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DIVORZIO E NUOVE NOZZE IN LUCA 16,18

 

 di Argentino Quintavalle

 

Nota redazionale: Questo articolo prende spunto dalle asserzioni fatte da un lettore nel seguente tema di discussione: Divorzio 2: Interrogativi e tesi a confronto. Data la lunghezza e la specificità del contributo, lo abbiamo messo qui come articolo a sé.

 

*°*°*°*°*°°*°*°

 

Voglio dimostrare che non è affatto vero che l’evangelista Luca parla del divorzio per dare un insegnamento diverso da Matteo, quindi tratterò l’argomento iniziando proprio da Lc 16,18. Colgo l’occasione per far notare che all’incontro dei fratelli anziani delle «Assemblee dei Fratelli» (2004) — mi dispiace dirlo — oltre a tante cose giuste, sono state dette anche tante cose imprecise o erronee sull’argomento, una delle quali è che Gesù in Mt 19 si riferiva ai fidanzati.

     In tutto l’Evangelo di Luca, c’è un solo contesto in cui i verbi «divorziare» e «sposare» ricorrono insieme. Quel passaggio — costituito da un solo verso — contribuisce a darci una corretta comprensione del modo di pensare di Gesù riguardo il divorzio e le nuove nozze; tuttavia, non c’è consenso tra i cristiani sul suo significato.

     «Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chiunque sposa una donna mandata via dal marito, commette adulterio» (Lc 16,18). Nella prima metà di Lc 16,18, sembra che Gesù insegni che un uomo che ha divorziato da sua moglie non dovrebbe risposarsi. È evidente che Gesù non considererebbe un uomo come adultero se egli divorziasse da sua moglie, ma non si risposasse. Nella seconda metà del verso, sembra che Gesù dica che nessun uomo deve sposare una donna divorziata. Ma quest’interpretazione semplicistica d’un verso difficile, fa giustizia all’approccio che Gesù aveva con la Torà?

     Lc 16,18 è molto «semitico», cioè, è pieno d’idiomi semitici, un’indicazione questa che Gesù l’ha formulato in ebraico (o in aramaico, per chi non crede che Gesù parlava ebraico). Una maniera efficace per avvicinarci al verso, quindi, è quello di mettere il suo testo greco in ebraico e poi studiare il testo ebraico risultante, alla luce del pensiero giudaico del primo secolo. (Per far questo è molto utile possedere un Nuovo Testamento in ebraico).

 

Le sfumature della «e» in ebraico

     Il significato della parola ebraica di solito tradotta «e», è molto ampio e la sua flessibilità può essere la chiave per capire questo passaggio. Mentre la parola italiana «e» può prendere il valore di «anche» (Boccaccio scrisse: «Se pure questo v’è nell’animo...e a me»), e quello di «cioè» (Petrarca scrisse: «lasciasti la terra, e quel soave velo»), oppure può essere utilizzata come una virgola per collegare parole, frasi e proposizioni; la waw ebraica («e»), può avere il valore di «anche», «ma», «benché», «poiché», «cioè», «affinché» (allo scopo di), «di fatti», «allora», «sicché» e altri ancora. L’ebraico frequentemente utilizza la waw laddove l’italiano non metterebbe nessuna parola, e in tali casi la traduzione migliore sarebbe quella d’omettere completamente la «e». In molti casi, per voler tradurre la waw con «e», il vero significato della waw è stato oscurato.

     Un significato molto importante della waw (e) è «affinché», «allo scopo di», cioè ha un significato di scopo, fine e intenzione. Ricorre frequentemente nell’ebraico biblico, ad esempio: «Lascia andare il mio popolo, e [affinché, in modo che] mi serva nel deserto» (Es 7,16).

     Altri esempi sono i seguenti. «…giurando che non prenderei neppure un filo, né un laccio di sandalo, di tutto ciò che t’appartiene; e [affinché, in modo che] tu non abbia a dire: “Io ho arricchito Abramo”» (Gn 14,23). «Fate questo e [in modo che] vivrete» (Gn 42,18). «Si laveranno le mani e i piedi, e [in modo che] non abbiano a morire» (Es 30,21).

     La waw («e») nel senso di «affinché», «in modo che», «allo scopo di», è attestato anche nell’ebraico della Mishna, lo stesso ebraico che parlava Gesù. Ad esempio: «Colui che inizia a desiderare che sua moglie muoia e [affinché, in modo che] erediterà la sua proprietà, o che lei muoia e [in modo che] sposerà sua sorella» (Talmud, trattato di Sotah 5,10).

