Alcuni lettori, dopo aver letto il seguente tema di discussione:
►
Divorzio 1: Atto estremo per uscire da un labirinto?, hanno proposto un
nuovo confronto sul tema del divorzio. Una lettrice ha proposto un interessante
catalogo di domande. Un lettore ha preso posizione su alcuni aspetti e ha
indicato la sua visione delle cose su questo soggetto. Quindi ecco qui di
seguito alcune tesi e alcuni interrogativi a confronto. Saranno certamente di
stimolo alla riflessione.
Il
lettore noti come le convinzioni correnti possano condizionare l'interpretazione
biblica qualora si trascuri il contesto storico, culturale e letterario in cui
singole parole sono state proferite.
Per l’approfondimento della tematica, consiglio di leggere nel mio libro
Tenerezza e fedeltà,
(Punto°A°Croce, Roma 1998), l'articolo «Divorzio e seconde
nozze», pp. 138-151; a ciò si aggiungano gli articoli connessi sul matrimonio.
►
Divorzio e ministero.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi
al Webmaster
(E-mail)
Attenzione! Non si
accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e
cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno
pseudonimo, se richiesto.
I contributi sul
tema
▲
(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.
I contributi attivi hanno uno
sfondo bianco)
Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica
sottostante
1. {Grazia
Tosi} ▲
[…] Le scrivo con una richiesta precisa. Nella nostra assemblea ci stiamo
preparando per affrontare uno studio sul divorzio e vorrei poter sapere la sua
opinione al riguardo di certe affermazioni.
■ 1a questione: Leggendo
Deuteronomio 24,1-4 è possibile affermare che quando la donna esce di casa del
primo marito è libera di diventare la moglie di un altro? Io, leggendo tutto il
passo, capisco esattamente l’opposto. È possibile considerare questo passo come
l’istituzione del divorzio da parte di Dio? È possibile che Dio, volendo di
fatto cambiare quello che era la sua idea del matrimonio, abbia dato
un’indicazione così vaga (qualcosa che non gradisce in lei) sulle motivazioni
che giustificavano il divorzio?
■ 2a questione: È giusto
prendere passi come Isaia 50,1 e Geremia 3,8 e giustificare delle dottrine
relative al comportamento degli uomini?
■ 3a questione: È corretto
affermare che i passi in Marco e Luca relativi al divorzio sono succinti e
quindi, secondo la regola d’interpretazione che dice che il testo più chiaro
spiega quello meno chiaro, è necessario esaminare i testi in Matteo? Non è
questo un modo semplice per non tenere conto che in ben due vangeli Gesù è stato
chiaro e non ha dato nessuna «eccezione»? Secondo lei, considerare «l’eccezione»
che Gesù introduce solo nel vangelo di Matteo (se non in caso di adulterio),
come qualcosa di valido per le usanze del tempo del popolo ebreo è una
forzatura?
■ 4a questione: In 1 Corinzi
7,1-15 la parola che Paolo usa per dire che il credente non è più vincolato, si
riferisce al vincolo matrimoniale? È corretto affermare che in questo caso il
credente è libero di risposarsi?
■ 5a questione: Se accettiamo
un Dio che inizialmente istituisce il matrimonio che dura per sempre, e che poi
scende a patti con l’uomo e il peccato introducendo casi che liberano dal
vincolo matrimoniale, non stiamo di fatto rendendo Dio relativo e non assoluto?
In base allo stesso principio secondo cui, quello che Dio ha pensato per sempre
può diventare in alcuni casi solo temporaneo, non diventa possibile affermare
che si può perdere la salvezza? {28-11-2006}
2.
{Nicola Martella} ▲
Cara Grazia, il tuo catalogo di domande è interessante, complesso e
«compromettente». Mi verrebbe voglia di mettermi lì a scrivere e a rispondere
punto per punto a ogni tuo interrogativo. Il primo problema è che sto scrivendo
attualmente di tutt’altro.
La seconda questione è che io ho già scritto di
matrimonio, divorzio e annessi all’interno dell’opera «Sesso & affini», e cioè
nel 2° volume (Tenerezza
e fedeltà); vedi qui «Divorzio e seconde nozze», pp. 130-137.
La terza questione è che io un tale libro specifico su
«divorzio e seconde nozze» l’ho già scritto, ma non ancora pubblicato; in esso
ho fatto uno studio approfondito di tutti i brani biblici in questione, facendo
dapprima una traduzione esatta dall’ebraico (AT) e dal greco (NT) e poi
studiando il soggetto non sulla base delle convenzioni attuali di vari gruppi,
ma sulla base dei termini originali e del contesto letterario, storico,
religioso e culturale di quei tempi, rispettando anche sia l’armonia biblica sia
lo sviluppo della rivelazione.
Non ho pubblicato ancora tale libro, tra altre cose,
per motivi finanziari. Ma se trovassi degli sponsor che fossero disposti a
finanziarlo (anche in parte), lo potrei pubblicarlo nel giro di pochi mesi.
In ogni modo, tieni presente che per quasi ogni legge
biblica esiste il principio generale e poi le debite eccezioni; qui l’elenco
potrebbe essere lunghissimo, ma vedi ad esempio la norma sulla pasqua che
dapprima è assolutamente proibita a tutti i Gentili (principio generale), poi
concessa a chi si fa circoncidere tra i Gentili (eccezione).
3.
{Nicola Miscioscia} ▲
Con grande umiltà e rispetto m’inserisco in questo sito. Innanzi tutto un
sincero grazie per questo strumento web che fornisci ai credenti, per
confrontare diversi punti di vista attraverso i quali ognuno può imparare
dall’altro, ma grazie anche perché t’esponi pubblicamente.
Avendo letto attentamente gli interventi già fatti
riguardo all’argomento «divorzio», mi permetto d’esprimere la mia opinione
sull’argomento, astenendomi da considerazioni non bibliche, quindi personali.
Credo che il nocciolo della questione sia quello di
capire se il principio dell’AT riguardo al divorzio, enunciato in Mt 5 e 19
dallo stesso Gesù, è ancora valido per noi oggi (divorzio solo in caso di
fornicazione, ovviamente).
Nel confronto tra Mt 5 e 19 e i passi paralleli di Luca
(16,18) e Marco (10,2-12), credo che ci sia la soluzione del problema.
