1. LE QUESTIONI: Vorrei
mettere alla pubblica discussione dei cristiani biblici la seguente questione,
che riguarda l’etica del diritto. La domanda è la seguente: Fino a quando
bisogna sopportare i soprusi e non fare uso dei propri diritti civili, che la
legge consente?
Il caso concreto
In giro di «santoni» in cerca di seguaci ce ne sono diversi. Prendiamo uno di
loro, alquanto integralista, che da tanti anni abbia preso di mira un credente
impegnato nell’opera del Signore. Egli lo ha assorto a suo nemico pubblico
numero uno, tant’é che ha preso una sua foto (con sopra tanto di copyright!) e,
senza il suo esplicito permesso, non solo l’ha pubblicata, ma vi ha scritto
sopra una frase infamante. Anche nei suoi articoli contro l’altro, tale
«giustiziere» non si accontenta di esprimere la sua opinione (che lui fa
coincidere sempre con quella di Dio) sugli argomenti trattati dall’altro, ma
passa alle ingiurie e alla denigrazione. Ora, sebbene la legge sia dalla parte
di tale credente impegnato nell’opera del Signore, egli si è lungamente
pazientato, sperando nel rinsavimento del suo «fustigatore», ma le cose sono
diventate sempre peggio. Dopo anni di sopportazione, egli si sta scocciando e
sta seriamente pensando a passi legali contro tale integralista e contro altri,
suoi accoliti, che stanno amplificando i suoi scritti. Egli decide, quindi, di
pretendere contatti con il «Garante della privacy» e con la «Polizia postale».
Si è informato ed è venuto alla conclusione che il comportamento di costui non
solo è contro la legge, ma se lo citasse in giudizio, le conseguenze per lui
sarebbero pesanti sia sul piano giudiziario, sia su quello pecuniario.
Chiaramente tale credente impegnato nell’opera del Signore si è fatto alcuni
scrupoli di coscienza e diverse volte ha voluto soprassedere, sperando che Dio
intervenisse direttamente. Ora, però, in qualche modo si sente corresponsabile
nel senso che, se lo avesse fermato prima mediante la legge, tale «fustigatore»
dell’intero cristianesimo non sarebbe arrivato a danneggiare molte altre
persone. Infatti, lui e i suoi accoliti cercano continuamente nuove vittime da
mettere alla berlina, e questo non solo per cose dottrinalmente rivelanti per
importanza biblica, ma per cose secondarie, marginali, soggettive e di opinione.
Come si sa, per i massimalisti la pagliuzza vale quanto una trave, una goccia
quanto il mare. Essi «condannano un uomo per una parola» (Is 29,21).
Certo, vorrei chiedere a diversi veri servitori di Dio che cosa farebbero loro,
se fossero diventati personalmente l’oggetto dell’accanimento ossessivo di uno
di tali «fustigatori» planetari come è successo a tale credente impegnato
nell’opera del Signore.
Libertà di
opinioni nel perimetro della legalità
Se qualcuno mi chiedesse la mia opinione su un caso del genere, gli risponderei
che personalmente sono per la libertà delle opinioni, ma anche per il limite
della decenza. Mi batterei per la libertà di opinione di qualunque persona o
gruppo, anche diversa dalle mia, purché si rimanga nei limiti della legalità.
Chi dissente dal mio pensiero non mi spaventa. Fa parte della sana dialettica
confrontarsi sulle idee, cercando di argomentare per il proprio pensiero e di
confutare le opinioni altrui. Anche prendere posizione sugli scritti altrui, è
legittimo; tuttavia, bisogna riportare correntemente il pensiero altrui e
limitarsi al confronto delle idee, basandosi sulla forza degli argomenti.
Chi usa mezzi della carne, rivestendoli di presunta spiritualità, e presenta
coloro, da cui dissente, come pericoli pubblici e per la dottrina, accanendosi
contro di loro, con l’intento di distruggerne la reputazione, e usando mezzi
illeciti, mostra un atteggiamento mentale non solo poco cristiano, ma che la
pubblica morale definirebbe come iniquo o la legge dello Stato giudicherebbe
come penalmente rilevante. Dato l’accanimento maniacale contro le persone, in
certi casi un medico potrebbe diagnosticare che si è addirittura in presenza di
una malattia mentale.
