Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le Origini 1

 

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L’opera si presenta in due volumi ed è organizzata come segue:

1° volume (Temi delle origini): Gli articoli introduttivi e i temi di approfondimento

2° volume (Esegesi delle origini): Il commento particolareggiato basato sul testo ebraico (comprende anche una traduzione letterale posta alla fine)

   Se si eccettua la prima parte del primo volume, che introduce a Genesi 1,1-5,1a, per il resto ambedue i volumi dell’opera sono suddivisi rispettivamente secondo le seguenti parti:
■ La creazione del mondo e dell’uomo 1,1-2,4a
■ L’essere umano nella creazione 2,4b-25
■ La caduta primordiale e il suo effetto 3
■ La fine del resoconto su Adamo 4,1-5,1a.

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Le Origini 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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OMINIDI, UOMINI E BIBBIA

 

 a cura di Nicola Martella

 

Stefano Ferrero mi ha posto alcune domande sugli «ominidi». In attesa che l’esperto della sezione creazionista («Proiezioni Culturali») di questo sito gli risponda più approfonditamente e che prendano la parola anche altre persone più competenti di me in materia, si deve accontentare di alcune mie veloci spiegazioni, basate sui ricordi dei miei studi fatti in materia. Alle sue affermazioni, seguono le mie risposte passo per passo.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Ferrero - Martella

2. Ferrero - Martella

3. Nicola Berretta

4. F. De Angelis

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Ferrero - Martella} ▲

 

Stefano (S): C’è un tema scientifico che ammetto di non sapere inquadrare correttamente in prospettiva scritturale. Esso riguarda gli «ominidi».

Nicola (N): Per la Scrittura non esistono «ominidi», ma solo uomini creati a immagine di Dio! (Gn 1,27; Sal 8). Quello degli «ominidi» non è un «tema scientifico», ma una mera ipotesi.

 

S: Ominidi (presunti antenati dell’uomo, ma non certo per noi creazionisti!) come i Neanderthal, gli Homo Erectus, gli Homo Habilis, gli Homo Sapiens Arcaici, gli Australopitechi, come iscriverli nella concezione biblica della realtà?

N: Penso che anche oggigiorno uno potrebbe incontrare, viaggiando tra i continenti, tutte queste morfologie umane. Anche allora esse erano coesistenti e, in certi casi, le tombe degli uni si trovano accanto a quelle degli altri. La conformazione fisica dipende da molti fattori: clima, alimentazione, deformazioni, malattie, usi e costumi, ecc. Tra le «teorie scientifiche» c’è più mitologia e fantasia che razionalità.

 

S: Avevano una struttura morfologica molto simile a quell’umana; non è possibile pertanto concepirli come dei «discendenti degenerati» (degenerati da cosa?) d’Adamo e Eva, sono state fatte anche delle prove del DNA con gli uomini di Neanderthal dal prof. Svante Pabo alcuni anni fa, in cui si  trovato conferma certa che si tratta d’una specie biologica del tutto diversa e inconciliabile geneticamente con Homo Sapiens Sapiens, i discendenti d’Adamo e Eva, ovvero noi.

N: Ho i miei seri dubbi su tale presunte analisi del DNA. Non esistono «discendenti degenerati» d’Adamo e d’Eva. Esistono le normali leggi della genetica. Esse spiegano come sia possibile che esistano i pigmei e i giganti, gli aborigeni d’Australia fisicamente tozzi e scuri di pelle e, ad esempio, Svedesi dagli occhi blu, dai capelli biondi e dalla carnagione chiara.

 

S: Concepirli come «semplici animali» mi sembra comunque molto difficile, se non impossibile, perché ci sono prove paleontologiche certe che gli uomini di Neanderthal cacciassero in gruppo, fabbricassero lance, sapessero controllare il fuoco accendendolo e spegnendolo, e addirittura seppellissero i loro morti con dei riti funebri che esprimevano una dimensione religiosa... cosa tipica dell’Uomo cosciente di sé e con un anima immortale insomma!