È necessario capire perché Matteo ammette il divorzio
in caso di fornicazione, mentre Lc e Mc non ne parlano. È possibile che ci sia
stata l’omissione di un’informazione così importante?
Il motivo più ovvio (certamente non sono io a dovertelo
insegnare, Nicola) è che gli Evangeli di Marco e Luca non erano per i Giudei ma
per tutti i credenti in generale, mentre specialmente Matteo è per i Giudei
ancora sotto la legge di Mosè ai quali Gesù stava spiegando la corretta
applicazione della norma sul «ripudio».
Proprio due versi prima di Luca 16,18, dove appunto
Gesù parla del ripudio, lo stesso autore sottolinea che è finito il periodo
della legge (Lc 16,16: «la legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni»),
quindi non è più valido il sistema legislativo mosaico dell’AT (ma non per i
Giudei).
Nel concilio di Gerusalemme in Atti 15, fu chiarito che
ai credenti non giudei non si dovevano imporre i precetti dell’AT. Fu detto in
Atti 15,19-21: «Perciò io ritengo che non si debba turbare i Gentili che si
convertono a Dio; ma che si scriva loro d’astenersi dalle cose contaminate nei
sacrifici agli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati, e dal sangue.
Perché Mosè fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo predica nelle
sinagoghe dove viene letto ogni sabato».
Paolo, infatti, in Atti 21,24, si sottomette all’usanza
giudaica di purificarsi, per dimostrare ai Giudei «credenti», zelanti nella
legge di Mosè, che non era un diffamatore della tradizione mosaica, ancora in
vigore per i Giudei.
Vorrei ancora fare una precisazione sempre riguardo a
Mt 5 e 19. Perché non si parla d’adulterio, ma di fornicazione?
La risposta d’uno studioso è che il divorzio era per i
Giudei non ancora sposati, ma fidanzati, come Giuseppe e Maria i genitori di
Gesù (all’inizio della storia degli Evangeli), altrimenti si parlerebbe in (Mt 5
e 19) d’adulterio, con la relativa condanna. I promessi sposi per i Giudei erano
come sposati, anche se non ancora s’univano andando a vivere insieme.
Sempre a proposito d’adulterio quando Gesù fu
interpellato per giudicare la donna adultera (Gv
8,7), Gesù non fece applicare le norme della legge di Mosè (ma neanche lo
impedì!).
Con questi esempi voglio solo dimostrare come ci si
trovava in una fase di transizione tra la legge e la nuova dispensazione della
grazia.
Gesù pubblicamente non poteva abolire la legge di Mosè
all’improvviso, di colpo. Ciò avvenne gradualmente per i Giudei, mentre per gli
altri popoli (i Gentili) non avevano senso le regole mosaiche.
Un’altra considerazione riguarda sempre Matteo 19 dal
verso 10 al 12. Come mai i discepoli di Gesù, quando capirono la vera portata
delle parole di Gesù, dissero: «Se tale è la situazione dell’uomo rispetto
alla donna, non conviene prender moglie» (Matteo 19,10).
Gesù introduce subito dopo questa dichiarazione dei
discepoli, il discorso sugli eunuchi, riferendosi al fatto di non poter avere
un’unione sessuale al di fuori del matrimonio, in altre parole di contenersi (1
Cor 7,11).
1 Cor 7,17 dice: «Del resto, ciascuno
continui a vivere nella condizione assegnatagli dal Signore, nella quale si
trovava quando Dio lo chiamò. Così ordino in tutte le chiese».
In 1 Cor 7, Paolo elenca tutte la casistiche possibili
che i credenti avrebbero dovuto affrontare, non menzionando affatto la
possibilità di seconde nozze (anzi la vieta). 1 Cor 7,11 dice: «E se si fosse
separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito; e che il marito
non mandi via la moglie ma invita il credente a restare nella condizione che
stava, così come il Signore chiamò».
In 1 Cor 7,39 Paolo dice: «La moglie è
vincolata per tutto il tempo che vive suo marito; ma, se il marito muore, ella è
libera di sposarsi con chi vuole, purché lo faccia nel Signore». Questo
s’allaccia perfettamente a Mc 10, Lc 16,18 e Rm 7,2.
Non credo che Paolo abbia omesso l’eccezione di
divorzio in caso di fornicazione.
Sono propenso a credere che tale eccezione non era più
valida quando Paolo scrisse le sue lettere, tanto più perché erano rivolte ai
Gentili.
È chiaro che se consideriamo valida la regola di Matteo
5 e 19, (divorzio in caso di
fornicazione), i verbi usati da Paolo in 1 Cor 7,15, cioè separare o
dividere, indicherebbero la rottura del matrimonio (quindi possibilità di
seconde nozze).
Non ritenendo valide tali regole mosaiche, allora i
verbi citati sopra, separare o dividere, non sarebbero altro che
un’indicazione di separazione fisica e non la rottura del legame matrimoniale
con possibili seconde nozze.
Io credo che sia un po’ debole Mt 5 e 19 per sostenere
tale regola «eccezionale». Essi sono l’unico appiglio che esprime con chiarezza
il concetto del divorzio, perché in tutto il Nuovo Testamento non c’è nessun
sostegno a questa regola veterotestamentaria, anzi al contrario troviamo degli
ostacoli.
Tutto il concetto del divorzio nel NT ruota sempre e
soltanto attorno a Mt 5 e 19, che sono gli unici versi che esprimono chiaramente
il concetto di divorzio. Una dottrina di tale importanza può reggersi solo su
due versetti?
Riguardo all’analisi etimologica del
termine legato di Rm 7, che hai spiegato chiaramente, Nicola, si vede che
protendi verso un’interpretazione «giudaica» (lasciami passare il termine) della
questione divorzio.
Il termine «legata» di Rm 7 che hai analizzato
etimologicamente non fa comunque giustizia al contesto, perché due cose che
legano per tutta la vita sono rappresentate in quel verso e non credo, che se ci
fosse stata la famosa eccezione, che tu dici, l’apostolo Paolo avrebbe usato il
paragone tra la legge e il matrimonio.
L’esempio che fai riguardo al comandamento «non
uccidere» per sostenere il discorso dell’eccezione alla regola, non mi convince
perché lì è la stessa Scrittura a fornirci delle chiare indicazioni, ma nel
nostro caso no!
La discussione credo che si possa allargare anche tutti
gli altri versi dell’AT che riguardano l’argomento, ma francamente credo che
s’andrebbe a ingarbugliare di più il discorso.
