo e aiutarlo a riprendersi. Generalmente ciò è compreso e apprezzato dall’altro.

     ■ lo «shiai» è il combattimento da gara in cui non solo è necessario colpire per il punto, ma anche evitare di farsi colpire. Così, se l’avversario sta per arrivare sulla testa, la si sposta a costo di scomporre la propria figura. Se l’avversario ci sta per colpire un punto al fianco, si può tirare giù il gomito per evitare il punto (si guadagna un gran bel livido, ma conosco chi l’ha fatto per salvare il risultato!). Se l’avversario è molto più debole, peggio per lui. È l’unico momento del «kendo» in cui tra i due opponenti esiste solo antagonismo e nessuna forma di collaborazione.

 

Siccome lo «shiai» tende a produrre un «kendo» più sporco, è praticato molto poco in allenamento (chi è contrario a far diventare il «kendo» più marcatamente uno sport, teme fra l’altro che, aumentando l’importanza dello «shiai», si peggiori proprio la qualità della disciplina). È normale invece finire ogni allenamento con un po’ di «jigeiko». Anche durante gli esami di passaggio di grado viene valutato solo lo «jigeiko» e non lo «shiai».

     A conti fatti, come si vede, la maggior parte del tempo è occupata non a vincere un avversario, ma a migliorare la propria tecnica in maniera collaborativa. Ci si sbaglia, perciò se s’immagina un allenamento di «kendo» come una zuffa incontrollata d’invasati picchiatori, il cui unico scopo è fare male a chi sta davanti.

 

Concentrazione e autocontrollo

     Bisogna inoltre tenere in considerazione che la scherma in generale (anche quell’occidentale) richiede molto autocontrollo. Infatti, le tecniche per essere efficaci devono essere portate con precisione e all’istante corretto. Le reazioni scomposte, che a volte può capitare d’avere per eccesso d’aggressività (o al contrario di paura), danno scarsi risultati in fatto di corretta esecuzione (e quindi di punteggio, dato che valgono solo le tecniche «pulite»).

     Tempo fa, un compagno in palestra raccontava che ha scelto di praticare «kendo», perché lui è una persona molto aggressiva. Siccome questo tipo di sport obbliga a trattenersi per essere eseguito bene, lo aiuta proprio nell’autocontrollo. Non ne avevo parlato nel precedente contributo, perché a me, come cristiana, non interessa imparare l’autocontrollo da uno sport, ma farmi trasformare dal Signore. Però è evidente che non si può accusare questo sport d’incentivare l’aggressività, se c’è chi lo pratica proprio per cercare di controllarla.

     Non voglio con questo negare che ci possano essere arti marziali (o anche palestre di «kendo») in cui venga fomentata ad arte l’aggressività e la cattiveria degli atleti, però voglio far presente che l’equazione «sport da combattimento» = «cattiveria e aggressività» non è sempre corretta. Come già ho scritto nel precedente contributo, ho visto cose ben peggiori sui campi da calcio.

     Mi si permetta a questo punto un’ultima annotazione che spero non risulti polemica. Mi stupisce sempre che in ambito cristiano si sente tante volte dire che «bisogna usare la verga con i figli» e poi ci si scandalizza se per sport degli adulti di mutuo accordo si tirano due bastonate su un’armatura ben imbottita. Insomma, non c’è un po’ di contraddittorietà tra i due atteggiamenti? Chi vede una violenza inaccettabile in un combattimento sportivo regolamentato come fa a leggere il libro di Giosuè? Non c’è sproporzione?

 

Risposta ad alcune questioni

     Per quanto riguarda l’autodifesa, vorrei far presente che non tutte le arti marziali hanno una ricaduta a favore dell’autodifesa. La mia, per esempio, non dà molto in questo senso (a meno di non voler andare in giro con una «katana»!), perciò non viene evidentemente praticata con questo fine.

