▲ 1.
ENTRIAMO IN TEMA: Vorrei introdurre il seguente tema con alcune frasi che ho letto e che mi hanno
colpito. Eccole: «Da chiese partecipate (com’erano le “chiese in casa” del primo
secolo) si è passato a chiese visitate. Da “chiese tutti davanti a tutti”
(comunione, partecipazione, interazione) si è passato a “chiese uno davanti a
tutti” (un micro-gruppo gestisce tutto e gli altri sono perenni spettatori). A
ciò s’aggiunga il fatto che mentre nelle “chiese in casa” tutti formavano tutti
nella vita quotidiana, nelle “chiese da visitare” la devozione da sala e quella
nella vita possono essere due pianeti differenti». (Nicola Martella;
►
Il verme dell’accademismo? Parliamone).
Cosa ne pensate di queste affermazioni? Sono vere?
Rispecchiano la realtà? Ci toccano da vicino? Io credo di sì! Per questo vorrei
parlare di cosa voglia dire essere parte d’una chiesa locale. Siamo partecipi
della vita della nostra chiesa? O siamo di quelli che vi «si recano in visita»,
una volta la settimana e poi chi s’è visto s’è visto?
Che ci sia una crescente «latitanza» non solo fisica,
ma anche morale e spirituale dalla chiesa locale è evidente. Ormai, molte chiese
si reggono su «micro-gruppi» che, talvolta anche senza volerlo, hanno il
moderno «potere delle chiavi»: sono loro che aprono e chiudono il portone
della sala e ricevono «in visita» tutti gli altri, la domenica mattina.
Certe «adunanze» assomigliano sempre più alle visite che i figli sposati fanno
ai loro genitori anziani, una volta la settimana, per tastare soprattutto il
polso della loro salute, e poi ritornare alla «loro vita» e alle «loro cose». Ma
è questa la chiesa del Signore Gesù? Credo che dobbiamo riscoprire il valore
della chiesa locale e imparare a essere veramente chiesa.
▲ 2. RISCOPRIRE IL VALORE DELLA CHIESA LOCALE
2.1. IL VALORE DELLA CHIESA PER DIO: C’è un testo della Scrittura che ci mostra molto bene il valore che Dio
ha dato alla sua chiesa: esso è Atti 20,28. Questo testo dice: «Badate a voi
stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti
vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio
sangue». È soprattutto l’ultima parte che c’interessa: «la chiesa
di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue».
Questo testo ha anzitutto un grande valore «teologico», perché dichiara che Dio
ha pagato per la chiesa il prezzo più alto che poteva pagare e quindi Egli è il
«proprietario» assoluto della chiesa. Ma non entriamo nel merito di tale
significato, né parleremo delle dispute teologiche che da questo testo sono
nate. Qui c’interessa soprattutto l’aspetto «pratico» di questo testo. Bisogna
tener presente che queste parole fanno parte d’un discorso più generale, dove
l’apostolo Paolo responsabilizza gli anziani d’Efeso, in vista del compito che
li aspetta proprio nella loro chiesa locale.
Con queste parole, Paolo motivò gli anziani
d’Efeso. E a ben vedere, essi avevano bisogna d’una buona motivazione per
intraprendere il compito gravoso che gli era stato assegnato dallo Spirito
Santo. Essi dovevano «badare a tutto il gregge». Essi dovevano «pascere
la chiesa di Dio». Che grande responsabilità! Dovevano prendersi cura non
solo delle pecore più simpatiche, ma di «tutto il gregge». Non dovevano
«reggere» un gruppo qualsiasi, ma «la chiesa di Dio». E come se questo
non bastasse, essi andavano incontro anche a dei pericoli abbastanza seri:
«S’introdurranno tra di voi dei lupi rapaci…essi non
risparmieranno il gregge»
(v. 29). Non era una passeggiata quella che li aspettava, e solo con una
buona motivazione avrebbero resistito nei momenti peggiori. Questa motivazione,
l’apostolo Paolo la fornisce: «Dio ha riscattato la sua chiesa, a prezzo del
suo sangue». Non ha mandato un angelo con soldi «celesti» per combinare
«l’affare», ma Egli stesso ha portato avanti la «trattativa», pagando di prima
persona, col proprio sangue. Il valore della chiesa, sta tutto qui: il
grande prezzo che Dio ha pagato per essa. Questo fatto dà alla chiesa un grande
valore, e deve dare a noi credenti una grande motivazione. Dopo questo fatto,
nessun nostro «sacrificio» per la nostra chiesa locale è troppo grande, perché
quello di Cristo è il più grande di tutti.