Se ci atteniamo strettamente a quello che è espresso
con certezza nella Parola di Dio, evitando d’accentuare quello che essa non dice
esplicitamente, di certo eviteremmo, seppur inconsciamente, che il nostro
pensiero s’insinui e spinga a oltrepassare il limite della Sacra Scrittura.
Con questo chiudo il mio intervento sperando d’aver
dato solo uno spunto per un’ulteriore riflessione, non per insegnare o
criticare qualcuno o qualcosa, e per ricevere delle correzioni che accetterò
volentieri se servono per comprendere meglio l’immensità della ricchezza della
parole di Dio. {02-2007}
4.
{Nicola Martella} ▲
Caro omonimo, grazie del tuo articolo. Apprezzo il tuo sforzo per far capire il
tuo punto di vista.
Su questo tema ci vorrebbero molte e molte ore per
ricostruire il quadro storico, culturale e teologico di quei tempi. A ciò
s’aggiunga un’analisi linguistica dei termini (ad esempio il termine
«fornicazione» non c’è nei brani sul divorzio, ma una locuzione che si trova
anche in Dt 24:
«nudità di una parola / cosa»). Nel
libro già menzionato sopra che ho scritto, ma che devo ancora pubblicare, tratto
tra altre cose anche tutte le tue obiezioni.
La tua analisi, oltre a contenere una «critica interna»
verso la Bibbia («questo è solo per i Giudei»), mostra non poche lacune storico
culturali ed esegetico-letterarie. A ciò s’aggiunga che in At 15 non fu discusso
questo specifico caso, ma ben altro (che viene dichiarato per nome). La tua
presentazione di 1 Cor 7 è unilaterale e parziale (metti sul piatto solo alcuni
aspetti confacenti alla tua tesi) e non tiene presente l’intera questione e che
cosa significasse in quella cultura «non è più schiavizzato» unitamente a
«si separi pure» (7,15). Lo stesso vale per altri aspetti, ad esempio in
1 Cor 7,27s: «Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però prendi moglie non
pecchi», che significa: Sei divorziato (ossia al momento della
conversione), non risposarti, ma se ti risposi, non pecchi. È chiaro che
«sciolto» significa qui essere «separato / divorziato» nel momento della
chiamata, poiché ciò è evidente nel parallelismo del v. 27a: «Sei
tu legato a una moglie? Non cercare d’esserne sciolto», che
significa: Sei sposato (ossia al momento della conversione), non cercare di
divorziare.
Il problema è anche che spesso si parte dal consenso
dottrinale e culturale attuale per spiegare la Bibbia, avendo scarsa conoscenza
del mondo in cui i personaggi e gli scrittori dell’AT e del NT hanno parlato e
argomentato. Per dirimere tutta la matassa ci vorrebbe un lungo discorso, ma
come detto siccome l’ho già fatto in tale scritto, bisognerà aspettare che sia
in grado di pubblicarlo. Nei temi affrontati in Sesso & Affini 2, pp. 138-151 mi
sono tenuto sul generale. Nella nuova opera affronterò tutti i brani biblici dal
punto di vista linguistico ed esegetico.
Ho inviato il tuo articolo ad Argentino Quintavalle e
penso che egli — di là dal merito del problema — sarà abbastanza contrariato sul
modo con cui tu argomenti riguardo alla questione «Giudei - Gentili. Gli ho
chiesto anche di approfondire la questione di divorzio e seconde nozze nel
giudaismo rabbinico.
Per motivi tecnici (lunghezza del contributo, sua
specificità, ecc.) ho messo lo scritto di Argentino Quintavalle in un articolo
extra raggiungibile con questo link:
►
Divorzio e nuove nozze in Luca 16,18.
5.
{Matteo Ricciotti} ▲
Riflessione sul divorzio
Viviamo tempi in cui il divorzio viene visto come soluzione dei problemi tra
marito e moglie. Diversi commentatori collocano il divorzio tra le dottrine non
fondamentali della fede cristiana, anche se di primaria importanza. Bisogna
riconoscere però che esso è strettamente legato all’etica e alla morale che
nella Bibbia occupa un ruolo di primo piano. Come cristiani noi riconosciamo che
la Bibbia è Parola di Dio, totalmente ispirata da Lui, verità assoluta e unica
in materia di fede e di condotta, e che neppure uno iota o un apice passerà fino
a che non sia compiuta. Su questa base dovremmo riconoscere e accettare ciò che
la Bibbia c’insegna del pensiero di Dio sul divorzio. Ricordiamoci anche che le
opinioni cambiano a seconda delle epoche in cui gli uomini vivono, mentre la
Parola di Dio è immutabile ed esprime principi immutabili, cioè validi di
generazione in generazione. Anche il divorzio fa parte di questi principi
immutabili che la Parola di Dio esprime.
Le questioni etiche e morali, di cui il divorzio fa
parte, sono questioni che stanno toccando diversi credenti e diverse chiese e
non sono perciò da sottovalutare o da separare da quelle che consideriamo
dottrine fondamentali. Personalmente sono convinto che le questioni etiche e
morali sono strettamente legate alla dottrina fondamentale dell’autorità della
Bibbia in materia di fede e di condotta. La fede non è solo un fatto interiore e
quindi non può essere separata dalla vita quotidiana: comportamenti, pensieri e
parole. Essi diventano l’espressione pratica e reale della fede, e la rendono
vera e sincera. Dice la Scrittura che la «fede è operante per mezzo
dell’amore».
Il divorzio è dunque un problema strettamente legato
all’etica e alla morale che sono espressioni pratiche della fede. Tutta la
giustificazione che oggi si vuol dare sia del divorzio che delle seconde nozze
di divorziati è centrata sulle necessità dell’uomo piuttosto che sull’ubbidienza
a un principio chiaramente espresso nelle Scritture: marito e moglie sono
incatenati l’uno all’altro e solo la morte rompe quest’incatenamento.
Personalmente sono convinto che nel pensiero degli apostoli era chiaro che il
divorzio non aveva nessuna giustificazione per i credenti. Infatti affrontando
questo tema, l’apostolo Paolo dice ai Corinzi (cap. 7) che il motivo d’una
eventuale momentanea e consensuale separazione tra marito e moglie trovava
giustificazione in un breve tempo che entrambi dovevano dedicare alla preghiera,
per poi tornare insieme il più presto possibile, prima che le tentazioni
sopraggiungessero a causa dell’astinenza. Il fine era quello di rafforzare ancor
di più il rapporto di legame tra marito e moglie.
