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La questione del lettore
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Caro Nicola, vorrei proporti un tema
che, forse, non so quante volte sia stato discusso quello relativo al
comandamento: «Onora tuo padre e tua madre». Leggendo le discussioni sul
matrimonio, divorzio e sui possibili casi in cui un matrimonio possa essere
sciolto, mi chiedevo se lo stesso discorso valesse riguardo l’onorare il padre e
la madre. Mi piacerebbe sapere certo che cosa intenda la Bibbia con la parola
«onorare», magari andando a spulciare l’etimologia. Ecco la mia questione: una
persona, e in particolar modo un cristiano, dovrebbe onorare sempre e comunque
il padre e la madre, anche nel caso in cui uno dei due tenesse un comportamento
dissoluto, scorretto, e in certi casi anche crudele? Se un padre o una madre
abbandonano i propri figli, per farsi i fatti loro, e non si curano d’essi per
il resto della vita, sono degni d’essere onorati? Mi viene in mente un passo
biblico, dove d’asserisce che «se uno non provvede ai suoi, e principalmente
a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed è peggiore dell’incredulo» [1
Tm 5,8, N.d.R.]. Questo versetto, quindi, potrebbe autorizzare una persona a non
onorare un genitore che si comporta in questo modo? Ricordo comunque che, forse,
sarebbe corretto innanzitutto sapere che cosa s’intende biblicamente, quando si
parla d’onorare il padre e la madre. Grazie. {Daniele Mancuso; 22 settembre
2008}
La risposta ▲
La norma
costituzionale della teocrazia d’Israele
Il
comandamento relativo ai genitori era ancorato addirittura nel Decalogo, la
costituzione della teocrazia d’Israele, e conteneva un’espressa promessa
condizionata: «Onora tuo padre e tua madre,
affinché i tuoi giorni durino a lungo nel paese che l’Eterno, il Dio tuo,
ti dà» (Es 20,12). Nella versione deuteronomica del Decalogo, Mosè mise
maggiore enfasi sul comandamento divino e ampliò ulteriormente le motivazioni: «Onora
tuo padre e tua madre, come l’Eterno, il Dio tuo, ti ha comandato,
affinché i tuoi giorni durino a
lungo e tu stia bene nel paese che
l’Eterno, il Dio tuo, ti dà» (Dt 5,16).
Prendiamo
quindi atto che tale legge costituzionale implicava, come conseguenza, lunga
vita e prosperità nella terra promessa. I comandamenti erano destinati ad adulti
ed erano formulati specialmente per i maschi, quali detentori e responsabili
dell’ordine familiare e sociale (cfr. il comandamento relativo all’adulterio e
al concupire le risorse del prossimo). Onorare padre e madre non aveva quindi a
che fare principalmente con la sottomissione dei figli minorenni sotto
l’autorità genitoriale, poiché qui venne richiesto qualcosa a persone adulte e
generalmente già con una propria famiglia.
La norma morale
Per chiarire
che cosa intendesse l’etimologia del verbo «onorare», senza introdurre qui una
particolareggiata disamina dei termini ebraici e greci, preferisco che si prenda
atto del fatto che già il suo uso nei contesti specifici ne rivela il vero
significato.
Quando
scribi e farisei vennero a rimproverare i discepoli dinanzi al loro Maestro,
affermando di trasgredire la tradizione degli antichi, non lavandosi le mani
prima di mangiare, Gesù li accusò, a sua volta, di trasgredire il comandamento
di Dio a causa della loro tradizione (Mt 15,1ss). Ecco i dati della
contrapposizione (vv. 4ss):
Dio ha detto |
Voi, invece, dite |
«Onora tuo padre e tua madre!»; e: «Chi maledice padre o madre
deve morire di morte» |
Se uno dice a suo padre o a sua madre: «Sia offerta [a Dio], ciò
che potrebbe tornarti utile da me», egli non è obbligato a onorare suo padre o
sua madre. |
Conclusione: «E avete annullata la
parola di Dio a causa della vostra tradizione. Ipocriti…».
