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Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia.

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È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

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GIACINTO BUTINDARO STRUMENTALIZZA

RENÉ PACHE SUI QUASI CENTOVENTI

 

 di Nicola Martella

 

 

1.  ENTRIAMO IN TEMA: Diversi credenti mi hanno messo al corrente che Giacinto Butindaro ha usato René Pache (1904-1979) con il sedicente intento di confutare quanto da me affermato nell’articolo «A Pentecoste lo Spirito discese solo sui dodici apostoli». È singolare vedere un carismaticista che strumentalizza un antipentecostale morto da decenni!

     ■ Giacinto Butindaro: Non avevo nessuna intenzione di rispondere a Giacinto Butindaro. Tali credenti mi hanno fatto talmente pressione che, infine, ho deciso di intervenire. Nel passato ho cercato di stabile un dialogo serio con lui, ma tutti i miei tentativi sono stati inutili, poiché diventa subito aggressivo e passa subito alle illazioni personali; in rete ho letto anche di altri che hanno fatto la stessa esperienza.

     Egli non distingue cose importanti da quelle meno importanti all’interno della dottrina, cose centrali da quelle periferiche; perciò, dove lui non è d’accordo con qualcuno, parte con una delle sue crociate denigratorie, senza che all’altro gli venga dato il diritto di obiettare e di replicare sui suoi blog. Giacinto Butindaro ritiene le sue opinioni siano già verità di per sé; perciò non si ferma alle osservazioni nel merito, ma copre subito coloro, che lui si è scelto come avversari, di cattiverie e cattive parole. Sarebbe lungo l’elenco delle illazioni, di cui mi ha fatto oggetto negli ultimi anni. Ad esempio, nell’articolo in esame: «René Pache contro Nicola Martella sul numero di coloro che parlarono in lingue il giorno della Pentecoste», mi attribuisce quanto segue: «ennesima menzogna», «le assurdità di Martella». Alle obiezioni dei suoi lettori, egli continua con lo sproloquio: «menzogna», «Martella mente contro la verità». Non ha avuto neppure ritegno a prendere una mia foto e a scriverci sopra in caratteri cubitali: «No alle tue menzogne»; e questo è accaduto, sebbene sulla foto è indicato il copyright e sebbene, in tal modo, egli contravviene alle leggi sulla proprietà intellettuale. Certamente Giacinto Butindaro non ha la qualità principale dell’uomo di Dio e del servitore del Signore, che è essere «irreprensibile» (1 Tm 3,2; 6,14; Tt 1,6s; 2,7s).

 

     ■ Che significa «confutare»?: Chiaramente questa è l’illusione di Giacinto Butindaro riguardo a quanto scrive: «Ho confutato abbondantemente quello che ha detto Martella e l’ho fatto mediante le Scritture». No, le cose non stanno così; nei suoi articoli Giacinto Butindaro ha espresso solo la sua opinione; al «confutazione» è ben altra cosa. Anche in questo scritto in esame egli probabilmente non comprende che cosa sia una vera confutazione, visto che usa delle citazioni di un autore, deceduto da vari decenni, e pretende così di aver confutato qualcosa! Se egli veramente crede questo, ciò sarebbe veramente una roba da dilettanti, visto che ognuno può cercare e trovare citazioni di un qualsiasi autore da mettere a contrasto con qualcun altro e pretendere che ciò sia una confutazione! Chi crede veramente a una cosa del genere, si fa solo irridere da ogni vero studioso.

     È proprio singolare il fatto di usare René Pache, uno studioso e anti-pentecostale dichiarato, morto oramai da tanto tempo, con la pretesa che uno studioso morto possa confutare l’articolo di una persona vivente! Per poter confutare qualcosa, una persona deve essere vivente, deve avere l’occasione di leggere un certo scritto e deve avere la volontà di fare osservazioni e obiezioni nel merito, rispondendo con argomenti validi punto per punto. Queste premesse non si adempiono nel caso di René Pache, né è possibile interpellarlo nel merito, visto che è morto da tempo. Forse c’è qualcuno che, oltre a proporsi come infallibile giustiziere, ha anche occulte capacità taumaturgiche di interpellare i morti mediante una specie di spiritismo cristianizzato!? Quindi si tratta solo di una scaltra strumentalizzazione a danno di questo studioso svizzero.

 

 

2.  LE AFFERMAZIONI DI RENÉ PACHE: Chiaramente Giacinto Butindaro ha citato dal libro di René Pache solo ciò, che gli è convenuto, tralasciando il resto. Tuttavia, ecco le citazioni riportate da una vetusta edizione (1977 !).