Nel pensiero corrente non esiste un simile proposito
costruttivo, ma esiste solo un egoistico senso del disfattismo: «Perché
continuare a soffrire e litigare? Meglio separarsi». Questo è il pensiero
d’oggi.
Sorge dunque la necessità d’un ritorno al pensiero di
Dio, chiaramente espresso nella Bibbia, sua divina Parola. Il pensiero corrente
mina alla base proprio il principio divino: «Quello che Dio ha unito, l’uomo
non lo separi». La base è: «Dio unisce!». Se perdiamo di vista questo
principio, cadiamo nelle sabbie mobili del pensiero corrente che s’illude di
trovare soluzioni al male con un altro male.
È opportuno dunque dare una collocazione al divorzio.
Quale collocazione vogliamo dargli? Riflettiamoci un po’. Possiamo collocarlo
nel piano di Dio? Personalmente sono convinto di no! Dove dunque lo possiamo
collocare? Grazie siano rese al Signore Gesù Cristo, perché ci ha sollevati da
questa responsabilità dando Lui stesso una collocazione giusta e precisa al
divorzio: nella durezza del cuore dell’uomo! Sì, il divorzio ha la sua
collocazione nella durezza del cuore dell’uomo, non nel piano di Dio. Nel piano
di Dio c’è l’unione, cioè il far diventare due persone diverse per sesso,
sensibilità e concezioni (uomo e donna) «uno stesso pezzo di carne», come dice
letteralmente il testo biblico.
Nel Nuovo Testamento la parola che è tradotta in
italiano con «divorzio» è apostasion (maschile d’apostasia).
La Scrittura c’insegna a predicare e mettere in
pratica, a insistere a tempo e fuor di tempo, perché «verrà il tempo in cui
(gli uomini) non sopporteranno la sana dottrina, ma, per prurito d’udire, si
cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie; distoglieranno le
orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole» (2 Timoteo 4,3s).
Oggi stiamo assistendo a un continuo degrado spirituale
e morale nella società e nei credenti in Cristo, lo tocchiamo con mano
quotidianamente. Il «prurito d’udire», di cui parla la Scrittura, ci fa capire
la superficialità e la leggerezza dell’uomo, che presterà maggiore attenzione al
pensiero comune corrente, spesso contrario al sano insegnamento delle Scritture,
senza alcun esame, senza alcun approfondimento, come siamo chiamati a fare da
credenti in Cristo: «…esaminando ogni cosa e ritenendo il bene»; «…esaminando
ciò che sia gradito al Signore». Pur di trovare conferma alle congetture
accomodanti del pensiero umano, con superficialità e leggerezza, anche alcuni
credenti in Cristo si sceglieranno maestri secondo il proprio compiacimento. In
pratica, solo coloro che soddisfano la loro superficialità e leggerezza saranno
graditi.
«Si volgeranno alle favole», cioè a discorsi e
racconti piacevoli e soddisfacenti per i sensi; storielle create ad arte per
sedurre; discorsi persuasivi che i furbi e i manipolatori di coscienze fanno per
sedurre, per accattivarsi le simpatie dei deboli.
Torniamo alla fonte: «Quello che Dio ha unito,
l’uomo non lo separi».
«“Alla legge! Alla testimonianza!”. Se il popolo non
parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora!» (Is 8,20).
Ogni benedizione da Dio e dal Signore Gesù Cristo,
Matteo Ricciotti.
6.
{Nicola Martella} ▲
Diversi aspetti del contributo di Matteo sono condivisibili. Il divorzio è
sempre una sconfitta di tutti i partecipanti. Chi mette fine al proprio
matrimonio con leggerezza, diventa colpevole dinanzi a Dio. È ingiusto però
considerare che esistano solo persone che vogliano risolvere i problemi
matrimoniali col divorzio. Ciò mostra molta superficialità e incompetenza
concreta in tali problemi, che sono molto più profondi e complessi. Poiché
viviamo in un mondo imperfetto, la stessa Legge di Mosè non lasciò il tutto
all’arbitrio d’uomini spesso ingiusti, ma regolamentò anche quest’aspetto della
vita. A tali principi s’attennero sia Gesù sia gli apostoli.
Contributi del genere sono generalistici. Matteo
presenta nuovamente il suo pensiero come in un altro
tema di discussione
sullo stesso soggetto (reclamando per sé l’autorità della Bibbia!), ma non
dialoga con gli autori dei contributi precedenti, non citando i loro argomenti
né facendo obiezioni di merito a ciò che non condivide. Egli predica
soltanto il suo pensiero.
Contributi del genere sono massimalisti. Matteo
s’attiene a uno dei primi commi d’una legge (p.es. «La moglie è vincolata per
tutto il tempo che vive suo marito» (1 Cor 7,39), chiudendo gli occhi sulle
dovute eccezioni d’ogni buona e corretta legge (p.es. «a eccezione della
parola [o cosa, fatto, motivo] di fornicazione [= Dt 24,1]» (parentòs
lògou porneías Mt 5,32; mè epì porneía
19,9).
Contributi del genere sono integralisti. Matteo
non contempla eccezioni di sorta, sebbene la Scrittura le preveda. Egli ha una
visione «sacramentale» del matrimonio, sebbene la Scrittura ne parli come un
patto, con cui ambedue i partner si sono promessi fedeltà. Si costringe un
partner offeso da un coniuge adultero a continuare a stare con lui, spesso anche
quando quest’ultimo non si ravveda o addirittura continui nel suo libertinismo.
Gesù stesso prevedeva un’eccezione addirittura per casi in cui la fornicazione
non arrivava ancora all’adulterio (in tal caso la Legge mosaica prevedeva la
morte).
Contributi del genere sono
approssimativi dal punto di vista esegetico . Matteo fa una lista di versi
che corroborano la sua tesi, ma non menziona neppure un verso (né tanto meno lo
discute) che — spesso nello stesso contesto — afferma qualcosa di diverso.
Contributi del genere sono eticamente scorretti.
Matteo attribuisce in modo massimalista sempre la malafede (o «un egoistico
senso del disfattismo») a chi intende separarsi da un coniuge. Il suo modo di
procedere perciò non porta nessuno aiuto pastorale a chi è vittima (spesso
continuata) d’un coniuge fedifrago, fornicatore, prepotente o prevaricatore.
