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1.Entriamo in tema
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2. Gli apostoli nel Nuovo Testamento
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3.
Approfondiamo la questione
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4. La situazione odierna
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5. Alcune conclusioni
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6.
Una tesi da discutere (a cura del redattore) |
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1. ENTRIAMO IN TEMA: Parlare oggi, in alcuni ambienti ecclesiali di apostoli all’interno della
chiesa, sembra alquanto azzardato e provocatorio. Molto spesso, infatti tale
argomento viene sollevato o per fare della polemica con chi di questo argomento
ne fa una bandiera, oppure per «attaccare briga» su argomenti che in fondo, agli
occhi dei più, potrebbero sembrare di semplice soluzione o di poca importanza.
Con questa mia breve ricerca, invece, vorrei mettere da parte ogni tentativo
polemico e critico per giungere ad una soluzione che possa essere utile alla
chiesa italiana del 21° secolo. Questo mio scritto parte da una semplice
evidenza: nel Nuovo Testamento si parla spesso di apostoli e del loro ministero,
come mai, dunque, all’interno delle nostre chiese se ne parla così poco? Perché
esistono così pochi scritti su tale argomento? Non rischiamo forse di privarci
di qualcosa di importante visto che nel Nuovo Testamento si fa così larga
menzione di tale argomento? Se fosse così, riscoprire la figura dell’apostolo e
delle sue funzioni oggi, non potrebbe essere utile alla chiesa odierna per avere
una nuova spinta nel suo mandato?
Tendenza umana molto
evidente, ma che può essere anche deleteria, è quella di evitare alcuni discorsi
per paura di esporsi troppo, da cui molto spesso ne consegue che, per paura di
non cadere in un estremo, si rischia di cadere dall’altro. È famoso, a tal
riguardo, l’esempio che fa C.S. Lewis nell’introduzione alla sua opera «Le
lettere di Berlicche»: «Vi sono due errori, uguali ed opposti, nei quali la
nostra razza può cadere nei riguardi dei diavoli. Uno è di non credere alla loro
esistenza. L’altro di credervi e di sentire per essi un interesse eccessivo e
non sano. I diavoli… salutano con la stessa gioia il materialista e il mago».
Oltre a questo mi passano per la mente altri esempi meno letterari e forse più
banali: per paura di dare ragione ai cattolici non parliamo dell’importanza di
Pietro all’interno della cerchia dei 12, oppure, per non sembrare troppo
carismatici, cerchiamo di parlare meno possibile dei doni dello Spirito Santo,
oppure ancora, evitiamo di parlare di Regno di Dio, per non venir scambiati per
testimoni di Geova. Maria, poi, quando diceva di sé che tutte le nazioni
l’avrebbero chiamata beata (Lc 2,48), probabilmente non considerava il mondo
evangelico! Con questo atteggiamento si rischia di restringere la nostra visuale
e il nostro campo d’azione, mettendoci dei «paraocchi spirituali» che non ci
fanno vedere quello che esula dal nostro orizzonte spirituale, oltretutto
impedendoci di avere una crescita sana ed equilibrata alla statura perfetta
di Cristo (Ef 4,13).
Temo che la
ritrosia a parlare del tema «apostoli» sia legato alla paura di non dare ragione
a chi afferma nel proprio credo che la chiesa è «Apostolica»: e se, invece,
fosse veramente così? Naturalmente questa ricerca vorrà anche smascherare alcuni
errori frequenti nell’interpretazione biblica quali: l’uso – o abuso – in certi
ambienti del termine «apostolato» per significare ogni attività di
evangelizzazione o di testimonianza, oppure all’altro estremo, la
caratterizzazione dell’apostolo esclusivamente quale uno dei dodici discepoli
scelti da Gesù. Ora, è certamente vero che a questi per primi fu dato il titolo
di «apostolo» (Lc 6:13); ed è ai Dodici che – reintegrato il numero originale,
dopo il tradimento di Giuda Iscariota (At 1:20-26) – è stata riservata una
posizione particolare nel piano eterno di Dio. Infatti Gesù disse loro: «Quando
il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi
avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù
d’Israele» (Mt 19,28). E, nel libro dell’Apocalisse, sui dodici fondamenti
della Gerusalemme celeste, troviamo scritti «i dodici nomi dei dodici
apostoli dell’Agnello» (Ap 21,14). Tuttavia, leggendo il Nuovo Testamento,
mi sembra abbastanza evidente che il titolo di «apostolo» non fu riservato
esclusivamente ai Dodici.
