Alcuni hanno avuto una continua vita conflittuale col coniuge. Per altri il
rapporto coniugale è stato abbastanza «normale». Poi, il coniuge non c’è più.
■ La morte improvvisa: Lì per lì
il mondo mi è crollato, dice il coniuge rimasto. Quando ciò è successo, si
sono fatti strada
stati d’animo alterni e contrastanti: l’incredulità, il rifiuto, i tanti
perché. Che sarà ora di me? Cominciano i meccanismi di transfer:
vorrei essere morto io al suo posto (così non avrei, ora, tali problemi).
I funerali tengono alquanto impegnati.
Dopo qualche giorno, ci si ritrova soli con se stessi: quasi tutti
i condolenti non ci sono più. Ci si chiede, quindi, più consapevolmente, che
succederà ora
che l’altro non c’è più. Che farò io senza di lui / di lei? Ce la farò?
Chi o che cosa mi darà sostegno?
■ La lunga malattia: Ora se ne andato, pensa il
coniuge rimasto. Da parecchio tempo tutto girava intorno alla sua
malattia, ogni cosa era in funzione d’essa, anch’io. Ora c’è il vuoto,
manca ogni bussola nella vita. Sì, tutto era annunciato, ma che sarà ora di
me? Finché viveva, avevamo una piccola speranza, a cui aggrapparci: ora non
c’è più nulla, se non il vuoto e un labirinto, da cui non so come uscire.
Ce la farò? Come farò a esistere senza di lui / di lei?
Quando muore il coniuge, dapprima si rimane «sospesi» tra sogno e realtà,
come se la situazione potesse ancora cambiare, come se ci si è soltanto
sbagliati, come se il tutto fosse stato solo immaginazione e presto ci si
potrebbe risvegliare.
Poi segue il rifiuto di ciò che è accaduto, il
dispiacere per ciò che è successo all’altro, ma anche arcani timori per se
stessi («che sarà ora di me?»). La mente si rende veramente (!?)
conto della portata dell’accaduto, dapprima quando la cassa viene sigillata e
poi quando lentamente il muratore la mura dentro il loculo, mattone dopo
mattone.
Ora, i sentimenti esplodono con moti alterni,
consolandosi e disperandosi, accusando(si) e scusando(si). Dietro a quel muro
esile vengono seppelliti tutti gli atti d’amore e d’odio, le proprie ragioni, i
contrasti palesi e quelli sotto la cenere, le incomprensioni, le ostinazioni,
gli atti di generosità e di sacrificio, quelli di egoismo e di crudeltà…
Improvvisamente bisogna mettere proprio tutto agli atti? Bisogna chiudere
il capitolo: e quale aprire?
Se la quotidianità coniugale era «normale» o
conflittuale, l’altro era almeno il metro con cui misurarsi, lo specchio in cui
mirarsi per analogia o contrasto, l’altro polo verso cui (in simbiosi o in
contrapposizione) essere consapevoli della propria identità
e del proprio valore. E ora chi sono? Chi o che cosa sarò?
Anche quando il coniuge morto ha lasciato dietro di sé
nell’altro una scia di buoni ricordi, un po’ ci si sente traditi. Se ha
lasciato solo sentimenti di risentimento, ci si sente doppiamente ingannati. A
ciò si aggiunga una sensazione di disorientamento. Rimane pure un sottile
rimprovero
verso il coniuge defunto: Tu te ne sei andato/a, ora i problemi cadono tutti su
di me! Come farò? Dove metterò le mani? Come andrò avanti?
L’immagine mostra alcuni aspetti del lutto. Esso lascia
dapprima come impietriti. La vita diventa fragile come un soffione, di cui il
vento distrugge la struttura, portando via i semi. Per chi è credente, proprio
questi ultimi portano in sé la speranza di vita. Quando si uscirà dalle fasi
critiche del lutto e ci si guarderà intorno, ci si renderà conto che dietro a sé
c’è una via d’uscita. Per il credente in Cristo essa è la via della fede.
|
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I contributi sul tema
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1.
