Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.

 

Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CHIESE LOCALI E CENTRALITÀ DELLA MISSIONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nell’incontro regionale delle Assemblee dei Fratelli del Lazio si affrontano vari temi. L’ultimo ha riguardato la relazione fra chiese locali e missioni.

    Come «non tutto è oro ciò che luccica», non tutto è missione o missionario, pur chiamandosi tale. Certamente questo vale anche per chi, pur portando il titolo di conduttore (pastore, Anziano, ecc.), non corrisponde ai prerequisiti biblici (1 Tm 3; Tt 1). Nelle chiese italiane c'è un antico problema irrisolto fra missioni e chiese locali. Qui limitiamo il nome «missione» e «missionario» a coloro che lavorano direttamente nell'espansione del «regno di Dio»; essi sono da distinguere dai «gruppi di servizio» di una comunità locale e da organizzazioni cristiane che offrono servizi e prestazioni dietro un compenso  fisso e con la ragione sociale di ditta (p.es. case editrici, librerie, agenzie di viaggi, centri per vacanze e conferenze). I missionari di questo tipo vorrebbero vedere le comunità costituite in funzione dell'espansione del «regno di Dio» (missiono-centrismo). Molti conduttori di chiesa, facendo spesso coincidere il «regno di Dio» con le comunità locali, non solo hanno una visione ecclesiocentrica (ed ecclesio-localistica), ma vorrebbero che i missionari fossero sottomessi a loro. Ed è qui che nasce il problema e il conflitto, oltre a tante sofferenze.

     Durante il convegno di Creactio «Comunicare Gesù 2008» missioni e organizzazioni cristiane, che operano in Italia, potevano presentarsi con un proprio spazio ed esporre i propri materiali. Ecco qui di seguito le diverse realtà che erano state annunciate (in ordine alfabetico).

• Agape Italia (Firenze) • Alleanza Evangelica Italiana (Roma) • Apice (Piacenza) • Articoli Cristiani (Casalnuovo - NA) • Casa Biblica (Vicenza) • CEM (Modena) • Centro Cristiano Fede Speranza Amore (Sesto Fiorentino - FI) • Centro Emmaus (Roccella Ionica - RC) • CLC (Roma) • Compassion (Torino) • CRC (Seregno - MI) • Creactio/ECM Media (Macherio - MI) • Edizioni GBU (Chieti) • Edizioni Patmos (Perugia) • Edizioni Ricchezze di Grazia (Grosseto) • Epamedia (Aversa - CE) • evangelici.net (Asti) • evanTV.net (Varese) • EUN (Marchirolo – VA) • Gioventù in Missione (Piedimonte Etneo - CT) • GLO (Napoli) • Gruppo Kairos • Heavens Music (Cassano delle Murge - BA) • IFED (Padova) • Il Faro (Nicosia - EN) • Insieme (Scandicci - FI) • Istituto Biblico Evangelico Italiano (Roma) • Italian Ministries • La Buona Novella (Trepuzzi - LE) • La Casa della Bibbia (Torino) • La Fionda di Davide (Fonte Nuova - RM) • La Pergamena (Torino) • L’arte al servizio della chiesa, Susanne Stoehr (Macherio - MI) • L’evento della storia (Modena) • Missione Possibile (Cesano Boscone - MI) • Morning Star (Empoli - FI) • NTM Italia (Pietracatella - CB) • Open Air Campaigners (Varese) • Operazione Mobilitazione (Torre Pellice - TO) • Peacemaker Ministries (Milano) • Porte Aperte (Isola della Scala - VR) • ReVive Records (Bologna) • Società Biblica di Ginevra in Italia (Torino) • Soli Deo Gloria - MSD (Piacenza) • Teen Challenge (Asti) • UEB (Magliano Alfieri - CN) • World Team (Milano) • Youth for Christ Italia (Bologna).

 

Si noti che alcune di queste organizzazioni, vendendo prodotti o servizi, hanno più i tratti di un’azienda (o ditta) che di un’opera missionaria vera e propria; ciò non è negativo in sé ma, come abbiamo mostrato sopra, è solo da distinguere per capire.

    Due concetti che ricorrono in questo tema di discussione sono quindi «ecclesio-localismo» e «missiono-centrismo», che rappresentano, per certi aspetti, due visioni differenti del «regno di Dio». Come fare per coniugarli legittimamente insieme?

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Saverio Bisceglia

2. Rinaldo Diprose

3. Nicola Berretta

4. Nicola Martella

5. Gianni Siena

6. Giovanni Mele

7. Nicola Berretta

8. Nicola Martella

9. Erik Benevolo

10. Nicola Martella

11. Erik Benevolo

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Saverio Bisceglia}

 

Nota redazionale: Durante la fase di preparazione di tale incontro regionale delle Assemblee, Saverio Bisceglia ha mandato agli altri partecipanti uno scritto dal titolo «La chiesa locale: Un modello superato?», in cui c’era una simile lista e le seguenti parole.

 

Tutte queste [organizzazioni, associazioni, opere], alcune da noi ben conosciute, formano una vera e propria giungla nella quale è veramente difficile riconoscere le chiese, benché i partecipanti appartengano a varie denominazioni evangeliche. […] Questo è solo uno spunto di riflessione sull’argomento che vogliamo affrontare nell’incontro…:

     ■ Perché il proliferare di sigle, associazioni, organizzazioni e quant’altro?

     ■ Il modello di chiesa del Nuovo Testamento e ormai superato?

     ■ Quando è vantaggioso avere organizzazioni cristiane che s’occupano d’aspetti particolari dell’opera del Signore? Esempio musica, opere sociali, comunicazione, editoria, ecc.

 

[Vogliamo trattare] il ruolo della chiesa locale e le nostre esperienze con queste organizzazioni. {06-06-2008}

 

 

2. {Rinaldo Diprose}

 

Nota redazionale: Quanto segue è parte di una lettera inviata da Rinaldo Diprose ai partecipanti agli incontri regionali dei conduttori e missionari delle Assemblee dei Fratelli del Lazio. Lo aggiungo per gli spunti di riflessione che egli pone.

 

[…] L’argomento che voi affronterete [….] è oggetto d’attenzione nel secondo corso S.F.I.D.A. E lo considero molto importante. Ogni assemblea locale ha bisogno di riflettere sul rapporto che i suoi membri hanno, o potrebbero avere, con le varie organizzazioni para-ecclesiali e inter-ecclesiali, in vista d’un tipo d’interazione che favorisca la crescita e il massimo utilizzo dei doni che il Signore elargisce sia dentro sia fuori d’ogni assemblea locale.

