Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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APOSTOLI OGGI?

 

 di Francesco Bozzi

 

1.Entriamo in tema

2. Gli apostoli nel Nuovo Testamento

3. Approfondiamo la questione

4. La situazione odierna

5. Alcune conclusioni

6. Una tesi da discutere (a cura del redattore)

 

Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.

 

 

1. ENTRIAMO IN TEMA: Parlare oggi, in alcuni ambienti ecclesiali di apostoli all’interno della chiesa, sembra alquanto azzardato e provocatorio. Molto spesso, infatti tale argomento viene sollevato o per fare della polemica con chi di questo argomento ne fa una bandiera, oppure per «attaccare briga» su argomenti che in fondo, agli occhi dei più, potrebbero sembrare di semplice soluzione o di poca importanza. Con questa mia breve ricerca, invece, vorrei mettere da parte ogni tentativo polemico e critico per giungere ad una soluzione che possa essere utile alla chiesa italiana del 21° secolo. Questo mio scritto parte da una semplice evidenza: nel Nuovo Testamento si parla spesso di apostoli e del loro ministero, come mai, dunque, all’interno delle nostre chiese se ne parla così poco? Perché esistono così pochi scritti su tale argomento? Non rischiamo forse di privarci di qualcosa di importante visto che nel Nuovo Testamento si fa così larga menzione di tale argomento? Se fosse così, riscoprire la figura dell’apostolo e delle sue funzioni oggi, non potrebbe essere utile alla chiesa odierna per avere una nuova spinta nel suo mandato?

     Tendenza umana molto evidente, ma che può essere anche deleteria, è quella di evitare alcuni discorsi per paura di esporsi troppo, da cui molto spesso ne consegue che, per paura di non cadere in un estremo, si rischia di cadere dall’altro. È famoso, a tal riguardo, l’esempio che fa C.S. Lewis nell’introduzione alla sua opera «Le lettere di Berlicche»: «Vi sono due errori, uguali ed opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L’altro di credervi e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I diavoli… salutano con la stessa gioia il materialista e il mago». Oltre a questo mi passano per la mente altri esempi meno letterari e forse più banali: per paura di dare ragione ai cattolici non parliamo dell’importanza di Pietro all’interno della cerchia dei 12, oppure, per non sembrare troppo carismatici, cerchiamo di parlare meno possibile dei doni dello Spirito Santo, oppure ancora, evitiamo di parlare di Regno di Dio, per non venir scambiati per testimoni di Geova. Maria, poi, quando diceva di sé che tutte le nazioni l’avrebbero chiamata beata (Lc 2,48), probabilmente non considerava il mondo evangelico! Con questo atteggiamento si rischia di restringere la nostra visuale e il nostro campo d’azione, mettendoci dei «paraocchi spirituali» che non ci fanno vedere quello che esula dal nostro orizzonte spirituale, oltretutto impedendoci di avere una crescita sana ed equilibrata alla statura perfetta di Cristo (Ef 4,13).

     Temo che la ritrosia a parlare del tema «apostoli» sia legato alla paura di non dare ragione a chi afferma nel proprio credo che la chiesa è «Apostolica»: e se, invece, fosse veramente così? Naturalmente questa ricerca vorrà anche smascherare alcuni errori frequenti nell’interpretazione biblica quali: l’uso – o abuso – in certi ambienti del termine «apostolato» per significare ogni attività di evangelizzazione o di testimonianza, oppure all’altro estremo, la caratterizzazione dell’apostolo esclusivamente quale uno dei dodici discepoli scelti da Gesù. Ora, è certamente vero che a questi per primi fu dato il titolo di «apostolo» (Lc 6:13); ed è ai Dodici che – reintegrato il numero originale, dopo il tradimento di Giuda Iscariota (At 1:20-26) – è stata riservata una posizione particolare nel piano eterno di Dio. Infatti Gesù disse loro: «Quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Mt 19,28). E, nel libro dell’Apocalisse, sui dodici fondamenti della Gerusalemme celeste, troviamo scritti «i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Ap 21,14). Tuttavia, leggendo il Nuovo Testamento, mi sembra abbastanza evidente che il titolo di «apostolo» non fu riservato esclusivamente ai Dodici.