     In quanto ai riflessi buoni, essi non servono solo per andare in giro a staccare orecchie alla gente, ma possono essere molto utili in automobile, per esempio.

     Per quanto riguarda il problema di mantenersi puri, evitando contagi con filosofie e idoli orientali, come avevo già scritto nel precedente contributo, occorre discernimento. Ad esempio, la disciplina complementare al «kendo» è lo «iaido»: insegna l’estrazione della «katana» e il taglio. Essendo eseguito con spade vere, non prevede combattimento. Molti «kendoka» lo praticano, perché migliora il controllo della spada. Semplificando molto, da quello che ho capito informandomi, diciamo che dell’uso della «katana» il «kendo» è la pratica, lo «iaido» è la filosofia. Ma proprio per questa sua caratteristica è inzuppato di religione zen. Perciò ho preferito non provare neanche, anche se so che mi sarebbe molto utile dal punto di vista tecnico.

 

Alcune questioni degli sport occidentali

     Se quest’attenzione è necessaria con le arti marziali, tuttavia, a mio avviso, essa è d’obbligo anche con gli sport occidentali. Infatti, tralasciando del tutto la questione dell’origine pagana e militare di molti nostri sport (a Maratona non c’era un convegno di cristiani pacifisti!), non vorrei che nella giusta preoccupazione d’evitare gli idoli stranieri, ci buttiamo senza considerazione negli idoli moderni di casa nostra: il successo e la vittoria a tutti i costi (anche imbrogliando o con il doping) e la perfezione fisica (andando incontro all’anoressia o all’uso d’anabolizzanti).

     Non sono problemi così lontani, come può sembrare, o limitati solo ai professionisti, perché l’uso di sostanze per gonfiare i muscoli o migliorare le prestazioni è notoriamente diffuso anche a livello amatoriale. Ed è noto che alcune scuole di danza pesino regolarmente le adolescenti per obbligarle a rimanere longilinee con conseguenze anche gravi sull’accettazione di sé e l’insorgere di disturbi alimentari.

     Ci si potrebbe trovare facilmente coinvolti in casi di coscienza anche con uno sport tradizionale. Ad esempio, un cristiano, che si mantiene pulito non assumendo doping, come si deve comportare se vede un compagno di squadra che invece ne prende? Parlare con lui, con l’allenatore, con il responsabile della società sportiva o denunciarlo direttamente all’autorità giudiziaria?

     Se è nostro figlio a praticare uno sport in una società sportiva, la vigilanza e il dialogo, a mio avviso, non dovranno essere inferiori che se pratica un’arte marziale. Nello sport occidentale esiste infatti il discreto rischio che gli vengano offerte sostanze malsane.

     Ci sono poi anche degli altri problemi che possono turbare la serenità d’un cristiano e si manifestano di più negli sport tradizionali che nelle arti marziali:

     ■ L’uso d’un linguaggio osceno (e a volte addirittura la bestemmia) è abbastanza frequente durante gli allenamenti e le gare. Nelle arti marziali l’etichetta piuttosto rigida previene generalmente il problema almeno dentro la palestra; con questo non intendo dire che appena uscite certe persone non torneranno immediatamente a un linguaggio deprecabile, ma almeno non obbligheranno i compagni a sentirlo durante l’allenamento.

     ■ Quando la divisa (o il costume di scena nel caso della danza) è imposta, facilmente l’abbigliamento sarà più succinto di quello che un cristiano sceglierebbe. Gli abiti tradizionali giapponesi sono più che decorosi.

     ■ In un normale campo da calcio regna l’assoluta mancanza di rispetto reciproco: l’allenatore insulta normalmente l’arbitro e talvolta i propri giocatori, i giocatori protestano continuamente contro le decisioni dell’arbitro e spesso anche contro quelle del proprio allenatore, tra giocatori avversari oltre agli insulti volano a volte spintoni. Ricordo d’aver visto volare delle bottiglie d’acqua dalla panchina per colpa d’un allenatore che l’autocontrollo non sapeva minimamente cosa fosse! Nel «kendo», non so neanche come venga sanzionata una protesta eccessiva nei riguardi d’una decisione arbitrale, tanto sarebbe anormale un comportamento del genere.