     Alcuni di voi avranno visto l’ultimo numero di Lux Biblica (n. 37) intitolato: I Campi biblici e altre opere al servizio delle chiese. Spero che la lettura di questo numero di LB possa offrire degli spunti costruttivi per la vostra discussione. {07-06-2008}

 

 

3. {Nicola Berretta}

 

Nota redazionale: Dopo tale incontro, Nicola Berretta ha mandato il seguente resoconto ai conduttori delle Assemblee del Lazio e ai missionari partecipanti a tale incontro.

 

Cari fratelli, […] abbiamo avuto modo di […] scambiarci alcune riflessioni, in particolare riguardo al tema che era stato precedentemente proposto, relativo al rapporto tra le varie organizzazioni para-ecclesiali e la chiesa locale. È stato molto utile lo stimolo ricevuto da alcune riflessioni scritte da Saverio Bisceglia, oltre che dall’ultimo numero della rivista «Lux biblica», che affronta proprio questo tipo di problematica. Pur con diversa enfasi, è stata sottolineata da tutti noi la necessità di ribadire la centralità del ruolo svolto dalla chiesa, in rapporto a queste realtà collaterali. È stata riconosciuta l’utilità d’iniziative che non siano di pertinenza diretta d’una chiesa locale, soprattutto in quegli ambiti in cui la singola realtà ecclesiale non è in grado di intervenire in maniera esauriente; ciononostante è stato sottolineato quanto queste iniziative debbano essere al servizio della chiesa, facendo estrema attenzione a non capovolgere l’ordine delle priorità, qualora queste iniziative abbiano come obiettivo ultimo un auto-sostentamento, indipendente dalla chiesa, o addirittura a scapito di essa. In questa discussione è stata comunque sottolineata la responsabilità primaria della chiesa locale, la quale per prima deve usare discernimento nel giovarsi responsabilmente dell’apporto di realtà para-ecclesiali, mantenendo sempre un ruolo attivo e presente. […] {17-06-2008}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Premetto che a motivo del ministero fuori zona, non ho potuto essere a tale incontro. Sebbene non tutto mi convince di ciò che è venuto fuori dalla discussione (troppo ecclesiocentrismo nel senso di ecclesio-localismo che non ritrovo così nel NT e di cui purtroppo le Assemblee sono affette), il tutto può servire come base di un’ulteriore riflessione. Premetto che non tutto ciò che oggigiorno si chiama «missione» o «missionario», lo sono veramente nel senso del NT.

     Tale ecclesiocentrismo localista fa confondere, come si legge fra le righe sopra, il «regno di Dio» con le chiese locali; a mio parere questo è un grave errore. Per questo motivo, si vede tutto il resto come para-ecclesiale e «realtà collaterale»; si parla anche della «chiesa» (spesso «Chiesa») come se nel mondo fosse una realtà unica, uniforme e chiaramente identificabile (p.es. mediante un vertice mondiale).

     Il lapsus mentale è proprio la confusione fra «regno di Dio» e chiesa (locale). Per realizzare l’avanzamento del suo regno, Dio si serve sia delle chiese locali, sia della variegata missione, sia di opere di servizio (p.es. quelle chiamate diaconali o assistenziali e quelle dedite all’istruzione sia generale sia biblica), impropriamente chiamate para-ecclesiali.

     Faccio notare che Paolo aveva una squadra missionaria ben definita, sebbene variabile nel tempo, e sebbene egli stesso fosse stato inviato in missione dalla chiesa d’Antiochia (così Barnaba), difficilmente si potrà dimostrare che egli dipendesse da questa e nel tempo desse conto a essa nel modo che oggi si ritiene, visto che attingeva da offerte volontarie d’altre chiese. Inoltre egli stesso affermò come erano andate veramente le cose: «Anche voi sapete, o Filippesi, che quando cominciai a predicare l’Evangelo, dopo aver lasciato la Macedonia, nessuna chiesa mi fece parte di nulla per quanto concerne il dare e l’avere, se non voi soli; poiché anche a Tessalonica m’avete mandato una prima e poi una seconda volta di che sovvenire al mio bisogno» (Fil 4,15). Quindi egli non dipendeva finanziariamente (né in altro modo) dalla chiesa di Antiochia («nessuna chiesa»). La chiesa locale di Corinto, presso cui Paolo operò per lungo tempo, non si curò di lui finanziariamente, ma lo fecero le chiese della Macedonia (2 Cor 11,9s; 12,13s). Tale rapporto era di comunione, non di dipendenza nel senso che Paolo e la sua squadra dovessero rendere conto ai cristiani macedoni. Dove non bastava il sostegno, Paolo e la sua squadra si industriavano con un lavoro secolare di una parte di loro (normalmente lo facevano i collaboratori), pur di non pesare su un gruppo ancora nascente (cfr. 1 Ts 2,9). Paolo mandava i suoi collaboratori a trovare sostegno fra le chiese a loro ben disposte (specialmente quelle della Macedonia) e, in certi brevi periodi, egli stesso dovette mettersi a lavorare per sopravvivere (At 18,3); ma ciò succedeva fintantoché non tornavano i suoi collaboratori col sostegno necessario o per sostenerlo col loro lavoro (v. 5). Tutto ciò mostra l’indipendenza strategica e direzionale di Paolo e della sua squadra missionaria dalle chiese locali, a cui era solo legato da legami di comunione. Si può addirittura affermare che egli considerasse le chiese locali esistenti in senso missiono-centrico, e non al contrario.

