Il seguente scritto
riguarda una donna cristiana, che ultimamente è stata pesantemente attaccata in
Internet da una persona legata a un gruppo massimalista, che è molto virulento e
aggressivo contro tutti coloro, che non la pensano come loro. I membri di tale
gruppo pretendono di difendere la verità (che fanno coincidere con le loro
convinzioni religiose), a costo di tutto: di diffamarle e danneggiare le
persone, cosa vietata dalla stessa Parola di Dio, oltre che dalla legge dello
Stato.
L’autrice prende qui posizione riguardo all’articolo «Esercizio
dei propri diritti dinanzi alle prevaricazioni altrui» e al
connesso
tema di discussione»; questo scritto avrebbe dovuto trovare
posto in quest’ultimo, ma data la sua lunghezza e specificità, ho preferito
metterlo a se stante.
Dovendosi ella difendere contro uno degli appartenenti a tale gruppo, si è
precisamente informata riguardo a ciò che la legge dello Stato intende
per diffamazione, diritto di cronaca e di critica, interesse pubblico alla
notizia, manifestazione del proprio pensiero, reato d’istigazione all’odio, i
danni di diversa natura, la complicità del reato, l’offesa alla religione, il
diritto alla privacy e all’immagine e alle pene che ne possono
conseguire.
Ella conclude che «non esiste nessuno diritto di cronaca, quando si attacca
un individuo a livello personale sulla sua fede!», diffamandolo e
danneggiandone l’immagine pubblicamente. Infine, afferma che un vero cristiano
si vede nell’esercizio dei
frutti dello Spirito.
Abbiamo preferito usare per l’autrice uno pseudonimo, proprio perché è
attualmente oggetto di tale gruppo massimalista e perché sono stati già avviati
passi legali in tale direzione.
Anche questo scritto vuol essere la base di una discussione seria e matura,
senza luoghi comuni e scorciatoie. Concludo con questo pensiero: «Chi confida
nella forza delle proprie ragioni, argomenta. Chi non ha sufficienti argomenti,
diffama». {Nicola Martella} |
In primis mi preme
sottolineare la gravità penale della diffamazione e poi valuterò il piano
cristiano-spirituale, quest’ultimo sempre secondo il mio personale punto di
vista. Mi scuso se mi dilungo sull’argomento, ma credo bisogna fare un po’
d’informazione anche a livello giuridico, poiché molti credono che sia una cosa
da nulla e, addirittura, nemmeno un reato (penale). Apprezzo molto il commento
di Vincenzo Russillo nel
tema di discussione
summenzionato.
1. GLI ASPETTI GIURIDICI:
Per
diffamazione intendiamo quando si va a toccare quel bene giuridico tutelato,
ossia l’onore di un soggetto, che consiste sia nel sentimento e nell’idea che
ciascuno ha di se (da un punto di vista soggettivo) sia nel rispetto e la stima,
di cui ciascuno gode presso il gruppo sociale (da un punto di vista oggettivo).
La diffamazione, nel diritto penale italiano, è il delitto previsto dall’
articolo 595 del Codice Penale secondo cui: «Chiunque, fuori dei casi
indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui
reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a
euro 1032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della
reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di
pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a
tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o a una
sua rappresentanza, o a una Autorità costituita in collegio, le pene sono
aumentate».
La diffamazione
via internet è paragonata alla diffamazione a mezzo stampa, molto più grave
della semplice diffamazione, dove un individuo si mette a spettegolare e a
parlare male di una persona assente in mezzo a un gruppetto di persone.
Gli
elementi, che devono sussistere contemporaneamente perché il delitto si
perfezioni sono perciò l’offesa all’onore e al decoro (più precisamente alla
reputazione personale) di un soggetto, la comunicazione con più persone e
infine, l’assenza della persona offesa (altrimenti si avrebbe la configurazione
del delitto d’ingiuria, previsto dall’articolo 494 Codice Penale).
Il delitto è punibile solo dietro querela della persona offesa, cioè è il
diffamato che deve sporgere denuncia per fare valere i propri diritti dinnanzi
alla legge.
Non ha importante se il diffamante dica la verità nel suo scritto, in quanto chi
diffama non è tenuto a provare di aver detto la verità, è sempre diffamazione.
