Qui di seguito diamo spazio a quanti hanno voluto prendere posizione sul mio
articolo l’articolo «Il
verme dell’accademismo». Abbiamo messo extra come contributo a sé il lungo intervento di
Paolo Jugovac, «Il
verme dell’accademismo nelle chiese», che estende la problematica dell'accademismo al panorama ecclesiale generale. Alcuni credenti
mi hanno scritto su questo tema, ma non hanno voluto essere citati per nome.
Altri «addetti ai lavori», pur intervenendo sul tema e assicurando che
ultimamente ci sono stati dei cambiamenti positivi nell'opera in cui lavorano,
mi hanno chiesto di non mettere il loro contributo. Si vede che gli uni e gli
altri temono che quanto affermano sull'argomento potrebbe esporli all'interno
dell'opera in cui operano e di un clima generale che essi ritengano (così
presumo) possa ritorcersi contro di loro.
La Parola ci esorta a rispettare i «deboli» che si espongono
e i «deboli» che preferiscono schermarsi; quanto ai «forti», essi pensano che
non debbano neppure sporcarsi le mani. Altri fratelli hanno promesso di mandarmi
un contributo più ampio; temendo che le vicende della vita possano impedire loro
tale intento, metto quanto già ricevuto da loro, ma al posto del loro nome
comparirà uno pseudonimo fino a maggiori chiarimenti.
Per il resto invitiamo altri a prendere la parola e a
esprimere, dialogando, il loro pensiero.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi
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I contributi sul
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sottostante
1. {Ettore
Fieramosca (ps.)} ▲
Caro Nicola, leggo con apprezzato interesse gli articoli che pubblichi su «Fede
controcorrente». Ti ringrazio di avermi incluso nella lista degli assaggiatori
di questo articolo sull’accademismo. Il suo contenuto mi trova pienamente
d’accordo nell’analisi del problema e l’evidenza delle aride finalità. Leggendo
la tua personale riflessione, mi ci sono identificato, pur incamminandomi su
questo sentiero già da qualche tempo. Questo senza voler intendere che abbia
notato queste cose più tardi, anzi hai dimostrato più resistenza di me.
Ti incoraggio a scuotere il tuo uditorio con queste
riflessioni, affinché questo paese, dove Dio ci ha messi a servirlo, possa
incanalarsi per una strada utile per un vero risveglio.
2.
{Franco Aurelio (ps.)} ▲
Caro Nicola, ho ricevuto il tuo articolo sull’accademismo. Personalmente
condivido pienamente molte delle cose espresse e concordo con te in molti punti.
Prima di tutto lasciami dire che ho avuto veramente un bel rapporto con te come
insegnante e ti ringrazio tanto per tutto quello che mi hai dato. Su di te
potrei dire tante cose, qualcuna anche negativa :-), ma sicuramente non posso
dire che tu mi abbia mai obbligato ad accettare le tue idee senza darmi
possibilità di replica. Quello che mi piaceva è che sugli argomenti c’era
possibilità di dibattere, fuori e durante le lezioni, c’era un rapporto di
rispetto ma anche fraterno.
Relativamente all’accademismo, posso testimoniare che
nei miei anni di studio all’Istituto Biblico, ho visto sempre più in maniera
crescente questa tendenza a mettere troppa enfasi sugli aspetti accademici a
discapito di quelli motivazionali e spirituali. Nei tre anni trascorsi, pur
essendo stata per me un’esperienza eccezionale, ho visto una gestione sempre più
rivolta verso gli aspetti didattici e sempre meno verso la crescita e la
maturazione spirituale e caratteriale degli studenti. In quegli anni furono
completamente cancellati i programmi di un anno e di due anni, che consentivano
ad un allievo di poter affrontare l’esperienza per gradi. I programmi di studio
diventavano sempre più intensivi a discapito della comunione fraterna tra gli
studenti. Ho conosciuto studenti di età, carattere, cultura diversa. Tra loro ho
visto uomini e donne di Dio, che volevano profondamente servire il Signore, ma
anche persone che studiavano tanto ma che non erano in grado di stare in mezzo
agli altri, di sottomettersi, di avere una vita comunitaria. Molti erano
individualisti e alcuni anche con seri problemi relazionali e/o di adattamento.
In quei giorni mi chiedevo: «Ma che serve conoscere le lingue bibliche se poi,
quando c’è da fare un semplice servizio, tipo lavare i piatti, non c’è la minima
disponibilità!».
