Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

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Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

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IL RICCO, LAZZARO E I GENERI LETTERARI: PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nell’articolo «Il ricco, Lazzaro e i generi letterari», che qui discutiamo, siamo partiti dalle tesi di Paolo Palmieri, che ha convinzioni distruzioniste, tipiche dell’avventismo (e del da esso derivante geovismo) e di tutti i movimenti dei «neo-sadducei», secondo cui l’Ades sarebbe solo la tomba e alla morte l’intero essere sarebbe distrutto, per essere poi interamente ricreato alla risurrezione. Quindi, non esisterebbero un Ades trascen-dentale, né un Paradiso.

 

     Le conseguenze di tale tesi sono che, per coerenza, anche Gesù sarebbe stato distrutto alla sua morte, per essere ricreato tre giorni dopo, alla sua risurrezione! Quindi, alla sua morte, non sarebbe andato personalmente nella trascendenza ad annunciare la sua vittoria ai santi dell’AT, ma essendo distrutto come persona, di lui sarebbe rimasto solo il suo corpo nella tomba...

     Quando alla comprensione corretta del testo sul ricco e Lazzaro (Luca 16,19-31), abbiamo visto che è di massima importanza partire dalla comprensione del suo giusto «genere letterario». Quindi, è stato importante capire, se si tratta di una «parabola» a sfondo morale, come afferma Paolo Palmieri, oppure se si tratta di una narrazione di fatti reali con elementi di rivelazione annunciati da Gesù, visto che nessun uomo può guardare nella trascendenza.

     Se si pone male il fondamento, tutta la casa interpretativa verrà storta. Allora si cercherà di far apparire diritto il muro storto, mediante i tipici artifici ideologici: un pizzico di spiritualizzazione, un po’ di interpretazione allegorica, una presa di falso sillogismo, un quid di soggettivismo arbitrario, una spruzzata di retorica e un po’ di contorno ideologico, e al testo viene fatto dire tutt’altro.

     Qui, nella discussione, si aggiungono altri interessanti elementi. Ad esempio, vengono chiamate per nome alcune persone: Abramo e Lazzaro. La domanda è la seguente: Se Lazzaro è solo una figura allegorica, come affermano i «nuovi sadducei», che dire di Abramo, il «padre della fede» (Rm 4,11s)?

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Ivaldo Indomiti

2. Stefano Scavitto

3. Nunzio Nicastro

4. Daniele Mancuso

5. Davide Marazzita

6. A. C. Bartolomeo

7. Gianni Cascato

8.

9.

10.

11. Vari e medi

12. Vari e brevi

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Ivaldo Indomiti}

 

Contributo: Sono contento che tu abbia dato questa più che condivisibile valutazione. In tutte le parabole il Signore Gesù non ha mai fatto riferimento a nomi propri (come Lazzaro appunto), ma a nomi comuni (il seminatore, il moggio, l’albero della senape, la rete, la zizzania e il grano, la massaia e altro), oltre a dire la locuzione «è simile». Pertanto è una rivelazione del Signore, con la quale specificava quale era la situazione dell’aldilà, ancor prima di morire in croce e risorgere dopo tre giorni. {29-06-2015}

 

Mario Lombardo: Ho fatto una ricerca su internet, e i commenti che ho trovato (sia di matrice riformata che cattolici) la classificano come parabola. Molto approfondita l’analisi, che ho trovato a questo indirizzo: Cathopedia.

 

Nicola Martella: Non è tutto oro ciò, che luccica. Molti ripetono opinioni basate su un consenso, oramai radicato, e su luoghi comuni. Tutto ciò è dovuto alla falsa traduzione del termine greco hadēs (lett. «[luogo] invisibile») con «Inferno» già all’interno del cattolicesimo (Vulgata: inferus». Lutero ha continuato così nella sua traduzione con «Hölle» (Inferno), appoggiandosi sulla Vulgata. Diodati si appoggiò su Lutero (così la cosiddetta «Nuova Diodati»), seguendo tale consenso. Altresì si confonde «Paradiso» con il «Cielo», dove sta il santuario e il trono di Dio. Perciò, c’è un grande equivoco di traduzione interpretativa. Oltre a ciò, faceva dottrinalmente comodo interpretare tale brano come «parabola», poiché intanto c’era stata l’invenzione del cosiddetto «Purgatorio».