Ecco quindi lo
scopo che si prefigge questa ricerca: voglio tentare di approfondire questo tema
in maniera il più possibile critica, alla luce della parola di Dio, cercando di
utilizzare al meglio i brani che trattano questo argomento per vedere se, anche
oggi, possa esistere e possa essere utile alla chiesa del nostro secolo qualcuno
con la funzione di apostolo.
Mettiamo dunque
da parte tradizioni e pregiudizi, e facciamo come i Giudei di Berea. Anch’essi
infatti sentivano annunciare da Paolo e Sila un messaggio che suonava nuovo,
strano e in alcuni punti apparentemente blasfemo: che il Messia era venuto, ma
che era stato crocifisso come un delinquente. Non per questo, tuttavia,
rifiutarono di ascoltare; anzi, «esaminarono ogni giorno le Scritture per
vedere se le cose stavano così» (At 17,11).
▲ 2.
GLI APOSTOLI NEL NUOVO TESTAMENTO
2.1. IL TERMINE APOSTOLO: Per una dissertazione su questo
tema penso sia fondamentale scoprire l’origine di tale termine, non solo per
puro piacere di sondare nell’etimologia, pratica a volte non sempre utile e a
volte fuorviante, ma perché ritengo che in questo caso possa essere utile per
dare il peso giusto a questo termine nel Nuovo Testamento.
È interessante notare che questa parola, nel greco
classico, ha un significato estremamente limitato ed è inserito solamente nel
contesto della navigazione e nella LXX, col significato di «inviato», compare
solamente una volta (1 Re 14,6) e traduce il termine ebraico šaliach,
vedremo più avanti il valore di tale circostanza. [K.H. Rengstorf, «apostello»,
Grande lessico del Nuovo Testamento (Paideia, Brescia 1965), vol.
1, pp. 1088-1094] Perché, quindi, un termine così poco comune nel greco, ricorre
ben 80 volte nel NT, se non fosse per dargli un nuovo senso e farlo assurgere a
termine tecnico con un peso ben superiore nel mondo cristiano?
È interessante notare come questo termine venga usato
in due sensi principali nel NT: in una cosiddetta «accezione solenne», per
indicare una persona con un’autorità divina come in 1 Cor 1,1 e in un’altra come
«messaggero, delegato» come è evidenziato ad esempio in 2 Cor 8,23. [P.W.
Barnet, «apostolo», Dizionario di Paolo e delle sue lettere
(San Paolo, Cinisello Balsamo, MI, 1999), pp. 109-111] Non mi dilungherò su
questo aspetto perché il taglio che si prefigge questo mio scritto vuole essere
essenzialmente pratico e attuale e, temo, che l’approfondimento dell’etimologia
potrebbe sviare dal mio obbiettivo. Come detto in introduzione, il mio scopo è quello di
vedere se anche oggi possa esistere la funzione apostolica e quindi cercherò di
sviscerare entrambe queste accezioni perché entrambe ritengo dovrebbe possederle
un apostolo oggi. Inoltre non ci si deve stupire se userò come fonti bibliche
principali le lettere di Paolo in cui il termine ha entrambi i significati e
non, ad esempio, i brani di Luca in cui il termine appare molto spesso, ma
evidentemente riferito solo ai 12, dei quali come detto, non mi voglio occupare
in questa sede poiché non ritengo possano inserirsi nello scopo della mia
ricerca data la loro posizione particolare nel piano eterno di Dio: la mia
analisi considererà se c’è la possibilità che anche oggi esistano
apostoli e, quindi, è chiaro che i Dodici vengono esclusi dal mio obiettivo. I
Dodici occupano una posizione unica ed irripetibile, come testimoni oculari
della vita di Cristo, garanti della fedeltà al suo insegnamento e proclamatori
del messaggio che avevano visto incarnato e praticato da Lui. La chiesa che
verrà dopo dovrà misurare ogni rivelazione e ogni insegnamento con la «pietra di
paragone» del messaggio trasmesso dai Dodici, così come ci è provvidenzialmente
conservato nel Nuovo Testamento.