L’articolo 596 del Codice Penale dice infatti: «Il colpevole dei delitti
preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua
discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa.
Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la
persona offesa e l’offensore possono, d’accordo prima che sia pronunciata
la sentenza irrevocabile, definire a un giuri d’onore il giudizio sulla verità
del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto
determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa a
processo penale se:
1. la persona offesa è un pubblico ufficiale e il fatto a esso attribuito si
riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
2. se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o s’inizia
contro di essa un procedimento penale;
3. se il querelante domanda formalmente che il giudizio si stenda ad accertare
la verità o falsità del fatto a esso attribuito».
Come si vede sopra,
chi ha diffamato non è ammesso a provare che ciò, che ha affermato sia vero o
falso. La diffamazione rimane sempre, vero o falso che sia ciò, che ha scritto.
Ora c’è da dire che certi individui si appellano al loro diritto di cronaca e
di critica. Ma non hanno bene compreso quali siano i requisiti per non
cadere nel reato di diffamazione. Vediamoli.
Il diritto di cronaca e critica per essere accolto, deve soddisfare i
seguenti requisiti:
a) che vi sia un interesse pubblico alla notizia;
b) che i fatti narrati corrispondano a verità;
c) che l’esposizione dei fatti sia corretta e serena, secondo il principio della
continenza.
Stando al punto a), se qui parliamo di religione e diffamazione dei ministri di
Dio, dei dottori spirituali, ecc., non c’è nessun interesse pubblico alla
notizia, in quanto la religione è soggettiva e personale e non interessa
tutti. Ad esempio dire che «Tizio è un falso ministro e racconta eresie» non ha
l’interesse che ha la notizia del primo ministro e di quel che fa con i soldi
presi con le nostre tasse. O anche che un famoso assassino e mafioso sia fuggito
di prigione, mettendo a rischio tutta la società. Le notizie d’interesse
pubblico sono quelle che dobbiamo sapere e non riguarda un soggetto privato e
sconosciuto, a meno che questo non sia pericoloso per la società, non sia un
delinquente o assassino.
Stando al punto b), nel nostro campo, ossia quello dottrinale, dinanzi alla
legge non esiste una verità perché, come detto sopra, considera la fede
soggettiva e non dimostrabile. E, sempre per la legge, le dottrine e le
confessioni religiose sono tante, non si può dimostrare materialmente chi abbia
torto o ragione. In più la Bibbia non viene presa affatto in considerazione né
dalla legge né dalla società, per provare che una notizia sia d’interesse
pubblico.
Infine l’ultimo punto, c), richiede che i fatti siano corretti e sereni,
e si presuppone, senza attacchi personali e offese personali che mirano a
rovinare la reputazione di una persona. In questo senso, non è diffamazione
nominare una persona in uno scritto, se questo è neutrale e non contiene offese
e non mira a rovinare la reputazione personale.
Come dice questa sentenza: «Alla verità anche putativa, della notizia, si
aggiungano sia la sua rilevanza sociale, sia la sua correttezza formale.
Infatti, ad esempio, non sarà diffamatorio un servizio televisivo che sia
caratterizzato da toni, da modalità espositive e di presentazione visiva
assolutamente continenti che non si sono affatto tradotti in «attacchi
personali, diretti a colpire su un piano individuale, senza alcuna finalità di
pubblico interesse» (Cassazione penale Sezione V 13.04.2006, Mascolo Guida al
Diritto 2006; cfr. Sezione V 21.12.2000, Arcomanno; cfr. Sezione V 4.04.2000,
Panigutti in CASSAZIONEPENALE 2001, 1204).
La giurisprudenza ha inoltre specificato che per quanto riguarda in particolare
la critica politica e sindacale, il limite della continenza verbale sia da
intendere in modo più ampio, purché la critica non si risolva in gratuiti
attacchi personali.
