Stefano Ferrero mi ha posto alcune domande sugli
«ominidi». In attesa che l’esperto della sezione creazionista («Proiezioni
Culturali») di questo sito gli risponda più approfonditamente e che prendano la
parola anche altre persone più competenti di me in materia, si deve accontentare
di alcune mie veloci
spiegazioni, basate sui ricordi dei miei studi fatti in materia. Alle sue
affermazioni, seguono le mie risposte passo per passo.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Ferrero - Martella} ▲
Stefano (S):
C’è un tema scientifico che ammetto di non sapere inquadrare correttamente in
prospettiva scritturale. Esso riguarda gli «ominidi». |
Nicola (N):
Per la Scrittura non esistono «ominidi», ma solo uomini creati a immagine di
Dio! (Gn 1,27; Sal 8). Quello degli «ominidi» non è un «tema scientifico»,
ma una mera ipotesi. |
S:
Ominidi (presunti antenati dell’uomo, ma non certo per noi
creazionisti!) come i Neanderthal, gli Homo Erectus, gli Homo Habilis, gli Homo
Sapiens Arcaici, gli Australopitechi, come iscriverli nella concezione biblica
della realtà? |
N:
Penso che anche oggigiorno uno potrebbe incontrare, viaggiando
tra i continenti, tutte queste morfologie umane. Anche allora esse erano
coesistenti e, in certi casi, le tombe degli uni si trovano accanto a quelle
degli altri. La conformazione fisica dipende da molti fattori: clima,
alimentazione, deformazioni, malattie, usi e costumi, ecc. Tra le «teorie
scientifiche» c’è più mitologia e fantasia che razionalità. |
S:
Avevano una struttura morfologica molto simile a quell’umana; non
è possibile pertanto concepirli come dei «discendenti degenerati» (degenerati da
cosa?) d’Adamo e Eva, sono state fatte anche delle prove del DNA con gli uomini
di Neanderthal dal prof. Svante Pabo alcuni anni fa, in cui si trovato
conferma certa che si tratta d’una specie biologica del tutto diversa e
inconciliabile geneticamente con Homo Sapiens Sapiens, i discendenti d’Adamo e
Eva, ovvero noi. |
N:
Ho i miei seri dubbi su tale presunte analisi del DNA. Non
esistono «discendenti degenerati» d’Adamo e d’Eva. Esistono le normali leggi
della genetica. Esse spiegano come sia possibile che esistano i pigmei e i
giganti, gli aborigeni d’Australia fisicamente tozzi e scuri di pelle e, ad
esempio, Svedesi dagli occhi blu, dai capelli biondi e dalla carnagione chiara. |
S:
Concepirli come «semplici animali» mi sembra comunque molto
difficile, se non impossibile, perché ci sono prove paleontologiche certe che
gli uomini di Neanderthal cacciassero in gruppo, fabbricassero lance, sapessero
controllare il fuoco accendendolo e spegnendolo, e addirittura seppellissero i
loro morti con dei riti funebri che esprimevano una dimensione religiosa... cosa
tipica dell’Uomo cosciente di sé e con un anima immortale insomma! |
N:
Ricordo quando si palava dell’uomo di
Piltdown, se ne faceva il ritratto, si spiegava l’ambiente, le abitudini, le
capacità, ecc. E tutto da poche ossa del cranio! Si credeva d’aver trovato in
casi simili l’anello di congiunzione fra scimmie e uomo; poi a un’analisi
d’altri scienziati risultò che una parte del cranio era d’uomo e una parte di
primate. Intanto però i libri erano pieni di tali sciocchezze scientifiche e
calchi degli originali (compresi immagini e plastici del presunto mondo di tali
esseri) erano in giro per il mondo. In un caso simile (l’uomo del Nebraska)
si trattava del dente d’un maiale, ma lo «scopritore» annunciava tutto come una
grande scoperta dell’umanità. Un «homo maialis»!? Quanta «mitologia
pseudo-scientifica». |
S:
Cosa ne pensi al riguardo? Ho consultato diversi libri di
creazionisti cristiani, ma non ho mai trovato sinora il «tema ominidi»
affrontato in modo accurato. |
N:
Gli «ominidi» sono come i marziani;
nel passato nessuno li aveva visti, ma tutti dicevano che esistevano. Anche dopo
che le sonde ci hanno mostrato Marte, alcuni
vogliono
ancora che i marziani esistano. Nel Medioevo i Giudei e alchimisti parlavano del
«Golem», per così dire ominidi fatti in laboratorio e usati per i propri scopi.