     Un esempio di quest’utilizzo lo troviamo in Lc 16,18a: «Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio». Anche il soggetto di Mc 10,11,12 è il divorzio per il nuovo matrimonio. Il significato di «affinché» s’adatta molto meglio del semplice «e» al verso di Lc 16,18a. Il testo greco rispecchia molto bene l’ebraico: kol hamšallēḥa ‘et ‘ištô welōqēḥa ‘aḥeret nō’ēp (Chiunque manda via la sua moglie, e [affinché] ne sposa un’altra, commette adulterio).

 

Il dibattito sul divorzio ai tempi di Gesù

     Il retroterra del detto di Gesù sembra essere un dibattito tra le due scuole di Shammai e Hillel riguardo il tema del divorzio. La discussione ruota intorno all’interpretazione di un’espressione che si trova in Dt 24,1: «Quand’uno avrà preso una donna e sarà divenuto suo marito, se avvenga che ella poi non gli sia più gradita perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, e scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via di casa sua».

     L’espressione `erwatbār, letteralmente, «indecenza di qualcosa», è oscura. [N.d.R.: Il termine ebraico bār significa «parola, fatto». L’espressione ebraica `erwatbār significa «nudità di (riguardo a) parola o fatto». La stessa espressione ricorre anche in Dt 23,14 [15] ed è da tradurre anche qui con «cosa indecente» (il contesto parla delle polluzioni notturne e degli escrementi); è tradotta, secondo i casi, con «alcuna bruttura» (Riv., Diod.), «nessuna bruttura» (Ric.), «qualche indecenza» (CEI, N.Diod.), «nulla d’indecente» (N.Riv.). In Dt 24,1 riguardava quindi una moglie che aveva un linguaggio, un atteggiamento o un modo di fare licenzioso, senza però essere arrivata alla fornicazione o all’adulterio, per le quali le pene erano alquanto severe (Dt 22,22ss).]

     Di conseguenza, l’oscurità dell’espressione si presta a diverse interpretazioni, come la seguente discussione rabbinica dimostra: La scuola di Shammai diceva: «Un uomo non può divorziare da sua moglie a meno che egli non abbia trovato qualcosa d’indecente in lei, poiché è scritto, “perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso”». Ma la scuola di Hillel diceva: «Egli può divorziare da sua moglie anche se lei ha rovinato un piatto di cibo, poiché scritto: “Perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso”». Rabbi Akiva diceva: «Anche se egli ha trovato un’altra più bella di lei, poiché è scritto: “Se ella cessa di piacergli”».

     Nella frase «indecenza di qualcosa», secondo l’interpretazione di Shammai, l’enfasi dovrebbe essere sulla parola «indecenza». Quindi, invertendo l’ordine delle parole, egli interpreta la frase come «una cosa indecente», cioè «qualcosa d’indecente» (o di «vergognoso»). Nel suo punto di vista, l’infedeltà coniugale è l’unica base per il divorzio. Secondo Hillel, tuttavia, l’enfasi dovrebbe essere messa sulla parola «cosa». L’opinione di Hillel è che un marito può divorziare da sua moglie per qualsiasi cosa, per qualunque imperfezione o per qualsiasi atto che è offensivo ai suoi occhi. Gli è consentito di mandarla via anche se ha rovinato una pietanza. Rabbi Akiva concordava che il marito aveva il diritto di mandare via sua moglie per qualsiasi cosa, illustrando il suo pensiero con un esempio estremo: un marito può divorziare da sua moglie anche se egli trova un’altra donna che gli piace di più.

     Un collegamento importante con il detto di Gesù è nella parola «un’altra» nella dichiarazione d’Akiva: «Anche se egli ha trovato ‘aḥeret (un’altra) più bella di lei». L’uso che Gesù ha fatto di questa parola in un contesto di divorzio sta quasi sicuramente a significare che egli attaccava il punto di vista di quelli che la pensavano come Rabbi Akiva (benché Akiva visse circa cento anni dopo Gesù, Lc 16,18a è una indicazione che il pensiero d’Akiva era già esistente ai tempi di Gesù, secondo la scuola di Hillel). Qui Gesù dà un’opinione legale. Schierandosi con Shammai, egli dichiara che c’è un solo motivo di divorzio — l’infedeltà coniugale.