La linea di demarcazione, che separa il diritto di ognuno a manifestare il
proprio pensiero
(caposaldo della Costituzione, art. 21, e della Dichiarazione universale dei
diritti umani, art 19) e il reato di diffamazione, è sottile e spesso
invisibile (l’accusa di reato di diffamazione può scattare se si comunica a
più persone qualcosa riguardante un’altra persona, a prescindere dalla verità
del fatto raccontato, art. 595 del C.P.). (Ricordo qui che divulgare
l’orientamento religioso di una persona è illegale in quanto rientra nella sfera
personale dei dati sensibili).
La
discriminante del diritto di cronaca nasce dalla necessità della comunità a
essere informata su ciò, che avviene all’interno del territorio statale: secondo
l’art. 1 della Costituzione Italiana infatti: «Il popolo è sovrano» e deve poter
ricevere un quadro dettagliato sia di ciò che accade nel Paese, sia delle
persone alle quali delega l’esercizio della sovranità della «cosa pubblica» (res
publica). In questo caso la funzione della cronaca è quella di raccolta e
diffusione delle informazioni.
I giornalisti durante il loro lavoro, sono tuttavia autorizzati a comunicare al
pubblico eventi, situazioni o fatti che rientrano nella sfera intima e privata
di una persona nel caso, in cui essa desti l’interesse della collettività. Si
pensi al caso di artisti, personaggi dello sport e collegabili a eventi
culturali. In tal caso la funzione della cronaca è di mantenere saldo il legame,
che unisce la collettività al personaggio in questione.
Ora noi sappiamo tutti che gli scritti in questione sono stati pubblicati
appositamente per rovinare la reputazione delle persone «non famose»,
sono altamente offensivi e contengono parole con connotazioni negative come
«bugiardo, eretico, menzognero, seduttore, ingannatore, falso dottore, falso,
pericoloso» e chissà cos’altro, accompagnate dalle foto del diffamato (prese
senza il consenso di quest’ultimo, quindi altra violazione della legge), il nome
e cognome accompagnati alle espressioni «Allontanatevi da quest’uomo/questa
donna» o «Guardatevi da… (nome e cognome)», scritti con il solo intento
di rovinare la reputazione e offendere la persona attaccata. Aggiungerei che qui
c’è anche il reato d’istigazione all’odio e alla violenza. Eppure c’è
qualcuno che ha ancora dei dubbi al riguardo, loro che lo fanno e tanti loro
seguaci! Se solo mostrassero i loro scritti e i loro siti a qualche avvocato
penalista per avere un suo parere, rabbrividirebbero, perché dietro querela,
possono andare in galera e/o pagare un alto risarcimento per danni morali alla
persona offesa. Creare articoli con nome e cognome della persona che si vuole
diffamare, aggiungere tag di nome e cognome, rinominare spesso la persona con
nome e cognome nell’articolo, nominare le foto che rappresentano la persona
offesa come «nome e cognome.jpg» (che finiscono sui risultati di ricerca
immagini di google), piazzandole nell’articolo diffamatorio, viene fatto con il
solo scopo di danneggiare la persona, affinché l’articolo arrivi nei
motori di ricerca nelle prime posizioni, quando un qualunque navigatore del
web si accinga a digitare il nostro nome e cognome per motivi, che potrebbero
essere anche diversi dalla fede: ad esempio vogliono avere notizie su di noi
prima di fare un acquisto da noi. Quella persona ha anche una vita lavorativa,
una vita sociale, degli amici, dei parenti, o anche un ministero, e tutti questi
che non sono interessati alla religione, vengono a conoscenza di questi scritti
diffamanti. La persona offesa nella reputazione e nel decoro, potrebbe avere
danni sia economici (dovuti al suo lavoro, specialmente se il suo nome è
associato con la sua ditta o azienda) sia morali e psicologici (dovuti
alla sofferenza arrecatagli dalle pubblicazioni diffamanti) sia alla salute
che sociali (la gente lo allontana a causa di quello scritto).
Chiunque poi, ripubblica nel proprio sito scritti diffamanti altrui, si rende
colpevole di
complicità del reato.
Più tempo la diffamazione rimane online, più alto sarà il risarcimento
economico. Non bisogna provare proprio un bel niente. Non sono i querelanti, che
devono provare qualcosa o provare di essere stati diffamati, quando lo scritto è
obiettivamente offensivo e contiene termini negativi, che fanno uscire fuori un
quadro negativo della persona.