{Nicola Martella} ▲
Oltre a quanto detto sopra, può aiutare la
discussione anche quanto segue. Anni fa era morto mio padre. Una decina di
giorni dopo, mia madre mi disse al telefono: «Non mi rendo ancora conto delle
cose. Mi sembra come se tuo padre dovesse entrare da un momento
all’altro, com’era solito fare».
Mio cognato ha
raccontato che, tempo dopo aver perso la consorte, mentre stava andando a
prendersi da bere nel frigorifero, chiamò la moglie da una stanza all’altra,
come se fosse stato ovvio, per
chiederle se anche lei volesse bere qualcosa.
Un amico credente svizzero mi ha raccontato che il
giorno del funerale di suo padre, dopo il seppellimento, mentre erano come
l’usanza a mangiare insieme con gli intervenuti, qualcuno venne da sua madre per
congedarsi. Ella, senza pensarci, disse al suo conoscente: «Aspetta che vado a
chiamare Floriano».
Tutto questo
mostra che una cosa è sapere qualcosa o prenderne atto, altra cosa è esserne del
tutto consapevole, realizzare l’accaduto in tutto e per tutto.
Sei passato anche tu per un simile «guado» esistenziale? Ossia hai perso anche
tu il coniuge? Quali sono state le tue esperienze, che possono aiutare altri a
riuscire in una situazione simile a quella vissuta da te?
Sono certo che le seguenti testimonianze
contribuiranno ad aiutare altre persone, che passeranno per la stessa via
crucis. Per i credenti questo tema può essere di consolazione e di
orientamento; per chi non ha ancora una fede personale in Cristo, esso può
essere l'occasione per trovare il Dio d’ogni consolazione (2 Cor 1,3s).
2.
{Stefania Perciballi }
▲
È sempre triste, quando qualcuno dei nostri cari muore e ci si sente mancanti
e con tanti sensi di colpa. Per quanto riguarda la dipartita di mio marito ora
posso vedere che Dio mi aveva preparata durante i 14 mesi di malattia. Il
giorno del funerale Dio mi ha dato forza con il passo di Luca 20,37s: «Che
poi i morti risuscitino, anche Mosè lo dichiarò nel passo del “pruno”, quando
chiama il Signore il Dio d’Abrahamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe. Ora,
Egli non è un Dio di morti, ma di viventi; poiché per lui vivono tutti».
Veramente per Dio tutti vivono! Un altro passo, che mi ha consolato molto, è che
noi non siamo come i pagani, che non hanno speranza, noi abbiamo la grande
speranza della risurrezione. Così ho compreso che Dio ci può far vivere su
questa terra 30, 50 e anche 100 anni, ma di fronte l’eternità sono un puntino,
quindi la cosa importante è vivere per le cose eterne.
{2007}
3. {Stefano
Frascaro}
▲
Caro Nicola, conosci bene la mia storia (mia moglie morì di cancro molto
giovane); e quei ricordi, nonostante la serenità e l’amore, che ho per la mia
attuale moglie, indubbiamente mi riportano alla mente un periodo doloroso.
Non ho avuto il privilegio di affrontare la separazione
fisica dalla mia prima moglie con il cuore aperto a Cristo, anzi. In quei
momenti non lo capivo assolutamente. Non riuscivo a capire come poteva aver
lasciato due bambini (i miei due figli di quattro e nove anni a quel
tempo) senza la madre.
Dici che si pensi a lungo: «Che ne sarà di me?».
Posso dire di non averci pensato neppure per un secondo. Avevo due figli, a
cui badare. In quei giorni, ci dovevo pensare «io» a loro. Non si ha tempo
per auto-commiserarsi… e forse è stata proprio quella la mia fortuna. L’essere
completamente assorbito dal portare alla normalità una vita, di cui sei
consapevole, in quei momenti, che non sarà mai più normale.