     Ecco quindi lo scopo che si prefigge questa ricerca: voglio tentare di approfondire questo tema in maniera il più possibile critica, alla luce della parola di Dio, cercando di utilizzare al meglio i brani che trattano questo argomento per vedere se, anche oggi, possa esistere e possa essere utile alla chiesa del nostro secolo qualcuno con la funzione di apostolo.

     Mettiamo dunque da parte tradizioni e pregiudizi, e facciamo come i Giudei di Berea. Anch’essi infatti sentivano annunciare da Paolo e Sila un messaggio che suonava nuovo, strano e in alcuni punti apparentemente blasfemo: che il Messia era venuto, ma che era stato crocifisso come un delinquente. Non per questo, tuttavia, rifiutarono di ascoltare; anzi, «esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così» (At 17,11).

 

 

2.   GLI APOSTOLI NEL NUOVO TESTAMENTO

2.1.  IL TERMINE APOSTOLO: Per una dissertazione su questo tema penso sia fondamentale scoprire l’origine di tale termine, non solo per puro piacere di sondare nell’etimologia, pratica a volte non sempre utile e a volte fuorviante, ma perché ritengo che in questo caso possa essere utile per dare il peso giusto a questo termine nel Nuovo Testamento.

     È interessante notare che questa parola, nel greco classico, ha un significato estremamente limitato ed è inserito solamente nel contesto della navigazione e nella LXX, col significato di «inviato», compare solamente una volta (1 Re 14,6) e traduce il termine ebraico šaliach, vedremo più avanti il valore di tale circostanza. [K.H. Rengstorf, «apostello», Grande lessico del Nuovo Testamento (Paideia, Brescia 1965), vol. 1, pp. 1088-1094] Perché, quindi, un termine così poco comune nel greco, ricorre ben 80 volte nel NT, se non fosse per dargli un nuovo senso e farlo assurgere a termine tecnico con un peso ben superiore nel mondo cristiano?

     È interessante notare come questo termine venga usato in due sensi principali nel NT: in una cosiddetta «accezione solenne», per indicare una persona con un’autorità divina come in 1 Cor 1,1 e in un’altra come «messaggero, delegato» come è evidenziato ad esempio in 2 Cor 8,23. [P.W. Barnet, «apostolo», Dizionario di Paolo e delle sue lettere (San Paolo, Cinisello Balsamo, MI, 1999), pp. 109-111] Non mi dilungherò su questo aspetto perché il taglio che si prefigge questo mio scritto vuole essere essenzialmente pratico e attuale e, temo, che l’approfondimento dell’etimologia potrebbe sviare dal mio obbiettivo.

     Come detto in introduzione, il mio scopo è quello di vedere se anche oggi possa esistere la funzione apostolica e quindi cercherò di sviscerare entrambe queste accezioni perché entrambe ritengo dovrebbe possederle un apostolo oggi. Inoltre non ci si deve stupire se userò come fonti bibliche principali le lettere di Paolo in cui il termine ha entrambi i significati e non, ad esempio, i brani di Luca in cui il termine appare molto spesso, ma evidentemente riferito solo ai 12, dei quali come detto, non mi voglio occupare in questa sede poiché non ritengo possano inserirsi nello scopo della mia ricerca data la loro posizione particolare nel piano eterno di Dio: la mia analisi considererà se c’è la possibilità che anche oggi esistano apostoli e, quindi, è chiaro che i Dodici vengono esclusi dal mio obiettivo. I Dodici occupano una posizione unica ed irripetibile, come testimoni oculari della vita di Cristo, garanti della fedeltà al suo insegnamento e proclamatori del messaggio che avevano visto incarnato e praticato da Lui. La chiesa che verrà dopo dovrà misurare ogni rivelazione e ogni insegnamento con la «pietra di paragone» del messaggio trasmesso dai Dodici, così come ci è provvidenzialmente conservato nel Nuovo Testamento.

 

2.1.1. APOSTOLO COME MESSAGGERO O DELEGATO: In Paolo si trovano due brani in cui il termine viene usato in questo senso. [Barnet, p. 113] La prima, in 2 Cor 8,16-24, quando Paolo, dalla Macedonia, scrive ai Corinzi per avvisarli che sarebbero arrivati due cari fratelli assieme a Tito per far progredire la colletta da inviare alla comunità di Gerusalemme. Paolo li definisce apostoloi delle chiese, inviati quindi con un incarico di collegamento fra esse.