2.1.1. APOSTOLO COME MESSAGGERO O DELEGATO:
In Paolo si trovano due brani
in cui il termine viene usato in questo senso. [Barnet,
p. 113] La prima,
in 2 Cor 8,16-24, quando Paolo, dalla Macedonia, scrive ai Corinzi per avvisarli
che sarebbero arrivati due cari fratelli assieme a Tito per far progredire la
colletta da inviare alla comunità di Gerusalemme. Paolo li definisce
apostoloi delle chiese, inviati quindi con un incarico di collegamento
fra esse.
La seconda volta che Paolo usa questo termine, sta
scrivendo dal carcere di Roma alla chiesa di Filippi e li avverte che avrebbe
mandato loro Epafrodito malato. Egli, leggiamo in Fil 2:25, era un apostolos
della chiesa di Filippi per venire incontro alle necessità di Paolo in carcere,
quindi anche qui notiamo il carattere di delegato che ha l’apostolo.
Tale significato dell termine, ci sembra piuttosto
accreditato e scontato nelle chiese del primo secolo e tale naturalezza a questo
significato, potrebbe nascere proprio perché tale era il senso del termine
šaliach per la cultura ebraica e Paolo potrebbe aver tratto questa
concezione dalla pratica giudaica per inserirla nella chiesa: esso infatti era
un messaggero, in particolare con riferimento a una commissione legata a Dio. [J.
B. Lightfoot, The Epistle of St. Paul to the Galathians
(Zondervan, Grand Rapids 1982), pp. 93s] Non ci stupisce quindi che
questo significato venga utilizzato dai fratelli delle chiese del primo secolo.
Dico questo, anche per il fatto che l’apostolo in questo senso, non deve essere
visto come un semplice messaggero senza una particolare autorità: applicato a
una persona esso denota più che un
anghelos «inviato, messaggero». L’apostolo, come del resto lo šaliach,
non è un semplice messaggero, ma è il delegato responsabile della persona che lo
manda e da lui riceve una forte responsabilità. [Lightfoot,
p. 92]
2.1.2. APOSTOLO NELL’ACCEZIONE SOLENNE:
Con questa definizione, mi riferisco al termine utilizzato nel maggior numero
dei casi nelle lettere, non solo di Paolo e lo attingo direttamente
dall’articolo di Barnet nel «Dizionario di Paolo e delle sue lettere». Esso è
strettamente legato alla missione data da Cristo stesso a una persona. I brani
in cui compare questa sfumatura sono molti. Paolo si definisce sempre tale (Gal
1,1; Ef 1,1; Col 1,1 1 Tm 1,1), ma anche Pietro (1 Pt 1,1; 2 Pt 1,1) e cosi pure
Sila e Timoteo vengono definiti tali da Paolo (1 Ts 2,6). Da questi brani,
scaturisce chi è il vero mandante dell’apostolo.
In questo senso deve essere collocato il brano di At
13,1-3, in cui lo Spirito Santo stesso chiama a essere messi a parte per il suo
servizio Paolo e Barnaba, avvenimento al quale la chiesa di Antiochia non può
che sottostare e accettare passivamente: vedremo più avanti l’importanza anche
di questo aspetto. A tal proposito, dunque, non concordo con la visione di
Rengstorf, secondo cui i due sono mandati dalla chiesa di Antiochia, volendo
sottolineare una sottomissione dei due alla volontà di essa. [Rengstorf, p.
1131.] Mi sembra infatti che, eventualmente, nella storia dei primi viaggi
missionari di Paolo, egli sia più legato alla comunità di Gerusalemme e non
mostri mai un particolare legame alla comunità antiochena.
▲ 3.
APPROFONDIAMO LA QUESTIONE
3.1. SOLO
I DODICI?: Con
questo paragrafo è lontano da me il desiderio di polemizzare con chi ritiene che
l’apostolato sia da riferire solo ai 12 e, al limite a Paolo: come detto
nell’introduzione non è mia intenzione fare «teologia negativa», basando le mie
affermazioni sulla «protesta» a una linea dottrinale, ma riferirmi il più
possibile alle evidenze scritturali.
