1. ALCUNI CASI CONCRETI: Tempo fa, mi telefonò un credente,
per chiedermi dei consigli o un chiarimento biblico, e si presentò come «pastore».
Gli chiesi dove si trovasse la sua comunità, e quanti membri fossero. Mi disse
che, al momento come chiesa si radunavano a casa sua e che erano, per
ora, in tre o quattro. Casi del genere ogni tanto mi succedono. Occasionalmente, ci sono stati anche missionari,
che avendo preso contatti con me, si sono fregiati di aver fondato una chiesa,
quando poi, dopo alcune domande, ho scoperto che si trattava appena di un
gruppo; e tale situazione perdurava oramai da svariati anni. È già successo che
sono stato invitato da un missionario per andare a portare degli studi nella sua
«chiesa»; quando sono arrivato c’era la sua famiglia e poche altre persone, di
cui alcune erano diventate credenti, mentre un paio era costituito da parenti di
questi ultimi e un altro paio ancora era lì specialmente perché c’era l’agape.
Eppure, per tale missionario si trattava di una «assemblea». In alcuni casi, tale missionario aveva certo portato
alcune poche persone alla conversione e aveva raccolti pochi altri simpatizzanti
insieme. Tuttavia, alla prima crisi, rimase spesso solo il missionario
con un paio di credenti, mentre tutti gli altri si erano dileguati. Eppure, a
sentire un missionario del genere, si trattava della chiesa, che egli aveva
fondato!
In Internet si trovano pagine e gruppi di
discussione, che portano il nome di «chiesa» e che si titolano con nomi molto
sofisticati, tipo «Chiesa della vigna del Signore» o «Assemblea cristiana
biblica “Gesù vive”». Poi, quando vai a vedere le foto, trovi un piccolissimo
gruppo di persone, spesso inversamente proporzionale alla lunghezza del nome. Chiaramente, fa piacere vedere credenti sorridenti e
militanti, che vogliono essere di testimonianza in loco. Tuttavia, sono essi
solo un «gruppo» o già «chiesa»?
2. ALCUNI CRITERI: Chiaramente un’assemblea del Signore non
necessita locali di culto per essere tale; tutte le comunità del NT erano
«chiese in casa». Tuttavia, quand’è che abbiamo a che fare con un gruppo o con
una comunità?
■ Il primo criterio: Un raduno di credenti è
un’assemblea, quando può sopravvivere da sé, anche quando il fondatore se ne va.
Fintantoché ciò non avviene, si tratta di un gruppo di credenti, il cui destino
come «comunità» può essere alquanto incerto. Se appena il «pastore»
(missionario, fondatore, ecc.) si trasferisce, le «pecore» si disperdono, non si
è mai trattato veramente di una chiesa locale. Ad esempio, Paolo parlò della chiesa nella casa di
Aquila e Priscilla
(Rm 16,4s; 1 Cor 16,19). Quindi, se tali servitori del Signore erano costretti
ad andare via da lì, tale comunità si sarebbe trasferita in casa di altri
credenti. Un gruppo, invece, si sarebbe disperso.
■ Il secondo criterio: Quando il missionario o
il fondatore se ne va via, la chiesa continua a sussistere, poiché ha altri, che
la guidano. Un gruppo, invece, è coagulato intorno a una certa persona, che lo
tiene insieme; andando via lui, tutto implode e si disperde. Essere chiesa o
essere gruppo non dipende dal numero dei credenti, ma dalla capacità di
sussistere, perché guidato da conduttori stabili. Qui è rilevante il caso di Antiochia. Alcuni
cristiani giudei, dispersi dalla persecuzione avvenuta a motivo di Stefano, «che
erano Ciprioti e Cirenei, venuti in Antiochia, si misero a parlare anche ai
Greci, annunziando il Signor Gesù» (At 11,19s). Lì si convertirono molte
persone (v. 21). La chiesa di Gerusalemme vi mandarono Barnaba (v. 22). Barnaba
era un bravo credente, che esortò i neo-convertiti (vv. 24s). Tuttavia, si rese
conto dei suoi limiti rispetto a una gruppo così grande; perciò, andò a prendere
Saulo da Tarso, che aveva le capacità di insegnante (v. 25). Fatto sta che, dopo
un anno di tempo, in cui essi ammaestrarono un gran popolo (v. 26), il gruppo
ottenne stabilità, si formarono collaboratori, guide e ministeri, e si poté
parlare di chiesa di Antiochia (At 13,1). Quando, Saulo (= Paolo) e Barnaba
lasciarono la chiesa, per andare in missione (vv. 3ss), la chiesa continuò a
sussistere; infatti, dopo il loro viaggio missionario, essi tornarono ad
Antiochia per raccontare ciò, che il Signore aveva compiuto per mezzo di loro
(At 14,26; cfr. 18,22s). Qui Paolo e Barnaba ebbero degli incarichi ecclesiali
(At 15,35); poi ripartirono in missione con due diverse squadre (vv. 36-40). Paolo, non a caso, scrisse non al gruppo di Filippi, ma
«a tutti i santi in Cristo Gesù, che sono in Filippi, con i conduttori
e con i
servitori» (Fil 1,1). Era ciò a renderli stabili come assemblea, tant’è
che poterono occuparsi anche del sostegno di Paolo (Fil 4,15ss). Quindi, un
raduno di credenti può chiamarsi chiesa solo quando, ci sono guide autorevoli,
che ne garantiscono la coesione e la stabilità nel tempo.