     La seconda volta che Paolo usa questo termine, sta scrivendo dal carcere di Roma alla chiesa di Filippi e li avverte che avrebbe mandato loro Epafrodito malato. Egli, leggiamo in Fil 2:25, era un apostolos della chiesa di Filippi per venire incontro alle necessità di Paolo in carcere, quindi anche qui notiamo il carattere di delegato che ha l’apostolo.

     Tale significato dell termine, ci sembra piuttosto accreditato e scontato nelle chiese del primo secolo e tale naturalezza a questo significato, potrebbe nascere proprio perché tale era il senso del termine šaliach per la cultura ebraica e Paolo potrebbe aver tratto questa concezione dalla pratica giudaica per inserirla nella chiesa: esso infatti era un messaggero, in particolare con riferimento a una commissione legata a Dio. [J. B. Lightfoot, The Epistle of St. Paul to the Galathians (Zondervan, Grand Rapids 1982), pp. 93s] Non ci stupisce quindi che questo significato venga utilizzato dai fratelli delle chiese del primo secolo. Dico questo, anche per il fatto che l’apostolo in questo senso, non deve essere visto come un semplice messaggero senza una particolare autorità: applicato a una persona esso denota più che un anghelos «inviato, messaggero». L’apostolo, come del resto lo šaliach, non è un semplice messaggero, ma è il delegato responsabile della persona che lo manda e da lui riceve una forte responsabilità. [Lightfoot, p. 92]

 

2.1.2. APOSTOLO NELL’ACCEZIONE SOLENNE: Con questa definizione, mi riferisco al termine utilizzato nel maggior numero dei casi nelle lettere, non solo di Paolo e lo attingo direttamente dall’articolo di Barnet nel «Dizionario di Paolo e delle sue lettere». Esso è strettamente legato alla missione data da Cristo stesso a una persona. I brani in cui compare questa sfumatura sono molti. Paolo si definisce sempre tale (Gal 1,1; Ef 1,1; Col 1,1 1 Tm 1,1), ma anche Pietro (1 Pt 1,1; 2 Pt 1,1) e cosi pure Sila e Timoteo vengono definiti tali da Paolo (1 Ts 2,6). Da questi brani, scaturisce chi è il vero mandante dell’apostolo.

     In questo senso deve essere collocato il brano di At 13,1-3, in cui lo Spirito Santo stesso chiama a essere messi a parte per il suo servizio Paolo e Barnaba, avvenimento al quale la chiesa di Antiochia non può che sottostare e accettare passivamente: vedremo più avanti l’importanza anche di questo aspetto. A tal proposito, dunque, non concordo con la visione di Rengstorf, secondo cui i due sono mandati dalla chiesa di Antiochia, volendo sottolineare una sottomissione dei due alla volontà di essa. [Rengstorf, p. 1131.] Mi sembra infatti che, eventualmente, nella storia dei primi viaggi missionari di Paolo, egli sia più legato alla comunità di Gerusalemme e non mostri mai un particolare legame alla comunità antiochena.

 

 

3.   APPROFONDIAMO LA QUESTIONE

3.1.  SOLO I DODICI?: Con questo paragrafo è lontano da me il desiderio di polemizzare con chi ritiene che l’apostolato sia da riferire solo ai 12 e, al limite a Paolo: come detto nell’introduzione non è mia intenzione fare «teologia negativa», basando le mie affermazioni sulla «protesta» a una linea dottrinale, ma riferirmi il più possibile alle evidenze scritturali.