Egli non tiene presente la realtà delle cose, ossia che molte persone sono
vittime dei loro coniugi ingiusti e sleali. Le vittime sono punite perciò due
volte.
Contributi del genere sono teologicamente di parte.
Si invoca per le proprie tesi l’autorità della Scrittura, credendo così di dare
autorità alla proprie idee. Ma «tagliare rettamente la Parola
della verità» (2 Tm 2,15) significa presentare tutti gli aspetti di una
questione, invece di semplificarla alla propria tesi, per la quale ci si arroga
di parlare da parte di Dio. Già il fatto che ci sono posizioni differenti sul
tema tra persone legate alla Bibbia e rispettosa di essa, mostra che le
semplificazioni non sono opportune al riguardo, e chi semplifica lo fa per
ideologia.
Citare le parole di Gesù: «Quello che Dio ha unito,
l’uomo non lo separi» (Mt 19,6) e non menzionare che Gesù stava difendendo i
principi della Legge mosaica, che prevedeva il divorzio per giusta causa e che
nello stesso contesto egli parlò dell’eccezione (v. 9), è fare
ideologia. Anche la Legge mosaica sapeva il principio generale (Gn 2,24),
eppure regolamentò i casi particolari (Dt 24,1ss). Chi enuncia qualcosa e
trascura il contesto, oltre a mostrare la sua incapacità di un’analisi esegetica
corretta, produce ideologia dottrinale di parte, che è uno dei sintomi di ogni
integralismo.
L’integralismo dottrinale parte
dall’intransigenza, si rafforza con la «versettologia» (prescindendo da una
corretta esegesi) e con una lettura unilaterale della Scrittura, produce sempre
sistemi rigidi e ingiusti (non distinguendo tra carnefici e vittime) e si mostra
inadatto a risolvere veramente situazioni concrete (le vittime di soprusi sono
tenuti spesso in un labirinto ideologico-dottrinale da parte di chi, così
facendo, si appella alla «volontà di Dio»). In molte situazioni, si costringe le
vittime a vivere nella disperazione, sebbene i coniugi non hanno nessuna
intenzione di mutare mentalità e comportamento. A chi è stato abbandonato da un
coniuge gli si impedisce di rifarsi un’esistenza, sebbene l’altro viva ormai con
un’altra (con cui spesso ha poi dei figli) o faccia il «maratoneta da letto a
letto».
Il cuore dell’uomo era duro al tempo di Mosè (perciò
Dio regolamentò le cose nella Legge), lo era al tempo di Gesù, lo è anche
oggigiorno e lo sarà anche in futuro. Gesù si oppose all’uso arbitrario del
divorzio (e nel contesto parlò dell’eccezione mosaica); ma da un aspetto si trae
un principio assoluto, semplificando in modo arbitrario l’argomentazione di Gesù
e dimenticando gli altri aspetti da lui addotti (appunto l’eccezione).
È curioso leggere: «“uno stesso pezzo di carne”,
come dice letteralmente il testo biblico». No il testo originale non dice così,
ma «una carne unica» (basar echad; Gn 2,24) o «una carne» (sarx
mía Mt 19,6). Sebbene io abbia discusso in precedenza con Matteo che il
verbo «incatenare» non è mai usato per il matrimonio, egli continua a
usarlo impropriamente, come se niente fosse.
Quanto ad apostasia, in greco apostasía
significa «defezione, ribellione», mentre apostásion
significa «allontanamento, dichiarazione di divorzio». Si suggerisce che chi fa
apostásion, pratichi
apostasía. Giocare su questi termini non è corretto e si mostra solo di fare
qualunquismo dottrinale. Paolo stesso prevedeva l’evenienza di una separazione
(1 Cor 7,11) e quella di un divorzio: «Però, se il non credente si separa, si
separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono schiavizzati»
(1 Cor 7,15). Non si può certo dire che proprio lui che metteva in guardia
contro la apostasía
escatologica, la suggerisse qui.
Mostrare il degrado della società alla fine dei
tempi, citando 2 Tm 4,3s, non significa automaticamente di aver affrontato
correttamente il tema del divorzio. L’esortazione a esaminare ogni cosa non
significa che chi la fa, lo abbia fatto correttamente anche su questo tema.
Attribuire agli altri «superficialità e leggerezza» non significa che si è
personalmente fatto il contrario dal punto di vista esegetico. Il fatto di
evidenziare che la gente alla fine dei tempi si rivolgerà alle «favole», non è
un argomento di correttezza per questo tema.
Fare l’appello a tornare alla Legge, non
significa che chi lo fa, abbia fatta una presentazione corretta dei fatti
mediante un’esegesi accurata e chiara.
7.
{Giorgio Saglietti} ▲
È un tema difficile su cui sono stati scritti non volumi, ma biblioteche intere,
quindi non credo che dirò niente d’originale. La famiglia cristiana è
un’invenzione tardiva; all’inizio del cristianesimo i cristiani si sposavano
come tutti gli altri e divorziavano pure. L’unica differenza è che il divorzio
era considerato un peccato e quindi doveva essere perdonato previa confessione
ma veniva perdonato e quindi, dopo la penitenza, era possibile risposarsi
naturalmente. Non tutti erano d’accordo; infatti nel 3° secolo ci fu uno scisma
perché Novaziano non voleva riammettere alla comunione i divorziati e gli
apostati, ma fu messo in minoranza e appunto fece uno scisma che poi rientrò.
Non so quando, forse un secolo dopo (Nicea?). Si comincia a delineare il
matrimonio come sacramento dopo Giustiniano. Per secoli i matrimoni furono
combinati dai genitori o per interesse, alla faccia del sacramento (!), quindi
quasi tutti nulli secondo il diritto.
Il sesto comandamento (o settimo secondo le versioni)
dice semplicemente non commettere adulterio, quindi una cosa molto concreta, ma
il divorzio? Gesù ha condannato il divorzio? Veramente ha condannato il ripudio,
cosa molto diversa; l’uomo decide di rimandare la moglie per qualsiasi motivo e
allora Gesù dice che questo non va bene, prende la parte del più debole, nella
fattispecie la donna.
Ma se un matrimonio fallisce? Se muore il sentimento,
il vincolo, la convivenza, ecc.? Non c’è fede che possa farlo risorgere.