3. L’ESPERIENZA INSEGNA: Voglio portarvi un esempio
concreto, tratto dalla mia vita di ministero. Dopo la fondazione e la
stabilizzazione di una chiesa a Roma, con riconoscimento di conduttori
locali, prima il mio collega missionario e poi io lasciammo l’assemblea, per
dedicarci ad altro. In tale periodo, in cui lavoravamo per la
stabilizzazione di tale chiesa in Roma, io e un altro collega cercammo per anni
di evangelizzare Frascati, per stabilire lì una testimonianza. C’era una
famiglia di credenti, che s’era trasferita lì, per un po’ di tempo, per motivi
di lavoro. Cominciammo una cellula biblica a casa loro ed evangelizzavamo in
piazza e il mio collega anche al mercato. Venendo noi da fuori, c’eravamo
attrezzati a svolgere lì un lavoro lento e faticoso. Al gruppo s’erano aggiunti
anche una coppia della nostra chiesa e un paio di simpatizzanti. Ci sembrava che
le cose potessero andare per il verso giusto. Poi, però, tale famiglia, che ci
ospitava, terminato il loro periodo di lavoro, se ne tornò al nord. Eravamo
quindi senza una base in loco. Una donna simpatizzante rese possibile, che ci
incontrassimo nello studio di sua madre, che era psicologa; dopo alcuni mesi,
però, anche lei, necessitando la piena disponibilità dello studio, ci licenziò.
Intraprendemmo tanti altri tentativi, ma o furono di breve durata o andarono a
vuoto. Tale coppia di credenti, che aderiva al progetto, pregava con noi
affinché essi prendessero casa a Frascati; poi, però, la trovarono a più buon
mercato in un’altra zona. E tale scelta si aggiunse alla precaria situazione e
fece sensibilmente naufragare tale progetto missionario. Dei membri del gruppo
ognuno prese un’altra direzione. Altri progetti, che curavamo allo stesso tempo,
si imposero come più produttivi; rimandammo tale progetto per Frascati a tempi
migliori. Dovendo gestire al meglio le energie nelle varie attività, ciò fece sì
il nostro progetto per Frascati naufragò per sempre. Ci mancava una «Lidia» con famiglia, che ci
dicesse: «Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, entrate in casa
mia…» (At 16,14s). La sua casa divenne il luogo, dove si incontravano i
fratelli (v. 40). Proprio questo a noi è mancato. Tale esperienza mostra la differenza fra una
chiesa stabile e un gruppo, il cui destino era incerto e precario.
4. DOVE DUE O TRE..?: Certo, ora qualcuno sarà tentato di
citarmi il verso: «Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono
io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Alcuni intendono che dove due o tre si
riuniscono nel nome di Cristo, lì ci sia la chiesa. Chi pensa così, trascura il
«poiché», che porta una conclusione dal precedente. Qui non si tratta di una
normale riunione di credenti, ma di un caso disciplinare; infatti al v. 17 si
parla di «chiesa». Dove due credenti non trovano un accordo insieme da soli, per
il problema che li accomuna, né dinanzi a testimoni, deve intervenire la chiesa
locale (vv. 15ss). Essa incaricherà «due o tre» di occuparsi del caso. Alla
fine, addiverranno a delle conclusioni, dichiarando chi è innocente (è sciolto)
e chi è colpevole (è legato; v. 18). Tali fratelli, dovendo praticare la
disciplina e dovendo addivenire a un verdetto, si accorderanno a domandare a Dio
la sapienza e il discernimento per tale caso (v. 19). Gesù promise la sua stessa
presenza all’interno di tale task-force, radunata nel suo nome, per
decidere tale caso disciplinare (v. 20). Si spera che i casi del genere si incontri
disciplinari, i convenuti potranno dire come nel Concilio di Gerusalemme: «È
parso bene allo Spirito Santo e a noi…» (At 15,28). Un caso simile a Matteo
18,15ss si trova in 1 Corinzi 5,1-13 (cfr. particolarmente i vv. 3ss),
dove fu trattato il caso disciplinare riguardo a un fornicatore.
5. ASPETTI CONCLUSIVI: Un «gruppo» è simile a un
embrione, che può svilupparsi e diventare un organismo autonomo, oppure può
deteriorarsi e diventare un aborto. Una chiesa locale è, invece, come un
bambino nato, che giorno per giorno cresce sotto l’occhio e la cura dei
genitori. Se un «raduno» è tenuto insieme da un credente e, appena questi va
via, implode
e si disperde, esso non è mai stato chiesa, ma un semplice gruppo d’interesse. Un «raduno», che a volte vegeta per anni,
facendo continuamente qualche passo avanti e qualche passo indietro, non può
chiamarsi «chiesa». Magari tale «gruppo» diventa «assemblea», solo quando un «Barnaba»,
conscio dei suoi limiti, prega un «Saulo» di venire a collaborare con
lui, e quest’ultimo, avendo la capacità di mettere solide basi dottrinali e una
chiara linea ecclesiologica, non solo sblocca la situazione, ma rende prolifero
anche il ministero del «Barnaba» di turno. In casi del genere, tale «Barnaba»
farebbe bene a non presentarsi come «fondatore» di quella chiesa locale,
poiché in effetti ha fondato soltanto un piccolo gruppo, magari di tre o quattro
persone, il cui futuro era ancora incerto e precario, appunto come un embrione.
La fondazione della chiesa è un’altra cosa ed è avvenuta solo in seguito,
quando una chiara linea dottrinale ha creato la stabilità dell’opera, e tutto
ciò ha permesso una crescita in quantità e in qualità e lo sviluppo di vocazioni
e ministeri.
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Gruppo_chiesa_S23.htm
21-08-2014; Aggiornamento:
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