Un cristiano che vuole fare il suo dovere di evangelizzazione e confutare le
dottrine altrui, non ha bisogno d’infangare il nome di una persona, può
benissimo far valere il suo diritto di critica, esponendo le dottrine in cui
crede e criticando quelle di altri. Tanto per dire, non c’è bisogno di attaccare
la persona, può solo citare il sito web, dove ha trovato il materiale da
criticare o la confessione di fede di una religione o lo statuto di
un’organizzazione religiosa. In questo modo non rovinerà la reputazione della
persona, che ha invece diffamato, e nessuno potrà mai querelarlo.
Se poi a qualcuno non è ancora chiaro quanto in difetto siano quei sedicenti
cristiani, che si comportano in questo modo, c’è anche un’altra legge, che
riguarda proprio la religione e che tutela le persone e i ministri di Dio
offesi a motivo della loro fede:
Art. 403 Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone:
«Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio
di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica
la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa,
mediante vilipendio di un ministro del culto».
Questo vuol dire che non si può offendere una confessione religiosa
pubblicamente
mediante l’offesa di una persona. Quelli, che pubblicano articoli, devono
sempre tenere ben presente che possono esporre le loro dottrine, fare
apologetica e criticare quelle altrui o di altre confessioni, senza mai
attaccare e nominare una persona, che fa parte della confessione, che intendono
criticare, perché c’è la legge scritta sopra che difende gli offesi a motivo
della loro fede.
Per cui, si può sempre confutare, criticare, ma mai offendere le persone
e nominarle.
Poi, in ultimo, ma non meno importante, c’è il fattore della privacy e
del
diritto all’immagine. Tante volte queste persone violano il diritto alla
privacy del prossimo, riportando screenshot di conversazioni private o di
gruppi chiusi e rendendole di dominio pubblico sul web (un comportamento che non
ha nemmeno il peggiore incredulo di questa terra!), altre volte «sgamano» gli
scrittori di articoli anonimi e divulgano il loro nome e cognome sul web. E se
quella persona non vuole fare sapere al mondo che è il proprietario di quel dato
sito? E se non vuol far collegare il suo nome e cognome con la sua fede per i
suoi buoni motivi? Hanno violato la sua privacy, perché sono in tanti quelli che
decidono di scrivere su internet senza firmarsi con nome e cognome, e non può
arrivare un pinco pallino qualunque e rendere noto chi è l’autore di un dato
articolo o un dato sito. Questo è chiaro. Ognuno di noi ha diritto alla propria
privacy e non può essere violata. Quindi qui, danno su danno! Ognuno, a un certo
punto, può decidere di essere anonimo o pubblico, rimuovere il materiale, che
riguarda lui dal web, quando gli pare e piace, se questo lo danneggia, sta solo
alla persona decidere, non ad altri. Ognuno è padrone della sua vita e della
propria immagine. Ho letto libri di persone, che hanno scritto di
apologetica e che si sono firmate con uno pseudonimo, per proteggere la loro
famiglia e la loro privacy. Del tutto lecito. Viviamo in un modo di pazzi, per
cui non sarebbe tanto strano che qualcuno, sapendo chi siamo, ci arrivi davanti
casa a minacciarci di ammazzarci, se non smettiamo di scrivere contro la loro
fede. E di sette ce ne sono tante, che si comportano così e sono ben note in
tutto il mondo, ma non possiamo nominarle perché ci metteremmo in pericolo. Poi
ci sono certi cristiani che ricevono costantemente minacce e insulti anonimi via
e-mail, che dovrebbero fare? Bisogna rivolgersi alle autorità ogni qualvolta ci
si sente minacciati, dobbiamo proteggere noi e la nostra famiglia.
Ancora sulla privacy… Il «giornalista» deve quindi sottostare alle norme che
tutelano la privacy e la riservatezza dei dati di ogni persona, disciplinati dal
decreto legge n. 196 del 2003. L’interessato deve essere preventivamente
informato, anche solo oralmente, tramite un’informativa che riporta il
trattamento che verrà compiuto sui suoi dati e gli scopi dello stesso;
naturalmente egli potrà opporsi oppure fornire il proprio consenso che,
tuttavia, non è obbligatorio in casi che adempiono a un obbligo di legge, come
per esempio il diritto di cronaca.
