Il credente
evangelico è abituato in genere ad ascoltare predicazioni riguardante la
dottrina della salvezza, così com’è stata teologicamente elaborata dalla
forte personalità carismatica di Paolo. L’intera cristianità deve a Paolo la
corretta formulazione dogmatica della salvezza per grazia mediante la fede, che
è e rimane uno dei capisaldi della teologia della Riforma classica. Tuttavia,
questo dogma negli ultimi due secoli è stato banalizzato, privandolo della sua
incisiva forza spirituale. L’evangelismo odierno chiacchiera molto intorno a
questo dogma, ma pochissimo è fatto vedere nell’esperienza quotidiana della
vita. Per i più sembra essere un nobile, accademico, eloquente dogma cristiano,
su cui dissertare; ma la vita di molti cristiani evangelici scorre linearmente
senza che vi sia stata nel corso della loro esistenza quella crisi causata
dall’irrompere del Regno, di cui Cristo è il rappresentante.
Il testo di Luca 9,23-27 (cfr. Mt 16,24-28; Mc 8,34-38) credo che possa
essere uno dei detti fondamentali di Gesù (cfr. Mt 15,10-20), su cui Paolo ha
elaborato la sua teologia della salvezza per grazia mediante la fede, osando
dire con Bonhoeffer a caro prezzo.
Il testo è incapsulato tra la professione di fede di Pietro, l’annuncio della
passione e la trasfigurazione.
Nel 1989 nelle sale cinematografiche era proiettato il film «L’attimo
fuggente» (in inglese il titolo è «Dead poets society»), diretto dal regista
Peter Weir. Il protagonista del film è Robin Williams nei panni del professor
Keating, un brillante insegnante di letteratura inglese nella blasonata
Accademia Welton, una scuola elitaria e conformista ubicata sulle colline del
Vermont, un piccolo stato degli USA, situato nella regione del New England. Il
professor Keating è rivoluzionario nella metodologia pedagogica. Sovverte la
tradizionale metodologia dell’insegnamento della poesia per trasmettere ai
ragazzi il concetto di creatività e libertà nello studio di Keats, Withman o
Shakespeare, finalizzato a una personale fertile scelta di vita. «Essere se
stessi» è uno degli insegnamenti di Keating insieme a quello di «cogliere
l’attimo», in latino «carpe diem», significando cogliere in maniera
repentina le occasioni favorevoli per la propria crescita umana. Molto suoi
studenti seguirono le sue idee, perché esse erano rivoluzionarie per un sistema
sociale chiuso all’interno d’un vissuto convenzionale.
Quando Gesù iniziò a predicare, la sua stessa predicazione, i suoi insegnamenti,
le sue parole, la sua stessa personalità carismatica entusiasmarono le folle,
per le sue innovazioni rivoluzionarie all’interno dello stagnante sistema
religioso giudaico. Molti lo seguirono. Pensavano che fosse un profeta, il
messia vittorioso, che li avrebbe guidati alla liberazione dal giogo romano.
Gesù respinse tale designazione. Anzi, affermò che sarebbe stato consegnato
ai capi sacerdoti, che avrebbe sofferto e che sarebbe stato ucciso, e che il
terzo giorno sarebbe risuscitato.
Pietro, con la sua impulsività che lo contraddistingueva, si ribellò a
queste affermazioni di Gesù, affermando che questo destino di sofferenza e di
morte di Gesù non dovesse accadere. Gesù si dissociò
dalle dichiarazioni di Pietro, il quale rifiutava il dolore e la sofferenza del
Messia, e pronunciò quella fondamentale frase, che diede il senso dell’autentico
discepolato; in seguito, Paolo lo spiegò teologicamente con l’assioma dogmatico
della salvezza per grazia mediante la fede.
Gesù dà una chiara immagine di cosa significhi essere suo discepolo. Egli
dichiara solennemente: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua». Gesù dice con risolutezza e con
tono imperativo che chi vuole essere suo discepolo deve compiere una triplice
azione: rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguirlo. Per quale
motivo Gesù pronuncia queste sconvolgenti parole che senz’altro producono
imbarazzo e sgomento a chi l’ascolta?
Se esaminiamo la frase attentamente alla luce dell’insegnamento complessivo di
Gesù, possiamo ragionevolmente affermare che rinnegare se stessi
non significa che il discepolo deve rinunciare alla propria personalità, alla
propria umanità per essere trasformato in un automa. Con questa fortissima
espressione Gesù richiede al suo discepolo di rinunciare alla sua autonomia, a
vivere in maniera indipendente da Dio, a essere sovrano di se stesso, o meglio,
a essere il dio di se stesso. Rinnegare se stesso significa detronizzare il
proprio «io» divinizzato e intronizzare Gesù come Re. La tendenza umana naturale
dell’uomo è l’egoismo. L’uomo pensa d’essere un dio, vuole escludere Dio dalla
sua vita, anche nel caso in cui egli professa una propria fede religiosa.