     Questo detto di Gesù sul divorzio è composto, secondo l’usanza ebraica, di due parti. All’orecchio greco, la ripetizione delle parole è superflua, ma la ripetizione di parole, frasi e anche storie, è una caratteristica dell’ebraico. Quando insegnava, usava Gesù frequentemente dei «doppioni» (per esempio: «Non andate fra i Gentili, e non entrate in alcuna città dei Samaritani» (Mt 10,5). Il parallelismo (in questo caso sinonimico), in cui s’esprime lo stesso pensiero più volte, è il marchio di garanzia della poesia ebraica. Altri esempi di doppioni in stile ebraico negli Evangeli sono: «mangiando e bevendo… un mangiatore e un beone» (Mt 11,19; Lc 7,34); «savi e intelligenti» (Lc 10,21); «profeti e apostoli» (Lc 11,49); e «re e governatori» (Lc 21,12).

     Se traduciamo Lc 16,18b in ebraico, secondo il testo greco che possediamo, abbiamo: welōqēḥa ‘et haggerûšāh mē’îšāh nō’ēp (e chi sposa la donna divorziata, commette adulterio).

     Basandoci su Lc 16,18, possiamo supporre che Gesù, come Shammai, considerava l’adulterio come l’unica causa di divorzio; e quindi, egli considerava il certificato di divorzio, dato da un marito che aveva l’intenzione di sposare un’altra donna, come assolutamente non valido. Così, i matrimoni successivi contratti dal marito o dalla moglie erano nulli e senza valore, e i figli nati da questi matrimoni erano illegittimi. Poiché i matrimoni futuri d’una tale moglie non avevano alcuna validità, chiunque l’avrebbe sposata, sarebbe stato un adultero. Allorché la moglie mandata via e il suo secondo marito si rendevano conto del reale motivo del divorzio, erano obbligati a separarsi immediatamente.

     La seconda parte del detto di Gesù non è indirizzata all’uomo che potrebbe sposare una donna divorziata peccaminosamente — l’uomo non contrarrebbe matrimonio se fosse consapevole della vera ragione del divorzio; piuttosto, è un consolidamento dell’avvertimento dato nella prima parte del «doppione» (parallelismo). «Renditi conto delle conseguenze di vasta portata del tuo atto peccaminoso»: Gesù avverte il marito che sta per commettere adulterio. «Non solo tu commetterai adulterio, ma costringerai tua moglie e il suo secondo marito di vivere in adulterio». Con il matrimonio, un uomo e sua moglie diventano una sola carne (Mt 19,4-6). Se essi divorziassero per ragioni diverse dall’infedeltà coniugale, qualsiasi relazione successiva sarebbe una relazione adultera.

 

L’innovazione di Gesù

     Entrambe le parti di Lc 16,18 sono delle innovazioni esegetiche, cioè, sono nuove interpretazioni della Scrittura. I rabbini credevano che la Torà fosse una fonte inesauribile o un pozzo senza fine: si potrebbe scavare in essa sempre più in profondità, ricavandone sempre nuove e preziose intuizioni. Gesù alludeva a questo quando disse: «Ogni scriba ammaestrato per il regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove [cioè, interpretazioni personali innovative] e cose vecchie [cioè, quello che egli ha appreso dai suoi insegnanti]» (Mt 13,52).

     La prima parte di Lc 16,18 è un’innovazione: Gesù sentenzia che divorziare dalla propria moglie per sposarne un’altra è un atto d’adulterio. Questa affermazione va oltre le dichiarazioni che Gesù poteva aver sentito dagli insegnanti del tempo. La sua interpretazione «stabilisce e completa» la Torà (Mt 5,17), cioè, la sua innovazione rinforza e chiarisce la Torà. La seconda parte del verso è anch’essa una innovazione, ancor più forte della prima: il marito che divorzia da sua moglie per sposarne un’altra, non solo infrangerà il settimo comandamento, ma farà in modo che anche altri lo possono infrangere. Soltanto un grande maestro era in grado di fare delle interpretazioni innovative, e Gesù parlava come uno che aveva autorità.

 

Basi per il divorzio

     Esaminato da una prospettiva ebraica, Lc 16,18 non risponde alla domanda se il divorzio è consentito, poiché Gesù credeva sicuramente che a un marito fosse consentito di divorziare da sua moglie, se lei aveva intrattenuto un rapporto illegittimo. (Ci sono delle registrazioni nella Sacra Scrittura dove si dice che Dio stesso ha emesso un certificato di divorzio sulla base dell’adulterio; vedi Gr 3,8; Is 50,1). Lc 16,18 non si occupa della questione delle seconde nozze dopo il divorzio. Sicuramente Gesù credeva, come i suoi contemporanei, che entrambi i contraenti, avendo concluso un matrimonio con il certificato di divorzio, che era giuridicamente valido a tutti gli effetti, era loro consentito di risposarsi.