     ■ «I discepoli prima della Pentecoste. At. 1/4: essendo i discepoli riuniti, Gesù Cristo raccomanda di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere ciò che il Padre aveva promesso. Questa attesa durò dieci giorni, e fu trascorsa nella preghiera, At. 1/14. Perché i centoventi dovettero attendere? Perché il tempo fissato da Dio per l’effusione dello Spirito Santo non era ancora venuto» [René Pache, La persona e l’opera dello Spirito Santo (Unione Cristiana Edizioni Bibliche, Roma 19772), p. 80. Il grassetto è nostro].

     ■ «I centoventi nell’Alto Solaio, furono tutti ripieni di Spirito Santo e si misero a parlare in altre lingue, At. 2/1-4» [Ibid., p. 85].

     ■ «La facoltà di parlare una o più lingue straniere senza averle imparate. Il solo esempio che noi abbiamo è quello della Pentecoste, quando i centoventi ricevettero il dono di esprimersi in 15 lingue e dialetti diversi loro sconosciuti fino ad allora, Att. 2/4,8-11» [ibid., p. 199].

 

Si noti la casualità di tali tre affermazioni, tolte da tre parti differenti dell’opera. Non si trattava di una questione centrale, né di un argomento, che l’autore poi discusse per dimostrarne la veracità, ma solo di un assunto. Perché qualcosa sia valida e possa essere usata per confutare il ragionamento di un altro studioso, deve contenere un’argomentazione esegetico particolareggiato nel merito, ossia qui la dimostrazione perché a Pentecoste sarebbero stati centoventi (veramente Luca aveva arrotondato tale cifra!). Poiché di tutto ciò non c’è ombra, non si tratta di una dimostrazione, né ciò può essere usato per confutare alcunché; si tratta solo di una opinione personale senza vigore probatorio.

     Chi ha citato tali brani di René Pache, in effetti lo strumentalizza con l’intento di gettare fumo negli occhi di incauti e sprovveduti lettori. Se uno non conosce la differenza fra dichiarazione (assunto, tesi) e dimostrazione (prove esegetiche), che specie di «studioso» sarà mai? E come può pretendere di usare delle opinioni personali di qualcuno contro un altro studioso e reclamare di aver confutato qualcosa? Dinanzi a una cosa del genere ogni vero studioso scuote la testa con sufficienza e dileggia una tale superficialità intellettuale e logica.

 

 

3.  ALCUNI APPROFONDIMENTI: Avendo già trattato altrove alcune di queste questioni, mi limiterò ad evidenziare solo alcuni aspetti.

     Analizzando le citazioni di René Pache, si deve necessariamente prendere atto che egli fece allora delle dichiarazioni sulla base della sua conoscenza, ma egli non cercò minimamente di dimostrare quanto affermò. Egli prese allora il fatto che a Pentecoste ci fossero centoventi credenti come una cosa scontata per lui, senza cercare una conferma esegetica (guardando meglio, per Luca erano «circa 120»). Ciò non è un procedimento esegetico, ma solo una dichiarazione dogmatica, visto che si parte da un assioma, che non si dimostra.

     Si noti pure che tali brani sono tratti da un libro di natura dottrinale sul tema generale de «La persona e l’opera dello Spirito Santo». Ora, René Pache era conosciuto, a suo tempo, per le sue capacità di studioso in campo dogmatico, ma non come esegeta. René Pache non scrisse un commentario su Atti 1-2, né fece qui un’esegesi particolareggiata di tale testo. Si fermò solo a delle dichiarazioni, che erano le sue convinzioni.

     Ad esempio, egli parlò, arrotondando, dei «centoventi nell’Alto Solaio» o semplicemente dei «centoventi», senza tener presente che erano tutti credenti maschi. Infatti, Pietro si rivolse alla «massa di circa centoventi persone [lett. nomi])» (At 1,15), chiamandola: «Uomini, fratelli» (v. 16). Essi non erano, quindi, tutti i credenti disponibili allora, visto che erano escluse le donne e Maria (v. 14).

     In effetti, si trattava di un incontro, in cui i rappresentanti autorevoli dei seguaci di Gesù (solo maschi, poiché le donne erano escluse da tale «conclave») erano chiamati a eleggere il dodicesimo apostolo (vv. 16-26). Essendo ciò un incontro ad hoc, escludeva tutti gli altri credenti: quelli immaturi e a cui non si riconosceva una capacità decisiva ed elettiva, oltre a tutti i credenti novelli e a tutti i simpatizzanti.