I nuovi guru e i
loro seguaci
Negli ultimi anni ho constatato che laddove sorge un nuovo «santone», che fa
coincidere le proprie idee religiose con quelle di Dio, egli trova facilmente
degli emulatori. La prassi mostra che quando una persona massimalista si
accanisce contro altre in nome di Dio, diventa un modello per tutta una serie di
suoi seguaci, che lo ritengono strenuo difensore della verità (la sua).
Ho fatto l’esperienza che persone, che neppure conosco (né mi conoscono), ma che
hanno letto gli scritti di uno di tali «santoni» massimalisti e dei suoi
accoliti, mi scrivono per dirmi le cose più incredibili e nei modi più violenti
e turpi, senza appurare se le cose stiano veramente così e senza curarsi del
timore di Dio. Guarda caso, come riferimento di ortodossia mi citano solo i link
di tale loro «santone» di riferimento. Quando cerco di dialogare con loro,
chiedendo spiegazioni o cercando di chiarire che le cose non stanno così,
rincarano la dose delle ingiurie e poi si defilano. Per loro diventa tutta una
questione ideologica o di fanatismo religioso: bisogna distruggere un nemico o
almeno ferirlo e danneggiarlo il più possibile.
Così i seguaci di un tale «santone» aprono nuovi blog, pagine e simili in
internet, sia in Italia che all’estero, e moltiplicano il «verbo» del loro
luminare di riferimento, copiando e ricopiando i suoi articoli denigratori. Poi,
alcuni di loro intrapprendono lo stesso modo di fare anche in proprio. Il loro
procedimento è spesso questo: prendono delle «pulci» (aspetti secondari di un
discorso altrui) e lo gonfiano fino a farlo diventare un elefante mediante le
loro «elefantasie». Essi stigmatizzano tale malcapitato come eretico e si
accaniscono contro la sua persona e la sua reputazione. Hanno già fatto piangere
diverse persone e, lungi dal farsi scrupoli morali, ne godono. Intanto, nella
loro caccia grossa, il loro carnet di persone da colpire diventa sempre
più nutrito.
2. SOPPORTAZIONE CRISTIANA E USO DEL
DIRITTO: La capacità di sopportare il male è un onore per
il cristiano. Il problema è che può diventare correità, laddove il male
così si diffonde ancor di più e, alla fine, si è del tutto incapaci di fermarlo.
Molti
cristiani durante il Terzo Reich, tacendo per sedicente virtù cristiana,
sono diventati involontariamente corresponsabili di Adolf Hiltler, sebbene ciò
non fosse la loro intenzione. Essi volevano che fosse Dio a intervenire, ma Dio
voleva che fossero i cristiani biblici a prendere posizione e a testimoniare
della verità, anche a costo della vita. Dietrich Bonhoeffer, riferendosi a tali
fatti e alle guide delle chiese d’allora, ha portato la seguente immagine:
quando sei salito sul treno sbagliato ed esso è in corsa, serve a poco camminare
in esso nell’altra direzione. Quindi, quando la sopportazione cristiana diventa
correità, essa può rendere colpevoli.
L’altro aspetto è l’uso del diritto. Alcuni cristiani affermano che
bisognerebbe rinunciarvi in ogni caso, che non bisognerebbe intentare processi.
Se non si guardano le cose nel loro complesso e si tolgono versi dal loro
contesto, assolutizzandoli, certamente si fallirà rispetto alla verità. Un tale
atteggiamento remissivo potrebbe diventare addirittura un danno per la verità
biblica e l’Evangelo e un incoraggiamento per l’arbitrio dei disonesti, che
vanno avanti non temendo nulla. Ciò significherebbe un danno per i diritti umani
elementari di tutti e un incoraggiamento per i superbi a fare maggior danno.
Qui di seguito presento un’analisi biblica, su cui invito credenti biblici
maturi alla riflessione e al confronto.
3. L’INSEGNAMENTO DI PAOLO:
Facciamo un’analisi biblica di alcuni brani. Ci limitiamo specialmente
alle asserzioni dell’apostolo Paolo e alla sua condotta e vogliamo così comporre
un puzzle eterogeneo e composito.
■ «Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose che sono
oneste, nel cospetto di tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da
voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, cari
miei, ma cedete il posto all’ira di Dio… Non essere vinto dal male, ma vinci il
male col bene» (Rm 12,17-21).