In Atti 14:1-7, quando Paolo e Barnaba si trovavano a
Iconio, la predicazione dell’Evangelo causò parecchio scompiglio all’interno
della comunità ebraica, come del resto succedeva spesso, ma in quella
circostanza vediamo che la popolazione era divisa: da una parte coloro che
parteggiavano per i Giudei, dall’altra (14,4) coloro favorevoli agli «apostoli»:
dal contesto immediato del brano è abbastanza evidente che con questo termine ci
si riferisce proprio a Paolo e Barnaba. La Scrittura è ancora più esplicita
quando definisce i due: «gli apostoli Paolo e Barnaba» (At 14,14). [Lightfoot,
p. 96]
In 1 Cor 4,9 si legge «Poiché io ritengo che Dio
abbia messo in mostra noi, gli apostoli…». Chi sono in questo caso?
Naturalmente Paolo si sta riferendo a se stesso, ma evidentemente sta associando
qualcun altro a sé: chi? Non mi sembra azzardato accettare l’ipotesi che ci si
possa riferire ad Apollo, citato pochi versetti prima, o a Sostene, co-autore
della lettera, se non a entrambi. [Watchman Nee, La normale vita di chiesa
(Der Strom, Stoccarda 1997), p. 49]
In Rm 16,7 vengono citati due certi Andronico e Giunia,
i quali si sono segnalati fra gli apostoli. È opinione comune, ritenere che essi
non siano stati semplicemente ritenuti eminenti dagli apostoli, ma siano
stati essi stessi tali. [Watchman Nee, p. 50; Barnet, p. 114;
Lightfoot, p. 96]
In 1 Ts 2,6, si parla dell’autorità che potevano far
valere come apostoli gli autori di questa lettera, ossia Paolo, ma anche Timoteo
e Silvano.
Ho già parlato in precedenza di Epafrodito che poteva
far suo questo titolo e fin qui ho citato solo gli apostoli di cui possiamo
conoscere il nome, ma possiamo vedere che il numero cresce ancora di più se
facciamo riferimento a un brano piuttosto interessante in questo senso: 1 Cor
15,5-7. In quel brano si legge che Gesù, dopo la sua
resurrezione «apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento
fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni
sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli…». È chiaro che
in questo caso gli apostoli non sono i Dodici di cui Paolo parla al versetto 5,
ma altri rispetto a loro.
Ma a questo punto sorge anche un altro problema: il
brano prosegue e Paolo in quel contesto si definisce l’ultimo degli apostoli.
Per alcuni , questo significa che Paolo ritiene concluso con lui la funzione
apostolica e lui è l’ultimo in ordine temporale fra gli apostoli e dopo di lui
non ci potrà essere nessun altro. [Barnet, p. 113] Questa affermazione, basata
solo su questo brano, mi sembra piuttosto leggera e alla luce di altri brani non
mi sembra molto sostenibile.
Innanzitutto Paolo in quel brano sta dicendo che lui si
ritiene l’ultimo in quanto a valore: si ritiene come l’aborto e il minimo fra
tutti. Inoltre non potrebbe affermare ciò se, alla luce dei brani presi in
considerazione in precedenza, considera apostoli anche Apollo, Timoteo,
Epafrodito dei quali non possiamo essere certi che lo siano diventati prima di
lui, anche se azzarderei un no, viste le loro vicende raccontate in Atti.
3.2. ASPETTI DI ECCLESIOLOGIA: A questo punto penso sia
doveroso da parte mia proporre una tesi che vorrei sostenere da qui in poi:
ritengo che gli apostoli dovrebbero, anche oggi, trovare spazio
nell’ecclesiologia moderna.
3.2.1. LA NECESSITÀ DEGLI APOSTOLI: Dato quindi per appurato il fatto che
nel Nuovo Testamento si parla di apostoli, ora è importante vedere quale peso
dovrebbero rivestire all’interno del «corpo di Cristo». I brani che a questo si
riferiscono maggiormente sono sicuramente 1 Cor 12,28-30 e Ef 4,11-15. In essi
Paolo parla di doni dati per l’edificazione della chiesa e qui, come doni, non
si legga
carismi, ma persone; persone che, con i loro
carismi devono farci giungere «all’unità della fede», «alla piena
conoscenza del Figlio di Dio». Balza agli occhi di tutti che in questi brani
gli apostoli – non parlerò dei profeti – hanno un ruolo di privilegio, superiore
agli evangelisti, ai pastori e ai dottori, se confrontiamo anche i brani di Ef
2,20 e 3,5. [H.W. Hoener, «Efesini», in J.F. Walwoord - R B.Zuck (cura di),
Investigare le Scritture (La casa della Bibbia, Torino 2002), pp. 670s] Il
contesto parla chiaro: si parla di corpo di Cristo, si parla di chiesa, si parla
di membra che sono parte integrante di quel corpo. Non trovo evidenze
scritturali che mi facciano pensare all’inutilità e alla cessazione oggi di tali
funzioni all’interno della chiesa: se poi parliamo di quelle che sembrano essere
le funzioni principali, da ciò che dice Paolo, mi convinco del contrario.