Dicevi che si rimane sospesi tra sogno e realtà…
A me non è successo. Sì, magari mi sbagliavo a chiamare per nome un’amica,
chiamandola con il nome di mia moglie, ma sai benissimo che questa storia dei
nomi è per me un grosso problema.
La cosa che invece mi fece rendere conto veramente che
in quel momento ero solo e lo sarei stato per sempre (perché è vero, in quel
momento non pensi che la vita possa cambiare), fu quando, una sera a letto,
allungai il braccio per appoggiarlo sul fianco di mia moglie e sentii il
vuoto accanto a me. Crollai in quel momento, erano passati quasi due mesi e
stavo solo a casa, perché i bambini stavano dagli zii. In quel momento
realizzai il mio stato di vedovanza. Per la prima volta in vita mia (e per
fortuna ultima) presi una bottiglia di whisky e mi ubriacai. Ma questo mi
aiutò solo a farmi venire un gran mal di testa il giorno dopo!
È stato bello, a posteriori e vedendo tutto il puzzle
oramai composto, come il Signore guidò poi tutto quanto. È proprio vero,
la pioggia cade sul terreno del giusto e dell’ingiusto. In quei giorni, non
conoscevo Cristo
come personale salvatore, ma Lui stava preparando ogni cosa per il nostro
incontro. Una conoscente (poi capii che era una sorella evangelica) mi chiese se
poteva portare i bambini in un campeggio (Isola del Gran Sasso, è un istituto
evangelico), lì loro accettarono Cristo nei loro cuoricini e, dopo poco tempo,
piegai anch’io le mie ginocchia davanti a Cristo.
Capii che Cristo era pronto a prendere i miei pesi
su di Lui, semplicemente mettendoli ai piedi della croce… e che peso, che
zavorra mi tolsi dalla schiena!
Sì, continuavo a essere solo, ma il Signore stava
operando anche in questo, facendomi conoscere Carmela, la mai attuale
splendida moglie e sorella.
Un lutto ha portato tre persone a Cristo. Non voglio
ridurre il tutto a ciò, né pensare che la morte della mia prima moglie sia
servita a questo o che il Signore si sia servito di questo. Posso solo
ringraziarlo poiché, nel momento forse più sconfortante della mai vita, ha
riportato a nuova vita me e la mia famiglia. {10-04-2013}
4. {Rita Fabi}
▲
A me è accaduto
esattamente quello, che hai descritto. Ormai nulla aveva più un senso,
neanche gli affetti, o la vita. E nel momento della disperazione peggiore,
Dio mi ha preso nelle sue mani; ed è proprio da lì, da quella buca profonda
di dolore, che sono giunta a Lui. Onestamente, nonostante l’amore che avevo per
mio marito, sono arrivata a ringraziare Dio per tutto quello, che avevo passato,
perché senza quel dolore non avrei mai chiesto aiuto a Lui. {10-04-2013}
5. {Santina
Rallo}
▲
Nicola, come bene sai la mia metà, «mio marito», il
Signore l’ha chiamato a sé il 3 maggio 2012. Non voglio rammemorare quello, che
abbiamo passato insieme nella sua malattia.
Qui voglio parlare di me!
In questo anno ho passato la più atroce solitudine, anche se sono con la
famiglia e con la comunità quasi ogni giorno! Una sorella cara, essendo io sola,
ha dormito con me i primi mesi. Adesso lo fa un paio di volte alla settimana,
perché lavora. Potrei essere con centinaia di persone accanto, dentro l’anima
sono la metà! Non sono completa! Dopo una settimana di lavoro, sabato e
domenica eravamo uniti insieme; ero orgogliosa e fiera di mettermi sotto
braccio a lui. Nicola, mi ha vezzeggiata come una bambina, mi ha dato
ciò che volevo. Quello che mi ha dato lui, nessuno potrà ridarmelo! È stata una
vita vissuta insieme
nella fede, nelle lotte, nelle gioie. Quando cantavo in chiesa, fissava la mia
bocca. Nel Signore aveva una fiducia cieca, mi affidava ogni impegno. «Lei è una
donna capace», diceva; mi mancano tutte queste cose.