Facciamo tanti errori (peccati) e tutti possono essere perdonati, quindi anche
il divorzio può essere perdonato e non è neanche il peccato più grave in
assoluto.
L’indissolubilità del matrimonio va difesa come
obiettivo, come meta e ideale ma non deve essere un macigno che schiaccia la
coppia. Se la coppia fallisce, può e deve essere perdonata. Gesù dice: «Venite a
me voi oppressi da fardelli insostenibili perché il mio giogo è leggero e facile
da portare». Chi carica gli altri di fardelli insostenibili, non osa poi
toccarli neanche con un dito.
Anche nell’Evangelo sta scritto di non ripudiare la
propria moglie eccetto che nel caso d’adulterio, quindi almeno in un caso il
ripudio è ammesso. Paolo poi dà disposizioni di non sciogliere i matrimoni fra
un coniuge credente e uno non credente, dando implicitamente valore al
matrimonio in sé (non c’era il sacramento a quel tempo); poi però a conclusione
dei suoi ragionamenti fa un’affermazione che vale più di tutto: «Dio vi ha
chiamati alla pace», per dire che non si può condannare una coppia a una vita
d’inferno per il principio della indissolubilità (vedi il discorso sul sabato).
Un’ultima considerazione: perché noi cristiani ci
accaniamo tanto su questo tema, creando forti complessi di colpa e generando
sofferenze enormi e non ci dedichiamo invece alla costruzione della pace? Almeno
trattiamo le guerre e le ingiustizie con la medesima severità!
8.
{Nicola Martella} ▲
Ringrazio Giorgio per il suo contributo: esporsi su un tema così mostra sempre
coraggio. Devo ammettere che la premessa è buona: «È un tema difficile su cui
sono stati scritti non volumi, ma biblioteche intere...». Poi segue — e con
quale facilità — una sequenza indistinta e indifferenziata di asserzioni
abbastanza assolutistiche. A volte la paura di cadere da una parte del cavallo,
rischia di far cadere dall’altra. Sebbene gli sviluppi storici sono importanti,
avrei voluto che Giorgio argomentasse di più e meglio con la Bibbia. Affronterò
solo alcuni aspetti maggiori della questione.
■ «La famiglia cristiana è un’invenzione tardiva».
Il cristianesimo non è nato in un vuoto, ma si è innestato su ciò che Dio aveva
detto già nell’Antico Testamento da migliaia d’anni. Non a caso esso fu
continuamente citato negli scritti cristiani del NT. Per cui la «famiglia
cristiana» nacque subito col cristianesimo. Era immancabile che all’inizio ci
fossero anche delle coppie miste, nel caso in cui uno solo dei coniugi si
convertiva (1 Cor 7,13ss; 1 Pt 3,1). L’apostolo Paolo però raccomandò ad esempio
a chi rimaneva vedova: «Ella è libera di maritarsi a chi vuole, purché sia
nel Signore» (1 Cor 7,39). L’obiettivo era che i cristiani si sposassero tra
di loro.
■ «All’inizio del cristianesimo i cristiani si
sposavano come tutti gli altri e divorziavano pure». Se in tal modo si
intende che sposassero chi volessero (ad esempio dei non-credenti), ciò è
smentito dal «purché sia nel Signore» (1 Cor 7,39). Se per «divorziavano
pure» si intende che poteva succedere, bisogna dargli ragione. Se invece si
sottintende che divorziassero come tutti gli altri, bisogna dargli torto.
Infatti il divorzio / ripudio era previsto in caso di fornicazione del coniuge
(Mt 5,32; 19,9). A ciò Paolo aggiunse il caso di matrimonio misto, in cui il
non-credente non voleva più stare insieme (1 Cor 7,15). Per questi due casi era
certamente previsto un nuovo matrimonio per la parte lesa. Inoltre discusse
anche il caso in cui una moglie credente si separava da un marito credente (e
viceversa): in tal caso, chi si separava, doveva rimanere senza maritarsi (1 Cor
7,10s).
■ «L’unica differenza è che il divorzio era
considerato un peccato e quindi doveva essere perdonato previa confessione ma
veniva perdonato e quindi, dopo la penitenza, era possibile risposarsi
naturalmente». Sfido chiunque a trovare in tutta la Bibbia nello stesso
verso o contesto la parola «divorzio / ripudio» e «peccato» (o iniquità,
empietà, errore, abominio) e un esempio concreto in cui una chiesa locale nel NT
abbia perdonato il «peccato del divorzio». C’erano due tipi di divorzio: quello
con una «giusta causa» e quello senza (Dt 24,1; Mt 5,32; 19,9). Il divorzio
senza «giusta causa» era quando si mandava via la moglie legittima per sposarne
un’altra (spesso straniera o più giovane). Per questo caso specifico soltanto,
si legge letteralmente: «Infatti, io odio il licenziamento, dice l'Eterno, il
Dio d’Israele, allo stesso modo come uno copre la sua veste di ingiustizia, dice
l’Eterno degli eserciti. Badate dunque a voi stessi per lo spirito vostro e non
agite infedelmente!» (Mal 2,16).
Il divorzio senza «giusta causa» produceva sempre
adulterio e in questo caso la Legge non prevedeva il perdono, ma la morte degli
adulteri. Gesù estese la relazione adulterina a tutte le relazioni in cui c’era
una separazione senza «giusta causa».
Come detto, un’eccezione è prevista da Paolo quando la
parte non credente si separa da quella credente (1 Cor 7,15). Per chi si
convertiva, avendo già alle sue spalle un divorzio («Sei tu sciolto da
moglie?»), l’apostolo previde un nuovo matrimonio (1 Cor 7,27s), certamente
«nel Signore».
Certamente le chiese devono riflettere come agire nel
caso in cui dei credenti deviano dalle prescrizioni bibliche, si allontanano per
anni dalla fede e poi tornano al Signore e alla fede con pentimento e desiderosi
di fare la volontà di Dio. Nel caso di un grave peccato sessuale (1 Cor 5,1ss),
Polo fu categorico nel suo giudizio, lanciando la sua scomunica («sia dato in
man di Satana») a danno della carne del reo ma non a perdizione del suo
spirito (v. 5). Sembra poi che l’episodio sia lo stesso nella sua seconda
epistola, in cui chiede di reintegrare nella comunione il reo pentito (2 Cor
2,5ss). Egli parla qui dapprima della «riprensione inflittagli dalla
maggioranza» e poi del perdono collettivo. Non è chiaro se il fatto sia lo
stesso. In ogni modo la dinamica del della riprensione e perdono di gruppo sono
qui accentuati.