     Inoltre allora c’erano fratelli che avevano scelto come stile di vita il ministero itinerante di predicazione. Si recavano in una comunità locale (a quel tempo era formata da varie chiese in casa; cfr. Rm 16), passavano qui un certo periodo di tempo e, ospitati dai fratelli locali, predicavano la Parola; poi proseguivano il viaggio aiutati finanziariamente da questi ultimi per raggiungere la prossima meta. Per questo è scritto: «Provvedete alle necessità dei santi, esercitate con premura l’ospitalità» (Rm 12,13). Era per tale motivo che Paolo prospettava ai credenti romani quanto segue: «Quando andrò in Spagna, spero, passando, di vedervi e d’essere da voi aiutato nel mio viaggio verso quella meta, dopo che mi sarò in parte saziato di voi» (Rm 15,24.28s). Similmente si legge in Tt 3,12ss; 3 Gv 1,5ss. Si può addirittura constatare e asserire che Paolo non solo non vedeva la missione in funzione delle singole chiese locali, ma considerava queste ultime in funzione del suo mandato missionario. Egli, lungi dall’avere una prospettiva ecclesio-localista, nutriva una visione missiono-centrica. Per questo, sebbene ci fossero migliaia di villaggi da raggiungere con l’Evangelo, poteva dire: «Ora, non avendo più campo da lavorare in queste contrade...» (Rm 15,23). Dal punto di vista della statistica non era certo vero, ma secondo la strategia missionaria era così. Infatti egli pensava in senso missiono-centrico in macro-dimensioni (popoli, territori, nazioni). Invece di cominciare una guerra territoriale fra diverse squadre missionarie, egli vedeva oltre, dicendo ad esempio ai Corinzi, per «poter evangelizzare anche i paesi che sono al di là del vostro, e da non gloriarci, entrando nel campo altrui, di cose bell’e preparate» (2 Cor 10,14ss).

     Per cui una visione ecclesio-localistica porta non solo spesso a disinteressarsi degli estremi confini della terra (missione esterna), ma anche di molti bisogni nazionali (missione interna). Aver ribadito la centralità delle chiese locali negli ultimi secoli non ha portato per nulla alla responsabilità di queste ultime nel raggiungere capillarmente l’Italia (tanto meno il mondo). Al contrario, cercando d’assoggettare i missionari e le squadre missionarie ai conduttori di chiesa (ho conosciuto casi di grande prostrazione!), ciò ha portato a inibire — volenti o nolenti — la missione e la visione dei missionari.

     Per questo molti missionari (che abbiano o meno fondato una chiesa locale) e molti cosiddetti «servitori del Signore» si sono trasformati in conduttori di chiesa, per poter partecipare in qualche modo al potere direttivo e non diventare pedine in mano d’altri; in tal modo hanno abdicato però alla visione e al mandato ricevuti, e sono restati tali fino al loro ritorno in patria (se missionari esterni) o fino al loro pensionamento (servitori del Signore). Missionari, che hanno fondato chiese, si sono trasformati per il resto del loro ministero in conduttori, per timore di essere messi da parte dalle nuove guide; tale timore è comprensibile, visti i tanti casi accaduti in varie parti d’Italia, ma la loro scelta è in contrasto col loro mandato. Manca in Italia semplicemente una teologia (e un’etica) tale che permetta ai missionari fondatori di rimanere tali, senza la paura d’essere esautorati, e che induca nei nuovi conduttori un timore di Dio tale per non umiliare ed emarginare chi ha fondato la chiesa, quando il suo ruolo muta.

     Spero che questa mia analisi biblica e teologica porti, quale positiva provocazione, ognuno di noi a riflettere su molte ovvietà ecclesio-localiste, su cui si è formato uno strano consenso fra le Assemblee. Come si sa, quando s’accredita un certo consenso, esso è difficile da sradicare, poiché lo si confonde con la verità biblica. La domanda è questa: l’ecclesio-localismo radicato in tante Assemblee corrisponde veramente alla prassi delle chiese del primo secolo e quindi alla visione neotestamentaria delle cose? Come ho mostrato sopra, io nutro seri dubbi al riguardo. Già chiamare la missione come un’attività para-ecclesiale mi pare appartenere a un linguaggio improprio e pieno di conseguenze negative. E se si scoprisse, da un’attenta analisi del NT, che le chiese locali erano per Paolo e la sua squadra delle realtà para-missionarie, ossia dei trampolini di lancio per espandere il «regno di Dio» e, quindi, per portare avanti il «grande mandato» missionario affidato da Gesù agli apostoli (Mt 28,18s) e a Paolo stesso (At 9,15; 2 Tm 4,17)?

 

 

5. {Gianni Siena}

 

Contributo: Esiste un altro pericolo che non va sottovalutato, dici bene su certe iniziative lodevoli in sé, ma non esattamente esenti da caratteristiche ibride. Per esempio, prendiamo EUN, una casa editrice evangelica, che per quanto «cristiana» e fornitrice d’un insostituibile servizio nel fornire letteratura cristiana è pur sempre una società commerciale, che deve avere un occhio di riguardo al bilancio e al mercato.

     Non ho appunti da muoverle ma mi è venuto in mente che la Società Torre di Guardia, negli USA è registrata come «incorporated». Carattere comune anche a chiese indipendenti che spezzettano il patrimonio fra un certo numero di membri e proteggono così i beni della comunità. La Torre di Guardia è una casa editrice a tutti gli effetti e macina profitti con quella collaudata macchina propagandista e di vendita che sono i TdG. Si rileva che i numeri delle loro riviste scaduti diventano carta straccia, il singolo testimone li «compra» (!) per regalarli o venderli nel caso in cui qualcuno vuol rifondere il prezzo di copertina.

    Il mondo non fa caso a questi aspetti deleteri, ma fa d’ogni erba un fascio... stiamo attenti! {1 luglio 2008}

 

Risposta: Sebbene azzardato il confronto fra una casa editrice come «Edizioni Uomini Nuovi» e la «Watch Tower Tract Society», il monito rimane. Ogni buona iniziativa editoriale di cristiani può trasformarsi nel tempo rispetto agli obiettivi dell’origine, assoggettandosi sempre più a logiche di puro marketing e alle leggi di mercato. Allora a essere importante non è più il contenuto in sé (biblico, dottrinale, teologico), ma se vende o meno. In tali casi, si sa, più è controversa un’opera, più suscita curiosità e più vende.

    Guardando i listini di diverse case editrici, devo ammettere che in non pochi casi il discernimento biblico è stato messo in soffitta. Penso specialmente ai libri misticheggianti con un linguaggio gnostico-spiritualista cristianizzato, a quelli pieni di allegorie campate in aria su ogni cosa e ogni persona dell'AT, quelli pieni di discutibili viaggi celesti e quelli ormai proni a una cosiddetta filosofia ideologica chiamata «teologia dell'esperienza» e «teologia della prosperità» (qui il termine «teologia» è proprio fuori posto).

     Una casa editrice può contribuire all’avanzamento del regno di Dio? Sì, ma ciò dipende dal contenuto delle opere pubblicate. Una casa editrice può essere considerata una «missione» in senso neotestamentario? La risposta è no; è tutt’al più un’«opera di servizio».