N: Ricordo quando si palava dell’uomo di Piltdown, se ne faceva il ritratto, si spiegava l’ambiente, le abitudini, le capacità, ecc. E tutto da poche ossa del cranio! Si credeva d’aver trovato in casi simili l’anello di congiunzione fra scimmie e uomo; poi a un’analisi d’altri scienziati risultò che una parte del cranio era d’uomo e una parte di primate. Intanto però i libri erano pieni di tali sciocchezze scientifiche e calchi degli originali (compresi immagini e plastici del presunto mondo di tali esseri) erano in giro per il mondo. In un caso simile (l’uomo del Nebraska) si trattava del dente d’un maiale, ma lo «scopritore» annunciava tutto come una grande scoperta dell’umanità. Un «homo maialis»!? Quanta «mitologia pseudo-scientifica».

 

S: Cosa ne pensi al riguardo? Ho consultato diversi libri di creazionisti cristiani, ma non ho mai trovato sinora il «tema ominidi» affrontato in modo accurato.

N: Gli «ominidi» sono come i marziani; nel passato nessuno li aveva visti, ma tutti dicevano che esistevano. Anche dopo che le sonde ci hanno mostrato Marte, alcuni vogliono ancora che i marziani esistano. Nel Medioevo i Giudei e alchimisti parlavano del «Golem», per così dire ominidi fatti in laboratorio e usati per i propri scopi. Erano come i marziani d’oggi. L’unico luogo dove vivono gli «ominidi» è nella testa degli evoluzionisti e lì ne combinano parecchi di guai.

     Il NT conosce solo due tipi d’uomini: «l’uomo psichico» (o vecchio uomo) e «l’uomo peumatico» (o uomo nuovo). Il primo tipo si fa guidare dal suo raziocinio (o dai suoi istinti), il secondo si lascia guidare dallo Spirito di Dio.

 

 

2. {Ferrero - Martella} 

 

Stefano (S): Sono d’accordo che nella Bibbia non si parla di «ominidi». Ma le prove dell’esistenza di questi animali (o uomini d’altro tipo?) che siano ci sono. Del resto la Bibbia non parla neppure dei pianeti del sistema solare come Giove, Marte, Mercurio, ma questo non dimostra che essi non ci siano nella realtà.

Nicola (N): Non è una grande argomentazione. Infatti l’antropologia biblica è abbastanza elaborata e approfondita rispetto all’astronomia. Inoltre già in un libro arcaico come Giobbe si legge che Dio «è il creatore dell’Orsa, d’Orione, delle Pleiadi, e delle misteriose regioni del cielo australe» (Gb 9,9; cfr. Dio in Gb 38,31ss; cfr. Am 5,8). Qui Giobbe mostra di avere più conoscenza di astronomia di ogni italiano medio. Inoltre si parla dell’«astro mattutino» (Is 14,12), ossia di Venere.

 

S: Le caratteristiche morfologiche dell’uomo di Neanderthal, Homo Erectus, Homo Sapiens arcaico e australopitechi sono del tutto diverse da quelle degli uomini contemporanei, batussi (i più alti) e pigmei (i più bassi) inclusi. Ad esempio la misura del cervello più piccolo oggi esistente è di 900 cm3 mentre quello dell’Homo Abilis e di circa 450 cm3. Un qualunque testo sull’evoluzione porta le prove, questi scheletri esistono.

N: Tutto ciò si spiega con la variabilità delle razze all’interno di una stessa specie. Gli uomini si sono adattati alle circostanze naturali differenti (clima, tipo di territorio, meteorologia, fauna e flora), alle esigenze sempre nuove, ai modi di procurarsi il cibo, al tipo di società costruita, al modo di concepire l’esistenza, allo stile di vita (nomadi, semi-nomadi, stabilmente residenti), alla specializzazione o meno all’interno di un nucleo sociale. I centimetri cubici di cervello da soli non sono un fattore determinante. Anche oggigiorno si possono incontrare persone con una grande scatola cranica, i quali però non sono più intelligenti di altre con una testa molto più piccola. Ciò è legato anche alle razze di appartenenza.

 

S: Gli ominidi sono del tutto al di fuori della variabilità della specie umana. Non esistono oggi uomini che hanno ossa come quelle di questi esseri. Spero che sia chiaro che non è mia intenzione fare l’apologetica del darwinismo, ma solo presentare una situazione oggettiva nel modo più reale possibile. Inoltre qui non si tratta d’interpretazioni bibliche pro o contro una dottrina in cui è possibile rimanere ognuno della sua idea, qui ci sono delle prove certe e inconfutabili dell’esistenza di questi esseri. Ciò che non è dimostrabile è che questi esseri siano i progenitori del genere umano, come dicono i darwinisti.