     In Atti 14:1-7, quando Paolo e Barnaba si trovavano a Iconio, la predicazione dell’Evangelo causò parecchio scompiglio all’interno della comunità ebraica, come del resto succedeva spesso, ma in quella circostanza vediamo che la popolazione era divisa: da una parte coloro che parteggiavano per i Giudei, dall’altra (14,4) coloro favorevoli agli «apostoli»: dal contesto immediato del brano è abbastanza evidente che con questo termine ci si riferisce proprio a Paolo e Barnaba. La Scrittura è ancora più esplicita quando definisce i due: «gli apostoli Paolo e Barnaba» (At 14,14). [Lightfoot, p. 96]

     In 1 Cor 4,9 si legge «Poiché io ritengo che Dio abbia messo in mostra noi, gli apostoli…». Chi sono in questo caso? Naturalmente Paolo si sta riferendo a se stesso, ma evidentemente sta associando qualcun altro a sé: chi? Non mi sembra azzardato accettare l’ipotesi che ci si possa riferire ad Apollo, citato pochi versetti prima, o a Sostene, co-autore della lettera, se non a entrambi. [Watchman Nee, La normale vita di chiesa (Der Strom, Stoccarda 1997), p. 49]

     In Rm 16,7 vengono citati due certi Andronico e Giunia, i quali si sono segnalati fra gli apostoli. È opinione comune, ritenere che essi non siano stati semplicemente ritenuti eminenti dagli apostoli, ma siano stati essi stessi tali. [Watchman Nee, p. 50; Barnet, p. 114; Lightfoot, p. 96]

     In 1 Ts 2,6, si parla dell’autorità che potevano far valere come apostoli gli autori di questa lettera, ossia Paolo, ma anche Timoteo e Silvano.

     Ho già parlato in precedenza di Epafrodito che poteva far suo questo titolo e fin qui ho citato solo gli apostoli di cui possiamo conoscere il nome, ma possiamo vedere che il numero cresce ancora di più se facciamo riferimento a un brano piuttosto interessante in questo senso: 1 Cor 15,5-7.

     In quel brano si legge che Gesù, dopo la sua resurrezione «apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli…». È chiaro che in questo caso gli apostoli non sono i Dodici di cui Paolo parla al versetto 5, ma altri rispetto a loro.

     Ma a questo punto sorge anche un altro problema: il brano prosegue e Paolo in quel contesto si definisce l’ultimo degli apostoli. Per alcuni , questo significa che Paolo ritiene concluso con lui la funzione apostolica e lui è l’ultimo in ordine temporale fra gli apostoli e dopo di lui non ci potrà essere nessun altro. [Barnet, p. 113] Questa affermazione, basata solo su questo brano, mi sembra piuttosto leggera e alla luce di altri brani non mi sembra molto sostenibile.

     Innanzitutto Paolo in quel brano sta dicendo che lui si ritiene l’ultimo in quanto a valore: si ritiene come l’aborto e il minimo fra tutti. Inoltre non potrebbe affermare ciò se, alla luce dei brani presi in considerazione in precedenza, considera apostoli anche Apollo, Timoteo, Epafrodito dei quali non possiamo essere certi che lo siano diventati prima di lui, anche se azzarderei un no, viste le loro vicende raccontate in Atti.

3.2.  ASPETTI DI ECCLESIOLOGIA: A questo punto penso sia doveroso da parte mia proporre una tesi che vorrei sostenere da qui in poi: ritengo che gli apostoli dovrebbero, anche oggi, trovare spazio nell’ecclesiologia moderna.

3.2.1. LA NECESSITÀ DEGLI APOSTOLI: Dato quindi per appurato il fatto che nel Nuovo Testamento si parla di apostoli, ora è importante vedere quale peso dovrebbero rivestire all’interno del «corpo di Cristo». I brani che a questo si riferiscono maggiormente sono sicuramente 1 Cor 12,28-30 e Ef 4,11-15. In essi Paolo parla di doni dati per l’edificazione della chiesa e qui, come doni, non si legga carismi, ma persone; persone che, con i loro carismi devono farci giungere «all’unità della fede», «alla piena conoscenza del Figlio di Dio». Balza agli occhi di tutti che in questi brani gli apostoli – non parlerò dei profeti – hanno un ruolo di privilegio, superiore agli evangelisti, ai pastori e ai dottori, se confrontiamo anche i brani di Ef 2,20 e 3,5. [H.W. Hoener, «Efesini», in J.F. Walwoord - R B.Zuck (cura di), Investigare le Scritture (La casa della Bibbia, Torino 2002), pp. 670s] Il contesto parla chiaro: si parla di corpo di Cristo, si parla di chiesa, si parla di membra che sono parte integrante di quel corpo. Non trovo evidenze scritturali che mi facciano pensare all’inutilità e alla cessazione oggi di tali funzioni all’interno della chiesa: se poi parliamo di quelle che sembrano essere le funzioni principali, da ciò che dice Paolo, mi convinco del contrario. Naturalmente non accetto neppure la contestazione di chi dice che in quei brani si sta parlando di un periodo storico in cui la chiesa aveva bisogno di maggiore spinta per il suo avanzamento, di cui oggi non si trova la necessità. Anche su questo punto, soprattutto riflettendo sulla crescita della chiesa oggi in Italia ad esempio, mi convinco sempre più del contrario, alla luce soprattutto dei dati che ora mostrerò, che evidenziano una chiara difficoltà da parte della chiesa italiana di «fare breccia» sul territorio.