     Inoltre, perché tali «circa centoventi» credenti maschi potessero rappresentare la chiesa allora esistente (essa fu inaugurata con nuovo patto nell’ultima Pasqua di Gesù), essi dovevano provenire da tutte le zone della Giudea, della Galilea e da altre zone limitrofe, in cui c’erano seguaci di Gesù. Che allora esistessero molti più credenti dei «circa centoventi», è mostrato dal fatto che Paolo affermò quanto segue, mantenendo una precisa cronologia: Cristo «apparve a Cefa, poi ai Dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo; poi a tutti gli apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto» (1 Cor 15,5-8). Si noti pure la differenza fra i «Dodici» e «tutti gli apostoli» (= inviati, mandati, rappresentanti); si trattata degli «inviati delle chiese» (cfr. 2 Cor 8,23 apostoloi). Si noti pure che Paolo non menzionò le donne, visto che la loro testimonianza nell’antichità non era ritenuta attendibile. Tutto ciò mostra che la quantità dei credenti, al tempo di quella specifica Pentecoste, era abbastanza numerosa; tuttavia, solo alcuni furono investiti dalla potenza dall’Alto.

     Come ho mostrato altrove, coloro che furono investiti dallo Spirito e parlarono in lingue a Pentecoste, erano tutti «Galilei» (At 2,7); ciò escludeva che si trattasse dei «circa centoventi» fratelli, che non potevano essere tutti Galilei (cfr. Lazzaro, i due discepoli di Emmaus, Zaccheo, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, ecc.). Inoltre, in Atti 2 Luca non parlò di altri credenti, ma solo di Pietro e degli altri undici apostoli (v. 15), che erano appunto tutti Galilei. Solo i dodici apostoli furono investiti dalla potenza dall’Alto per renderli idonei al particolare ministero, che li avrebbe costituiti il fondamento della chiesa (Ef 2,20) e resi idonei a insegnare autorevolmente nella chiesa (At 2,42; 5,21) e a manifestare la potenza di Dio (At 2,43; 5,12).

 

 

4.  ASPETTI CONCLUSIVI

     ■ Confutazione?: Lo scrittore umoristico israelita Efraim Kishon affermava: «Per esempio non è una prova». Sulla falsariga della sua massima mi viene da dire qui: «Una citazione dichiarativa non è una dimostrazione, né ha il vigore di confutare alcunché».

 

     ■ Giacinto Butindaro: Egli ha il diritto alle sue opinioni, a dissentire dalle mie convinzioni e a cercare di obiettare a quanto io scrivo. Lui crede di aver confutato alcunché (diamoglielo da credere!), ma ogni vero studioso direbbe solo che ha espresso la sua opinione. La confutazione in campo scientifico, letterario, filosofico e teologico è ben altra cosa.

     Il problema è che ciò, che egli non riesce a confutare con veri argomenti, crede di poterlo fare o con argomenti di paglia, o attaccando quelli, che lui ha eletto suoi avversari, con male parole e denigrazione pubblica. Tutto ciò getta soltanto inquietanti ombre sulla sua mente, sulla sua etica e sulla sua intera persona. Da quanto egli ha scritto sul mio conto e su altre persone, non gli si può certo dare il predicato di «irreprensibile». Sembra, inoltre, che egli goda nel cercare aspetti secondari nella vita e nel pensiero altrui, per metterli alla berlina; probabilmente è una forma di narcisismo, che lo porta a edificarsi a spese altrui, per compensare ciò, che gli manca come essere umano, o forse per scongiurare le sue arcane frustrazioni. Un uomo integro, equilibrato, irreprensibile e appagato in Cristo non ha bisogno di gettare fango sugli altri per sentirsi meglio; affronta tutti gli argomenti, anche quelli scottanti e controversi, con pacatezza ed equilibrio, non cerca vincitori (lui stesso) e vinti (gli altri), ma dialoga con gli altri con l’intento comune di accertare la verità biblica, teologica ed esegetica.

 

     ■ René Pache: Ho ripreso in mano il suo libro sopra citato della stessa edizione. Erano decenni che non accadeva, poiché a me non piacciono i libri con un approccio dottrinale di qualunque genere, ma preferisco andare al testo originale e, se necessario, consulto quelle opere di natura esegetica. Ho potuto verificare alcune cose. L’autore è un grande studioso di dottrina, ma mostra limitate capacità esegetiche, poiché pressoché mai si sofferma sul testo originale e spiega i termini tecnici ivi presenti. Ciò non significa che il suo libro non sia valido, ma non ha le caratteristiche di un libro di natura esegetica.

     Uno studioso di dottrina presenta le sue opinioni bibliche in corrispondenza delle sue convinzioni. Per un esegeta vale solo il testo nel suo contesto. Come abbiamo visto, René Pache, parlando dei «centoventi» (senza il «circa»), espresse la sua opinione di studioso di dottrina, prendendo ciò come assunto, ma non fece proprio nulla per confermare questa sua dichiarazione in modo probante con un procedimento di esegesi contestuale! Un esegeta non fa così, ma prima dimostra ciò, che asserisce.

