Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ESERCIZIO DEI PROPRI DIRITTI DINANZI ALLE PREVARICAZIONI ALTRUI

 

 di Nicola Martella

 

 

1.  LE QUESTIONI: Vorrei mettere alla pubblica discussione dei cristiani biblici la seguente questione, che riguarda l’etica del diritto. La domanda è la seguente: Fino a quando bisogna sopportare i soprusi e non fare uso dei propri diritti civili, che la legge consente?

 

Il caso concreto

     In giro di «santoni» in cerca di seguaci ce ne sono diversi. Prendiamo uno di loro, alquanto integralista, che da tanti anni abbia preso di mira un credente impegnato nell’opera del Signore. Egli lo ha assorto a suo nemico pubblico numero uno, tant’é che ha preso una sua foto (con sopra tanto di copyright!) e, senza il suo esplicito permesso, non solo l’ha pubblicata, ma vi ha scritto sopra una frase infamante. Anche nei suoi articoli contro l’altro, tale «giustiziere» non si accontenta di esprimere la sua opinione (che lui fa coincidere sempre con quella di Dio) sugli argomenti trattati dall’altro, ma passa alle ingiurie e alla denigrazione. Ora, sebbene la legge sia dalla parte di tale credente impegnato nell’opera del Signore, egli si è lungamente pazientato, sperando nel rinsavimento del suo «fustigatore», ma le cose sono diventate sempre peggio. Dopo anni di sopportazione, egli si sta scocciando e sta seriamente pensando a passi legali contro tale integralista e contro altri, suoi accoliti, che stanno amplificando i suoi scritti. Egli decide, quindi, di pretendere contatti con il «Garante della privacy» e con la «Polizia postale». Si è informato ed è venuto alla conclusione che il comportamento di costui non solo è contro la legge, ma se lo citasse in giudizio, le conseguenze per lui sarebbero pesanti sia sul piano giudiziario, sia su quello pecuniario.

     Chiaramente tale credente impegnato nell’opera del Signore si è fatto alcuni scrupoli di coscienza e diverse volte ha voluto soprassedere, sperando che Dio intervenisse direttamente. Ora, però, in qualche modo si sente corresponsabile nel senso che, se lo avesse fermato prima mediante la legge, tale «fustigatore» dell’intero cristianesimo non sarebbe arrivato a danneggiare molte altre persone. Infatti, lui e i suoi accoliti cercano continuamente nuove vittime da mettere alla berlina, e questo non solo per cose dottrinalmente rivelanti per importanza biblica, ma per cose secondarie, marginali, soggettive e di opinione. Come si sa, per i massimalisti la pagliuzza vale quanto una trave, una goccia quanto il mare. Essi «condannano un uomo per una parola» (Is 29,21).

     Certo, vorrei chiedere a diversi veri servitori di Dio che cosa farebbero loro, se fossero diventati personalmente l’oggetto dell’accanimento ossessivo di uno di tali «fustigatori» planetari come è successo a tale credente impegnato nell’opera del Signore.

 

Libertà di opinioni nel perimetro della legalità

     Se qualcuno mi chiedesse la mia opinione su un caso del genere, gli risponderei che personalmente sono per la libertà delle opinioni, ma anche per il limite della decenza. Mi batterei per la libertà di opinione di qualunque persona o gruppo, anche diversa dalle mia, purché si rimanga nei limiti della legalità. Chi dissente dal mio pensiero non mi spaventa. Fa parte della sana dialettica confrontarsi sulle idee, cercando di argomentare per il proprio pensiero e di confutare le opinioni altrui. Anche prendere posizione sugli scritti altrui, è legittimo; tuttavia, bisogna riportare correntemente il pensiero altrui e limitarsi al confronto delle idee, basandosi sulla forza degli argomenti.

     Chi usa mezzi della carne, rivestendoli di presunta spiritualità, e presenta coloro, da cui dissente, come pericoli pubblici e per la dottrina, accanendosi contro di loro, con l’intento di distruggerne la reputazione, e usando mezzi illeciti, mostra un atteggiamento mentale non solo poco cristiano, ma che la pubblica morale definirebbe come iniquo o la legge dello Stato giudicherebbe come penalmente rilevante. Dato l’accanimento maniacale contro le persone, in certi casi un medico potrebbe diagnosticare che si è addirittura in presenza di una malattia mentale.