 

Aspetti conclusivi

     Non voglio invitare tutti a iscriversi a un corso d’arti marziali; infatti io stessa ho evidenziato che bisogna verificare caso per caso se è giusto farlo e a volte è meglio rinunciare. Quello che vorrei solo sottolineare è che non esiste uno sport occidentale puro e l’arte marziale impura, ma che entrambi gli ambienti, essendo gestiti e praticati soprattutto da non credenti, presentano delle insidie a cui bisogna stare molto attenti. {12 novembre 2009}

 

 

4. {Emanuele Proietti}

 

Vorrei innanzitutto precisare che quando ho detto che in combattimento usavo la cattiveria, era in realtà una sensazione personale che ho incominciato a provare solo arrivato a cintura nera, quando ho cominciato a combattere con gente di gran lunga più forte di me, cosa che non ho provato alle cinture inferiori e successivamente praticando Judo. Ho comunque conosciuto credenti che non potrebbero fare Judo e credenti che sono cinture nere di Karate e altre discipline e non hanno avuto questo problema riuscendo, come me a conciliare lo sport con il fatto d’essere credenti, senza fare compromessi; ovviamente sia io che loro tralasciavamo la parte filosofica.

     Affrontiamo ora la cosa dal punto di vista biblico. Le arti marziali, come detto più volte, si dividono in una parte filosofica e una parte fisica. La parte filosofica, a parte il «combattere solo per difesa», è tutta da scartare; ma le palestre, che ho visto io, di filosofico non c’era nulla. Quando facevo «Tae kwon do», il maestro ha provato una volta a fare una lezione a partecipazione volontaria di meditazione… non c’è andato nessuno, e la palestra era frequentata di più di 80 persone. Nello Judo invece il maestro era ateo; gli inchini in entrambi i casi si facevano solo quelli standard all’entrata per salutare chi c’era, l’avversario e l’eventuale giudice; quindi se uno cerca un po’… e neanche più di tanto, di palestre che insegnano solo la parte sportiva, se ne trovano quante se ne vogliono. Quindi se è possibile separare lo sport dalla filosofia, rimane solo da vedere cosa dice la Bibbia sulla lotta.

     ■ «Ma ora, chi ha una borsa, la prenda; così pure una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Luca 22,36). Gesù dice di prendere una spada; resta implicito che se si ha un’arma, si deve essere capaci a utilizzarla e, se necessario, anche pronti a farlo, ovviamente come ultima istanza.

     ■ «Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria» (1 Corinzi 9,26). L’esempio di Paolo è sulla box, uno sport di lotta, non condannato da Paolo, anzi utilizzato per un importante insegnamento.

     ■ «Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: “E noi, che dobbiamo fare?” Ed egli a loro: “Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga”» (Luca 3,14). Giovanni non dice ai soldati di cambiare mestiere, ma solo di comportarsi onestamente, è più che logico che come soldati s’allenassero nel combattimento.

     ■ A Cornelio, centurione romano, non gli viene detto di cambiare mestiere, è logico che anche lui s’allenasse e facesse allenare nella lotta (Atti 10,1-48).

     ■ Dio non ha mai condannato Davide perché si allenava nella lotta o perché ha ucciso in guerra, ma solo perché ha commesso un omicidio.