Paolo stesso era motivato da questa verità.
Infatti, quando l’apostolo Paolo dichiara questa verità agli anziani d’Efeso,
non sta comunicando solo una «verità teologica», ma sta dicendo loro quello che
molto probabilmente ha motivato e incoraggiato la sua opera e il suo ministero
per la chiesa di Dio. Proprio in questo discorso egli dice chiaramente che, per
il bene della chiesa locale d’Efeso, non ha lasciato niente d’intentato. Le sue
affermazioni sono forti: «Non vi ho nascosto nessuna delle cose che v’erano
utili»
(v. 20). «Non ho cessato d’ammonire ciascuno con lacrime»
(v. 31). E non si è arreso nel fare questo neppure quando gli sono piovute
addosso vere e proprie persecuzioni. Egli parla delle «prove venutemi dalle
insidie dei Giudei»
(v. 19). Egli dice che «in ogni città m’attendono catene e tribolazioni»
(v. 23). E dice ancora «non faccio nessun conto della mia vita»
(v. 24). Un tale spirito di sacrificio non è motivato da una sorta di
stoicismo, o da una certa «voglia di morire», ma dall’esempio che Dio stesso ha
lasciato «acquistando la chiesa col proprio sangue». Solo se comprendiamo
questo valore noi capiremo come ci dobbiamo comportare nella chiesa e
soprattutto saremo motivati a farlo. Solo se comprendiamo questo valore saremo
disposti a servire nella nostra chiesa locale, come lo erano chiamati a fare gli
anziani d’Efeso, ognuno nel ruolo che ha ricevuto dallo Spirito Santo. Solo se
comprendiamo questo valore avremo lo stesso spirito di sacrificio che ha animato
l’apostolo Paolo.
2.2. IL VALORE DELLA CHIESA PER NOI: La chiesa locale ha una grande utilità anche per noi. Un riflesso di
questa «utilità» lo si può vedere nelle parole di Paolo: «Non vi ho nascosto
nessuna delle cose che v’erano utili»
(v. 20). La chiesa locale è anzitutto l’ambito dove le persone
possono incontrare Dio. In tal senso ogni sala dev’essere sia una «sala di
culto», che una «sala d’evangelizzazione». Tra l’altro, l’idea d’una «sala
d’evangelizzazione» aiuta a mobilitare di più la chiesa e renderla più partecipe
della sua vita. In secondo luogo, essa è l’ambito dove i credenti possono
crescere e sostenersi nella fede. È triste una città senza una testimonianza
fedele alla Parola di Dio.
Qui posso raccontare una mia esperienza. Nel 1986 andai
a Salerno per il militare e subito cercai una chiesa. Entrai in questa
comunità «evangelica», ma ne uscii scombussolato. Tutti iniziarono a pregare
insieme, qualcuno a gemere, altri a lamentarsi... un vero macello! Ora so che in
questa città c’è una chiesa che vuol fare sul serio con la Parola di Dio (vedi
«Il Cristiano» di febbraio 2007). Questa era un chiesa battista che ha deciso di
fare sul serio con Dio e di seguire fedelmente i principi biblici intorno alla
chiesa locale. Hanno fatto un corso apposito e il 3 dicembre scorso hanno fatto
un incontro speciale con altre chiese del circondario, nel quale è stato
suggellato il loro impegno d’essere fedeli alla Parola di Dio. Ora sono sicuro
che questa comunità può essere un punto di riferimento per chi la va a visitare.
Un faro nella notte di questo mondo buio e lontano da Dio. A quale chiesa
vogliamo assomigliare? Vogliamo essere anche noi un punto di riferimento per
chiunque ci viene a trovare? O vogliamo essere motivo di biasimo?