 

I nuovi guru e i loro seguaci

     Negli ultimi anni ho constatato che laddove sorge un nuovo «santone», che fa coincidere le proprie idee religiose con quelle di Dio, egli trova facilmente degli emulatori. La prassi mostra che quando una persona massimalista si accanisce contro altre in nome di Dio, diventa un modello per tutta una serie di suoi seguaci, che lo ritengono strenuo difensore della verità (la sua).

     Ho fatto l’esperienza che persone, che neppure conosco (né mi conoscono), ma che hanno letto gli scritti di uno di tali «santoni» massimalisti e dei suoi accoliti, mi scrivono per dirmi le cose più incredibili e nei modi più violenti e turpi, senza appurare se le cose stiano veramente così e senza curarsi del timore di Dio. Guarda caso, come riferimento di ortodossia mi citano solo i link di tale loro «santone» di riferimento. Quando cerco di dialogare con loro, chiedendo spiegazioni o cercando di chiarire che le cose non stanno così, rincarano la dose delle ingiurie e poi si defilano. Per loro diventa tutta una questione ideologica o di fanatismo religioso: bisogna distruggere un nemico o almeno ferirlo e danneggiarlo il più possibile.

     Così i seguaci di un tale «santone» aprono nuovi blog, pagine e simili in internet, sia in Italia che all’estero, e moltiplicano il «verbo» del loro luminare di riferimento, copiando e ricopiando i suoi articoli denigratori. Poi, alcuni di loro intrapprendono lo stesso modo di fare anche in proprio. Il loro procedimento è spesso questo: prendono delle «pulci» (aspetti secondari di un discorso altrui) e lo gonfiano fino a farlo diventare un elefante mediante le loro «elefantasie». Essi stigmatizzano tale malcapitato come eretico e si accaniscono contro la sua persona e la sua reputazione. Hanno già fatto piangere diverse persone e, lungi dal farsi scrupoli morali, ne godono. Intanto, nella loro caccia grossa, il loro carnet di persone da colpire diventa sempre più nutrito.

 

 

2.  SOPPORTAZIONE CRISTIANA E USO DEL DIRITTO: La capacità di sopportare il male è un onore per il cristiano. Il problema è che può diventare correità, laddove il male così si diffonde ancor di più e, alla fine, si è del tutto incapaci di fermarlo. Molti cristiani durante il Terzo Reich, tacendo per sedicente virtù cristiana, sono diventati involontariamente corresponsabili di Adolf Hiltler, sebbene ciò non fosse la loro intenzione. Essi volevano che fosse Dio a intervenire, ma Dio voleva che fossero i cristiani biblici a prendere posizione e a testimoniare della verità, anche a costo della vita. Dietrich Bonhoeffer, riferendosi a tali fatti e alle guide delle chiese d’allora, ha portato la seguente immagine: quando sei salito sul treno sbagliato ed esso è in corsa, serve a poco camminare in esso nell’altra direzione. Quindi, quando la sopportazione cristiana diventa correità, essa può rendere colpevoli.

     L’altro aspetto è l’uso del diritto. Alcuni cristiani affermano che bisognerebbe rinunciarvi in ogni caso, che non bisognerebbe intentare processi. Se non si guardano le cose nel loro complesso e si tolgono versi dal loro contesto, assolutizzandoli, certamente si fallirà rispetto alla verità. Un tale atteggiamento remissivo potrebbe diventare addirittura un danno per la verità biblica e l’Evangelo e un incoraggiamento per l’arbitrio dei disonesti, che vanno avanti non temendo nulla. Ciò significherebbe un danno per i diritti umani elementari di tutti e un incoraggiamento per i superbi a fare maggior danno.

     Qui di seguito presento un’analisi biblica, su cui invito credenti biblici maturi alla riflessione e al confronto.

 

 

3.  L’INSEGNAMENTO DI PAOLO: Facciamo un’analisi biblica di alcuni brani. Ci limitiamo specialmente alle asserzioni dell’apostolo Paolo e alla sua condotta e vogliamo così comporre un puzzle eterogeneo e composito.

     ■ «Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose che sono oneste, nel cospetto di tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, cari miei, ma cedete il posto all’ira di Dio… Non essere vinto dal male, ma vinci il male col bene» (Rm 12,17-21).