Naturalmente non accetto neppure la contestazione di chi dice che in quei brani
si sta parlando di un periodo storico in cui la chiesa aveva bisogno di maggiore
spinta per il suo avanzamento, di cui oggi non si trova la necessità. Anche su
questo punto, soprattutto riflettendo sulla crescita della chiesa oggi in Italia
ad esempio, mi convinco sempre più del contrario, alla luce soprattutto dei dati
che ora mostrerò, che evidenziano una chiara difficoltà da parte della chiesa
italiana di «fare breccia» sul territorio.
3.2.2. LE FUNZIONI DEGLI APOSTOLI: In sostanza, quindi, cosa facevano gli
apostoli nel periodo neo-testamentario? Da ciò che ho detto finora si possono
elencare almeno queste 5 funzioni:
■ L’apostolo era colui che fondava le chiese. ■ Nominava gli anziani.
■ Era uno stratega che sapeva prendere le decisioni
particolari alla luce di una strategia generale e sapeva vedere i problemi dalla
prospettiva delle loro possibili implicazioni per tutta l’opera di Dio.
■ Manteneva i contatti fra le chiese da lui fondate e
faceva da collante fra le varie località.
■ Lavorava insieme ad altri «operai» in un rapporto di
squadra.
▲ 4.
LA SITUAZIONE ODIERNA: Da quello che abbiamo visto finora, l’apostolo era il ministero
fondamentale della chiesa neotestamentaria. Non a caso l’unico libro storico del
Nuovo Testamento è intitolato «Atti degli Apostoli». Agli apostoli, infatti, è
legato lo sviluppo della chiesa primitiva: sono la chiave che dà unità alle
vicende narrate, quelli intorno ai quali si genera movimento e vita, i
catalizzatori degli altri ministeri: non nego che i protagonisti di questa fase
siano comunque i Dodici, ma la mia domanda è un’altra. Se la funzione di
apostolo era di così vitale importanza nei primi secoli della chiesa, come spero
di essere riuscito a sottolineare fin qui, si ritiene che la chiesa di oggi non
abbia bisogno di una funzione di tale portata? È verosimile o logico che oggi
non abbiamo bisogno di doni fondamentali come quello di apostolo, ma non
possiamo fare a meno di altri di minore importanza rispetto a quello? Se la loro
funzione era effettivamente rivolta a una fase, diciamo, costitutiva, della
chiesa, si ritiene implicitamente che la chiesa, italiana ad esempio, non debba
essere oggi «costituita» e stia navigando in modo indipendente ed equilibrato? È
finito quindi il periodo di costituzione della chiesa oggi? Naturalmente la mia
tesi non si vuole basare su argomenti per assurdo come quelli che ho appena
fatto, vale a dire affermando che è impossibile il contrario di quello che dico,
ma queste due domande sono comunque questioni che possono far riflettere in
maniera obiettiva sulla situazione odierna delle nostre chiese. Vorrei mostrare
qui di seguito alcuni dati presi dal sito internet
www.novetrentasette.it al 10 maggio 2006:
■ 2,000 località in Italia con una testimonianza
evangelica
■ 32,000 località in Italia senza una testimonianza
evangelica
■ 616 religioni ufficialmente presenti in Italia, per
non parlare delle religioni «fai-da-te»
■ 400 missionari stranieri in Italia
■ Pochissimi italiani attualmente in scuola biblica
(ancora meno quelli in missione)
■ Percentuale di credenti evangelici in Italia: meno
dell’1%
■ Percentuale di persone che non hanno ancora chiesto a
Dio perdono per i propri peccati: più del 99%
■ L’Italia è tra i paesi con la più bassa percentuale
di cristiani evangelici al mondo.