     La chiesa di Corinto ha scritto a Paolo richiedendo la sua autorità per chiarire numerose questioni relative al matrimonio. Uno di questi argomenti riguardava il da farsi d’un discepolo che s’era sposato prima di diventare credente. Come doveva comportarsi con il suo coniuge incredulo? La risposta di Paolo è stata la seguente: «Se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono vincolati; ma Dio ci ha chiamati a vivere in pace» (1 Cor 7,15). In altre parole, se il coniuge non credente non vuole più vivere insieme al coniuge che ha cambiato fede, il coniuge credente non deve tentare, con mezzi legali o altre cose, d’impedire la separazione del coniuge non credente. Per «non sono vincolati» [N.d.R.: lett. «non sono schiavizzati»], Paolo vuole indicare che i coniugi credenti sono liberi di risposarsi.

     Nel racconto di Lc 16,18 non c’è alcun contesto riguardo a questo tema. Il v. 18 è l’ultimo d’una serie di tre detti che non hanno contesto. Nell’Evangelo di Matteo, ognuno di questi detti ha il suo proprio contesto. Luca ha legato insieme questi detti dopo averli separati dai loro contesti. Il racconto di Mt 19,3-9 (parallelo a Mc 10,2-12) è il contesto originale di Lc 16,18.

 

Che cosa farebbe Gesù?

     Che cosa avrebbe detto Gesù a un uomo che aveva divorziato, o che aveva intenzione di divorziare da sua moglie per sposarne un’altra? Possiamo essere certi che egli non amava il divorzio (Mal 2,13-16; Pr 5,1-23; 6,20-35; 7,1-27; Is 54,6) e che avrebbe parlato duramente all’uomo. Gli avrebbe detto (parafrasando Lc 16,18): «È cosa deplorevole che tu divorzi dalla moglie della tua giovinezza, che ha condiviso la tua vita ed è rimasta con te per anni, per sposare una donna più giovane e attraente. Inoltre, il tuo peccato può fare in modo che altre persone cadano in adulterio».

     Tuttavia, Gesù avrebbe mitigato il suo duro rimprovero con la compassione. Egli avrebbe provato a ripristinare il matrimonio. Se né l’uomo né la donna avessero contratto un altro matrimonio, avrebbe esortato l’uomo a pentirsi e riconciliarsi con sua moglie. Se l’uomo avesse mostrato disponibilità al pentimento, probabilmente prima di concludere la conversazione, Gesù avrebbe detto all’uomo, come alla donna colta in adulterio: «Và e non peccare più».

     Questo studio illustra come la letteratura rabbinica sia importante e d’aiuto per permetterci di dare una interpretazione precisa del testo degli Evangeli. Lo studio mostra anche che il retroterra ebraico degli Evangeli Sinottici può darci gli indizi necessari per comprendere le parole di Gesù. Inoltre, lo studio dimostra che anche la più insignificante caratteristica grammaticale ebraica, in questo caso una sfumatura d’una singola lettera, può essere importante per la comprensione dell’insegnamento di Gesù.

     La «e» in Lc 16,18 è la semitica «e di scopo o intenzione». Questo idioma insieme con la parola «un’altra» — nello stesso contesto — rafforza la plausibilità che il retroterra della dichiarazione di Gesù era una discussione rabbinica sul significato di `erwatbār (indecenza di qualcosa) in Dt 24,1. Come Shammai, Gesù ha interpretato l’espressione come «qualcosa d’indecente», cioè scostumatezza coniugale, opponendosi fortemente all’interpretazione di Hillel, che permetteva a un uomo di divorziare da sua moglie «per qualsiasi motivo». [N.d.R.: Si noti che tale «indecenza» verbale o comportamentale non costituiva ancora l’adulterio, poiché in tal caso non c’era bisogno del divorzio, essendoci allora la pena capitale degli adulteri (Dt 22,22).]

     Le parole di Gesù dovrebbero agire come un avvertimento: un marito che divorzia da sua moglie al solo scopo di «sposarne un’altra» — [N.d.R.: quindi non perché la moglie sia stata indecente in qualcosa] — mette in movimento una catena di disastri: nella sua vita e nelle vite di altri. Ma anche chi proibisce il divorzio (né Gesù né Paolo l’hanno mai proibito) per qualsiasi motivo, mette in movimento una catena di disastri!

 

Per l’approfondimento della tematica, consiglio di leggere nel mio libro Tenerezza e fedeltà, (Punto°A°Croce, Roma 1998), l'articolo «Divorzio e seconde nozze», pp. 138-151; a ciò si aggiungano gli articoli connessi sul matrimonio.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Divorzio_Lc_16,18_S&A.htm

01-03-07; Aggiornamento: 03-02-2008

 

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