 

Alla luce di questi passi a mio avviso sembra che la forza è l’ultima delle possibilità, tuttavia non vedo che la Bibbia la escluda, né come allenamento, né l’utilizzo se si rende necessario di difendere noi o qualcuno che è in pericolo. Inoltre parlando in generale di sport la Bibbia non ne vieta la pratica né la mette in alternativa alla vita spirituale, anzi se vogliamo la palestra è un ottimo posto per testimoniare (nelle palestre d’arti marziali e d’altri generi ho testimoniato non poco). E se vogliamo, la Bibbia è favorevole a qualcosa che porta beneficio al fisico, senza andare contro le leggi di Dio; e di fatto lo sport è salutare per il corpo e, a seconda di come è fatto e degli obbiettivi che uno si prefissa, non presenta controindicazioni nella Bibbia. {12-11-2009}

 

 

5. {Nicola Martella}

 

Faccio solo qualche nota aggiuntiva di chiarimento al contributo precedente.

     ■ Riguardo a Luca 22,36, faccio notare che in tale brano è evidente che Gesù parlasse qui spiritualmente e non materialmente, visto che subito dopo, avvenne la seguente scena: i discepoli dissero: «“Signore, ecco qui due spade!”. Ma egli disse loro: “Basta!”» (v. 38). È probabile che qui Gesù, affermando «chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» usasse un detto popolare o comunque intendesse: «Ora le cose si fanno serie; preparatevi al peggio» (cfr. v. 37). Inoltre, nel Getsemani Gesù rimproverò Pietro, il quale aveva frainteso le parole del suo Maestro e la spada se l’era portata e l’aveva usata (vv. 49ss).

     ■ All’inizio di 1 Corinzi 9,26 Paolo, parlò anche della corsa, oltre che poi di pugilato.

     ■ Davide cantò di Dio come suo allenatore: «Egli ammaestra le mie mani alla battaglia e le mie braccia tendono un arco di rame» (2 Sm 22,35 = Sal 18,34). «Benedetto sia l’Eterno, la mia rocca, che ammaestra le mie mani alla pugna e le mie dita alla battaglia» (Sal 144,1). È probabile che Elifaz di Teman facesse riferimento proprio all’allenamento fisico come metafora, quando usò con Giobbe le seguenti parole in senso morale: «Ecco tu ne hai ammaestrati molti, hai fortificato le mani stanche; le tue parole hanno rialzato chi stava cadendo, hai raffermato le ginocchia vacillanti» (Gb 4,3s).

     Chiaramente, sebbene oggigiorno la nostra battaglia è spirituale, ciò non significa che non possiamo allenarci anche fisicamente al combattimento e al tiro all’arco.

 

 

6. {Stefano Frascaro}

 

Penso che si sia persa di vista la domanda principale del tema, ovvero: «È buono per un credente praticare delle arti marziali?».

     «Cicero pro domo sua»! È chiaro che ognuno tiri l’acqua al proprio mulino, ma a parte gli interventi di Maurizio e Fausto (con i pro e i contro per ognuno) nessuno, io per primo, ha passato lo sport praticato «al colino» della Parola di Dio.

     Da quanto ho letto, sono giunto alla conclusione che un credente non può praticare uno sport a livello agonistico. E questo, a prescindere che si tratti d’arti marziali o meno, poiché qualsiasi sport mira alla sconfitta dell’avversario. Chi pratica lotta greco romana, boxe o lotta libera, usa il corpo per vincere l’avversario in maniera diversa di chi fa ciclismo o atletica leggera, ma il fine che devono raggiungere è lo stesso, ovvero la sopraffazione di chi si ha davanti. E più c’è differenza tra primo e secondo e più il vincitore è contento. E se c’è un vincitore c’è anche lo sconfitto! Certo, nelle arti marziali c’è in più «l’aggravante» della filosofia di base, ma questa è appunto un’aggravante.

     È chiaro che Irene troverà tutti i lati positivi nel «Kendo», per l’eleganza, la grazia, l’autocontrollo che impone a chi lo pratica, ma sempre d’un «combattimento» contro un avversario, per quanto protetto da materassi, si tratta! Per crescere di cintura (se esiste nel «Kendo») sempre combattimenti devono essere fatti. E quei combattimenti tendono (o tendevano) a neutralizzare l’avversario. Stessa cosa vale per il Karate di Simone o Marco, e per lo «Judo» o il «Rugby» che praticavo (poiché anche in questo gioco, che per il suo «fair play» è denominato uno «sporto da macellai praticato da signori», vale il principio di sconfiggere l’avversario) e per l’atletica. Il fine è sempre lo stesso: Sii superiore e sconfiggi chi hai davanti.