 

 

6. {Giovanni Mele}

 

Non credo che io possa aggiungere di più, di quel che ha spiegato il fratello Nicola Martella riguardo alle chiese locali; perciò mi associo al fratello condividendo in tutto quello che ha scritto. Lasciando la benedizione del Signore, vi saluto. {Canada; 01-07-2008}

 

 

7. {Nicola Berretta}

 

Non so se avete mai notato una pianta di gramigna. Probabilmente l’avete solo calpestata inavvertitamente, oppure invece l’avete combattuta inutilmente per disinfestare il vostro giardino. La bellezza di questa pianta sta nella sua «tenacia» e nella strategia con cui si diffonde estesamente anche nei terreni più aspri. Se provate a strapparla, scoprirete il suo segreto. Ognuno dei tentacoli che costituiscono la sua rete di diffusione è costituito da vari segmenti successivi, intervallati da nodi che assomigliano ad articolazioni. Osservando meglio questi nodi, ci s’accorge che ciascuno d’essi presenta un apparato radicale che lo àncora saldamente al terreno. Si comprende allora la strategia usata nell’accrescimento di questa pianta: il segmento più distale d’un certo ramo s’allunga, poi emette delle radici, le affonda nel terreno, si consolida in quel punto, e da lì emette un nuovo segmento che s’estende per un altro tratto producendo altre radici autonome. Questa strategia permette alla pianta di mantenere legami metabolici che servono al sostentamento di tutta la pianta, ma allo stesso tempo garantisce un’autonomia a ciascun nodo, provvisto d’un suo proprio apparato radicale. Per certi versi dunque la gramigna è un’unica pianta che s’estende per un’ampia area del prato erboso, ma allo stesso tempo può essere vista come un agglomerato di tantissime piante indipendenti, tante quante sono i nodi provvisti d’apparato radicale. Qui sta la sua forza: il nutrimento assorbito da un nodo che si trova in un punto del prato più ricco d’acqua viene distribuito anche verso rami meno fortunati, inoltre, se ne strappi un ramo, non impedisci a quelli rimasti di continuare a proliferare autonomamente. Pensate invece a una bella parete riempita di foglie d’edera. Per quanto estesa possa essere le sua ramificazione, vi basterebbe individuare il suo ramo principale e tagliarlo, per vedere tutte le foglie appassirsi inesorabilmente, fino a seccarsi del tutto. Distruggere la gramigna è invece un’impresa pressoché impossibile.

     Capisco che possa apparire un po’ irriverente paragonare l’opera di Dio alla gramigna, ma per certi versi possiamo trarne insegnamenti utili.

     L’opera di Dio è grande ed estesa: è un’opera di riconciliazione in Cristo rivolta a tutti gli uomini (2 Cor 5,19-21; Col 1,13-23). È proprio nel contesto di questo progetto globale che s’inserisce il nostro compito individuale primario, che è quello di collaborare con Dio a quest’opera di riconciliazione (2 Cor 5,19), divenendo testimoni di Cristo (Mt 28,19-20; At 1,8). La chiesa è il progetto globale, laddove per chiesa s’intende la realizzazione di questo progetto universale d’uomini e donne, d’ogni popolo, lingua e nazione, riconciliati con Dio attraverso la morte e la resurrezione di Cristo Gesù, per cui la chiesa diviene «il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti» (Ef 1,20-23).

     All’interno di questo progetto globale di chiesa, intesa come opera universale di riconciliazione in Cristo, s’inserisce il ruolo fondamentale svolto dalla chiesa locale: una comunità di credenti rigenerati in Cristo i quali, attraverso l’amore fraterno (1 Pt 1,22), l’unità dello Spirito (Fil 2,1-4), la sottomissione reciproca (Ef 5,21), la sequela degli insegnamenti della Scrittura (At 2,42), l’assistenza pratica (Gcm 2,15-19), la condivisione dei pesi (Gal 6,2), la preghiera e l’intercessione gli uni per gli altri (Gcm 5,13-16), l’esercizio dei carismi individuali elargiti dallo Spirito Santo (1 Pt 4,10-11)… testimonia del proprio essere discepoli di Cristo.

     Ciò che è a mio giudizio di fondamentale importanza è che la chiesa locale non è l’obiettivo che il Signore Gesù Cristo ci ha lasciato, ma il mezzo attraverso cui possiamo raggiungere il fine, che è testimoniare di Gesù, il Cristo, risorto dai morti (Gv 13,35; 17,20-21).

     Guai al pensare che la chiesa (locale) sia il nostro fine! Essa non è il fine, ma il mezzo. Aggiungerei, il mezzo fondamentale e indispensabile, ma pur sempre un mezzo. Quando la chiesa locale diviene un fine, tende a perdere la prospettiva globale di cui è parte e perde di vista il compito principale per cui essa esiste.

     Si pensa così che il semplice fatto che un locale rimanga aperto ci faccia sentire a posto con Dio, perché… la testimonianza non può chiudere (identificando la «testimonianza» con il locale di culto). Ci si disinteressa di curare la comunione fraterna, il perdono e la sottomissione reciproca, l’assistenza pratica, lasciando invece spazio alle maldicenze, ai rancori o alle prepotenze autoritarie, lavandoci la coscienza nel pensare che comunque «la testimonianza» è aperta e gli incontri domenicali o infrasettimanali sono sempre puntualmente garantiti.

     L’opera di Dio è dunque un’opera globale, come la gramigna di cui parlavo prima. In quest’opera globale le chiese locali svolgono un ruolo analogo ai nodi che individualmente affondano le proprie radici. Lo scopo però non è quello di garantire la propria sopravvivenza individuale, ma di partecipare all’edificazione di tutta la pianta, mandando rami verso territori ancora inesplorati e mettendo a disposizione la linfa assorbita dalle proprie radici anche al resto della pianta. Resta inteso che per «pianta» non mi riferisco a una denominazione specifica, ma alla globalità dell’opera di Dio.

     Certamente in quest’illustrazione i missionari svolgono un ruolo fondamentale nel far sì che un nodo emetta radici e s’ancori saldamente al terreno, e allo stesso tempo dovrebbero farsi portatori d’un ministero «inter-nodale», che guarda dunque maggiormente alla globalità dell’opera di Dio.

     Ben vengano dunque le organizzazioni para-eccelsiali o para-missionarie che dir si voglia. Purché concorrano all’edificazione della chiesa, intesa come progetto globale di riconciliazione in Cristo.