▲ 3. BISOGNA IMPARARE A ESSERE CHIESA
3.1. COSA VUOL DIRE ESSERE CHIESA?: È fondamentale a questo punto imparare a essere chiesa. Frequentare
una chiesa non basta. Non si tratta solo di «frequentare» la chiesa, la
domenica. Ci sono troppe «chiese della domenica». Bisogna essere una «chiesa di
tutti i giorni». Dei primi convertiti si legge che «ogni
giorno andavano al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro
cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore»
(At 2,46). Per questi primi credenti nel Cristo
risorto, la chiesa era una realtà quotidiana. Non c’era un grande distacco tra
il giorno del culto e gli altri giorni. Ma più che vedere in quest’una
prescrizione un principio a doverci riunire anche noi
tutti i giorni, deve invece colpirci soprattutto l’atteggiamento
gioioso del loro cuore. Questa era una gioia perenne. Era una gioia di tutti
i giorni. Questa è una gioia che anche noi dobbiamo avere per essere chiesa.
Una «chiesa della domenica» non ha questa gioia. Una chiesa che limita la sua
partecipazione alla chiesa del Signor Gesù solo per qualche ora la domenica
mattina, s’estranea da molte benedizioni che Dio ha previsto per essa. Una
«chiesa della domenica» finisce per essere triste e fuorviante.
Si racconta la storia d’un bambino che viveva con i
suoi nonni e aveva un nonno molto austero. Quando veniva la domenica, questo
nonno sgridava spesso il bambino dicendo: «Non giocare… non saltare… non
gridare... è domenica». Il bambino ne fu così ossessionato che quando vedeva gli
uccellini cantare, o i pesci guizzare nella vasca, diceva: «Ssst... zitti! Fate
piano! Se vi sente il nonno!». Un giorno, questo bambino entra nella stalla e
qui trova l’asino del nonno, una povera bestia, triste, mesta e abbacchiata. A
lui il bambino dice: «Bravo asino, tu si che hai la religione del nonno!»
(Nicola Martella,
Motti di spirito). Vogliamo anche noi una fede senza
gioia, una chiesa senza vita, una chiesa solo della domenica? Vogliamo davvero
che la «devozione da sala e quella nella vita siano due pianeti differenti»?
Spesso, quello che ci porta fuori strada è il sogno
d’una «chiesa ideale». Siamo così impegnati a sognare la chiesa «migliore»
che ci disimpegniamo verso la nostra chiesa locale. Sono questi sogni che ci
allontanano dalla realtà. «Chi ama il suo sogno d’una comunità cristiana più che
la stessa comunità cristiana, questi diventa il distruttore d’ogni comunità
cristiana, di là dal fatto che egli sia pieno d’onestà, serietà e dedizione»
(Dietrich Bonhoeffer, Vita comune). Chi sogna non è parte della sua
chiesa, ma la «visita» soltanto. Chi sogna ha solo aspettative che non bilancia
con alcun impegno. Quando sta male, s’aspetta una chiesa partecipe dei suoi
dolori. Tuttavia, quando la chiesa s’incontra, prega, evangelizza, ecc. egli non
è partecipe. Come si deve valutare un tale comportamento? Visitare i malati è
doveroso e giusto. Però, non imitiamo Israele, che cercava Dio solo quando stava
male. O si è chiesa tutti i giorni dell’anno, quando ci s’incontra, si prega,
s’evangelizza ecc., o non lo si è neppure quando l’uno o l’altro sta male. Una
chiesa di cui non sei partecipe, fatica a essere partecipe dei tuoi
dolori. Talvolta non si sa come comportarsi con chi non da segni di vita. Le
nostre aspettative d’una chiesa ideale, devono essere bilanciate dal nostro
impegno per una chiesa migliore.
3.2. È LA CHIESA CHE DEVE IMPARARE A ESSERE CHIESA: Spesso succede che quelli che stanno «dentro la chiesa» pensano come
quando si sta affacciati alla finestra: stanno lì a controllare i passanti,
quelli che stanno «fuori», come camminano, cosa fanno ecc. Così s’inizia a
pensare che sono quelli di «fuori» che devono imparare a essere chiesa. Sono
loro che devono comprendere il valore della chiesa. Ma prima di procedere, per
non essere frainteso, voglio affermare molto chiaramente che quelli che
stanno «fuori» della chiesa sono in errore; nonostante essi s’illudano
d’essere a posto con Dio, semplicemente perché pregano per conto loro,
indubbiamente essi sbagliano.