In ogni caso basta pensare a «Striscia la Notizia»: oscurano sempre il viso di
quelli che beccano a compiere un reato, eppure compiono un reato! Non c’entra se
quelli hanno la propria immagine pubblica sul sito web o nel loro negozio,
non è mai possibile rendere pubblica la foto o l’immagine di una persona
senza il suo consenso.
Ma tutto questo suddetto riguarda la cronaca, il giornalismo, fatti
d’interesse pubblico, non le dottrine religiose; e la religione
rientra nella sfera personale e intima di una persona. La fede o l’orientamento
politico fanno parte della sfera personale di una persona.
Da Wikipedia, «Diritto
di cronaca: Dati sensibili»: «Se il trattamento riguarda i “dati sensibili”,
ovvero i dati che rientrano nella sfera più intima (salute, orientamento
politico, religioso, filosofico, vita sessuale) è necessaria l’autorizzazione
del Garante o, in casi più delicati, la notifica al Garante. La mancata
informativa può essere punita tramite una sanzione amministrativa».
2. IL MIO PUNTO DI VISTA CRISTIANO:
Abbiamo visto che non esiste nessuno diritto di cronaca, quando si attacca un
individuo a livello personale sulla sua fede! Sul piano spirituale e
cristiano che dire di questa cosa? Chi non rispetta la legge civile non rispetta
nemmeno Dio. Chi non ama il suo prossimo e non lo tollera e si comporta in
maniera riprovevole, non merita nemmeno l’appellativo di «cristiano».
Quando nel giorno del giudizio diranno: «Signore, Signore, non abbiamo noi
profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demoni e fatto in nome tuo molte
opere potenti?», Lui gli risponderà: «Non chiunque mi dice: Signore,
Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è
nei cieli. Allora dichiarerò loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi
da me, malfattori!”».
Non c’è posto per gli ipocriti nel regno di Dio. Gesù ha dato un comandamento: «Io
vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho
amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Giovanni 13,34).
E non si vedono i frutti dello Spirito, perché le persone che impiegano
il loro tempo per danneggiare il prossimo, creando sette, divisioni, inimicizie,
contese (Galati 5,20), credendo di fare il volere di Dio, sono nell’errore è più
totale. Dio è amore, non odio!
Quando si è fatto di tutto per dialogare con questi sedicenti cristiani, quando
si è chiesto loro di togliere i propri dati dagli articoli incriminati, di
rimuovere le nostre foto, e loro non lo hanno fatto, perpetrando nella
cattiveria e nella voglia di danneggiarci, quando poi non ci considerano
«fratelli» definendoci con appellativi come corrotti, falsi dottori che portano
gli altri sulla cattiva via, facendo capire chiaramente che non siamo salvati
perché siamo nell’errore, dovremmo mai preoccuparci di portare i cosiddetti
«fratelli» in tribunale? Bisogna chiedersi: sono davvero fratelli quelli, che
agiscono in questa maniera,
quando loro per primi non ci reputano fratelli?
Loro potranno dire, difendendosi: «Ma noi facciamo il volere di Dio,
smascherando le false dottrine»; e noi diciamo: «Ciò che per voi sono false
dottrine, sono giuste per noi, e viceversa, ciò che per voi sono giuste dottrine
sono false per noi». Chi ha ragione? Difficile dirlo dal di fuori. Ma noi non
passiamo il nostro tempo a sparlare male e diffamare Tizio e Caio, noi siamo a
posto con la coscienza, con Dio e con la legge. Voi no. Ciò che possiamo
guardare sono i frutti dello Spirito, chi tra noi ce li ha e chi no.
Quello è il test per vedere se un cristiano può ritenersi tale. Se non conosce
l’amore, non conosce nemmeno Cristo.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge
(Galati 5,22-23).
Della Bibbia non vanno presi solo i versi che ci fanno comodo per giustificare i
nostri comportamenti, della Scrittura dobbiamo considerare tutti i comandamenti
e tutto il contesto!
Tante benedizioni a tutti.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Cronaca_diffama_Sh.htm
18-01-2012; Aggiornamento: 19-01-2012 |