Mentre l’Evangelo di Matteo era destinato agli Ebrei, che la Legge mosaica la
conoscevano, l’Evangelo di Marco è ancora più esplicativo, rivolgendosi ai
pagani: «…voi, invece, se uno dice a suo padre o a sua madre: “Sia Korban —
vale a dire, offerta [a Dio] — ciò che potrebbe tornarti utile da me”,
voi non gli permettete più di fare cosa alcuna a pro di suo padre o di sua madre,
annullando la parola di Dio con la tradizione, che voi vi siete tramandata. E di
cose consimili ne fate tante!» (Mc 7,8-13). Qui, rispetto al testo di
Matteo, la responsabilità è posta specialmente su scribi e farisei, che
insegnavano tali cose. Si noti che «l’onorare» in Matteo corrisponde in Marco a
«fare cosa alcuna a favore» del genitore.
Si noti che onorare i genitori
significa dargli ciò che serve loro, ossia per sopravvivere. A quel tempo non
c’erano la previdenza sociale e la pensione d’anzianità. Il «capitale» e
«l’assicurazione», su cui si poteva contare per la vecchiaia, erano i figli. Chi
perdeva tutti i suoi figli o essi erano ingrati, avevano dinanzi a sé un destino
misero e infelice.
La norma
spirituale
Tornando all’uso dei termini «onorare» e «onore» nel loro senso originario, si
tenga presente che in alcuni contesti essi significano «dare a qualcuno ciò che
gli spetta». Non a caso anche in italiano si parla di «onorare» anche nel senso
di «adempiere
i propri obblighi finanziari, fare fronte ai propri
impegni»; «l’onorario» è un
compenso corrisposto a qualcuno per prestazioni da lui
fornite. Nel nuovo patto agli obblighi verso una paternità naturale si aggiunge
anche quella per una paternità morale, ossia dei discepoli verso i loro
insegnanti. Per questo è scritto: «Gli anziani che tengono bene la
presidenza, siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che faticano nella
predicazione e nell’insegnamento… l’operaio è degno del
suo salario» (1 Tm 5,17s; cfr.
1 Cor 9,4ss; Gal 6,5ss).
Padri e figli
minorenni
La
preservazione della norma costituzionale, che ingiungeva l’assistenza dei
genitori da parte dei figli, rendeva stabile la società nel suo complesso; e per
questo garantiva che anche gli attuali figli potessero, a loro volta, vivere a
lungo e stare bene nella loro vecchiaia, perché tutelati da figli che avrebbero
fatto a loro volta il loro dovere. Non a caso l’apostolo Paolo chiamò tale norma
costituzionale dell’antico patto così: «Questo è il primo comandamento con
promessa» (Ef 6,2).
È vero che
Paolo ricordò tale comandamento a proposito dell’ubbidienza dei figli ai
genitori, ma al riguardo si noti quanto segue in Efesini 6,1: «I figliuoli:
ubbidite nel Signore ai vostri genitori, poiché ciò è giusto».
■ Qui parla a ragazzi (tà tékna), quindi figli minorenni; nel Decalogo si
parlava invece a uomini fatti.
■ L’ubbidienza non è assoggettamento totalitario all’arbitrio altrui, ma «nel
Signore»: sia per rispetto a Lui, sia nell’ubbidienza primariamente a Lui.
L’espressione «nel Signore» indica nel NT la norma etica, ossia così come piace
al Signore (p.es. sposarsi nel Signore). Qui valga la risposta di Pietro dinanzi
a un’autorità (il Sinedrio), che aveva ingiunto loro di fare qualcosa contro la
loro coscienza: «Giudicate voi se è giusto, nel cospetto di Dio, di ubbidire
a voi anzi che a Dio» (At 4,19); e, in modo più esplicito: «Bisogna
ubbidire a Dio anziché agli uomini» (At 5,29). Tale tipo di ubbidienza è
cosa giusta.
■ La citazione in merito della norma del Decalogo non fu introdotta come esatta
spiegazione dell’ingiunzione di Paolo, ma per indicare la promessa connessa alla
richiesta divina.
L’altra parte della
medaglia di tutto ciò segue dappresso: «E i padri: non
provocate a ira i vostri figliuoli, ma allevateli nella disciplina e
nell’ammonizione del Signore» (v. 4).
■ L’educazione dei padri non dev’essere affetta da ingiustizia tale da creare
rabbia nei figli verso il genitore.