3.2.2. LE FUNZIONI DEGLI APOSTOLI: In sostanza, quindi, cosa facevano gli apostoli nel periodo neo-testamentario? Da ciò che ho detto finora si possono elencare almeno queste 5 funzioni:

     ■ L’apostolo era colui che fondava le chiese.

     ■ Nominava gli anziani.

     ■ Era uno stratega che sapeva prendere le decisioni particolari alla luce di una strategia generale e sapeva vedere i problemi dalla prospettiva delle loro possibili implicazioni per tutta l’opera di Dio.

     ■ Manteneva i contatti fra le chiese da lui fondate e faceva da collante fra le varie località.

     ■ Lavorava insieme ad altri «operai» in un rapporto di squadra.

 

 

4.   LA SITUAZIONE ODIERNA: Da quello che abbiamo visto finora, l’apostolo era il ministero fondamentale della chiesa neotestamentaria. Non a caso l’unico libro storico del Nuovo Testamento è intitolato «Atti degli Apostoli». Agli apostoli, infatti, è legato lo sviluppo della chiesa primitiva: sono la chiave che dà unità alle vicende narrate, quelli intorno ai quali si genera movimento e vita, i catalizzatori degli altri ministeri: non nego che i protagonisti di questa fase siano comunque i Dodici, ma la mia domanda è un’altra. Se la funzione di apostolo era di così vitale importanza nei primi secoli della chiesa, come spero di essere riuscito a sottolineare fin qui, si ritiene che la chiesa di oggi non abbia bisogno di una funzione di tale portata? È verosimile o logico che oggi non abbiamo bisogno di doni fondamentali come quello di apostolo, ma non possiamo fare a meno di altri di minore importanza rispetto a quello? Se la loro funzione era effettivamente rivolta a una fase, diciamo, costitutiva, della chiesa, si ritiene implicitamente che la chiesa, italiana ad esempio, non debba essere oggi «costituita» e stia navigando in modo indipendente ed equilibrato? È finito quindi il periodo di costituzione della chiesa oggi? Naturalmente la mia tesi non si vuole basare su argomenti per assurdo come quelli che ho appena fatto, vale a dire affermando che è impossibile il contrario di quello che dico, ma queste due domande sono comunque questioni che possono far riflettere in maniera obiettiva sulla situazione odierna delle nostre chiese. Vorrei mostrare qui di seguito alcuni dati presi dal sito internet www.novetrentasette.it al 10 maggio 2006:

     ■ 2,000 località in Italia con una testimonianza evangelica

     ■ 32,000 località in Italia senza una testimonianza evangelica

     ■ 616 religioni ufficialmente presenti in Italia, per non parlare delle religioni «fai-da-te»

     ■ 400 missionari stranieri in Italia

     ■ Pochissimi italiani attualmente in scuola biblica (ancora meno quelli in missione)

     ■ Percentuale di credenti evangelici in Italia: meno dell’1%

     ■ Percentuale di persone che non hanno ancora chiesto a Dio perdono per i propri peccati: più del 99%

     ■ L’Italia è tra i paesi con la più bassa percentuale di cristiani evangelici al mondo.

 

La chiesa italiana con la sua percentuale di credenti non ritiene di dover ancora essere edificata? Si sente spesso dire, forse in maniera ironica, ma non per questo meno veritiera che la chiesa in Italia è piccola ma ben divisa, non si pensa che forse un buon anello di congiunzione fra le varie realtà ci viene mostrato nella Bibbia?