Qui troviamo il primo dato. Si tratta del rapporto dei cristiani tra gli
increduli. Si potrebbe polarizzare alquanto tale brano, se lo si separa
da ciò, che segue, dando così del cristianesimo biblico un’immagine sempre
perdente. È giusto che sia Dio a dare la retribuzione
(v. 19). Il cristiano dev’essere intento al recupero dell’empio in difficoltà,
facendogli il bene, cosicché si ravveda (v. 20). Qui Paolo mise in guardia dal
fare del male e dal vendicarsi verso l’empio; a quel tempo la vendetta era
spesso di sangue. Tuttavia, Paolo non affermò che bisognava rinunciare per forza
al proprio diritto. Infatti, subito dopo parlò della necessità di essere
sottomessi alle autorità superiori (Rm 13,1ss), affermando che l’autorità è un
«ministro di Dio» (vv. 4.6). Quindi, Dio agisce anche per mezzo delle autorità
per infliggere la giusta pena ai trasgressori delle leggi. Rinunciare alla
vendetta personale e servirsi delle autorità per avere il proprio diritto, non
sono due cose in contraddizione, visto che «l’autorità è un ministro di Dio
per il tuo bene… per infliggere una giusta punizione contro colui, che fa il
male» (v. 4). Rivolgersi alle autorità può essere una valida alternativa
al farsi giustizia da sé. Dio stesso può servirsi dell’autorità per dare la
retribuzione al reo impenitente. Chiaramente ci vuole ponderazione e
discernimento e ciò deve avvenire solo dopo che la lunga pazienza e la
longanimità non sono serviti a nulla.
■ «V’esortiamo, fratelli: Ammonite i disordinati,
confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate longanimi verso tutti.
Guardate che nessuno renda ad alcuno
male per male; anzi procacciate sempre il bene gli uni
degli altri e quello di tutti» (1 Ts 5,14s).
Chiaramente qui Paolo parlava dell’ambito cristiano. Invece di rendere
male per male agli altri credenti, ci si poteva rivolgere alla chiesa locale,
per ottenere ragione (cfr. Mt 18,15ss) e perché i disordinati fossero ammoniti.
Non a caso l’apostolo mise enfasi su coloro «che vi
sono preposti nel Signore e vi ammonisco»
(v. 12), ossia le autorità della chiesa locale.
I mezzi di
comunicazione hanno reso il mondo un «villaggio globale». Tuttavia, quando un
altro credente, che fa del male a un altro credente, vive altrove, è
difficile praticare la direttiva di Gesù, non essendo nella stessa chiesa
locale; infatti, è quest’ultima che, alla fine, stabilisce chi si sia comportato
come un pagano e pubblicano (Mt 18,17) e mette fuori comunione il reo
impenitente (vv. 18ss). E questo è tanto più vero, visto che alcuni, oggigiorno,
non vivono in sottomissione a una chiesa locale, ma sono battitori liberi, che
vivono come pare loro e hanno fatto di Internet la loro unica chiesa.
■ «Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni d’amore fraterno,
pietosi, umili; non rendendo male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al
contrario, benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate
la benedizione» (1 Pt 3,8s).
Anche questo brano rispecchia quello precedente, a cui rimando. Si ha anche qui
a che fare con la chiesa locale e con rapporto fra credenti. Ciò non sta in
contraddizione con le direttive di Gesù (Mt 18,15ss). Rinunciare a
rendere male per male e oltraggio per oltraggio, non significa rinunciare al
proprio diritto e alla propria difesa (cfr. 1
Pt 3,15). Ciò che segue (vv. 14-17) riguarda
invece il rapporto verso i non-credenti.
■ «Può qualcuno tra voi, quando ha una lite con un
altro, chiamarlo in giudizio dinanzi agli ingiusti, anziché dinanzi ai santi?»
(1 Cor 6,1; cfr. vv. 2-8).
Alcuni citano questo brano per esprimere la loro contrarietà alle querele verso
fratelli. Il fatto che a Corinto «il fratello
processa il fratello, e lo fa dinanzi agli infedeli»
(v. 6), mostrava che non erano applicate le direttive di Gesù (Mt
18,15ss). In questa chiesa liberal-carismatica erano tollerate le cose
moralmente più riprovevoli, ad esempio fornicazione e incesto. Appena prima,
Polo ingiunse ai Corinzi di giudicare quelli di
dentro, togliendo essi stessi il malvagio
di mezzo a loro, ossia i falsi cristiani, quelli che avevano una falsa dottrina,
una devozione errata o una cattiva condotta morale (1 Cor 5,11ss).