     È del tutto diverso dal combattimento per cui dobbiamo impegnarci e che l’apostolo Paolo ci ricorda (Ef. 6,12), dal combattimento che dobbiamo sostenere per i nostri fratelli (Col 2,1), da quello che dobbiamo affrontare per la nostra fede (1 Tm 6,12) per giungere alla fine e poter dire abbiamo combattuto il buon combattimento, abbiamo finito la corsa e conservato la fede (2 Tm 4,7). {13 novembre 2009}

 

 

7. {Nicola Martella}

 

È chiaro che ogni tema nuovo porti con sé un certo e amplio discorso, specialmente se nuovo, prima di arrivare a rispondere in modo differenziato e saggio a una domanda, anche per non banalizzare e per non estremizzare le risposte. Su questioni del genere lo scopo di un confronto su «Fede controcorrente» non è tanto quella di arrivare a una uniformità di convincimenti, ma di presentare tutte le varie sfaccettature della questione, sforzandoci di metterle su una base scritturale. Così ci si ammaestra a vicenda e si matura insieme, evitando estremismi e massimalismi di vario genere.

     Perciò non mi sento di essere intransigente come Stefano, anche perché egli, al momento della stesura del suo attuale scritto, non conosceva ancora il secondo contributo di Emanuele Proietti né il mio, che segue a esso. Io come moderatore ho fatto sempre osservazioni e obiezioni, cercando di indirizzare il discorso sui principi biblici e correggendo il tiro dei miei interlocutori (si vedano le risposte Stefano Frascaro e a Fausto Gaeta e le domande fatte a Maurizio Marino, che restano ancora senza risposta). I contributi dei lettori sono come i figli: si accettano così come arrivano e si cerca di migliorarli come si può.

     Non condivido le conclusioni, secondo cui un credente non possa praticare uno sport a livello agonistico, qualunque esso sia. Le motivazioni le ho già espresse precedentemente, quindi non le ripeto. Penso che ogni credente abbia la sua vocazione e il suo mandato; rimando qui alle considerazioni fatte per la politica: se non si pensa in modo differenziato, si cade in massimalismi, che rappresentano prigioni mentali. Non penso che i credenti debbano lasciare tale campo importante (sport, atletica, agonismo) semplicemente nelle mani di increduli, empi, ideologi, affaristi e quant’altri. Come è stato mostrato sopra, gli apostoli non parlarono male degli sport né li proibirono, ma al contrario li usarono come metafora positiva per la vita cristiana.

     Che in una gara ci siano vincitori e sconfitti, non significa che ci siano vivi e morti. Altrimenti non si potrà competere neppure a scacchi, a dama, a bocce, a tiro alla corda e a qualunque attività ludica, in cui ci si misuri individualmente o a squadre. Si può esprimere una preferenza o una riserva su un certo sport, ma penso che sia sbagliato «buttare via il bimbo con tutta l’acqua sporca», solo perché l’agonismo porta con sé che ci siano vincitori e vinti (non vivi e morti). Misurarsi con gli altri in uno sport (p.es. ciclismo, corsa, bocce) aiuta tutti a crescere e a tendere all’eccellenza, oltre che a favorire i rapporti sociali.

