Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CONDUTTORI E FIGLI DISSOLUTI O INSUBORDINATI

 

 di Nicola Martella

 

Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.

 

Caro Nicola, shalom. Ho un quesito da porti riguardo all’ufficio di pastore / vescovo / anziano: in 1 Timoteo 3 sta scritto: «...che governi bene la propria famiglia e tenga i figli sottomessi e pienamente rispettosi; se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?». E in Tito 1 sta scritto: «...che abbia figli fedeli, che non siano accusati di dissolutezza né insubordinati».

     Negli ultimi anni ho visto in molte chiese divenire responsabili uomini, che avevano figli non credenti, irrispettosi e maleducati verso i genitori, fidanzati o sposati con non credenti, alcuni aderenti a una religione per piegarsi ai riti di quest’ultima, altri dediti alla tossicodipendenza, all’alcol o al fumo.

     Mi chiedevo: qual è il limite, oltre il quale si devono considerare squalificati tali responsabili? Come possiamo interpretare condizioni come «sottomessi», «pienamente rispettosi» e «fedeli»? Quale peso e significato dobbiamo dare a sostantivi quali «dissolutezza» e «insubordinazione»?

     In questi anni di decadimento generale del livello morale della società, non dovremmo cercare di preservare il livello di santità, che Dio ci chiede e di cui un giorno ci domanderà conto personalmente?

     Grazie a Dio per le molte occasioni, che ti dà per farci riflettere sulla sua Parola, e grazie a te per l’impegno, che investi per l’edificazione comune. Dio ti benedica e t’illumini continuamente. {13-12-2010; Giosafat Montanari, ps.}

 

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito.

 

 

1.  ENTRIAMO IN TEMA: Per interpretare un brano, si fa sempre bene a risalire a una traduzione il più letterale possibile. Infatti, in brani del genere ogni parola conta, e il giudizio, che se ne trae, può essere un macigno a favore o contro una certa tesi.

     ■ «[Bisogna dunque che il sorvegliante]soprintenda bene alla propria casa, tenendo i figlioli [tékna] in sottomissione con ogni rispettosità — ma se uno non sa soprintendere alla propria casa, come si curerà dell’assemblea di Dio?» (1 Tim 3,4s).

     Il termine epimeléomai intende «curarsi di qualcosa, provvedere a qualcosa, dirigere qualcosa, essere procuratore di qualcosa». È quindi un sinonimo di proistamai «soprintendere, dirigere», che compare nello stesso verso. Il termine oikos «casa» non intendeva soltanto moglie e figli, ma tutti coloro, che stavano sotto il proprio tetto (servi, parenti).

 

     ■ «…tu costituisca anziani per ogni città, come t’ho ordinato, quando qualcuno sia irreprensibile, uomo d’una donna, avente figlioli [tékna] fedeli, non [stando] nell’accusa di dissolutezza o [essendo] insubordinati» (Tt 1,5s).

     Il termine anypótaktos «disubbidiente» in Tt 1,6 non è riferito verso i genitori, ma verso l’ordine comune.

     Il termine critico in ambedue i brani è téknon «figliolo, fanciullo, bambino, prole» (figlio generato o minorenne); è usato anche per il cucciolo di un animale. Non si tratta qui, dunque, di huiós «figlio» in quanto erede o adottato in quanto tale (figlio emancipato o maggiorenne). Ciò a che fare col diritto romano d’allora.

 

 

2.  EXCURSUS: PROLE E FIGLIOLANZA NEL DIRITTO ROMANO: È importante capire il diritto romano d’allora, per comprendere i brano in esame. Paolo lo usò per spiegare la storia della salvezza. Qui si possono usare specialmente i brani delle epistole paoline, che erano rivolti ai credenti gentili, che vivevano in tale ordinamento.

     ■ Rispetto alla legge mosaica: Poiché ogni téknon «figliolo, prole» era equiparato a un servo, fino al momento dell’emancipazione, Paolo poté dire rispetto all’affrancamento dalla legge che «Dio mandò il suo Figlio [huiós]… per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo la figliolanza [huiothesía]. E perché siete figli [huiói], Dio ha mandato lo Spirito del suo Figlio [huiós] nei nostri cuori, che grida: “Abba, Padre”. Per cui, tu non sei più servo [doulos], ma figlio [huiós]; e se sei figlio [huiós], sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4,4-7).