Come si vede, tale brano
concerneva i
seguenti elementi: una chiesa locale ben definita, la disattenzione delle
direttive di Cristo e, quindi, un’alta prontezza alla bellicosità fra credenti
dinanzi a infedeli, eludendo del tutto la chiesa. Inoltre, l’intento dei
bellicosi era di fare torto e danno a dei fratelli (v. 8). Quindi, non si
trattava semplicemente di ottenere il ristabilimento del proprio diritto e del
proprio onore.
Tutto ciò non può essere
visto in modo isolato da quanto Paolo affermò in altri brani. Bisogna chiedersi
se Paolo intendesse qui i processi dinanzi alle autorità o il chiamare increduli
a fare da mediatori nelle private liti fra credenti. Le traduzioni
letterali straniere potrebbero indicare la seconda possibilità. Infatti,
l’alternativa non era quella di portare il tutto dinanzi al collegio dei
conduttori o all’intera chiesa, ma di prendere credenti tra «i meno stimati
nella chiesa», perché facessero da giudici o mediatori (vv. 4s). Inoltre,
come si faceva a chiamare qui le autorità «ingiuste» e «infedeli» (vv. 1.6),
mentre in Romani 13 erano chiamate «servitori di Dio»? È probabile che una
traduzione viziata dall’interpretazione (chiamare in giudizio, processare,
processi) faccia falsare il vero ambito vitale del brano, che in realtà
riguardava le quotidiane controversie private e non i pubblici processi dinanzi
ai magistrati.
4. LA PRASSI DI PAOLO:
Quanto l’apostolo insegnò non poteva stare in contraddizione con ciò, che lui
stesso praticò. Sebbene egli non ripagasse male per male, in situazioni
specifiche rinunciò egli al suo diritto, sia per amore della sua missione, sia
per evitare mali maggiori alla sua persona, sia per ottenere il suo diritto?
■ Quando Paolo fu arrestato ingiustamente, fu condotto nella prigione e fu
legato dai soldati per essere torturato, per estorcere da lui
informazioni (lo tenevano per un rivoltoso), egli usò un suo specifico diritto e
chiese: «V’è lecito flagellare un uomo, che è
romano, e cioè senza condanna?» (At
22,25ss). Non solo gli aguzzini si trassero indietro, ma anche
il tribuno ebbe paura (v. 29), avendo fatto fare qualcosa contro la legge.
■ Quando Paolo vide la sua vita in pericolo, a causa dei giochi politici
dei Giudei a suo danno, egli non rinunciò al suo diritto di cittadino romano di
appellarsi all’imperatore romano, che era il giudice supremo (At 25,11s; cfr.
vv. 21.25; 26,32). Paolo stesso disse ai Giudei di Roma:
«I quali [Romani], avendomi esaminato, volevano rilasciarmi, perché
non c’era in me colpa degna di morte. Ma opponendovisi i Giudei, fui
costretto ad appellarmi a Cesare» (At 28,18s).
5. ASPETTI CONCLUSIVI: Da
tutto ciò si vede che Paolo non rinunciò ai suoi diritti civili, che la legge
romana concedeva ai suoi cittadini. Egli passò per diversi processi
dinanzi alle autorità, nei quali era stato trascinato, ed era fiducioso di
uscirne indenne con l’aiuto di Dio (cfr. Ef 3,1; 4,1; Fil 1,7.14.17; 2,23s; Col
4,18; 2 Tm 1,8; 4,16s; Flm 1,10.13).
È quindi, legittimo servirsi della legge per vedere ristabilito il proprio
diritto, laddove le altre vie non sono praticabili a causa dell’ingiustizia
degli uomini, anche di quelli che si ritengono cristiani. Non è certo la prima
via, che bisogna scegliere, ma neppure bisogna per forza rinunciarvi, se rimane
l’ultima ratio per ristabilire il diritto e la giustizia.
Come detto all’inizio, metto questo scritto all’attenzione dei cristiani biblici
maturi, perché venga dibattuto. Confido che ci saranno altri aspetti biblici e
punti di vista, che renderanno il confronto fruttuoso e salutare.
►
Esercizio dei propri diritti dinanzi alle prevaricazioni altrui? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
►
Diritto di cronaca o colpevole diffamazione? {Sebastiana Ellena, ps.} (A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Diritti_prevarica_UnV.htm
09-01-2012; Aggiornamento: 19-01-2012 |