N: Già il termine «ominide» è alquanto dubbio. E non esistono «ominidi» al di fuori della variabilità della specie umana. Esiste invece solo la variabilità della specie umana, oggigiorno come in tempi primordiali. Poi ci sono scimmie e simili, che appartengono a tutt’altra specie.

 

S: L’ominide inventato dal dente di maiale se ben ricordo era l’uomo del Nebraska, e quello fatto d’un pezzo di scimmia e d’un pezzo di cranio umano l’uomo di Piltdown. Certo che si trattava di falsi, ma ci sono centinaia di scheletri d’ominidi la cui autenticità è indiscussa.

N: Sulla valutazione di tali reperti gli animi si dividono anche fra gli addetti ai lavori. Ogni antropologo sogna di fare il «colpo grosso», trovando il reperto che lo renderà famoso. Spesso il desiderio è la mamma dell’azione. Poi c’è l’ideologia da cui si parte. Poi ciò che uno studioso afferma oggi, viene in genere smontato in poco tempo da altri. Sulla «autenticità indiscussa» non ci metterei la mano sul fuoco, tanto meno sulla valutazione relativa che ne viene fatta.

 

S: Scheletri di marziani e golem non ce ne è nessuno, ma di scheletri d’ominidi ce ne sono centinaia, ci sono più di 100 scheletri d’uomini di Neanderthal ad esempio, uomo che presenta una morfologia e un DNA inconciliabile con quello dell’uomo attuale. Il test del DNA è scientificamente attendibile e usato anche nelle indagini di polizia.

N: Continuare a chiamare «ominidi» gli uomini di Neanderthal e gli altri «homo qualcosa», significa essere entrati oramai in quella mentalità e di essersi arresi a essa. Una menzogna, ripetuta continuamente si accredita come verità, ma non per questo lo è. Gli uomini di Neanderthal non sono solo «ominidi» (esseri simili all’uomo), ma sono uomini a tutti gli effetti, pari ad altre razze umane allora esistenti. Non esistono a tutt’oggi analisi del DNA praticate su un grande campione di reperti. Trarre da ciò affermazioni assolutistiche (senza aspettare almeno contro-analisi di altri studiosi) è alquanto semplicistico e rischioso.

 

S: Perfettamente d’accordo sull’antropologia biblica, ma questo non ci spiega la natura di questi fossili d’esseri che sono troppo umani per essere scimmie e sono troppo scimmieschi per essere uomini.

     Le prove di questo sono ampiamente reperibili in vari libri e siti. Trovo non razionale negare ciò di cui abbiamo prove, ben altro è però l’interpretarlo come in discendenza contigua come fanno i darwinisti.

N: Per le analisi delle «prove» lascio spazio a cristiani più competenti. Da teologo devo evidenziare che la testimonianza biblica è la seguente: Dio creò ogni cosa secondo la sua specie (ritornello standard in Gn 1) e creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ossia secondo la specie di Dio (Gn 1,26s; Sal 8). Deviare dall’antropologia biblica, significa minare anche tutto il resto, salvezza compresa. Infatti, oltre al confronto fra Adamo e Cristo (Rm 5) al centro dell’Evangelo sta proprio (non l’evoluzione dell’uomo, ma) l’incarnazione del Logos di Dio, di Gesù Messia (Gv 1,1.14; Fil 2). Nell'opera esegetica «Le Origini» si trovano molte spiegazioni, commenti e note riguardo a vari temi e dettagli, a cui abbiamo qui accennato (p.es. «specie», «uomo», «antropologia biblica»). Per uno sguardo panoramico dell'antropologia biblica si vedano vari articoli nel «Manuale Teologico dell’Antico Testamento» (p.es. pp. 86-92).

 

 

3. {Nicola Berretta} 

 

Molti ritengono che la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie avrebbe incontrato molti meno oppositori in ambito religioso se non avesse portato con sé quel necessario risvolto che è l’evoluzione dell’uomo. Effettivamente occorre riconoscere che la conseguenza logica che deriva dalla teoria dell’evoluzione, secondo cui l’uomo, al pari di tutte le altre specie animali, si sarebbe evoluto a partire da antenati comuni alle attuali scimmie antropomorfe, è quella che mette più a disagio.