     Qui troviamo il primo dato. Si tratta del rapporto dei cristiani tra gli increduli. Si potrebbe polarizzare alquanto tale brano, se lo si separa da ciò, che segue, dando così del cristianesimo biblico un’immagine sempre perdente. È giusto che sia Dio a dare la retribuzione (v. 19). Il cristiano dev’essere intento al recupero dell’empio in difficoltà, facendogli il bene, cosicché si ravveda (v. 20). Qui Paolo mise in guardia dal fare del male e dal vendicarsi verso l’empio; a quel tempo la vendetta era spesso di sangue. Tuttavia, Paolo non affermò che bisognava rinunciare per forza al proprio diritto. Infatti, subito dopo parlò della necessità di essere sottomessi alle autorità superiori (Rm 13,1ss), affermando che l’autorità è un «ministro di Dio» (vv. 4.6). Quindi, Dio agisce anche per mezzo delle autorità per infliggere la giusta pena ai trasgressori delle leggi. Rinunciare alla vendetta personale e servirsi delle autorità per avere il proprio diritto, non sono due cose in contraddizione, visto che «l’autorità è un ministro di Dio per il tuo bene… per infliggere una giusta punizione contro colui, che fa il male» (v. 4). Rivolgersi alle autorità può essere una valida alternativa al farsi giustizia da sé. Dio stesso può servirsi dell’autorità per dare la retribuzione al reo impenitente. Chiaramente ci vuole ponderazione e discernimento e ciò deve avvenire solo dopo che la lunga pazienza e la longanimità non sono serviti a nulla.

 

     ■ «V’esortiamo, fratelli: Ammonite i disordinati, confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate longanimi verso tutti. Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi procacciate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti» (1 Ts 5,14s).

     Chiaramente qui Paolo parlava dell’ambito cristiano. Invece di rendere male per male agli altri credenti, ci si poteva rivolgere alla chiesa locale, per ottenere ragione (cfr. Mt 18,15ss) e perché i disordinati fossero ammoniti. Non a caso l’apostolo mise enfasi su coloro «che vi sono preposti nel Signore e vi ammonisco» (v. 12), ossia le autorità della chiesa locale.

     I mezzi di comunicazione hanno reso il mondo un «villaggio globale». Tuttavia, quando un altro credente, che fa del male a un altro credente, vive altrove, è difficile praticare la direttiva di Gesù, non essendo nella stessa chiesa locale; infatti, è quest’ultima che, alla fine, stabilisce chi si sia comportato come un pagano e pubblicano (Mt 18,17) e mette fuori comunione il reo impenitente (vv. 18ss). E questo è tanto più vero, visto che alcuni, oggigiorno, non vivono in sottomissione a una chiesa locale, ma sono battitori liberi, che vivono come pare loro e hanno fatto di Internet la loro unica chiesa.

 

     ■ «Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni d’amore fraterno, pietosi, umili; non rendendo male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione» (1 Pt 3,8s).

     Anche questo brano rispecchia quello precedente, a cui rimando. Si ha anche qui a che fare con la chiesa locale e con rapporto fra credenti. Ciò non sta in contraddizione con le direttive di Gesù (Mt 18,15ss). Rinunciare a rendere male per male e oltraggio per oltraggio, non significa rinunciare al proprio diritto e alla propria difesa (cfr. 1 Pt 3,15). Ciò che segue (vv. 14-17) riguarda invece il rapporto verso i non-credenti.

 

     ■ «Può qualcuno tra voi, quando ha una lite con un altro, chiamarlo in giudizio dinanzi agli ingiusti, anziché dinanzi ai santi?» (1 Cor 6,1; cfr. vv. 2-8).

     Alcuni citano questo brano per esprimere la loro contrarietà alle querele verso fratelli. Il fatto che a Corinto «il fratello processa il fratello, e lo fa dinanzi agli infedeli» (v. 6), mostrava che non erano applicate le direttive di Gesù (Mt 18,15ss). In questa chiesa liberal-carismatica erano tollerate le cose moralmente più riprovevoli, ad esempio fornicazione e incesto. Appena prima, Polo ingiunse ai Corinzi di giudicare quelli di dentro, togliendo essi stessi il malvagio di mezzo a loro, ossia i falsi cristiani, quelli che avevano una falsa dottrina, una devozione errata o una cattiva condotta morale (1 Cor 5,11ss).