Lo dicevo nei colloqui all’insegnante che fungeva da
consigliere dei ragazzi, che la scuola biblica deve essere anche una scuola di
vita. Per me è un periodo di cura e crescita personale, non solo un periodo per
studiare e conseguire dei titoli. Purtroppo, l’accademismo, non consente agli
studenti di essere aiutati, spronati, smussati, ma soltanto di avere una
formazione teologica. E le conseguenze sono evidenti. Ci sono diversi studenti
che purtroppo, pur essendo buoni allievi, non sono riusciti a inserirsi nelle
comunità, portare in esse entusiasmo e mettersi al servizio della chiesa. Alcuni
hanno lasciato le loro chiese a causa di sterili polemiche dottrinali o soltanto
perché non hanno saputo aspettare il loro momento. Altri addirittura si sono
allontanati dal Signore.
Tuttavia, sono contento di sapere che questa tendenza
almeno all’Ibei sta cambiando. Un altro insegnante dell’Ibei mi diceva che le
scuole bibliche si sono rese conto che è stata messa troppa enfasi sugli aspetti
accademici. Infatti quest’anno i ragazzi fanno molte attività di gruppo che
permette loro di stare più insieme e di fare delle attività pratiche oltre allo
studio. C’è una ragazza della mia chiesa che è veramente entusiasta di
quest’esperienza.
Volevo anche dirti che nella lista delle scuole
bibliche hai dimenticato l’IFED, che secondo me è un’ottima scuola. Ci sarebbe
anche la Scuola Biblica Domata di Fregene che è carismatica, l’Istituto Biblico
Bereano degli Standridge, l’IBI delle ADI, e forse qualcun'altra piccola che
adesso non ricordo.
Come ti avevo già scritto, mi dispiace molto che tu
abbia lasciato l’insegnamento all’Ibei, anche perché secondo me l’Ibei ha
bisogno di te e viceversa, però rispetto la tua decisione e mi auguro che tu
possa essere ancora una benedizione per le chiese italiane.
3.
{Pietro Micca (ps.)} ▲
Caro Nicola, ti faccio notare che attualmente l’IBEI è ancora un «istituto
biblico» e non «facoltà teologica», non rilasciando lauree italiane in teologia.
È bene ribadire questo fatto perché a differenza della Facoltà Valdese, l’IBEI
continua a puntare in primis su una formazione pratica, per l’opera... vedi il
sito aggiornato e i nuovi criteri per conseguire il diploma IBEI di tre anni
(sì, si tratta d’una laurea di prima livello, accreditata dall’EEAA, ma il
carattere è piuttosto pratico).
[…] Da quando sei andato via, alcuni dei problemi che
riscontravi qui, di squilibrio accademico, sono stati affrontati.
Per il resto fai bene a parlare del problema delle persone
che si montano la testa, infatti ci sono credenti che sono diventati
effettivamente degli accademici; dopo aver conseguito il dottorato, la loro
visione del mondo (a parer mio) si è allontanata dalla Bibbia, mentre bisogna
continuare a essere biblici oltre che credibili da un punto di vista accademico.
4.
{Nicola Martella} ▲
Caro Franco (ps.), ti ringrazio del tuo contributo sincero e competente sulla
questione dell’accademismo, visto che viene da uno studente che ci è passato.
L’ho redatto, togliendo i nomi degli insegnanti a cui ti riferivi, e l’ho messo
in rete insieme ad altri. Per non esporti, ho reso il tuo contributo anonimo,
dandogli uno pseudonimo. Spero che stimolerà anche altri ex-studenti a prendere
la parola. Lo scopo è che l’Ibei e altri istituti biblici si pongano la
questione (che a lungo abbiamo cercato di far capire, io e altri insegnanti) e
pongano rimedi veri e durevoli.
Capisco che tu voglia evitare che «queste cose
diventano oggetto di critica e di polemica»; questo è anche il mio spirito (e di
altri ex insegnanti), ma in qualche modo bisogna avviare in Italia una
discussione generale sull’argomento che altrimenti non è possibile, visti i
tentativi andati a vuoto negli ultimi due decenni. Tu dici che per questo
specifico istituto biblico nutri «un particolare peso di preghiera», ciò è molto
buono e lo condivido... anche nella pratica. Anch’io stimo i fratelli di cui tu
parli; quando si pone un problema generale è comunque spesso perché per molti
anni si ritiene di essere rimasti inascoltati e perché in Italia bisogna pur
avviare una discussione che superi la singola situazione.