 

Stefano Borgomastro: È infatti una descrizione, non una parabola o allegoria o metafora, di quello che succede dopo la morte. {30-06-2015}

 

Ivaldo Indomiti: Metafora: «dal lat. metaphŏra(m), che è dal gr. metaphorá, propr. “mutamento”, deriv. di metaphérein “trasferire”, comp. di metá “oltre” e phérein “portare”» (N.d.R: fonte?). Portare oltre.

     Allegoria: «dal lat. tardo allegorĭa(m), dal gr. allēgorìa, comp. di állēi “in altro modo” e agoréuein “parlare”» (N.d.R: fonte?). Parlare in altro modo. Oppure: dico dell’altro. {30-06-2015}

 

Nicola Martella: Una «allegoria» è una «metafora continuata» e come tale intende un «linguaggio traslato», ossia che va oltre a ciò che sta realmente scritto (p.es. similitudine del seminatore). In questa narrazione del ricco e Lazzaro nulla va oltre a ciò, che sta veramente scritto, essendo le cose descritte da Gesù quelle che Egli voleva narrare e rivelare.

 

 

2. {Stefano Scavitto}

 

Contributo: Caro Nicola, la tua analisi porta alle mie stesse conclusioni e a quelle di molti altri studiosi biblici.

     Noto però che non hai citato un dettaglio, secondo me importante da citare a favore del fatto che la narrazione del ricco e Lazzaro non sia parabolica: i nomi. Generalmente infatti Gesù non usava nelle parabole nomi propri di personaggi, ma rimaneva nell’ambito dell’ipotesi: «il regno dei cieli è simile a un padre con due figli»; «il regno dei cieli è simile a un seminatore»; e via così. In questo caso invece Gesù fa tanto di nomi e cognomi, direi non casuali.

     Inoltre, nell’ottica dell’ispirazione plenaria della Scrittura non dovremmo considerare un caso che un Lazzaro fu nel regno dei morti. È un altro Lazzaro fu resuscitato. Opterei per dire che si tratti della stessa persona. {29-06-2015}

 

Davide Marazzita: Stefano Scavitto, sei in errore. Lazzaro è il nome greco di Eliazar, che nella lingua aramaica del tempo di Gesù aveva un duplice significato: poteva essere un nome di persona oppure indicare uno sfortunato. Pertanto una lettura interpretativa del testo nel nostro tempo si potrebbe benissimo intendere come «povero diavolo», dove per povero non s’intende un nome e diavolo un cognome. Poi, azzardare che il Lazzaro del racconto di Luca sia lo stesso di quello di Betania risuscitato dal Cristo, è davvero assurdo e inconcludente. In merito al resto della discussione mi pronuncerò dopo. {29-06-2015}

 

Nicola Martella: Stefano Scavitto, nelle similitudini vengono riportati anche fatti reali o di cronaca (p.es. Lc 19,12ss effettivamente accaduto a un discendente di Erode, che andò a Roma), ma essi vengono stereotipati, perché non è la storia in sé al centro, ma il suo significato morale o spirituale (qui addirittura escatologico; cfr. v. 11).

     Riguardo a Lazzaro, hai ragione: una parabola non fa nomi! (cfr. Lc 19,12 «un uomo nobile»). Comunque, Gesù non fece «nomi e cognomi», ma solo il nome: «Lazzaro», aggiungendo particolari identificativi: «un povero [uomo]» (Lc 16,20), ossia un mendicante malato e affamato.