Bonhoeffer, un cristiano che Hitler ha mandato alla
fucilazione ha scritto: «Chi s’adira con il fratello… non ha più alcuno spazio
davanti a Dio… Separandosi dal fratello si è separato anche da Dio… Il suo
sacrificio, il servizio divino, la sua preghiera non potranno più essere graditi
a Dio… Il disprezzo del fratello rende falso il servizio divino e lo priva
d’ogni promessa divina. Il singolo o la comunità, che pretendano di presentarsi
a Dio con cuore sprezzante o non conciliato, giocano con un idolo. Finché si
nega al fratello il servizio e l’amore, finché egli resta esposto al disprezzo,
finché il fratello può avere qualcosa contro di me o contro la comunità di Gesù,
il sacrificio non può essere accetto» (D. Bonhoeffer, Sequela). Questo è
quanto dice anche l’apostolo Giovanni: «Se uno
dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo
fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto»
(1 Gv 4,20). Non si può aver
comunione con Dio Padre e disprezzare i suoi figli.
Detto questo però, è necessario che noi, che stiamo
«dentro» la chiesa, non assumiamo l’atteggiamento del fariseo dinanzi al
pubblicano. Non ci crediamo migliori, laddove anche noi abbiamo molto da
imparare. Essere chiesa, è una lezione che deve imparare anche chi sta
«dentro» la chiesa. Essere nella propria chiesa non basta, bisogna esserne
partecipi. Bisogna condividerne la sua vita, i suoi progetti e le sue attività.
Una chiesa americana di 900 membri era conosciuta come
«la chiesa con 900 servitori». Tutti servivano! Come vogliamo esser ricordati
noi?
Bisogna sentirsi responsabili del destino della propria chiesa. Il grande
condottiero Giosuè, alla fine della sua vita, radunò
tutto il popolo d’Israele e fece un lungo discorso che concluse dicendo: «Scegliete
oggi chi volete servire!
» (Gs 24,14s). Colpisce il fatto che Giosuè non nominò un successore «del suo
calibro», ma responsabilizzò tutto
il popolo. Anche se il popolo avesse continuato ad avere dei «capi» e delle
guide, però, tutto il popolo doveva essere responsabilizzato nel servizio e
nella consacrazione al Signore. Anche le lettere apostoliche, tranne le lettere
pastorali, mirano quasi tutte a responsabilizzare la chiesa. Non ci deve
meravigliare se chi sta fuori della chiesa «prega», ma ci deve meravigliare chi
nella chiesa prega, senza essere veramente partecipe della chiesa. Se non siamo
veramente integrati e partecipi della vita della nostra chiesa, rischiamo di
vanificare agli occhi di Dio ogni nostra azione, anche la più devota. Colpiscono
queste parole che l’apostolo Paolo dice ai Corinzi: «Quando
poi vi riunite insieme, quello che fate, non è mangiare la cena del Signore»
(1 Cor 11,20). Capite? Anche un’azione così
significativa come la cena del Signore, perde il suo valore se la facciamo senza
essere quel radunamento, quell’essere chiesa che il Signore vuole che
siamo. Dio ci aiuti, ognuno individualmente a essere quello che dobbiamo
essere collettivamente: la chiesa del Signore Gesù Cristo.
▲ 4. CONCLUSIONE:
Qualcuno ha detto che «chi cammina sulle tracce degli altri, non
lascerà mai tracce sue». Questo succede anche quando ci s’appiattisce sul
livello spirituale degli altri. «Gli altri non fanno niente, non faccio niente
neppure io!». È così che si smette d’essere chiesa e si finisce per
«visitarla» soltanto, giusto per far sapere che ci siamo ancora. Smettiamo di
guardare agli altri! Guardiamo al Signore Gesù! Sono le sue tracce che dobbiamo
seguire. Lasciamoci dietro tracce interamente nostre d’una vita spirituale
rinnovata. Facciamo proprio quelle cose che gli altri non fanno… Diventiamo
originali per il bene della nostra chiesa. Le lacune della nostra chiesa non
siano per noi un motivo per criticarla e giustificare il nostro disimpegno o la
nostra infedeltà, ma siano uno stimolo per chiedere al Signore se siamo proprio
noi che dobbiamo fare quelle cose. «Non di “strateghi” ha bisogno il Signore…
bensì d’uomini dal cuore rotto… che ricercano la pienezza dello Spirito Santo!»
(G.N. Artini, Assemblee viventi, operanti, unite). Non «strateghi» della
chiesa ideale, ma persone pronte a collaborare con Dio. Sono questi uomini e
queste donne che rendono una chiesa migliore!
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A2-Chiese_partecipate_visitate_UnV.htm
07-03-2007; Aggiornamento: 01-10-2009