     Tralascio la questione posta riguardo alla natura dei rapporti tra la chiesa locale e i missionari. Sono convinto che spesso queste tematiche usino argomentazioni teologiche per nascondere problemi relazionali. Il Signore ci chiama a farci servi (Mc 10,42-45), mentre noi ci lasciamo facilmente trasportare dalla nostra carnalità rivestendola di pretesti dottrinali sul chi comanda di più tra l’anziano e il missionario. {05-07-2008}

 

 

8. {Nicola Martella}

 

Le riflessioni di Nicola Berretta sono apprezzabili e condivisibili. Lo ringrazio anche perché finora è stato l’unico dei conduttori delle chiese dei Fratelli del Lazio che è intervenuto sul tema; la cosa mi meraviglia e mi preoccupa parecchio (non so se un sintomo di una tendenza, semplice disinteresse o il caldo).

     L’unica cosa che mi turba del contributo precedente è soltanto l’ultimo paragrafo, che ritengo poco riflettuto, troppo semplificatore e, quindi, poco saggio. Nessuno, quanto meno io, ha posto tale problema di rapporti d’autorità tra anziani e missionari, ossia chi debba comandare di più; ridurre una complessa problematica a tale tessera, impoverisce l’intero mosaico. (D’altronde inutile chiudere gli occhi dinanzi a un problema che non è stato ancora sufficientemente analizzato dal punto di vista teologico né risolto nelle chiese italiane. È cosa poca riflettuta e dai risvolti malsani spingere tutta una questione così complessa nel cassetto dei «problemi relazionali» e della «carnalità» rivestita di dottrina, visto che tocca le radicate convinzioni ecclesiocentriche di diversi cristiani, secondo cui i missionari debbano essere sottomessi ai conduttori locali della zona in cui operano.)

     Io avevo posto una ben altra questione. L’opera globale di Dio (il regno di Dio) nel mondo si regge su almeno tre pilastri (in ordine storico):

     ■ 1) La missione (Mt 28,18ss; At 1,8). Il titolo e ministero dell’«apostolo» corrispondeva a quello attuale del missionario fondatore.

     ■ 2) Le chiese locali con i loro responsabili (At 14,23; Tt 1,5).

     ■ 3) Le opere di servizio: Esse erano sia ecclesiali e paraecclesiali (At 6 diaconia; At 18,11 apostolo istruttore; 20,20 apostolo istruttore degli anziani), sia interecclesiali o comunque al servizio di un’ampia gamma di chiese (At 19,9 una specie di scuola biblica nella scuola di un filosofo, quindi in un ambiente neutro, per tutta la provincia Asia; cfr. anche At 28,30s).

 

L’opera del Signore (il regno di Dio) si espande al meglio quando queste tre istanze lavorano in sintonia e in simbiosi; in ogni modo, è già auspicabile che nessuna d’esse ostacoli le altre o ritenga di avere una licenza di controllo gerarchico sulle altre. Quindi se si ha a cuore l’intera opera di Dio, si fa bene ad andare oltre rispetto a certe insinuazioni, a porsi il problema teologico e a trovare vie riflettute e mature riguardo a soluzioni praticabili e benefiche per il regno di Dio nel nostro tempo.

     Mi rendo conto che un limite per capire il tenore della Parola di Dio al riguardo è dato dal fatto che, invece di tradurre radicalmente i termini greci, li si è solo latinizzati prima e poi italianizzati. Col tempo si è visto in tali termini solo la descrizione di ruoli e ministeri passati per sempre (teoria cessazionista). Togliendo le placche terminologiche, ridiamo nuovo splendore ai ministeri utili all’opera del Signore. Ecco perciò una mia traduzione letterale: «Ed è lui che ha dato gli uni, come missionari [= apostoli]; gli altri, come proclamatori [= profeti]; gli altri, come araldi [= evangelisti]; gli altri, come curatori d’anime [= pastori] e insegnanti [= dottori], per l’equipaggiamento dei santi riguardo all’opera del servizio, per la costruzione del corpo di Cristo, finché tutti arriviamo all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, alla piena virilità, alla misura d’età della pienezza di Cristo…» (Ef 4,11ss).

 

 

9. {Erik Benevolo}

 

Riprendendo la frase «la missione della chiesa è la missione, e la missione della missione è la chiesa», ho trovato stimolante la riflessione su «ecclesio-localismo» e «missiono-centrismo».

     Ritengo che ci siano due contesti possibili : l’equipe missionaria, e la chiesa locale.

     ■ Nella missione il «responsabile» è il missionario, uomo o donna che sia (dipende dal tipo di missione), e l’equipe dipende da lui.

     ■ Nella chiesa il «responsabile» è il Cristo, e la chiesa dipende da Lui.

 

Ne consegue che, come sarebbe abusivo in una chiesa sottoporre la comunità a un Pastore (il «Sommo Pastore» sappiamo chi è, e una chiesa sottoposta a un pastore non l’ho ancora vista nel Nuovo testamento... chiedo d’essere corretto se divago), simmetricamente sarebbe abusivo in una missione sottoporre l’equipe che ci lavora a un Consiglio di Chiesa. L’equipe dipende dal suo responsabile, mentre la chiesa dipende da Gesù Messia.

     Solo così capisco l’espressione «li lasciarono andare» in Atti 13, quando Paolo e Barnaba furono letteralmente «tolti» alla comunità dalla volontà espressa dallo Spirito Santo e non dalla chiesa né da un comitato! Né è scritto «li mandarono»... la chiesa non dirige una missione, ma ne è la culla degli attori.

     E solo così capisco l’espressione «i nostri» e «quelli di Zena il dottor della legge» in Tito: «i nostri» - «quelli di Zena»... l’espressione tipica d’una appropriazione è qui usata, credo a indicare la presa di responsabilità piena e adulta della propria equipe davanti al Signore.

     Ardirei quasi dire che Gesù è Signore per il responsabile della missione, come è Cristo per i responsabili della chiesa locale.

Signore dei suoi servi - Cristo della Sua Chiesa.

 

Ovviamente, il servitore (il responsabile) ascolta con attenzione i suoi fratelli — ma dipende dal suo maestro. In un certo senso, è solo... Mentre se è membro del collegio degli anziani nell’amministrazione della chiesa locale, non agirà mai da solo, ma sempre nella tensione con loro, a discernere la volontà dello Spirito. Infatti mi risulta che lo Spirito non parli mai in prima persona, salvo nella comunità dei Santi quando questi sono abbastanza disponibili per lasciarlo esprimersi... («Lo Spirito Santo disse:...»)