     Che questi fosse il Lazzaro da Betania, amico di Gesù, c’è da dubitarne, perché quest’ultimo era abbastanza benestante, avendo una casa, i cui vivevano le sue sorelle, e la possibilità di ospitare Gesù e i suoi discepoli (Gv 12,1s). Questo Lazzaro si ammalò, ma non faceva il mendicante. Maria sua sorella aveva unto il Signore con un costosissimo olio odorifero (Gv 11,1s; 12,3ss).

 

Stefano Scavitto: Davide, ti ringrazio per la risposta al mio commento. Mi spiace che ti poni già sulla posizione della ragione, questo non facilita lo scambio di opinioni. Ti do la mia risposta alle tue osservazioni.

     Non so che versione della Bibbia utilizzi, ma quelle in mio possesso hanno tutte tradotto Lazzaro come nome di persona. Quindi, a meno che non mi dimostri una conoscenza del greco koinè maggiore dei nostri traduttori, considero la tua osservazione utile e interessante, ma non definitiva.

     Riguardo il mio accenno che si tratti della stessa persona, che il Cristo resuscitò, credo che tu abbia sottovalutato il principio d’ispirazione plenaria della Scrittura. Essa è una qualità della Parola di Dio, che ritengo necessaria mantenere ferma in favore di una corretta ermeneutica. {29-06-2015}

 

Nicola Martella: 1. Davide Marazzita, il testo recita letteralmente così: «C’era un certo povero di nome Lazzaro» (Lc 16,20). Ciò indica chiaramente che si trattava di una persona ben conosciuta sul posto e ben identificata con un nome proprio. Vedi similmente altre espressioni, in cui compare la stessa costruzione con onómati «con o di nome”: «un uomo cirenaico di nome Simone» (Mt 27,32); «uno dei capi sinagogali di nome Iairo» (Mc 5,22); «un certo sacerdote di nome Zaccaria» (Lc 1,5); ecc. Quindi, si trattava qui effettivamente di una persona concreta e ben conosciuta localmente, e non di un «Pasquale» (Pierino, ecc.) stereotipato qualsiasi. Inoltre, come ho accennato all’inizio, qui viene menzionato per nome anche Abramo, il «padre della fede» (Rm 4,11s); che significato allegorico bisognerà cercare per lui?

     2. Concordo con le premesse di Stefano Scavitto. Chi ha buoni argomenti biblici ed esegetici (e altri, se utili al chiarimento), non ha necessità di attaccare la persona.

     Che i due «Lazzaro» non siano coincidenti per me, ho portato sopra i miei argomenti, a cui rimando.

 

Stefano Scavitto: «Nome e cognome» era solo un modo di dire. Interessanti i dettagli sulla situazione economica di Lazzaro «il risorto», che lo rendono un altro Lazzaro. Grazie dell’edificante confronto. {29-06-2015}

 

 

3. {Nunzio Nicastro}

 

Contributo: Ecclesiaste 12,9 recita: «...prima che la polvere torni alla terra com’era prima, e lo spirito torni a Dio che l’ha dato». Che cosa s’intende per «spirito»? È lo stesso spirito, menzionato da Stefano in Atti 7,59? {29-06-2015}

 

Nicola Martella: Nel pensiero ebraico, l’uomo si compone di due elementi fondamentali: il corpo (o polvere) e lo «spirito» (ebr. ach «respiro, vento, spirito») o «soffio (di vita)» (ebr. nešāmāh «alito, soffio»); insieme formano «l’anima vivente», ossia la persona (Gn 2,7 divenne). Paolo parlò dell’«uomo esteriore» e dell’«uomo interiore» (2 Cor 4,16). Alla morte tale unità chiamata «anima vivente» cessa e questi due componenti hanno un destino diverso: il corpo torna alla terra, mentre lo spirito («l’uomo interiore») va nella trascendenza (cfr. Ec 12,9), dove attende la risurrezione del corpo (1 Cor 15,42).

     Sì, è lo stesso «spirito», di cui parlò Stefano in Atti 7,59, intendendo se stesso dopo la morte.

     Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Antropologia 3: componenti principali», pp. 89s; «Uomo: parti e funzioni», pp. 376s.

 

 

4. {Daniele Mancuso}

 

Contributo: Premettendo che è molto difficile stabilire cosa ci aspetta dopo la morte, do poco credito all’inferno come è stato insegnato spesso dalla tradizione cattolica con tormenti fisici e diavoli con pentoloni (se l’anima è immateriale, come fa a patire dolore fisico?). Effettivamente questi elementi si riscontrano di più nelle mitologie pagane (e anche in quelle platoniche) che bibliche. Insomma, l’inferno dantesco mi sembra poco probabile. Ovviamente sono miei pensieri, che sono incompetente. {29-06-2015}

 

Nicola Martella: Non importa ciò, che credi tu o io, oppure che cosa dica la tradizione o Dante Alighieri, ma bisogna partire da ciò, che asserisce la sacra Scrittura. Lo «stagno di fuoco» o «fuoco eterno» è stato creato proprio per il diavolo e i suoi angeli, perché essi siano lì tormentati (Matteo 25,41). Ciò significa che anche i «corpi pneumatici» delle creature trascendentali hanno la capacità di soffrire. Non saranno i demoni a infliggere pene agli umani, ma saranno essi stessi a essere tormentati per sempre. «E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli» (Apocalisse 20,10; cfr. 19,20; 20,14s; 21,8).

     Ciò non ha nulla a che fare con le concezioni trascendentali dei pagani o di Dante Alighieri.

     Qui il tema è circoscritto all’articolo. Leggilo interamente sul sito, se non l’hai ancora fatto, e poi intervieni solo nel merito.

 

Daniele Mancuso: Appunto, Nicola, quello che è stato insegnato per secoli e forse ancora oggi, non ha nulla a che vedere con la Scrittura! {30-06-2015}

 

 

5. {Davide Marazzita}

 

Contributo: Nicola Martella, non devo insegnarti io che il testo, che leggiamo, è già di per sé un’interpretazione. Una versione del testo recita così: «E c’era un mendicante chiamato Lazzaro», del tipo: «E c’era un mendicante chiamato sfortunato». Inoltre il testo di Luca è inserito in una serie di parabole, che Gesù raccontava, e si noti che lo stile di Luca, che ricordiamo non visse alcuno di quei momenti ma collezionò tutte le informazioni, catalogandole al meglio per il suo amico Teofilo, era quasi identico per tutti i racconti, compreso quello del ricco e del Lazzaro. Quindi, interpretare il racconto come una parabola, non lo ritengo né falso né deviante. Credo che spesso nella lettura e nell’ermeneutica dei testi biblici non si tenga conto del contesto, nel senso che ci si deve chiedere sempre a chi era indirizzato per prima il testo, e cosa avrebbero dovuto comprendere quei lettori prima, e dopo noi, uomini del XXI secolo.

     Tutto l’articolo proposto, giustamente vuole sollevare da ogni dubbio che esiste una vita dopo la morte, che l’anima non è mortale, che esistono dei luoghi precisi dove si passerà l’eternità. Ma il testo del racconto del ricco e del Lazzaro affronta il tema dell’incredulità e dell’amore per le ricchezze a spese dei poveri (basta leggere i passi poco precedenti). L’uso del linguaggio post mortem è riferito a ciò, che sapevano al riguardo, sia dai testi veterotestamentari che dalla tradizione rabbinica (vedi il seno di Abramo). Al tempo di Gesù, ancora non c’era una conoscenza del dopo morte completata dai testi del Nuovo Testamento, sopratutto da quelli paolini; perciò si parla di Ades o soggiorno dei morti, sheol nell’ebraico. Quindi, nulla da eccepire sulle conclusioni degli articoli, anche se secondo me ci sono ampi spazi di discussione, perché non tutto è chiaro, altrimenti a che servirebbe la fede. Inoltre il mio precedente intervento non era assolutamente un attacco a Stefano Scavitto, e se così è stato percepito, me ne scuso, ma solo un libero intervento su proposta di Nicola Martella. {30-06-2015}