     Si noti che la huiothesía «figliolanza» era l’atto di emancipazione dallo stato di téknon «prole» a quello di huiós «figlio» e, quindi, di erede mediante un atto giuridico di adozione. Il periodo della legge corrispondeva a tale stato di servitù, da cui in Cristo il credente del nuovo patto è emancipato (cfr. Gal 3,28s).

 

     ■ Rispetto alla salvezza finale: «Lo Spirito stesso attesta insieme col nostro spirito, che siamo figlioli [tékna] di Dio; e se siamo figlioli [tékna], siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui» (Rm 8,16s). I tékna «figlioli, prole» vengono insediati a eredi, venendo adottati a «figli» (huiói); Paolo vide qui tale momento dell’adozione come coincidente con «il riscatto del nostro corpo» (v. 23), ossia con la risurrezione.

 

     ■ Status ed eredità: Riguardo ad Agar e Ismaele (= Israele e i Giudei increduli; Gal 4,24ss) fu detto: «Caccia via la schiava [paidískē = giovane serva] e il suo figlio [huiós]; perché il figlio [huiós] della schiava [paidískē] non sarà erede col figlio [huiós] della libera. Perciò, fratelli, noi non siamo figlioli [tékna] della schiava [paidískē], ma della libera» (Gal 4,30s). Il figlio (huiós) di una serva era erede d’essa, ma non poteva vantare diritti sull’eredità del suo padrone, sebbene questi poteva essere il suo genitore, come nel caso di Abramo verso Ismaele. Spiritualmente parlando, solo la prole (tékna) della libera (= credenti in Cristo) può aspirare a diventarne erede.

 

 

3.  APPROFONDIMENTO DI 1 TIMOTEO 3,4S E TITO 1,5S: Questo lungo excursus è stato necessario per evidenziare che in ambedue i brani in questione si trattava della prole generale. L’episcopo o presbitero doveva dare prova di essere in grado di dirigere principalmente casa sua. Non doveva essere poligamo (ciò avrebbe moltiplicato a dismisura la prole, i problemi e l’occupazione con essa). Non doveva avere figlioli che, non essendo ancora emancipati (ossia viventi ancora sotto il proprio tetto e sotto la sua dipendenza), erano in odore di vivere in modo lascivio e sovversivo rispetto all’ordine morale e civile costituito. Se un tale uomo non era in grado di essere un buon sorvegliante e soprintendente in casa sua, non tenendo la prole ancora non emancipata in rispettosa sottomissione, era difficile che potesse soprintendere e provvedere alla comunità locale.

     Da ciò risultano, ad esempio, le seguenti riflessioni.

     ■ Nessuno ha garanzia che i figli seguiranno la fede e il timore di Dio dei genitori. Ciò è certamente una grazia di Dio. Non per questo non si hanno precise responsabilità (vedi sotto).

 

     ■ I genitori sono responsabili dei figli fintantoché abitano nella loro casa. Gli atti dei figli maggiorenni non possono essere addebitati ai genitori.

     Tuttavia, ciò dipende anche da quale coerenza morale e spirituale essi usano a casa propria, quando i figli increduli e dissoluti sono in visita o addirittura abitano in casa. Dio dichiarò il tollerante Eli responsabile della sua mancanza di sorveglianza verso i suoi figli dissoluti, che avevano preso il suo posto nel tempio. D’altra parte, anche un giudice giusto come Samuele fallì a casa propria, poiché anche i suoi figli non seguivano il suo esempio di fede e coerenza.

 

     ■ Se tutti i figli si allontanano da Dio specialmente già nella pubertà e seguono la via della dissolutezza, non si può far finta di niente. Un tale credente dovrebbe porsi il problema, se le cause non risiedano anche nella sua incapacità di essere stato un modello positivo di fede e di coerenza biblica. Per scrupolo morale dovrebbe chiedersi se essere conduttore di chiesa e curatore delle anime sia il ruolo adeguato alla sua situazione. È difficile predicare agli altri su cose, in cui si è fallito a casa propria; è difficile dare consigli pastorali agli altri, quando non si è stati capaci di pasturare le pecore di casa propria.

 

     ■ In genere, tali conduttori hanno altre lacune rispetto a tutti i prerequisiti richiesti in Timoteo 3 e in Tito 1; essi mancano probabilmente delle qualità, che possano dichiararli irreprensibili e coerenti. Se mancano queste due ultime caratteristiche, si è un «conduttore di paglia» e agli occhi degli altri non si avrà mai la dignità e l’autorità morale necessarie.

 

Conduttori e figli dissoluti o insubordinati? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Condutt_figli_dissolut_UnV.htm

23-01-2011; Aggiornamento: 15-03-2016

 

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