     Le interferenze — o no — fra missione e chiesa sono a mio avviso conseguenza diretta di questo fondamento.

     ■ Quindi, il responsabile di missione dipende dal suo Signore, nell’ascolto della voce dei suoi fratelli — ma risponde al Signore.

     ■ E i responsabili della chiesa (Anziani, e poi diaconi) dipendono gli uni dagli altri, e tutti insieme dal Cristo, a cui rispondono — pronti a rispondere ai loro fratelli, «con dolcezza e rispetto».

     Un abbraccio in Gesù

     Ho scritto di getto: una persona sta aspettandomi... Se ci sono strafalcioni, segnalameli quando puoi e se vuoi. Che il Signore ti guidi... {21-07-2008}

 

 

10. {Nicola Martella}

 

Caro Erik, sono grato al Signore per questa «contaminazione» reciproca su tale tema. Nelle tue riflessioni ci sono molti spunti positivi e la varietà di colori aiuta a notare le differenza. Tuttavia la fretta non aiuta sempre a scrivere, quando si ha un appuntamento. Ti consiglio di rivedere il tutto alla luce dei seguenti suggerimenti e magari di aggiungere un altro contributo chiarificatore.

     ■ Il missionario (apostolos) quale titolare della sua squadra missionaria era maschio nel NT; oggigiorno ci sono «missionarie», ma sarebbe meglio chiamarle «servitrici» o simili. Così anche i conduttori (episcopoi, presbiteroi) erano maschi, senza eccezione.

     ■ Sia nella missione, sia nella chiesa locale, il Capo (responsabile) è Gesù Messia: egli diede il grande mandato; egli fondò la sua assemblea messianica (Mt 16,18); egli parlò ai sette conduttori di chiesa in Apocalisse (Ap 2s). Non a caso Paolo si presentò spesso nelle sue epistole come «apostolo di Gesù Cristo», ossia come uno che era stato da Lui mandato in missione (1 + 2 Cor 1,1; Ef 1,1; Col 1,1; 1 + 2 Tm 1,1; Tt 1,1; cfr. Rm 1,1; Gal 1,1); così pure Pietro (1 + 2 Pt 1,1).

     ■ La conduzione collegiale era più in uso tra i cristiani giudei, la conduzione monocratica era più un costume dei cristiani ellenistici, abituati al leader unico (cfr. le lettere indirizzate ai sette conduttori si trovano tutte nella provincia Asia). Per l’approfondimento vedi in Nicola Martella (a cura di), Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), l’articolo «La conduzione quale chiave dell’unità», specialmente le pp. 34ss. Spesso il «collegio dei conduttori» nasceva dal fatto che raccoglieva in un luogo i responsabili delle diverse «chiese in casa» (cfr. Rm 16). Il termine «collegio» non esiste nel NT; in 1 Tm 4,14 ha un altro significato: «Non trascurare la [azione di] grazia che è in te, la quale ti fu data mediante proclamazione [ispirata] con imposizione delle mani dell’anzianità». Tali «mani dell’anzianità» (o privilegio di chi è più anziano) erano quelle di Paolo (2 Tm 1,6 «imposizione delle mie mani»). Nonostante tutto ciò, certo noi riteniamo che un «consiglio di conduttori» sia meglio che una conduzione monocratica; tuttavia si possono fare esperienze contrastanti riguardo a comunità funzionanti o alla deriva, sia con un tipo di conduzione sia con l’altro.

     ■ Come l’equipe missionaria dipende dal missionario (apostolos), così l’equipe ecclesiale dipende dal / dai conduttore /i. Sia il missionario sia la conduzione dipendono, a loro volta dal loro Capo, Gesù Messia.

     ■ La chiesa locale può anche «mandare» (così gr. apostéllein e lat missio; cfr. At 9,30; 11,22; 15,22) e il missionario può essere «raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore» (At 15,40 Paolo); si vedano i termini al singolare, sebbene fosse accompagnato da una squadra! Anche il missionario mandava i suoi collaboratori fra le chiese per vari motivi (1 Cor 4,17; 2 Cor 8,18.22; 9,3; 12,18; Fil 2,15; Col 4,9; 1 Ts 3,2).

     ■ In Tito 3,13s manca «quelli di Zena», sebbene ci sia «i nostri», inteso probabilmente come «i credenti divenuti tali mediante la nostra missione». Può darsi che Zena e Apollo facessero parte di un’altra squadra missionaria, ma nel testo non è subito evidente, sebbene «i nostri» potrebbe essere certo un indizio a contrasto. In ogni modo, dopo la separazione di Paolo e Barnaba, essi formarono due diverse squadre missionarie (At 15,39s). Per affermare di non aver sconfinato nelle zone missionarie altrui, ci dovevano essere quindi altre squadre (2 Cor 10,16). Dire di non avere «più campo da lavorare in queste contrade» (Rm 15,23), non significava certo che tutto era stato raggiunto, ma che altri erano all’opera.

     ■ Quanto allo Spirito Santo, Egli parlò sia in situazioni ecclesiali (At 13,2; 15,28) sia in quelle di missioni (At 13,4 «mandati dallo Spirito Santo…»; 16,6 vietato; cfr. v. 10 «tenendo per certo che Dio ci aveva chiamati là»); giustamente bisogna saper ascoltare.

 

 

11. {Erik Benevolo}

 

Hum! vedo che sei troppo rispettoso del tuo prossimo per permetterti di modificarne i contributi... di fatto, avevo scritto di getto, come ben dici, la fretta non aiuta a scrivere quando si ha un appuntamento.

     Chiarisco quindi alcuni punti e modifico imprecisioni mie che si prestano a giuste critiche.

     ■ Innanzitutto, il metodo. Quando ragiono, cerco di tenermi a livello dell’argomento di cui parlo, e pur verificando con approfondimenti puntuali la coerenza globale del ragionamento, preferisco non scendere in dettagli che invaderebbero inutilmente lo spazio dell’argomentazione se venissero esplosi allo stesso livello.