     I termini del problema però non sono solo di natura emotiva, questa ipotesi è infatti quella che mette più in crisi i fondamenti biblici essenziali della fede cristiana. Al di là del problema che sorge sull’approccio più o meno letterale nell’interpretazione dei primi capitoli della Genesi, l’ipotesi di una evoluzione dell’uomo pone seri problemi in campo soterologico [N.d.R.: dottrina della salvezza], in quanto, se si ammette che l’uomo non sia un punto fermo, la natura mediatrice di Cristo perde inevitabilmente tutta la sua forza. È scritto nell’epistola agli Ebrei che Cristo è potuto divenire un perfetto mediatore tra Dio e l’uomo proprio perché è divenuto in tutto e per tutto come noi (Eb 2,10ss; 5,1ss). Per quale uomo Cristo è mediatore? Per l’homo sapiens? Poniamo allora che l’atteso ritorno di Cristo non si realizzi prima di qualche altro miliardo di anni, l’homo sapientissimus che si sarà evoluto di qui ad allora potrà affermare l’insufficienza di Cristo per la sua mediazione, riconoscendo in Cristo un mediatore per il solo homo sapiens? Porre dunque l’uomo all’interno di un percorso evolutivo porta a dover riconsiderare la perfezione del sacrificio espiatorio di Cristo per l’uomo, minando dunque nelle fondamenta le basi stesse della fede cristiana.

     Detto questo, non si può sfuggire dal fatto che, secondo molti antropologi, esisterebbero prove documentate di un percorso evolutivo che avrebbe portato fino all’homo sapiens, a partire da scimmie antropomorfe. Certamente non sarebbe corretto rapportarsi a queste affermazioni negandole sulla base di un’inconciliabilità con le nostre convinzioni di fede. La domanda da porsi è: queste prove sono vere o non sono vere? Dio non può contraddire se stesso, per cui, o queste prove sono false o, se sono vere, dobbiamo rimettere in discussione le nostre convinzioni. In ogni caso facciamo bene a mantenere un atteggiamento di sano scetticismo, perché le interpretazioni sugli alberi evolutivi, soprattutto nel campo dell’evoluzione dell’uomo, cambiano in continuazione. La collocazione dell’uomo di Neanderthal, per esempio, fin dalla scoperta dei primi reperti fossili è stata oggetto di varie ipotesi e rivisitazioni. Da una parte si dice che l’homo sapiens e l’homo neanderthalensis siano stati lontanamente imparentati, condividendo lo stesso habitat per un certo tempo, fino a che l’uno non ha soppiantato del tutto l’altro, determinandone l’estinzione. Molti altri però affermano che i due generi di homo abbiano in realtà ampiamente condiviso le loro sorti, tanto che si sarebbero incrociati sessualmente tra loro. Di recente sono usciti due articoli, uno sulla rivista Nature e l’altro sulla rivista Science, su risultati ottenuti esaminando le sequenze di DNA (quello di Nature ha come autore Svante Paabo, a cui fa riferimento Stefano Ferrero) i quali affermano l’esistenza di differenze nel DNA tali da collocare la loro separazione in tempi molto lontani, rendendo dunque improbabile un loro incrocio. Ciò detto, viene comunque sottolineata la necessità di confermare questi dati su un maggior numero di resti fossili, per accertarsi se i risultati siano davvero rappresentativi dell’homo neanderthalensis e non solo di quel singolo esemplare preso in esame (ambedue i gruppi di ricerca hanno esaminato le ossa di un singolo esemplare ritrovato in una cava della Croazia).

     Dico questo per sottolineare ancora di più la necessità di cautela, perché troppo spesso questi risultati vengono divulgati nei mass-media in modo improprio, generando poi notizie contraddittorie che si susseguono nell’arco di pochi anni o di pochi mesi.