Caro Franco, l’opera dell’Ibei mi sta particolarmente a
cuore (come pure quella di altri istituti di formazione biblica). Col mio
articolo su «Il verme dell’accademismo» volevo iniziare una discussione generale
(quindi non limitata all’Ibei) fra varie componenti del vasto panorama
dell’istruzione religiosa degli evangelici. Come hai potuto notare, perciò,
l’articolo non riguarda l’Ibei in specifico, sebbene sia la realtà di
riferimento che meglio conosco, ma intende porre una questione molto più amplia
e complessa del panorama italiano. Sull’Ibei puoi trovare sul mio sito un
articolo positivo: ►
Voglio parlarti dell’I.B.E.I., pubblicato anche su «Oltre»; a ciò si
aggiungano altri articoli positivi anche sul mio sito tedesco. Nell’articolo «Il
verme dell’accademismo» a me interessa porre un problema generale degli
«istituti biblici» e simili in Italia e possibilmente far discutere e
confrontare i fratelli di vari ambienti su questo tema. Vorrei quindi che tutti
gli addetti ai lavori intervenissero.
Per i progressi dell’Ibei, che sembra stiano avvenendo,
posso solo rallegrarmi, visto che sono stato al riguardo (insieme a pochi altri)
per tanti anni una voce
controcorrente. L’accademismo è però come il lombrico: quando lo tagli in
due, dopo un po’ di tempo si rigenera. Così si fa sempre bene a vegliare e a
verificare i veri e
sostanziali cambiamenti nel tempo.
Tu dici: «Se fosse per me, consiglierei a tutti di fare
un periodo di formazione biblico-pratica all’Ibei». Non posso che sottoscrivere
quanto tu dici. Il mio augurio è che tale «formazione biblico-pratica» sia
veramente possibile dovunque essa venga offerta (e qualunque istituto biblico la
offra), che ai proclami e ai corriculum scolastici annunciati corrispondano dei
veri contenuti (e vere
competenze) e che molti possano trarne profitto, secondo il
bisogno reale che individualmente hanno.
Un ex insegnante mi ha espresso al riguardo il suo
dubbio, affermando: «Mi domando quanto il tentativo di sondare nuove idee abbia
indotto a copiare [da altri istituti di formazione] senza realizzare i veri
contenuti. […] Ma se la visione è meramente accademista, il copiare dagli altri
produce solo inefficaci surrogati». Certo l'augurio mio (e nostro) è che alle
cose annunciate in un curriculum (quale anche sia l’istituto biblico che fa tali
promesse) corrispondano fatti concreti e persone veramente
competenti che le realizzino.
5.
{Andrea Diprose} ▲
Equilibrio fra studi accademici e pratica
In relazione all’articolo
Il verme dell’accademismo, possiamo dire che sicuramente, nel passato
recente, in parecchie chiese locali e istituzioni teologiche sia italiane sia
del mondo anglo sassone (fra la metà degli anni ‘90 e la metà di questo
decennio, dopo il 2000 e fino alla prima parte del 2006), sono state
riscontrabili tracce di accademismo dannoso, con un distacco evidente dalla
realtà pratica del mondo là fuori (fuori della chiesa locale e fuori delle
quattro mura della sede di una scuola biblica o di una istituzione teologica).
Ciò nondimeno, detto
questo, bisogna dire che, grazie a Dio, perlomeno in quelle istituzioni
formative (scuole bibliche, accademie teologiche e facoltà teologiche) che sono
legate all’associazione evangelica per l’accreditamento (EEAA) e che sono da
essa accreditate, si nota una inversione di tendenza:
All’Istituto Biblico
Evangelico Italiano ma sicuramente anche in altre istituzioni consorelle
all’estero, anch’esse accreditate dall’EEAA, si sta lavorando praticamente su:
■ La pratica
ministeriale da portare avanti in concomitanza con gli studi teorici — ciò è
evidente all’IBEI (anche dal suo sito web) durante questo anno accademico
2006-2007.
■ La comunità — la
scuola biblica come comunità funzionale e non soltanto come luogo dove vari
individui studiano, per conto proprio, materie teologiche e bibliche.
Senza aggiungere tanto in questa sede, è
possibile dire che questi aspetti saranno molto evidenti durante lo stage
missionario degli studenti IBEI assieme a due docenti, durante le prime due
settimane di marzo 2007, in Serbia. {22-02-07}
6.