■ «Perché noi cristiani ci accaniamo tanto su questo
tema… e non ci dedichiamo invece…?». In questo sito trattiamo questo e altri
temi, anche guerre e ingiustizie, dovunque avvengano… quindi anche i conflitti
nella coppia e nella famiglia. Questo è uno dei «campi di battaglia» maggiori:
perché trascurarlo?
La «costruzione della pace» è un obiettivo nobile che si raggiunge,
mettendo prima a fuoco i problemi e le soluzioni. Non c’è pace (e guarigione)
senza verità (Gr 33,6; Zc 8,16.19; Mal 2,6). Non c’è pace senza
giustizia (Is 32,17). «La clemenza e la verità si sono incontrate, la
giustizia e la pace si sono baciate» (Sal 85,10). «Or il frutto della
giustizia si semina nella pace per quelli che s’adoprano alla pace» (Gcm
3,18). E tu che cosa fai?
9.
{Saglietti - Martella} ▲
Giorgio (G): Ho
letto il tuo commento. Conosci molto bene la Bibbia, ma non hai risposto alle
mie argomentazioni storiche. |
Nicola (N):
Io sono un biblista o esegeta.
Ciò che mi deve convincere è soprattutto una chiara esegesi della sacra
Scrittura. La storiografia è ambigua e la storia si può leggere in tanti modi.
Spesso non c’è la «Storia» (come unicum) ma le «storie», che variano da luogo a
luogo. Poi ci sono le interpretazioni della storia ed esse dipendono da chi le
fa: vincitori o vinti, denominazione maggioritaria o dissenzienti, teisti o
agnostici, e così via. Un grande limite sono poi le semplificazioni d’una
maniera o dell’altra. Perciò, quando si parla della storia, si fa sempre bene a
non fare affermazioni assolute, a mostrare il contesto reale delle cose (esso
poi mutava nel tempo) e a confermare quanto s’afferma con citazioni autorevoli
di contemporanei o di studiosi della materia. Altrimenti si fa «qualunquismo
storico»: si mettono insieme fatti distanti fra loro geograficamente e nel tempo
e si formula una tesi; questo non aiuta nessuno e presto o tardi si verrà
smentiti. Perciò o si fanno affermazioni competenti o è meglio non «banalizzare»
la storiografia. A ciò s’aggiunga che io, invece di farmi coinvolgere in
«letture ambigue» della storia, che altri poi potrebbero smentire, preferisco
andare alle origini teologiche delle cose, a una corretta esegesi della Parola
di Dio: essa rimane l’autorità durante il corso storico. (Sulla storia in genere
si vedano studi articolati nella sezione «Proiezioni Culturali»:
►
4. Proposta di storia creazionista;
►
5. Economia e religioni.)
|
G: Non hai detto niente circa la
prassi di molte chiese cristiane riguardo al divorzio. |
N:
Sul sito ci sono diversi articoli e
temi di discussione sul problema divorzio, ad esempio:
►
Divorzio e ministero.
Altri ne potranno seguire. Si può certamente fare una ricerca sulle varie prassi
delle chiese su questo soggetto (cosa certamente utile), appurando l’esistenza
di tutto e del contrario di tutto. Alla fine si troverà un variegato quadro che
ognuno leggerà secondo la sua formazione (conoscenza biblica, denominazionale,
umana, esperienziale, approccio dogmatico o esegetico alla Scrittura,
liberalismo o conservatorismo, ecc.). Il rischio sarà che alcuni
relativizzeranno tutto, altri si radicalizzeranno su posizioni integraliste di
un tipo (tutto permesso) o dell’altro (tutto proibito). Sebbene gli studi di
«sociologia ecclesiale» siano utili (e ne sono alquanto interessato), anche qui
preferisco fare una rigorosa esegesi della Bibbia. Infatti l’autorità non è la
prassi delle chiese, ma la Parola di Dio. Su certi temi come il divorzio se ne
viene a capo solo con uno studio esegetico (testo nel contesto storico,
culturale e letterario) corretto e non ideologico, che presenti tutto lo
spettro del problema nell’AT e nel NT.
|
G: Hai dato al problema della pace
una dimensione ristretta alla famiglia e all’individuo, ignorando la dimensione
politica e sociale che s’aggrava sempre di più. Naturalmente ci sono posizioni
diverse, ci mancherebbe altro. Ma tanto per puntualizzare dovevo dirlo. |
N:
Converrai che si tratta d’un
altro tema. Non è conveniente mettere sotto un certo tema di discussione
«troppa carne a cuocere», perché alla fine ogni tema di discussione
diventa una «discarica a cielo aperto» per tutte le possibili problematiche.
Facendo un parallelo ecologico, è bene fare la «raccolta differenziata». Un tema
sul soggetto da te suggerito, si può sempre aprire; se vuoi, formulalo con
precisione e suggeriscilo. (Su temi sociali si veda:
►
Società.) |
10.
{Nicola Miscioscia} ▲
Rieccomi ad animare la discussione sull’argomento «divorzio e nuove nozze».
Sto analizzando questo tema con i miei umili mezzi a disposizione per cercare di
capire come stanno le cose secondo la Parola di Dio. Devo dire che ancora non
riesco a venirne a capo, in ogni caso cerco in tutti i modi delle informazioni
al riguardo. Mi permetto ancora di farti delle domande, sperando di non essere
scontato o inopportuno.
■ 1 Cor 7: Dopo, il mio primo intervento nella
discussione, ho cercato di approfondire l’argomento, cercando soprattutto di
capire meglio il significato letterale dei testi (grazie al tuo suggerimento
Nicola). Mi sono accorto che il testo biblico della Nuova Riveduta da cui ho
considerato i miei pensieri riguardo all’argomento in questione, non è fedele
alla traduzione letterale del testo greco (1 Cor 7,15a e 1 Cor 7,27b). In
sostanza avendo confrontato questi versi della Nuova Riveduta con quelli della
C.E.I., mi sono accorto che ci sono parole diverse che cambiano completamente il
significato della frase.