     Io lavoro nel campo della ricerca scientifica, ma devo confessare che questo tipo di ricerca mi mette molto a disagio. La ricerca nel campo della paleontologia e dell’antropologia soffre infatti di una forte dose di ideologia preconcetta che porta a leggere i risultati dando a priori per scontato di dover collocare quegli stessi dati all’interno di una cornice interpretativa di tipo evoluzionista. Per rendersene conto, basta prendere il numero di Febbraio della rivista «Le Scienze». Al suo interno c’è un articolo su delle ossa di un austalopiteco di giovane età, dello stesso tipo della famosa Lucy. Le illustrazioni sono quantomeno ridicole, laddove si mostra una coppia di questi australopitechi che camminano disinvoltamente, con lui che poggia romanticamente il braccio sulla spalla di lei, tanto che, se non fosse per quella lunga peluria sul corpo, sembrerebbero proprio due innamorati di Peynet.

     Negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la convinzione che la paleontologia debba essere abbinata a una analisi di tipo bio-molecolare (studiando in particolare la sequenza del DNA), per cui gli alberi evolutivi vengono adesso rivisitati sulla base di risultati ottenuti con queste tecniche di indagine più sofisticata. Dunque, mentre prima i percorsi seguiti dall’evoluzione venivano ricercati osservando le somiglianze nelle strutture ossee o nella presenza di determinati organi e apparati, adesso si tende a ricostruire gli stessi percorsi basandosi sulla sequenza del DNA. Questa tecnica ha di positivo il fatto che si basa su misurazioni quantitative oggettive, ma ha il difetto che, allontanandosi da una percezione valutabile anche da un osservatore profano, diviene ancora di più dipendente da esperti che conferiscono o meno un significato interpretativo a quelle misurazioni. A mio giudizio, dunque, gli alberi evolutivi costruiti sulla base dell’analisi strutturale del DNA soffrono ancora di più del pericolo di interpretazioni aprioristiche sul significato evolutivo da conferire a quelle somiglianze o variazioni nel DNA. Questa è ovviamente una mia opinione, che molti, forse a ragione, potrebbero criticare come frutto di una mia ignoranza in materia.

 

 

4. {Fernando De Angelis} 

 

Non ho potuto rispondere subito a Stefano Ferrero e, nel frattempo, ci sono stati gli interventi di Martella e Berretta, che sostanzialmente condivido. Le questioni che pone Ferrero sono sensate, ma in certi casi credo che sia la sensatezza a essere insensata. Dopo il passaggio del Mar Rosso e la cessazione della manna, dopo la moltiplicazione dei pani e la risurrezione di Lazzaro, che ricostruzione dei fenomeni avrebbe fatta un’indagine scientifica? Condivido l’atteggiamento di Ferrero che non si debbano chiudere gli occhi di fronte ai fatti, ma quando c’è stata un’opera specifica di Dio, il passato non è ricostruibile sulla base degli indizi e delle leggi che ci sono nel presente.

     Per questo, venendo al tema specifico, mi si chiude un po’ la mente quando si tratta di precisare con esattezza che cosa sia stato veramente «l’uomo di Neandertal». Ferrero non si rende conto che i cosiddetti «fatti» sono sempre riportati in un particolare contesto di presupposti e il guaio è proprio quello di non accorgersi dei presupposti impliciti.

     La lamentata mancanza di libri che trattino l’argomento da un punto di vista creazionista sta per essere in parte colmata. È infatti in fase di stampa un Trattato critico sull’evoluzione tradotto dal tedesco (di Junker e Scherer, ed. Gribaudi) che dedica un vasto capitolo proprio all’evoluzione umana (pagine che qualificati evoluzionisti hanno letto trovandole scientificamente corrette). Sull’uomo di Neandertal c’è scritto: «Oggi non ci sono praticamente indizi del fatto che l’anatomia e il repertorio comportamentale dell’uomo di Neandertal fossero più primitivi di quelli dell’uomo odierno, anche se ci sono delle chiare differenze di tipo anatomico» (p. 279). Il capitolo viene alla fine così riassunto: «Negli ultimi anni, sono stati portati alla luce dagli scavi moltissimi nuovi reperti, i quali hanno reso sempre più complessa la costruzione d’un albero genealogico. L’albero genealogico è diventato un cespuglio genealogico la cui densità, a ogni nuovo ritrovamento, diviene sempre più impenetrabile» (p. 287).

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/T1-Ominidi_Bibbia_Ori.htm

17-04-2007; Aggiornamento: 05-07-2010

 

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