Rinnegare se stessi nella sequela di Gesù significa paradossalmente acquisire la
vera umanità: il discepolo di Gesù è veramente Uomo, un uomo libero, libero
d’amare, di donarsi all’altro, che partecipa alle sofferenze e alle gioie
altrui, capace di gentili atti d’amore.
Proseguendo nell’analisi del brano, Gesù richiede al suo discepolo di
caricarsi quotidianamente la sua croce. La croce, di cui sta parlando Gesù
adesso, non è una croce nel senso fisico del termine: al discepolo non è
richiesto di fabbricarsi una croce e caricarsela tutti i giorni, né le
sofferenze che derivano da essa hanno valore espiatorio. Tuttavia è una croce
vera. Gesù vuole che il suo discepolo porti la sua croce. Di quale croce sta
parlando? Significa morire dentro al peccato, ossia alla pretesa di vendetta, ad
esempio, quando il discepolo è offeso o gli è stato arrecato un danno. La
reazione dell’uomo naturale è cercare la vendetta. Nel portare la croce il
discepolo è chiamato a morire al peccato della vendetta, a quello
dell’adulterio, della sessualità disordinata, vissuta fuori dal matrimonio, a
quello della frode, dell’inganno, dell’ira, della bugia, dell’idolatria,
dell’odio, del cinismo, dell’invidia, dell’accidia. Se al discepolo Gesù
richiede l’umiliazione della croce, la motivazione consiste nell’uccidere il
peccato che è dentro l’uomo. Morire in croce significa essere liberato dalla
propria concupiscenza. La croce, che il discepolo patisce, non è una croce
punitiva, ma paradossalmente una croce che libera l’uomo dalla schiavitù della
propria umanità decaduta. La croce è uno dei più importanti simboli cristiani.
La croce è il segno della libertà dell’uomo che Dio ha determinato per il
sacrificio di Gesù. Paolo dirà nella 1a lettera ai Corinzi che la
«parola della croce» è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per
quelli che si salvano è potenza di Dio (1 Cor 1,18). Portare la croce significa,
infine, che il discepolo deve essere consapevole che egli soffrirà per il
semplice fatto d’essere un cristiano.
La parte finale del brano, ossia l’imperativo alla sequela, è
l’affermazione chiave che dà senso e valore alla richiesta della rinuncia di se
stessi e a quella di portare la croce. Rinnegare se stessi, caricarsi tutti i
giorni della croce acquista significato se il discepolo s’incammina, andando
dietro a Gesù, per le strade dell’esistenza terrena. La fede in Cristo non è
statica, non è l’adesione intellettuale ai dogmi della fede cristiana.
Certamente, la dottrina è rilevante, ma non è salvifica. Se il discepolo non
segue quotidianamente Gesù, senz’altro non sperimenterà la parola della croce,
che è sapienza e potenza di Dio. Non c’è rottura con il suo passato. Egli è uno
dei tanti astanti che assistevano alla crocifissione di Gesù. La sua è una fede
senza la croce. Gesù dice: «Se osservate i miei comandamenti voi siete
veramente liberi, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv
8,31s). Nella lettera ai Galati Paolo enfatizza il concetto di libertà in
Cristo: «Voi siete chiamati a libertà... quelli che sono di Cristo hanno
crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello
Spirito, camminiamo secondo lo Spirito» (Gal 5,13.24). tale verità è il
senso vitale della vita in Cristo, è il senso profondo della saggezza.
Nel film «L’attimo fuggente» uno dei protagonisti, Neil Perry,
impersonato dall’attore Robert Sean Leonard, in una delle loro riunioni segrete
nella grotta, in cui venivano recitati versi di poeti famosi, declamò questo
verso di Henry David Thoreau, un poeta e filosofo americano del 19° secolo: «Io
andai per i boschi, perché volevo vivere con saggezza e in profondità,
succhiando tutto il midollo della vita per sbaragliare tutto ciò che non era
vita e per non scoprire in punta di morte che non ero vissuto».
Chi salverà la propria vita, dice Gesù, la perderà. E chi la perderà per amor
mio, la salverà. Questo è il profondo senso della saggezza, il succhiare il
midollo della vita. Sarà terribile per un cristiano, che afferma d’essere
cristiano, ma non segue Cristo, e alla fine della propria vita s’accorge di
non avere vissuto.
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua».
►
Sequela e caro prezzo (Luca 14,25-35)
{Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Sequela_di_Gesu_Avv.htm
20-11-2009; Aggiornamento:
20-12-2010 |