Erano come i marziani d’oggi. L’unico luogo dove vivono gli «ominidi» è nella
testa degli evoluzionisti e lì ne combinano parecchi di guai.
Il NT conosce solo due tipi d’uomini:
«l’uomo psichico» (o vecchio uomo) e «l’uomo peumatico» (o uomo nuovo). Il primo
tipo si fa guidare dal suo raziocinio (o dai suoi istinti), il secondo si lascia
guidare dallo Spirito di Dio. |
2.
{Ferrero - Martella} ▲
Stefano (S):
Sono d’accordo che nella Bibbia non si parla di
«ominidi».
Ma le prove dell’esistenza di questi animali (o uomini d’altro tipo?) che siano
ci sono. Del resto la Bibbia non parla
neppure dei pianeti del sistema solare come Giove, Marte, Mercurio, ma questo
non dimostra che essi non ci siano nella realtà. |
Nicola (N):
Non è una grande argomentazione.
Infatti l’antropologia biblica è abbastanza elaborata e approfondita rispetto
all’astronomia. Inoltre già in un libro arcaico come Giobbe si legge che Dio «è
il creatore dell’Orsa, d’Orione, delle Pleiadi, e delle misteriose regioni del
cielo australe» (Gb 9,9; cfr. Dio in Gb 38,31ss; cfr. Am 5,8). Qui Giobbe
mostra di avere più conoscenza di astronomia di ogni italiano medio. Inoltre si
parla dell’«astro
mattutino» (Is 14,12), ossia di Venere. |
S:
Le caratteristiche morfologiche dell’uomo di Neanderthal, Homo
Erectus, Homo Sapiens arcaico e australopitechi sono del tutto diverse da quelle
degli uomini contemporanei, batussi (i più alti) e pigmei (i più bassi) inclusi.
Ad esempio la misura del cervello più piccolo oggi esistente è di 900 cm3
mentre quello dell’Homo Abilis e di circa 450 cm3. Un qualunque testo
sull’evoluzione porta le prove, questi scheletri esistono. |
N:
Tutto ciò si spiega con la variabilità
delle razze all’interno di una stessa specie. Gli uomini si sono adattati alle
circostanze naturali differenti (clima, tipo di territorio, meteorologia, fauna
e flora), alle esigenze sempre nuove, ai modi di procurarsi il cibo, al tipo di
società costruita, al modo di concepire l’esistenza, allo stile di vita (nomadi,
semi-nomadi, stabilmente residenti), alla specializzazione o meno all’interno di
un nucleo sociale. I centimetri cubici di cervello da soli non sono un fattore
determinante. Anche oggigiorno si possono incontrare persone con una grande
scatola cranica, i quali però non sono più intelligenti di altre con una testa
molto più piccola. Ciò è legato anche alle razze di appartenenza.