     Il combattimento spirituale è una priorità per il cristiano, qualunque cosa faccia e dovunque si trovi. È sbagliato contrapporlo al resto della vita, altrimenti i credenti usciranno dal mondo, lasciando molti aspetti della vita in mano a increduli e malvagi, diventeranno mistici, perdendo l’occasione di essere sia luce che sale. Di là dalle legittime preferenze sportive che si possono avere, non mi sento di condividere una tale visione manichea della vita, che dica un no assoluto, dove la Scrittura non lo fa. Paolo aveva amici fra importanti politici e magistrati (At 19,31) e c’erano credenti anche nella casa di Cesare (Fil 4,22). Egli, come ricordato, usò alcuni sport del suo tempo come metafora, senza quindi condannarli.

     Il problema si pone per lo sport come per qualunque attività umana, quando diventa una sorta di «religione sostitutiva», da cui si è dipendenti. Al riguardo e per alcuni principi d’orientamento rimando all’articolo «Etica della fede nel mondo». Si veda al riguardo anche l’articolo «L’etica della libertà e della responsabilità».

 

 

8. {Vincenzo Russillo}

 

Etica e sport: quale via scegliere?

 

Un cristiano realmente fedele alla Parola di Dio, si trova a compiere una moltitudine di scelte. Nella Bibbia non ci vengono dati chiari comandi per ogni situazione. Allora quale via scegliere?

     Certamente le basi di un’etica cristiana, li possiamo trovare in questi versetti: «Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria. Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria. Per queste cose viene l’ira di Dio sugli uomini ribelli» (Colossesi 3:1-6).

     Quando però una questione non viene chiaramente affrontata cosa bisognerebbe fare? Un motivo di discordia può essere la pratica di sport violenti. Innanzitutto penso che tutti gli sport presentano motivi di scorrettezza, pensiamo ad esempio al calcio o al rugby, ma anche al doping in sport dove non esiste il contatto fisico. Detto questo, un cristiano può far certamente dello sport non per vanità, ma tener in forma il proprio corpo, per predicare la Parola di Cristo, pur tenendo conto che lo sport non diventi un idolo come avviene per molti tifosi.

     Nella fattispecie andando a considerare gli sport dove avviene il contatto fisico, si potrebbe obiettare che il principale scopo per arrivare alla vittoria è prendere a calci e pugni l’avversario. Tutto ciò potrebbe essere vero anche se esistono dei regolamenti ben precisi, per cui si devono seguire regole di correttezza e di lealtà. Quindi mi chiederei sbagliava Paolo a far riferimento alla boxe in Corinzi 9,24-27? Di certo la Bibbia non ci dice nulla sulla pratica di questo tipo di sport. Quindi sarebbe bene che ogni cristiano agisse secondo coscienza.

     Bisognerebbe però fare alcune distinzioni, ad esempio nelle arti marziali vi è sì il contatto fisico, ma non si vuole la «distruzione dell’avversario»; in secondo luogo viene insegnato ad usare le proprie conoscenze solo per difendersi e mai per offendere. Ci sono, invece, altri tipi di sport che incitano alla violenza; penso ad esempio al Wrestling o all’MMA (Arti Marziali Miste), molto diffusi negli USA, in cui l’obiettivo è quello di ferire l’avversario, usando qualunque tecnica di lotta estrema. Di certo la Bibbia non ci dà dei chiari comandi al proposito, anche se sul piano educativo si potrebbe obiettare che sono poco educativi tali sport e viene insegnata esclusivamente la violenza.

     Lo sport è competizione ma un cristiano deve sicuramente comportarsi correttamente.

     La lotta appare anche nell’AT, a voler essere proprio pignoli: «Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba; quando quest’uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura dell’anca, e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui» (Gn 32,24s [N.d.R.: Qui si trattava addirittura di una teofania divina!]). Sebbene con questi versetti non voglia prendere la difesa delle arti marziali o sport affini, lascerei la scelta a ogni buon credente, incoraggiandolo a fare tutto alla gloria di Dio (1 Cor 10:31) e a essere un testimone irreprensibile di Cristo (1 Pietro 3,15). {14-11-2009}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Arti_marziali_orient2_Mds.htm

11-11-2009; Aggiornamento: 15-11-2009

 

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