 

 

5.   ALCUNE CONCLUSIONI: Come ci si rende conto e come anch’io mi rendo conto, questo mio breve scritto non vuole tentare delle soluzioni semplici che rischierebbero di essere semplicistiche a una questione, quale quella della scarsa crescita che stanno avendo le chiese in Italia, che non può essere risolto in poche parole e che si dimostra essere piuttosto complesso, ma spero sia riuscito a sollevare un problema che, in generale viene poco considerato e che potrebbe avere una qualche influenza positiva se affrontato in maniera serena.

     Una critica che verrà fatta a queste brevi considerazioni, è che così si presta il fianco a coloro che le useranno per rafforzare la loro concezione prettamente carismatica e «apostolica». Il rischio c’è sempre, ma spero che in Italia nasca al riguardo un sano dibattito teologico che metta a fuoco la verità biblica e prenda distanza da tutte le interpretazioni e manipolazioni di parte. Auspico quindi che il problema possa essere ulteriormente approfondito eventualmente per trovare delle strategie affinché il tema «Apostoli» non rimanga come tema di dibattito, ma come rampa di lancio per strategie pratiche per una crescita più sistematica della chiesa in Italia.

     Inoltre, penso sia compito del credente onorare chi si adopera per la crescita del corpo di Cristo e quindi sia dovere di ogni singolo credente riconoscere le persone che si dedicano a questo scopo in maniera corretta e, secondo i dettami biblici, possa essere definito un apostolo.

 

 

6.  UNA TESI DA DISCUTERE: Questo articolo non è a camera stagna. Dopo la lettura e l’adattamento redazionale dell’articolo, come redattore mi sento di porre alcune questioni per la discussione, a cui invito i fratelli a partecipare. Eccone alcune qui di seguito.

     ■ Non aver tradotto il termine greco apostolos con un termine italiano corrispondente, ma averlo solo adattato ad «apostolo» (cfr. così anche termini come anghelos «inviato» (cfr. Ap 2-3) e profetes «proclamatore»), non solo rende difficile la comprensione terminologica reale, ma crea una serie di equivoci storici e dottrinali.

     ■ Il verbo greco apostolein «mandare con un incarico» fu reso in latino con mittere «mandare», il cui sostantivo corrispondente era missio -onis, termine da cui provengono in italiano «missione (incarico), missionario (incaricato), messo (lat. missus inviato), missiva (messaggio portato dall’inviato, messaggio»).

     ■ Che cosa ha a che fare il termine greco apostolos con gli odierni missionari fondatori di chiese e di opere particolari in Italia e nel mondo in vari campi (scuole, editoria, apologetica, scuole bibliche, istituti ed istituzioni, ecc.)?

     ■ Perché le chiese locali italiane sono così ecclesiocentriche? Perché riferiscono tutto a se stesse? Perché, ad esempio, alcune chiese locali pretendono che missionari mandati da chiese estere debbano essere sottomessi a loro, per poter collaborare insieme?

     ■ Basta essere sostenuti da una chiesa qualsiasi per un qualsiasi campo (p.es. lavorare in una libreria) per essere chiamati «missionari»? Quali devono essere le qualità del missionario, le peculiarità e gli obiettivi del suo ministero?

     ■ Come rispondere ai «santoni» e «guru» carismaticisti, che volentieri si fregiano — spesso a sproposito — del titolo di «apostolo»?

     ■ Non è sbagliato rispondere a un’esagerazione con una negazione assoluta (che è un’altra esagerazione di segno contrario), come alcuni fanno, invece di mettere a fuoco esegeticamente la vera portata dell’apostolato nel NT e, quindi, oggi?

(Nicola Martella)

 

   ■ Per l'apostolato in senso carismaticista, la discussione della questione e la presa di posizione su «Fede controcorrente» cfr. l'articolo L’albero dei miracoli {Nicola Martella}

   ■ Per l'ambito specifico delle «Chiese dei Fratelli« si veda: ► Apostoli oggi nella «Chiesa dei Fratelli»? {Nicola Berretta}

  ■ Partecipa alla seguente discussione connessa: ► Il rapporto fra missionari e conduttori nell’opera di Dio {Nicola Martella}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Apostoli_oggi_UnV.htm

2006, Aggiornamento: 07-08-2008

 

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