{Francesco Bozzi} ▲
Caro Nicola, un boccone più appetitoso probabilmente non potevi lanciarmelo e
non partecipare a questa discussione sarebbe stato da parte mia un gesto
veramente superficiale nei tuoi confronti.
Neanche io vorrei che mettessi il mio nome; ti concedo
però di dire che sono tuo genero, ho frequentato per tre anni una scuola biblica
e ora lavoro nel campo dell’economia! Sicuramente il mio contributo non sarà
esauriente, ma voglio lanciare anch’io degli spunti su questo tema che mi hanno
fatto riflettere durante e dopo la mia permanenza in un istituto di questo
genere.
Non posso non essere d’accordo in linea generale con
quello che tu dici, ma trovo eccessivamente dura l’analisi che fai nei confronti
degli istituti biblici e verso il loro tentativo di darsi «un tono».
La situazione preoccupante, infatti, non è quella che
tu poni, ma piuttosto quella che suggerisce, neanche troppo velatamente, il buon
Paolo J., sempre acuto nell’analisi della situazione ecclesiale italiana. Questi
«poveri» istituti devono combattere con una cronica povertà di materiale umano a
cui rivolgersi ed essendo anche, concedimelo, istituzioni commerciali che alla
fine dell’anno devono fare i conti con i bilanci, devono cercare d’attrarre i
credenti verso di loro in qualche modo. È la vecchia storia del mercato che
cresce rispondendo a una domanda con un’offerta.
Capisci quindi dove voglio arrivare: il problema non
è l’accademismo offerto, ma l’accademismo richiesto.
Dalle informazioni che danno i vari istituti,
che hai preso in considerazione, mi sembra chiaro che tutti s’offrano come
supporto alle chiese e quindi, se tali vogliono essere, penso sia naturale, a
meno di motivazioni masochistiche, che cerchino di dare quello che a loro viene
reclamato.
Ti posso dare la mia esperienza: ciò che mi ha spinto a
iscrivermi all’Ibei (ebbene sì, un altro indizio per identificarmi!) e
frequentarlo per tre anni, era il desiderio d’accrescere la mia conoscenza della
parola di Dio, per rafforzarmi in maniera importante per un mio forte impegno,
coerente alla dottrina, nel mondo del lavoro: ebbene sì, non avevo ambizioni di
«missione» o di «ministero» o di «servizio a pieno tempo», ma «semplicemente»,
fra le varie cose, trovare anche un lavoro che m’appagasse. Ho usato le
virgolette, per sottolineare l’accezione più superficiale di tali termini, che
vede l’impegno verso il Signore solo come una «cosa di chiesa»: pure queste
virgolette sono volute e potrebbero essere spunto di successivi temi da te
sollecitabili. Mi sono iscritto a Ibei a 28 anni, con alle spalle un curriculum
lavorativo piuttosto lungo e ho visto che, maggiore era il desiderio di far
carriera nel mondo del lavoro, in maniera utile per la gloria di Dio, maggiori
dovevano essere le basi bibliche, data la generale difficoltà d’associare etica
e lavoro ad alti livelli. L’Ibei mi ha dato quello di cui avevo bisogno e,
grazie agli strumenti che lì ho ricevuto, ora posso tentare di destreggiarmi
nell’ambiente di lavoro in cui ora mi trovo: difficile per responsabilità
affidatemi e per ambito non esemplare per quel che riguarda l’etica generale,
quello della finanza.
In sintesi, un motto che usavo spesso con i miei
colleghi studenti, era «L’Ibei ti dà quello che vuoi prendere dall’Ibei: sta
a te la scelta». Il problema dunque è a monte: problemi di motivazione,
consacrazione, ma anche, a volte, d’esperienza col Signore. Non è un caso
forse che quest’accademismo, sia apparso in un momento in cui l’età media degli
studenti si è abbassata verso un’età in cui i propri obbiettivi non possono
essere ancora chiarissimi. Probabilmente verso di loro, sarebbe necessario un
lavoro più accurato da parte delle chiese che li mandano presso questi istituti,
valutando a fondo le opportunità, ma anche i rischi che una scelta di tal genere
possa generare e, di conseguenza, probabilmente l’atteggiamento degli istituti
biblici cambierebbe: cosa che mi sembra stia succedendo da quest’anno proprio
all’Ibei e mi sembra un buon segnale.
Grazie ancora per aver sollevato questo problema e il
Signore ti benedica in tutto il tuo lavoro.