|
S:
Gli ominidi sono del tutto al di fuori della variabilità della
specie umana. Non esistono oggi uomini che hanno ossa come quelle di questi
esseri. Spero che sia chiaro che non è mia intenzione fare l’apologetica del
darwinismo, ma solo presentare una situazione oggettiva nel modo più reale
possibile. Inoltre qui non si tratta d’interpretazioni bibliche pro o contro una
dottrina in cui è possibile rimanere ognuno della sua idea, qui ci sono delle
prove certe e inconfutabili dell’esistenza di questi esseri. Ciò che non è
dimostrabile è che questi esseri siano i progenitori del genere umano, come
dicono i darwinisti. |
N:
Già il termine «ominide» è alquanto
dubbio. E non esistono «ominidi» al di fuori della
variabilità della specie umana. Esiste
invece solo la variabilità della specie umana, oggigiorno come in tempi
primordiali. Poi ci sono scimmie e simili, che appartengono a tutt’altra specie. |
S:
L’ominide inventato dal dente di maiale se ben ricordo era l’uomo del Nebraska,
e quello fatto d’un pezzo di scimmia e d’un pezzo di cranio umano l’uomo di
Piltdown. Certo che si trattava di falsi, ma ci sono centinaia di scheletri
d’ominidi la cui autenticità è indiscussa. |
N:
Sulla valutazione di tali reperti gli animi si dividono anche fra
gli addetti ai lavori. Ogni antropologo sogna di fare il «colpo grosso»,
trovando il reperto che lo renderà famoso. Spesso il desiderio è la mamma
dell’azione. Poi c’è l’ideologia da cui si parte. Poi ciò che uno studioso
afferma oggi, viene in genere smontato in poco tempo da altri. Sulla
«autenticità indiscussa» non ci metterei la mano sul fuoco, tanto meno sulla
valutazione relativa che ne viene fatta. |
S:
Scheletri di marziani e golem non ce ne è nessuno, ma di scheletri d’ominidi ce
ne sono centinaia, ci sono più di 100 scheletri d’uomini di Neanderthal ad
esempio, uomo che presenta una morfologia e un DNA inconciliabile con quello
dell’uomo attuale. Il test del DNA è scientificamente attendibile e usato anche
nelle indagini di polizia. |
N:
Continuare a chiamare «ominidi» gli uomini di
Neanderthal e gli altri «homo qualcosa», significa essere entrati
oramai in quella mentalità e di essersi arresi a essa. Una menzogna, ripetuta
continuamente si accredita come verità, ma non per questo lo è.
Gli uomini di
Neanderthal non sono solo
«ominidi» (esseri simili all’uomo), ma sono uomini a tutti gli
effetti, pari ad altre razze umane allora esistenti. Non esistono a tutt’oggi
analisi del DNA praticate su un grande campione di reperti. Trarre da ciò
affermazioni assolutistiche (senza aspettare almeno contro-analisi di altri
studiosi) è alquanto semplicistico e rischioso.
|
S:
Perfettamente d’accordo sull’antropologia biblica, ma questo non ci spiega la
natura di questi fossili d’esseri che sono troppo umani per essere scimmie e
sono troppo scimmieschi per essere uomini.
Le prove di
questo sono ampiamente reperibili in vari libri e siti. Trovo non razionale
negare ciò di cui abbiamo prove, ben altro è però l’interpretarlo come in
discendenza contigua come fanno i darwinisti. |
N: Per le analisi delle «prove» lascio spazio a cristiani più
competenti. Da teologo devo evidenziare che la testimonianza biblica è la
seguente: Dio creò ogni cosa secondo la sua specie (ritornello standard in Gn 1)
e creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, ossia secondo la specie di Dio (Gn
1,26s; Sal 8). Deviare dall’antropologia biblica, significa minare anche tutto
il resto, salvezza compresa. Infatti, oltre al confronto fra Adamo e Cristo (Rm
5) al centro dell’Evangelo sta proprio (non l’evoluzione dell’uomo, ma)
l’incarnazione del Logos di Dio, di Gesù Messia (Gv 1,1.14; Fil 2). Nell'opera
esegetica «Le
Origini» si trovano molte spiegazioni, commenti e note riguardo a vari
temi e dettagli, a cui abbiamo qui accennato (p.es. «specie», «uomo»,
«antropologia biblica»). Per uno sguardo panoramico dell'antropologia biblica si
vedano vari articoli nel «Manuale
Teologico dell’Antico Testamento» (p.es. pp. 86-92). |
3.
{Nicola Berretta} ▲
Molti ritengono che la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie avrebbe
incontrato molti meno oppositori in ambito religioso se non avesse portato con
sé quel necessario risvolto che è l’evoluzione dell’uomo. Effettivamente occorre
riconoscere che la conseguenza logica che deriva dalla teoria dell’evoluzione,
secondo cui l’uomo, al pari di tutte le altre specie animali, si sarebbe evoluto
a partire da antenati comuni alle attuali scimmie antropomorfe, è quella che
mette più a disagio.