■ La disciplina non è a proprio arbitrio e fine a se stessa, ma è quella secondo
il Signore, ossia conforme alla sua Parola; così pure l’ammonizione.
Aspetti
conclusivi
L’onore di un cristiano verso i propri genitori, vita natural durante, e
l’ubbidienza verso di loro, se si è ancora minorenni, deve avvenire «nel
Signore», ossia secondo le norme etiche della Scrittura. Il peccato e
l’ingiustizia rimangono tali, chiunque li commetta. Un figlio o una figlia, se
cristiani, devono chiaramente sottrarsi a genitori che vogliono abusare
sessualmente di loro o indurli a compiere atti illegali e amorali. Genitori che
hanno un «comportamento dissoluto, scorretto, e in certi casi anche crudele»
perdono la loro autorità morale. La legge stessa sanziona certi genitori
togliendo loro la patria potestà, ad esempio nei casi in cui non adempiono ai
loro doveri elementari di genitori. A ciò si aggiunga che, in tali casi, un
genitore del genere, se si ritiene cristiano, effettivamente «ha rinnegato la
fede ed è peggiore dell’incredulo» (1 Tm 5,8).
Un genitore moralmente sviato è da recuperare come qualunque altra
persona (Gcm 5,19s). In certi casi il cristiano deve prendere le distanze da un
genitore che persiste in certi comportamenti e diviene così un pericolo, pur
chiamandosi cristiano, qualora non accetti la riprensione della Parola di Dio: «V’ho
scritto nella mia epistola di non mischiarvi coi fornicatori; non del tutto però
coi fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i rapaci, e con gli idolatri;
perché altrimenti dovreste uscire dal mondo; ma quel che v’ho scritto è di non
mischiarvi con alcuno che, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, o un avaro,
o un idolatra, o un oltraggiatore, o un ubriacone, o un rapace; con un tale non
dovete neppure mangiare» (1 Cor 5,9ss).
Chiaramente un genitore rimane comunque tale, almeno dal punto di vista
biologico, e non bisogna mai chiudere tutte le porte, incredulo o
credente che sia. Inoltre la vita ha tante stagioni e un cambiamento è sempre
possibile, sebbene al momento bisogna prendere le distanze per non farsi
travolgere dal male altrui.
Che deve fare il cristiano, se un genitore, in passato malvagio e dissoluto,
nella
vecchiaia necessita di che sopravvivere e di cure, che non può avere
altrimenti? Il figlio cristiano non può sottrarsi al suo dovere. Chiaramente non
deve farsi coinvolgere dalle opere malvagie delle tenebre (Rm 13,12; Ef 5,11ss)
e deve controllare che le sue sovvenzioni al genitore immeritevole non vengano
usate per la dissolutezza, ma per sopravvivere e curarsi.
Si noti comunque che 1 Tm 5,8 e il suo contesto furono scritti non tanto
per i genitori verso i figli, ma per nipoti e figli verso il parente che sta
nella necessità. La missione d’allora veniva a confrontarsi con situazioni di
indigenza, per questo Paolo ingiunse a Timoteo: «Onora le vedove che sono
veramente vedove» (1 Tm 5,3), ossia fattene carico in senso finanziario.
Ribadisco nuovamente che a quel tempo non c’era la previdenza sociale e la
pensione d’anzianità. Nel caso in cui c’erano parenti, erano loro a doversi
prendere tale incombenza, rendendo il «contraccambio ai loro genitori»
(v. 4). Nel caso tali parenti fossero cristiani e non facevano tale loro dovere,
erano da ritenere come increduli (v. 8). Tale sostegno non doveva essere
finalizzato ad alimentare i piaceri della carne (v. 6) o uno stile di vita di
ozio, ciance, curiosità di fatti altrui e pettegolezzi (v. 13). Qui possiamo
trovare un parallelo con quanto abbiamo detto sopra a proposito del sostegno di
un genitore. In tale registro assistenziale della missione (o della chiesa
locale) bisognava iscrivere solo vedove senza prole e altre risorse, da
sessant’anni in poi (ossia veramente bisognose) e se nel passato erano state
attive ed esemplari come madri e servitrici del Signore nell’opera cristiana
(vv. 9s).
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Onora padre e madre? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Onora_padre_madre_GeR.htm
23-11-2008; Aggiornamento: 02-12-2008
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