7.
{Nicola Berretta} ▲
Nota redazionale: Qui dovrebbe stare il contributo di Tonino Mele, a cui
dovrebbe seguire la mia risposta. A causa della loro specificità e della
lunghezza d'entrambi, abbiamo messo il tutto extra:
►
L’accademico e l’accademismo. Osa segue il contributo
di Nicola Berretta.
Cerco di racchiudere il mio pensiero in un motto semplice e per certi versi
ovvio: «È meglio un presuntuoso che sa le cose, rispetto a un presuntuoso
ignorante».
La presunzione è una di quelle qualità negative
da cui il credente deve rifuggire, tuttavia, non esiste niente di peggio d’un
presuntuoso ignorante (uso il termine «ignorante» nel suo significato originario
di «colui che non sa» e non nella sua accezione offensiva). Una persona
presuntuosa, ma esperta nella sua materia, è certamente indisponente, ma resta
comunque una persona da cui puoi imparare qualcosa, se non altro dal punto di
vista nozionistico.
Il problema allora, a mio giudizio, non è da scaricare
sugli istituti biblici, ma sulle persone stesse e sulla formazione che hanno
avuto nelle chiese di provenienza. Sono state istruite nel loro
«carattere» cristiano? Quale enfasi è stata posta nella loro formazione di
credenti sull’esempio d’umiltà e di mansuetudine dato dal nostro Signore e
Maestro, Gesù Cristo?
Purtroppo l’importanza di formare un «carattere»
cristiano è spesso ritenuta secondaria nelle nostre chiese, dando invece molta
più enfasi ad aspetti dottrinali «alti» o anche legalistici. Non è dunque raro
trovare persone presuntuose, piene di sé e magari anche… ignoranti. Ben vengano
allora le scuole bibliche, che se non altro rendono la pillola più digeribile.
8.
{Nicola Martella} ▲
Nicola Berretta ha messo certamente il dito su una delle piaghe delle chiese: il
deficit nella formazione del
carattere cristiano nelle chiese, dove viene spesso privilegiato
l’indottrinamento (denominazionale). Questo aspetto si aggiunge al mosaico che
stiamo trattando: accademismo negli «istituti biblici» e accademismo nelle
chiese (Paolo Jugovac).
Da chiese partecipate (com’erano le «chiese in
casa» del primo secolo) si è passato a chiese visitate. Da «chiese tutti davanti
a tutti» (comunione, partecipazione, interazione) si è passato a «chiese uno
davanti a tutti» (un micro-gruppo gestisce tutto e gli altri sono perenni
spettatori). A ciò si aggiunga il fatto che mentre nelle «chiese in casa» tutti
formavano tutti nella vita quotidiana, nelle «chiese da visitare» (alcuni
visitano ogni volta un’altra chiesa!) la devozione da sala e quella nella vita
possono essere due pianeti differenti.
Detto questo, mi sembra che «istituti biblici»
che dovrebbero essere «istituti di formazione biblica» non possono tirarsi fuori
dalla formazione del carattere cristiano, altrimenti diventano repliche
colpevoli di tali chiese mal funzionanti. Gli «istituti biblici» non possono
diventare dei meri centri d’informazione (istruzione); secondo la mia esperienza
più un «istituto biblico» alza il livello accademico e più gli aspetti formativi
diventano secondari. I docenti tendono allora a essere «insegnanti»
(trasmettitori del sapere) e meno «maestri» (trasmettitori di saggezza di vita;
formatori del carattere).
Il riconoscimento maggiore per ogni docente di
un «istituto biblico» arriva quando uno studente gli dice o gli scrive
all’incirca: «Ti ringrazio per tutto ciò che ho potuto imparare nei tuoi corsi
quanto a conoscenza, ma ti ringrazio ancora di più per quanto mi hai trasmesso
con la tua vita».
9.
{Maurizio Maniscalco} ▲
Ciao Nicola, sono un tuo ex studente. Non so se ti ricordi di me, ci siamo visti
a Ribera una volta.
Sono perfettamente d’accordo su quello che dici, da
poco ho finito la scuola biblica e grazie a Dio non mi sono fatto prendere
dall’accademismo; purtroppo molti ignorano che la teoria e la pratica vanno
assieme. È importante studiare ma è altrettanto importante praticare, non come
cloni, ma come credenti che sperimentano personalmente le cose di Dio. Lo
Spirito Santo dà i doni, lo studio non fa altro che aiutarci a sviluppare questi
doni; molti invece credono che con lo studio potranno avere quello che Dio non
gli ha dato.