Nel momento della sua
dipartenza in ospedale, eravamo accanto al suo letto; per un istante mi
allontanai. Mi dissero che diceva «Abramo… Abramo…». Non so se vide qualcosa.
Fece cenno a mia figlia con le dita di allontanarmi, per non farmi vedere che se
ne andava. Era lucido. Così in un secondo aprii la porta, e non era più!
In conclusione, la mia
vita qual è? Il sabato e la domenica la passavo con lui; in settimana era stanco
dal lavoro e riposava. Adesso mia figlia e i credenti della chiesa mi fanno
uscire… ho sorelle in fede, che mi stimano (grazie a Dio). Il vuoto lasciato da
lui, me lo riempie il Signore! lo dichiaro che, se non avessi il Signore,
sarei impazzita. Nei miei pianti il Signore mi consola, sento la sua dolce
presenza. Gesù è il mio conforto, la mia forza per andare avanti… anche se non e
facile. È dura, molto dura!
Mi rivolgo alle coppie:
apprezzate chi vi sta accanto, anche se ci sono incomprensioni; anche se il
coniuge ha il carattere diverso, ci si ama!
Ripeto che, se non sarei
nella fede cristiana, chissà che ne sarebbe di me! Gloria al Signore per
il suo santo aiuto e soprattutto per il suo grande amore per tutti noi.
Aggiungo che la mia
speranza è che incontrerò mio marito, per godermelo per l’eternità! Da
ragazzi mi diede una foto con la dedica: «Al mio eterno amore». E cosi è stato!
lo conobbi che avevo 16 anni. {12-04-2013}
6. {}
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10. {}
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11. {}
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12. {Autori
vari}
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■
Pietro Calenzo:
Che dire, Nicola? Hai centrato in pieno l’argomento. Tutto vero, anche nei
particolari. I mille perché si sovrappongono, «scusandosi» e
«accusandosi». Tutto vero. Per il cristiano c’è la certezza della speranza
d’incontrarsi successivamente. E ciò non è poco. Faccio una sola piccola
postilla fuori dai binari del tema proposto: Quanto più forte sarà il dolore per
un caro, che muore al di fuori della grazia?! Grazie per l’articolo molto
prezioso. {10-04-2013}
■
Salvatore Paone:
Ringraziando Dio, non conosco ancora come possa realmente vivere tale situazione
colui o colei, che dovesse ritrovarsi «solo». Possiamo immaginarci o
immedesimarci per un istante nei panni di chi è rimasto vedovo /a.
L’unica consolazione in una tragica esperienza è la vita eterna nel
Figlio di Dio; solo così si può placare il forte distacco, essendo coscienti che
un giorno si potrà rivederlo /a nella gloria di Dio.
Devo fare i
complimenti a Nicola per tale articolo, perché è buono parlare anche di queste
cose, che non sono molto distanti dai credenti. {10-04-2013}
■
Enzo Lubrano: È un’analisi
puntualissima e notevole. Non ci sono passato in questa situazione, ma prego che
Dio mi prepari, se dovesse accadere. Sicuramente questa tua riflessione mi
porta, al presente, ad apprezzare maggiormente il coniuge e ad
appianare
questioni, se ancora ce ne fossero, da appianare. {10-04-2013}
■
Giovambattista Mele: Tutto
si perde e tutto si acquista, se l’uomo accetta Cristo! {10-04-2013}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Coniuge_morto_EnB.htm
26-04-2007; Aggiornamento: 11-05-2013
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