     Come si vede, tale brano concerneva i seguenti elementi: una chiesa locale ben definita, la disattenzione delle direttive di Cristo e, quindi, un’alta prontezza alla bellicosità fra credenti dinanzi a infedeli, eludendo del tutto la chiesa. Inoltre, l’intento dei bellicosi era di fare torto e danno a dei fratelli (v. 8). Quindi, non si trattava semplicemente di ottenere il ristabilimento del proprio diritto e del proprio onore.

     Tutto ciò non può essere visto in modo isolato da quanto Paolo affermò in altri brani. Bisogna chiedersi se Paolo intendesse qui i processi dinanzi alle autorità o il chiamare increduli a fare da mediatori nelle private liti fra credenti. Le traduzioni letterali straniere potrebbero indicare la seconda possibilità. Infatti, l’alternativa non era quella di portare il tutto dinanzi al collegio dei conduttori o all’intera chiesa, ma di prendere credenti tra «i meno stimati nella chiesa», perché facessero da giudici o mediatori (vv. 4s). Inoltre, come si faceva a chiamare qui le autorità «ingiuste» e «infedeli» (vv. 1.6), mentre in Romani 13 erano chiamate «servitori di Dio»? È probabile che una traduzione viziata dall’interpretazione (chiamare in giudizio, processare, processi) faccia falsare il vero ambito vitale del brano, che in realtà riguardava le quotidiane controversie private e non i pubblici processi dinanzi ai magistrati.

 

 

4.  LA PRASSI DI PAOLO: Quanto l’apostolo insegnò non poteva stare in contraddizione con ciò, che lui stesso praticò. Sebbene egli non ripagasse male per male, in situazioni specifiche rinunciò egli al suo diritto, sia per amore della sua missione, sia per evitare mali maggiori alla sua persona, sia per ottenere il suo diritto?

     ■ Quando Paolo fu arrestato ingiustamente, fu condotto nella prigione e fu legato dai soldati per essere torturato, per estorcere da lui informazioni (lo tenevano per un rivoltoso), egli usò un suo specifico diritto e chiese: «V’è lecito flagellare un uomo, che è romano, e cioè senza condanna?» (At 22,25ss). Non solo gli aguzzini si trassero indietro, ma anche il tribuno ebbe paura (v. 29), avendo fatto fare qualcosa contro la legge.

 

     ■ Quando Paolo vide la sua vita in pericolo, a causa dei giochi politici dei Giudei a suo danno, egli non rinunciò al suo diritto di cittadino romano di appellarsi all’imperatore romano, che era il giudice supremo (At 25,11s; cfr. vv. 21.25; 26,32). Paolo stesso disse ai Giudei di Roma: «I quali [Romani], avendomi esaminato, volevano rilasciarmi, perché non c’era in me colpa degna di morte. Ma opponendovisi i Giudei, fui costretto ad appellarmi a Cesare» (At 28,18s).

 

 

5.  ASPETTI CONCLUSIVI: Da tutto ciò si vede che Paolo non rinunciò ai suoi diritti civili, che la legge romana concedeva ai suoi cittadini. Egli passò per diversi processi dinanzi alle autorità, nei quali era stato trascinato, ed era fiducioso di uscirne indenne con l’aiuto di Dio (cfr. Ef 3,1; 4,1; Fil 1,7.14.17; 2,23s; Col 4,18; 2 Tm 1,8; 4,16s; Flm 1,10.13).

     È quindi, legittimo servirsi della legge per vedere ristabilito il proprio diritto, laddove le altre vie non sono praticabili a causa dell’ingiustizia degli uomini, anche di quelli che si ritengono cristiani. Non è certo la prima via, che bisogna scegliere, ma neppure bisogna per forza rinunciarvi, se rimane l’ultima ratio per ristabilire il diritto e la giustizia.

     Come detto all’inizio, metto questo scritto all’attenzione dei cristiani biblici maturi, perché venga dibattuto. Confido che ci saranno altri aspetti biblici e punti di vista, che renderanno il confronto fruttuoso e salutare.

 

Esercizio dei propri diritti dinanzi alle prevaricazioni altrui? Parliamone {Nicola Martella} (T)

Diritto di cronaca o colpevole diffamazione? {Sebastiana Ellena, ps.} (A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Diritti_prevarica_UnV.htm

09-01-2012; Aggiornamento: 19-01-2012

 

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