Ecco il testo di 1 Cor 7,15a della Nuova Riveduta
contrapposto alla C.E.I.:
Però, se il non credente
si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono
obbligati a continuare a stare insieme; ma Dio ci ha chiamati a vivere in
pace (NR) |
|
Ma se il non credente
vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non
sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace! (C.E.I.) |
Ecco invece il testo di 1 Cor 7,27b-28:
Sei legato a una moglie?
Non cercare di sciogliertene. Non sei legato a una moglie? Non cercar
moglie. 28Se però prendi moglie, non pecchi; e se una vergine si
sposa, non pecca; ma tali persone avranno tribolazione nella carne e io vorrei
risparmiarvela. (NR) |
|
Ti trovi legato a una
donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a
cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende
marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io
vorrei risparmiarvele. (C.E.I.). |
Il discorso da te fatto all’inizio della discussione, Nicola, non riuscivo a
capirlo perché mi basavo sulla traduzione italiana della Nuova Riveduta che come
ho fatto notare sopra non traduce letteralmente il testo.
Nel momento che ho analizzato altri testi biblici come
quello della CEI e la traduzione inglese (e altro…), ho capito che l’uso di
parole tradotte letteralmente rispetto all’originale apre la strada a delle
riflessioni su concetti che non siamo abituati a considerare, come appunto fanno
pensare le parole «non sono soggetti a servitù» di 1 Cor 7,15 e «Sei
sciolto da donna» di 1 Cor 7,27 (evidenziate sopra).
L’uso di certe parole fedeli al testo originale, come
hai fatto tu, costringe allo studio del contesto storico, che serve appunto a
chiarire il significato di certi termini oscuri per la nostra cultura attuale,
che non potrà mai comprendere i fatti di culture lontane decine di secoli.
■ Luca 16,18: «Chiunque manda via la moglie
E ne sposa un’altra, commette adulterio; e chiunque sposa una donna mandata
via dal marito, commette adulterio».
Sullo studio trattato da A. Quintavalle non sono in
grado di dare un giudizio in merito perché non sono uno studioso di lingue
antiche (al momento sono solo uno che alza le sedie alla fine degli incontri…),
comunque mi sembra che questo possa spiegare esaurientemente la differenza fra
il testo parallelo di Mt 5 e 19 e Mc 10, ammesso che sia esatto.
Ho un dubbio però al riguardo: perché in nessuna
traduzione biblica in lingua straniera, viene tradotta la «e» congiunzione con
il significato di «affinché», come appunto spiega Argentino nel suo studio?
Mi piacerebbe sapere il parere di altri studiosi in
merito a questo studio su Luca 16,18.
■ Convegno anziani 2004: Quale è stato l’esito
di tale argomento? Leggendo in merito a tale convegno, sul mensile il
«Cristiano» mi sembra che l’argomento non venga trattato in maniera esaustiva
per poter fare delle valutazioni.
Pare che questo sia uno di quegli argomenti tabù, che
gli studiosi e responsabili delle varie chiese hanno timore di affrontare, per
evitare di esporsi alle critiche.
Certamente non è facile prendere posizione su un tema
così scottante, ma occorre farlo senza continuare a infilare la testa sotto la
sabbia, perché molti credenti soffrono per situazioni pesanti che vivono in
famiglia.
In conclusione direi che sarebbe bello se nella
discussione innescata qui, in maniera biblica, alcuni studiosi potessero
arricchire le esposizioni fatte su questo tema (magari in incognito), per dare
la possibilità ai credenti di valutare meglio e ancora più profondamente
questione.
11.
{Nicola Martella}
▲
Sono contento delle scoperte da te fatte. Vale sempre la pena confrontare
diverse traduzioni. Come hai constatato alcuni sono in certi brani delle vere
interpretazioni che condizionano il lettore.
Su convegni, in cui vengono invitati a parlare
solo persone di un certo orientamento dottrinale, quindi senza confronto e
contraddittorio, non mi pronuncio. Essi non mi entusiasmano, poiché la tesi
unica promulgata semplifica un problema così complesso e non lascia scampo di
sorta né sul piano teologico ed etico né su quello pastorale.
Qui di seguito mi limito a Lc 16,18 e al
particolare uso della congiunzione «e» nella sintassi ebraica. Ad esempio Nu
4,15 recita in ebraico «…i figli di Kehat verranno per portare [quelle cose]
e non toccheranno le [cose] sante e [non] moriranno». È chiaro che in
ebraico si intende creare una dipendenza fra un’azione e la sua conseguenza.
■ La tedesca Elberfelder traduce qui così: «…allora
i figli di Kehat dovranno venire per portare ciò, di modo che essi non tocchino
il santo e muoiano». Qui l’accento viene posto sul fatto che il trasporto
fatto dai Kehatiti, probabilmente mediante delle stanghe come per l’arca,
avrebbe impedito loro e agli Israeliti di toccare gli oggetti e quindi di
morire.
■ La traduzione della CEI mette qui un altro accento:
«…i figli di Keat verranno per portare quelle cose; ma non toccheranno le
cose sante perché non muoiano»; similmente la Riveduta. Qui l’attenzione è
posta sulla dipendenza fra non toccare (causa) per non morire (effetto).
Comunque sia, ambedue vedono nelle congiunzioni una connessione di causa ed
effetto.
Quindi Lc 16,18 si può tradurre così: «Chiunque
manda via la moglie
per [o col fine di] sposarne [o perché ne sposi] un’altra, commette
adulterio». L’adulterio non era commesso in ogni caso, in cui un uomo
mandava via la moglie — c’erano anche situazioni con «giusta causa» (Dt 24,1
«nudità di una parola / cosa»), che Gesù
stesso contemplò in Mt 5,32; 19,9 — ma solo nel caso in cui ciò aveva come
obiettivo un nuovo matrimonio, quindi senza che la moglie si fosse macchiata di
alcunché nelle sue parole o nei suoi atteggiamenti. Questo era lo stesso caso
contemplato in Mal 2: tra i Giudei ci si comportava da fedifrago verso la moglie
sposata in gioventù (vv. 14s), sebbene ella non fosse colpevole di alcunché
d’immorale, ma solo per sposare «carne giovane», che per di più era pagana (v.
11). Un tale ripudio era contro la legge ed era perciò detestato da Dio (v. 16).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Divorzio_confronto_GeR.htm
01-03-07;
Aggiornamento: 30-07-2008
|