La chiesa italiana con la sua percentuale di credenti non ritiene di dover
ancora essere edificata? Si sente spesso dire, forse in maniera ironica, ma non
per questo meno veritiera che la chiesa in Italia è piccola ma ben divisa, non
si pensa che forse un buon anello di congiunzione fra le varie realtà ci viene
mostrato nella Bibbia?
▲ 5.
ALCUNE CONCLUSIONI: Come ci si rende conto e come anch’io mi rendo conto, questo mio breve
scritto non vuole tentare delle soluzioni semplici che rischierebbero di essere
semplicistiche a una questione, quale quella della scarsa crescita che stanno
avendo le chiese in Italia, che non può essere risolto in poche parole e che si
dimostra essere piuttosto complesso, ma spero sia riuscito a sollevare un
problema che, in generale viene poco considerato e che potrebbe avere una
qualche influenza positiva se affrontato in maniera serena.
Una critica che verrà fatta a queste brevi
considerazioni, è che così si presta il fianco a coloro che le useranno per
rafforzare la loro concezione prettamente carismatica e «apostolica». Il rischio
c’è sempre, ma spero che in Italia nasca al riguardo un sano dibattito teologico
che metta a fuoco la verità biblica e prenda distanza da tutte le
interpretazioni e manipolazioni di parte. Auspico quindi che il problema possa
essere ulteriormente approfondito eventualmente per trovare delle strategie
affinché il tema «Apostoli» non rimanga come tema di dibattito, ma come rampa di
lancio per strategie pratiche per una crescita più sistematica della chiesa in
Italia. Inoltre, penso sia compito del credente onorare chi si
adopera per la crescita del corpo di Cristo e quindi sia dovere di ogni singolo
credente riconoscere le persone che si dedicano a questo scopo in maniera
corretta e, secondo i dettami biblici, possa essere definito un apostolo.
▲ 6. UNA TESI DA DISCUTERE:
Questo articolo non è a camera stagna. Dopo la lettura e l’adattamento
redazionale dell’articolo, come redattore mi sento di porre alcune questioni per
la discussione, a cui invito i fratelli a partecipare. Eccone alcune qui di
seguito.
■ Non aver tradotto il termine greco apostolos
con un termine italiano corrispondente, ma averlo solo adattato ad «apostolo»
(cfr. così anche termini come
anghelos «inviato» (cfr. Ap 2-3) e profetes
«proclamatore»), non solo rende difficile la comprensione terminologica reale,
ma crea una serie di equivoci storici e dottrinali.
■ Il verbo greco apostolein «mandare con un incarico» fu reso in
latino con mittere «mandare», il cui sostantivo corrispondente era
missio -onis, termine da cui provengono in italiano «missione (incarico),
missionario (incaricato), messo (lat. missus
inviato), missiva (messaggio portato dall’inviato, messaggio»).
■ Che cosa ha a che fare il termine greco
apostolos con gli odierni missionari fondatori di chiese e di opere
particolari in Italia e nel mondo in vari campi (scuole, editoria, apologetica,
scuole bibliche, istituti ed istituzioni, ecc.)?
■ Perché le chiese locali italiane sono così ecclesiocentriche? Perché
riferiscono tutto a se stesse? Perché, ad esempio, alcune chiese locali
pretendono che missionari mandati da chiese estere debbano essere sottomessi a
loro, per poter collaborare insieme?
■ Basta essere sostenuti da una chiesa qualsiasi per un qualsiasi campo
(p.es. lavorare in una libreria) per essere chiamati «missionari»? Quali devono
essere le qualità del missionario, le peculiarità e gli obiettivi del suo
ministero?
■ Come rispondere ai «santoni» e «guru» carismaticisti, che volentieri si
fregiano — spesso a sproposito — del titolo di «apostolo»?
■ Non è sbagliato rispondere a un’esagerazione con una negazione assoluta
(che è un’altra esagerazione di segno contrario), come alcuni fanno, invece di
mettere a fuoco esegeticamente la vera portata dell’apostolato nel NT e, quindi,
oggi?
(Nicola Martella)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Apostoli_oggi_UnV.htm
2006, Aggiornamento: 07-08-2008
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