     Per questo ho scritto che l’equipe dipende dal suo responsabile, mentre la chiesa dipende da Gesù Messia. Fai bene a puntualizzare che sia nella missione, sia nella chiesa locale, il Capo (responsabile) è Gesù Messia! Ovviamente sono d’accordo: al vertice c’è sempre e solo Gesù, sottoposto a sua volta a Dio, Suo Padre. Ciononostante, m’aiuta di più ragionare per opposizione, differenziando un aspetto dall’altro mediante il risalto dei contrasti, come si fa in certi tipi di pittura. Quel che mi premeva esprimere (si può essere d’accordo o no, la dialettica serve ad avanzare per antitesi) è che mentre la chiesa è direttamente guidata da Cristo Messia, la direzione diretta d’una missione spetta al suo leader (uso il termine «leader» per ragionare con la rapidità dell’inesattezza). Cioè, mentre un anziano non decide da solo, ma si confronta coi suoi simili per trovare con loro il pensiero dello Spirito, il leader missionario a cui il Signore ha affidato la missione, porta da solo davanti al Signore la responsabilità delle scelte, pur consigliandosi coi collaboratori o ricevendo consigli dalla sua chiesa locale.

     Il primo che mi fece notare questa differenza fu Watchmann Nee; da allora ho potuto constatare quanto ciò sia onnipresente non solo nel Nuovo Patto, ma pure in tutta la bibbia. Questo è un primo punto, direi sociologico che, se è capito bene, porta un anziano a non condurre mai da solo le faccende collettive, e un responsabile di missione a dipendere veramente dal Signore e non da un comitato di cui diverrebbe il funzionario. Penso al caso di Paolo che, una volta «lasciato andare», non fu più nella tensione dell’ascolto comunitario della voce dello Spirito, ma in quella dell’ascolto solitario della voce del suo Maestro (non oppongo lo Spirito al Signore, ma l’aspetto comunitario a quell’individuale); o più personalmente, al caso d’una missionaria che sosteniamo, responsabile d’una missione a Kinshasa per l’adozione a distanza di ragazzi di strada: certo, ascolta i nostri consigli, cerca sicurezza presso la sua chiesa (di cui io sono un anziano); ma è dal Signore che dipende, senza obblighi di dipendenza dall’anzianato prima di prendere delle decisioni.

     ■ Strettamente parlando, certo, l’apostolos è maschio; la «missionaria» sarà diaconessa, come Febe, o comunque servitrice. In quanto donna, è sotto l’autorità d’uomini, che spiritualmente fornisce protezione e sicurezza. Ciononostante, un’opera affidata all’uno o all’altro riveste dinamiche analoghe, nel senso che il «leader» si configura non come un membro d’una collettività di responsabili alla ricerca della volontà del Cristo, ma come il o la responsabile (apposta non ho usato né i termini «Capo» perché tale è solo il Cristo Signore, né «apostolo» perché evocava contenuti aggiuntivi che m’imponevano di trattare altre tematiche laterali, allorché volevo solo mettere in risalto una dinamica di fondo).

     ■ Scrivi che «l’equipe ecclesiale dipende dal / dai conduttore /i». Non capisco bene che cosa intendi per «equipe ecclesiale» né per «il conduttore» della chiesa locale. Per me l’equipe ecclesiale è il consiglio degli Anziani, eventualmente con l’insieme dei diaconi; il resto è «la chiesa» nel suo insieme... ma forse è solo un fatto di terminologia.

     Quanto all’idea del conduttore piuttosto che dei conduttori, so che su questo tema ci sono varie sensibilità, che rispetto... ma ci sono cose che non riesco a trovare nel Nuovo Testamento. Io non vedo mai «il pastore» o «il conduttore», ma sempre «i conduttori», al plurale. Mai l’anziano, ma «gli anziani»: pure attorno al Trono di Dio, leggo «gli anziani», e in Daniele «I Veglianti», come in Isaia (per analogia, ovviamente: noi qui siamo ancora sulla terra). «Siate soggetti agli anziani», sempre al plurale; non «all’anziano». E se Giovanni si definisce «l’Anziano», non è per condurre una collettività, ma per esortarne gli individui in quanto «padre». Forse l’unica eccezione è quella d’Apocalisse 2 e 3, ma è legittimo tradurre «angelo» in «conduttore»? Scrivi: «egli parlò ai sette conduttori di chiesa in Apocalisse (Ap 2s)», ma io leggo sette volte «all’angelo» che significa «messaggero», incaricato di messaggio; non «al conduttore». So che molto è stato scritto in merito, ma è lo stesso termine «angelo» come in innumerevoli altre istanze nell’Apocalisse: a partire da quello che all’inizio va da Giovanni con la Rivelazione, a finire a quello davanti a cui egli fu tentato di prostrarsi: evidentemente non umano. Se poi vogliamo farne un’applicazione, facciamo pure... ma io non baserei su quell’unico testo la legittimazione d’una direzione unica della chiesa locale, allorché è alla collettività degli almeno «due o tre» che è garantita la presenza dell’IO SONO in mezzo a loro. «Non giudicate voi quelli di dentro?» implica voi, non uno solo — perché al singolo è vietato il giudizio del suo prossimo: «chi sei tu che giudichi tuo fratello?». Come dice il salmo, «Egli giudica in mezzo ai giudici», al plurale. Questo è quanto io capisco, che m’impedisce di legittimare una conduzione unica della chiesa locale. Qualora poi una chiesa locale ne avesse veramente bisogno, perché sta partendo (o ripartendo), benissimo: in quel periodo essa sarà vista non più come chiesa, ma come missione, fintantoché non sarà possibile stabilirvi un’equipe ecclesiale, che sostituirà l’autorità piramidale con la forma collegiale tipica dell’autorità unica del Cristo in mezzo ai suoi. Questo è quanto io capisco.

     ■ Scrivi: «Si possono fare esperienze contrastanti riguardo a comunità funzionanti o alla deriva, sia con un tipo di conduzione sia con l’altro» Certo. Quindi l’esperienza non permette di valutare l’esattezza o no della dottrina, ma solo la nostra capacità d’ubbidirne allo spirito. E siamo carenti, carentissimi... perché siamo handicappati ad amare. Lì sta il nodo, non nel modello. Il fatto culturale giudaico o ellenista o contemporaneo, è un’informazione utile; ma la mia formazione, la norma, la ricevo dalle Scritture, specie se mi consentono di capire lo stesso perché le cose funzionano o no. Se responsabile unico sta a missione (locale) come anzianato sta a chiesa locale, posso concepire benissimo che Dio benedica una «missione locale» diretta da un uomo di Dio, mentre non degni d’uno sguardo una confraternita carnale diretta da un consiglio d’anziani che non lo sono nell’anima... Non è certo il modo di far le cose che compenserà la mancanza dello spirito con cui vanno fatte: la comunità diretta dall’uomo di Dio crescerà, mentre accanto quella «dei fratelli» di cui gli anziani si dilaniano, morrà — indipendentemente dal modello. E si sarà trattato della differenza fra una missione diretta a Dio, e un’assemblea di condominio.