     Il libro di René Pache ha certamente i suoi pregi, tuttavia qui e là contiene delle sviste. Ad esempio, casualmente il mio occhio è andato sopra la seguente dichiarazione: «Così, qualunque sia la spiegazione che noi diamo a Giov. 20/22, ci sarebbe impossibile dire: I discepoli hanno “ricevuto prima lo Spirito” e poi, cinquanta giorni più tardi, sono stati “battezzati di Spirito Santo”…» (p. 38). Se lui fosse in vita, cercherei di convincerlo che Gesù soffiò sui suoi apostoli 47 giorni prima di Pentecoste (forse 46 giorni, visto che era già la sera del primo giorno, quando per gli Ebrei era già cominciato il secondo giorno), contando tali giorni dalla festa delle Primizie in poi; ricordo che la risurrezione avvenne tre giorni dopo la morte del Messia. Da ciò consegue che, facendosi vedere Gesù dai suoi apostoli per 40 giorni, dall’assunzione al cielo a Pentecoste trascorsero più o meno sette giorni (50 – [40+3] = ~7). Perciò, egli parlò di «quaranta giorni più tardi, all’ascensione» (p. 37), contando i giorni dalla Pasqua; in effetti erano 43 giorni dopo. Per cui egli parla sempre di 10 giorni dall’ascensione a Pentecoste; in effetti erano circa sette, a seconda se li contiamo secondo il calendario ebraico o quello attuale.

     Perché ho accennato a tale questione? Perché Pache non andò a fondo per verificare con l’esegesi contestuale le cose, che affermò, ma partì dalle convinzioni ovvie per dichiarare quanto affermò. Lo stesso avvenne per i «circa centoventi», sedicentemente riempiti tutti di Spirito a Pentecoste, senza far nulla per dimostrare questo suo assunto.

     Un altro esempio di svista, che mi è saltato all’occhio, è la seguente affermazione: «I dodici discepoli di Efeso, infine sono prima battezzati, poi ricevono lo Spirito, 19/5s» (p. 88). Chiaramente, non avendo René Pache capacità di poter verificare il testo biblico in greco e di fare una traduzione letterale e una corretta esegesi contestuale, arrivò a tale convinzione, che poi dichiarò. Nel tema di discussione «A Pentecoste lo Spirito discese solo sui dodici apostoli? Parliamone 3: I fatti da Pentecoste in poi», tratto tale brano (contributo 10) e faccio notare all’incirca quanto segue. È importante tradurre correttamente Atti 19,5-6, che letteralmente recitano così: «Ora, udendo [ciò], si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù; e, imponendo loro le mani di Paolo, lo Spirito Santo scese su di loro, ed essi parlavano lingue e profetizzavano». Si noti che l’imposizione delle mani non avvenne dopo il battesimo in acqua, ma come un’azione unica, essendoci una congiunzione coordinata, il cui senso era il seguente: tali discepoli si disposero a farsi battezzare (conversione) e Paolo impose loro le mani. Anche qui si trattava della rigenerazione mediante lo Spirito Santo, come a casa di Cornelio.

     Come si vede, sebbene il libro di René Pache sia pregevole, in alcuni punti egli partiva dalle sue convinzioni dottrinali o dalle convenzioni dogmatiche del suo tempo, senza far nulla di veramente esegetico per dimostrare le sue tesi. Ciò valeva anche per quei «centoventi», che per René Pache erano sedicentemente tutti presenti a Pentecoste. Infine, come ho già accennato, egli non la prendeva poi così alla lettera con i numeri, visto che scrisse sempre dei «centoventi», mentre Luca affermò che erano «circa centoventi» e erano tutti «uomini, fratelli» (At 1,15s).

 

     ■ Pache e Butindaro: Chiaramente io consiglierei il libro di René Pache a tutti i credenti poiché, di là da alcuni dettagli e alcuni aspetti dichiarativi e non esegetici, è un’opera pregevole, che mostra la persona e l’opera dello Spirito Santo. Ora, dando uno sguardo al libro, sorprende che tutta l’opera abbia un approccio proprio all’opposto delle convinzioni pentecostal-carismatiche di Giacinto Butindaro e dei suoi accoliti. Ad esempio, per René Pache Pentecoste era solo un’esperienza di rigenerazione nel senso del nuovo patto.

     È proprio singolare che Giacinto Butindaro abbia usato un tale libro antipentecostale solo perché René Pache parlò dei centoventi in modo dichiarativo e non esplicativo e probante! È proprio il caso di dire che ha colato il moscerino e ha inghiottito il cammello! E questa dovrebbe essere una «confutazione»!? Anche a Monna Lisa non rimane che sorridere dentro di sé con garbo e verecondia.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Butindaro_Pache_120_Mds.htm

15-09-2011; Aggiornamento:

 

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