I termini del problema però non sono solo di natura
emotiva, questa ipotesi è infatti quella che mette più in crisi i fondamenti
biblici essenziali della fede cristiana. Al di là del problema che sorge
sull’approccio più o meno letterale nell’interpretazione dei primi capitoli
della Genesi, l’ipotesi di una evoluzione dell’uomo pone seri problemi in campo
soterologico [N.d.R.: dottrina della salvezza], in quanto, se si ammette che
l’uomo non sia un
punto fermo, la natura mediatrice di Cristo perde inevitabilmente tutta la
sua forza. È scritto nell’epistola agli Ebrei che Cristo è potuto divenire un
perfetto mediatore tra Dio e l’uomo proprio perché è divenuto in tutto e per
tutto come noi (Eb 2,10ss; 5,1ss). Per quale uomo Cristo è mediatore? Per
l’homo sapiens? Poniamo allora che l’atteso ritorno di Cristo non si
realizzi prima di qualche altro miliardo di anni, l’homo sapientissimus
che si sarà evoluto di qui ad allora potrà affermare l’insufficienza di Cristo
per la sua mediazione, riconoscendo in Cristo un mediatore per il solo
homo sapiens? Porre dunque l’uomo all’interno di un percorso evolutivo
porta a dover riconsiderare la perfezione del sacrificio espiatorio di Cristo
per l’uomo, minando dunque nelle fondamenta le basi stesse della fede cristiana.
Detto questo, non si può sfuggire dal fatto che,
secondo molti antropologi, esisterebbero prove documentate di un percorso
evolutivo che avrebbe portato fino all’homo sapiens, a partire da scimmie
antropomorfe. Certamente non sarebbe corretto rapportarsi a queste affermazioni
negandole sulla base di un’inconciliabilità con le nostre convinzioni di fede.
La domanda da porsi è: queste prove sono vere o non sono vere? Dio non può
contraddire se stesso, per cui, o queste prove sono false o, se sono vere,
dobbiamo rimettere in discussione le nostre convinzioni. In ogni caso facciamo
bene a mantenere un atteggiamento di sano scetticismo, perché le interpretazioni
sugli alberi evolutivi, soprattutto nel campo dell’evoluzione dell’uomo,
cambiano in continuazione. La collocazione dell’uomo di Neanderthal, per
esempio, fin dalla scoperta dei primi reperti fossili è stata oggetto di varie
ipotesi e rivisitazioni. Da una parte si dice che l’homo sapiens
e l’homo neanderthalensis siano stati lontanamente imparentati,
condividendo lo stesso habitat per un certo tempo, fino a che l’uno non ha
soppiantato del tutto l’altro, determinandone l’estinzione. Molti altri però
affermano che i due generi di homo abbiano in realtà ampiamente condiviso
le loro sorti, tanto che si sarebbero incrociati sessualmente tra loro. Di
recente sono usciti due articoli, uno sulla rivista Nature e l’altro
sulla rivista Science, su risultati ottenuti esaminando le sequenze di
DNA (quello di Nature ha come autore Svante Paabo, a cui fa riferimento
Stefano Ferrero) i quali affermano l’esistenza di differenze nel DNA tali da
collocare la loro separazione in tempi molto lontani, rendendo dunque
improbabile un loro incrocio. Ciò detto, viene comunque sottolineata la
necessità di confermare questi dati su un maggior numero di resti fossili, per
accertarsi se i risultati siano davvero rappresentativi dell’homo
neanderthalensis e non solo di quel singolo esemplare preso in esame
(ambedue i gruppi di ricerca hanno esaminato le ossa di un singolo esemplare
ritrovato in una cava della Croazia).
Dico questo per sottolineare ancora di più la necessità
di cautela, perché troppo spesso questi risultati vengono divulgati nei
mass-media in modo improprio, generando poi notizie contraddittorie che si
susseguono nell’arco di pochi anni o di pochi mesi.
Io lavoro nel campo della ricerca scientifica, ma devo
confessare che questo tipo di ricerca mi mette molto a disagio. La ricerca nel
campo della paleontologia e dell’antropologia soffre infatti di una forte dose
di ideologia preconcetta che porta a leggere i risultati dando a priori per
scontato di dover collocare quegli stessi dati all’interno di una cornice
interpretativa di tipo evoluzionista. Per rendersene conto, basta prendere il
numero di Febbraio della rivista «Le Scienze». Al suo interno c’è un articolo su
delle ossa di un austalopiteco di giovane età, dello stesso tipo della famosa
Lucy. Le illustrazioni sono quantomeno ridicole, laddove si mostra una
coppia di questi australopitechi che camminano disinvoltamente, con lui che
poggia romanticamente il braccio sulla spalla di lei, tanto che, se non fosse
per quella lunga peluria sul corpo, sembrerebbero proprio due innamorati di
Peynet.
Negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la
convinzione che la paleontologia debba essere abbinata a una analisi di tipo
bio-molecolare (studiando in particolare la sequenza del DNA), per cui gli
alberi evolutivi vengono adesso rivisitati sulla base di risultati ottenuti con
queste tecniche di indagine più sofisticata. Dunque, mentre prima i percorsi
seguiti dall’evoluzione venivano ricercati osservando le somiglianze nelle
strutture ossee o nella presenza di determinati organi e apparati, adesso si
tende a ricostruire gli stessi percorsi basandosi sulla sequenza del DNA. Questa
tecnica ha di positivo il fatto che si basa su misurazioni quantitative
oggettive, ma ha il difetto che, allontanandosi da una percezione valutabile
anche da un osservatore profano, diviene ancora di più dipendente da esperti che
conferiscono o meno un significato interpretativo a quelle misurazioni. A mio
giudizio, dunque, gli alberi evolutivi costruiti sulla base dell’analisi
strutturale del DNA soffrono ancora di più del pericolo di interpretazioni
aprioristiche sul significato evolutivo da conferire a quelle somiglianze o
variazioni nel DNA. Questa è ovviamente una mia opinione, che molti, forse a
ragione, potrebbero criticare come frutto di una mia ignoranza in materia.
4.
{Fernando De Angelis} ▲
Non ho potuto rispondere subito a Stefano Ferrero e, nel frattempo, ci sono
stati gli interventi di Martella e Berretta, che sostanzialmente condivido. Le
questioni che pone Ferrero sono sensate, ma in certi casi credo che sia la
sensatezza a essere insensata. Dopo il passaggio del Mar Rosso e la cessazione
della manna, dopo la moltiplicazione dei pani e la risurrezione di Lazzaro, che
ricostruzione dei fenomeni avrebbe fatta un’indagine scientifica? Condivido
l’atteggiamento di Ferrero che non si debbano chiudere gli occhi di fronte ai
fatti, ma quando c’è stata un’opera specifica di Dio, il passato non è
ricostruibile sulla base degli indizi e delle leggi che ci sono nel presente.
Per questo, venendo al tema specifico, mi si chiude un
po’ la mente quando si tratta di precisare con esattezza che cosa sia stato
veramente «l’uomo di Neandertal». Ferrero non si rende conto che i cosiddetti
«fatti» sono sempre riportati in un particolare contesto di presupposti e il
guaio è proprio quello di non accorgersi dei presupposti impliciti. La lamentata mancanza di libri che trattino l’argomento
da un punto di vista creazionista sta per essere in parte colmata. È infatti in
fase di stampa un Trattato critico sull’evoluzione tradotto dal tedesco
(di Junker e Scherer, ed. Gribaudi) che dedica un vasto capitolo proprio
all’evoluzione umana (pagine che qualificati evoluzionisti hanno letto
trovandole scientificamente corrette). Sull’uomo di Neandertal c’è scritto:
«Oggi non ci sono praticamente indizi del fatto che l’anatomia e il repertorio
comportamentale dell’uomo di Neandertal fossero più
primitivi di quelli dell’uomo odierno, anche se ci sono delle chiare
differenze di tipo anatomico» (p. 279). Il capitolo viene alla fine così
riassunto: «Negli ultimi anni, sono stati portati alla luce dagli scavi
moltissimi nuovi reperti, i quali hanno reso sempre più complessa la costruzione
d’un albero genealogico. L’albero
genealogico è diventato un cespuglio genealogico la cui densità, a ogni
nuovo ritrovamento, diviene sempre più impenetrabile» (p. 287).
5. {}
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6. {}
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7. {}
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8. {}
▲
9. {}
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10. {}
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11. {}
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12. {}
▲
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/T1-Ominidi_Bibbia_Ori.htm
17-04-2007; Aggiornamento: 05-07-2010
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