     ■ La chiesa locale può anche mandare: grazie della puntualizzazione, effettivamente mancava... ragionando per grandi linee mancano i livelli di dettaglio. Credo però che ci sia un carattere diverso fra Antiochia che «lascia andare» Paolo e Barnaba per la loro missione, e la chiesa che «manda», o il missionario che «manda» a sua volta. Se ne potrebbe fare uno sviluppo dettagliato... Ma lo scopo mio era solo d’opporre missione a chiesa, e responsabile unico a collettivo di responsabili, perché ritengo che ci sia una dialettica atta a diventare fonte di chiarezza, se la sia adotta come fondamento di riflessione. Ad esempio, pure i termini «Signore» e «Cristo» non sono intercambiabili: il primo fa quasi sempre riferimento alla dimensione personale, il secondo a quella collettiva... Addirittura nel pane della cena, la menzione «corpo del Signore» (1 Cor 11) coinvolge la mia responsabilità personale, mentre la menzione «corpo di Cristo» (1 Cor 10) ci coinvolge in quanto insieme, popolo di Dio, Corpo unito a Lui.

     ■ In Tito 3,13s manca «quelli di Zena». Hai ragione: ho estrapolato, rientro in carreggiata. È scritto «Provvedi con cura al viaggio di Zena, il legista, e d’Apollo, affinché nulla manchi loro. Ed imparino anche i nostri ad attendere a buone opere per provvedere alle necessità, onde non stiano senza portar frutto». Dal contesto deduco che l’espressione «anche» indica presenza di un’altra realtà dello stesso tipo: quindi, inerente a «Zena, Apollo & Co.», ovvero un’altra equipe. Semplice deduzione, ma che va nel senso dell’identificazione dell’equipe a sé, cosa che non accade in una chiesa condotta in modo collegiale.

     ■ Per finire, l’espressione «Lo Spirito Santo disse...» è unica a Atti 13,2: credo che ciò sia importante, perché nella letteratura contemporanea carismatica non c’è la stessa cautela. Lo Spirito parla, certo. Dirige, rivela, impedisce, convince... Ma una volta sola (almeno una!) ha potuto parlare, Lui, direttamente: perché c’era una collettività con le seguenti caratteristiche...

            ● Collettività non eccessivamente ortodossa: Accadde nella chiesa d’Antiochia. Vien da chiedermi: sarebbe stato possibile, a Gerusalemme?

            ● Collettività eterogenea: Barnaba, Simeone chiamato Niger, Lucio di Cirene, Manaen, allevato assieme a Erode il tetrarca, e Saulo: cocktail esplosivo...!

            ● Collettività con dei veri ministeri: V’erano profeti e dottori: non dei diplomati o laureati in teologia critica, né membri di «famiglie importanti»... ma servitori che il Signore s’era formato lui stesso secondo Efesini 4,11. (Non sono contro gli studi, ma contro la loro deificazione.)

            ● Collettività al servizio: Or, mentre celebravano il servizio al Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse... Stavano servendo e digiunando: tutto per Lui, nulla per sé. Ecco il contesto necessario perché Dio si riveli.

            ● Collettività disponibile a perdere perché altri guadagnino: Mettetemi da parte Barnaba e Saulo... Erano fra i migliori, i più utili, quelli che non dovrebbero mai partire... che ne sarà della chiesa se proprio loro se ne vanno? Meglio altri, magari in formazione... Invece Antiochia brillò d’altruismo e di coraggio. E l’Evangelo brillò in tutto il Mediterraneo.

            ● Collettività capace d’abbracciare altri obiettivi dei loro: Per l’opera alla quale li ho chiamati. Né psico-rigidità né legalismo né tradizionalismo, ma flessibilità, abbandono attivo, ascolto intelligente. Uno dei peggiori cancri delle chiese locali è la sclerosi multipla del divieto di tutto ciò che non è obbligatorio. Al Corpo di Cristo il fariseo d’ieri e d’oggi mette la camicia di forza, e spesso il servitore non ha altro scampo che la fuga. Che Dio ci guarisca dalle nostre paralisi ecclesiali, prima che sia la persecuzione a farlo.

            ● Collettività ubbidiente: Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono. Ubbidiscono alla voce dello Spirito, lasciandogli le conseguenze della loro ubbidienza. Seppero perdere per guadagnare, come Paolo più tardi scrisse, lui gran maestro del morire per vivere.

 

Credo che se sappiamo distinguere fra io e noi, missione e chiesa, Signore e Cristo, responsabilità unica e condivisa, individualità e collettività, (non individualismo né collettivismo), capiremo pure i limiti delle varie categorie. Un consiglio di chiesa non è abilitato a dirigere una missione, ma a fornirle (e a chi la conduce), i consigli, i mezzi, le preghiere, la collaborazione. Quando però il / la missionario/a torna a casa, è sottomesso all’anzianato: non in quel che concerne la missione, ma nell’ambito della vita del Corpo. E gli uni e gli altri, al Signore dei suoi discepoli e Cristo della sua Chiesa. Con affetto in Gesù… {22-07-2008}

 

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Nota editoriale: Ho invitato Erik a puntualizzare meglio i suoi pensieri, che ritengo importanti e preziosi. Ritengo le sue seguenti puntualizzazioni rilevanti. Per evitare che ci mettiamo a discutere di conduzione monocratica o collegiale (ritengo quest’ultima sempre migliore nella pratica) e di fare un lungo excursus sull’uso di anghelos nel NT (che non corrisponde sempre ad «angelo») — gli do qui semplicemente l’ultima parola, affinché le buone cose da lui evidenziate non vengano diluite e sminuite in altro. Rimando al riguardo ai seguenti confronti, dove vengono affrontati tutti questi aspetti:

Per forza un collegio di anziani? {Nicola Martella} (D)

Per forza un collegio di anziani? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

 

12. {}

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Ecclesiolocalismo_missione_UnV.htm

18-06-2008; Aggiornamento: 22-07-2008

 

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