Comunque bisogna studiare principalmente a casa e non
avere come obiettivo solo la scuola biblica, conosco persone […] che, pur non
avendo fatto la scuola biblica, hanno una buona conoscenza della Scrittura e la
mettono anche in pratica.
10.
{Nicola Martella} ▲
Conosciamo proverbi come i seguenti «la pratica vale più della grammatica» e
«tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». Questi proverbi esprimono
certamente solo una parte della verità, sebbene una importante. La teoria e la
pratica sono due facce della stessa medaglia. Chi trascura l’una o l’altra sarà
limitato nel suo agire, nel suo sviluppo, nella sua libertà d’azione e nel
riuscire. Chi ama e teme Dio riesce in ambedue questi aspetti e la teoria rende
feconda la pratica e viceversa.
Come tu giustamente dici, lo studio non può creare
talenti, ma può solo far scoprire e far fruttificare solo ciò che già si è
ricevuto dal Signore. È chiaro che radici più profonde danno maggiore stabilità
alla pianta, maggior nutrimento e, quindi, salute e vigore.
Studiare è importante ed è un compito vita natural
durante; frequentare un istituto biblico è una tappa in questa crescita, sebbene
un’importante tappa. Se da una parte bisogna guardarsi dall’accademismo fine a
se stesso, dall’altra non posso condividere quei cristiani che affermano nel
loro ecclesiocentrismo che è la chiesa che deve formare. Questa capacità non ce
l’hanno tutte le chiese né ciò che viene dato basta a tutti, specialmente a
coloro che vogliono una conoscenza maggiore.
Lo studio in un istituto biblico ha molti
vantaggi. Ad esempio si hanno persone preparate, si ha un piano di studio
completo, si ha un tempo qualitativo e particolare a disposizione. Chi ha
studiato come te per corrispondenza (e magari ha frequentato anche qualche corso
nelle scuole succursali) ha molteplici vantaggi rispetto a chi è autodidatta.
Grazie a Dio per fratelli consacrati al Signore che
hanno studiato con sacrificio da autodidatti per poter servire meglio al
Signore. Ma non è sempre così. Gli autodidatti, se non ancorati saldamente alla
sacra Scrittura (e al buon senso) rischiano di squilibrarsi in una direzione o
nell’altra e di diventare parziali; non avendo ricevuto un grande orizzonte,
rischiano di dare importanza solo ad alcune cose e di radicalizzarsi in alcuni
aspetti della dottrina o della realtà. In certi casi, possono diventare molto
orgogliosi e arroganti (sebbene la loro conoscenza è solo di parte e limitata) e
propagare dottrine ambigue, se non addirittura false.
Lo studio sistematico, equilibrato e completo
(comunque e dovunque avvenga) ha quindi i suoi vantaggi per la persona stessa,
per l’opera di Dio e per gli altri. Il vantaggio degli istituti biblici è, come
ho già ribadito sopra, di molteplice natura. Per studiare in pochi anni quanto
viene offerto in un istituto biblico ci vorrebbe una vita intera nella chiesa
locale (premesso che in essa si insegni tutto ciò che corrisponde al curriculum
di un scuola biblica). A ciò si aggiunga che lo studente che ha imparato a
imparare e a usare gli strumenti appropriati, proseguirà più speditamente nello
studio personale — oltre a evitare molti dei pericoli, in cui può incappare un
autodidatta poco accorto o che approfondisce solo ciò che gli interessa.
Quanto ho detto sugli istituti biblici e sullo studio
sistematico in essi non vuole essere frainteso. Ciò che ho voluto evidenziare è
la tendenza di alcuni di essi verso un accademismo, ossia uno scolasticismo fine
a se stesso. Come ho già detto altrove, gli istituti biblici devono essere
dei «vivai», dei «campi d’allenamento» e delle «fucine»: in essi si lavora con
quello che si ha e si cerca di ottenere il massimo, in corrispondenza alla
natura, all’indole, ai punti di forza (e di debolezza) e alle capacità di
ognuno. Gli istituti biblici non possono dimenticare d’essere scuole di vita; il
loro compito primario è di contribuire formare il «carattere cristiano» nei loro
studenti.
11.
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12.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Accademismo_verme_EnB.htm
20-02-2007; Aggiornamento: 06-07-2010
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