 

Stefano Scavitto: Davide, concedimi una riflessione sulla tua posizione. Quanti sono i nomi propri della Bibbia che esprimono un concetto? Credo che tu sappia che tutti i nomi propri di persona della Bibbia hanno anche un significato nella loro lingua originale. Molto spesso, quel significato esprime, anche profeticamente, aspetti del loro carattere o situazioni che avrebbero vissuto nella loro vita.

     Luca scrive a Teofilo, dobbiamo quindi dare per certo che Teofilo sia solo un espediente letterario e non un vero destinatario, perché significa «amante di Dio»? Giacobbe prese la primogenitura, che spettava a Esau, il suo nome significa «soppiantatore». Siamo quindi di fronte a un mito e non a un fatto reale?

     Vedi, a mio modo di vedere, una moda interpretativa degli anni novanta del secolo scorso, forse prima, ha portato molti credenti ad applicare una critica letteraria come strumento di studio della Parola di Dio. La stessa critica mette in dubbio l’autenticità dello scritto, gli autori, gli eventi in esso contenuti.

     Questa ermeneutica storico-critica si è resa affascinante agli occhi di molti evangelici, che trovavano (e trovano ancora oggi) in essa la chiave magica, con cui scoprire il vero significato del testo biblico.

     Ognuno è libero di scegliere come interpretare il testo e quindi trarne considerazioni e riflessioni, ovviamente. Io, dopo averne vagliato molti aspetti e conseguenze, mi sono trovato a mio agio per un’interpretazione più classica. È una modalità, che mi permette di considerare il testo come divinamente ispirato, infallibile, attendibile e molto più semplice da interpretare. Giacobbe, Teofilo, Lazzaro, Giovanni per me sono tutti personaggi esistiti.

     Non mi piace pensare che Dio abbia lasciato all’uomo un testo, che per esser bene inteso necessitava di conoscenza della critica letteraria.

     Ritengo ovviamente utili le analisi di questo genere d’interpretazione. Di certo offrono spunti di riflessione interessanti, che aggiungono contenuto anche spirituale a ogni meditazione biblica. Ma diffido quando invece queste diventano indispensabili, necessarie alla comprensione del testo.

     Credo quindi che la nostra differenza di vedute si basi principalmente su questa presa di posizione iniziale.

     Comunque credo che Nicola abbia nel suo sito fornito molti elementi testuali molto validi a conferma della «nostra» posizione. {30-06-2015}

 

Nicola Martella: Grazie, Davide Marazzita, per il tuo tentativo di dare spiegazioni a noi «moderni». È vero che Gesù costruiva sulla conoscenza dell’AT e sul consenso culturale del giudaismo circa l’aldilà (p.es. «seno di Abramo» = «a tu per tu con Abramo», spesso usato per l’intima relazione a tavola tra due persone vicine; cfr. Gv 1,18). Tuttavia, qui non si tratta di una similitudine, che serve per dire altro, ad esempio sulla ricchezza; e quale sarebbe la logica derivante dal testo stesso? Chi è ricco in terra, sarà tribolato nell’Ades, mentre chi ha sofferto in terra godrà in Paradiso? (cfr. Lc 16,20). Ciò sarebbe ben grave per la dottrina di Gesù e per la salvezza per grazia mediante la fede. Inoltre, le parole precedenti a tale narrazione parlano di ripudio, non di ricchezza (v. 18), di cui si parla molto prima. Visto che nel testo in esame (Lc 16,19ss) non si parla però di tale tema, bisogna prendere atto che Gesù introdusse un nuovo tema, solo tenuamente legato al precedente. Qui si tratta di un nuovo tema e di una rivelazione; infatti nessuno può narrare fatti avvenuti nell’aldilà.

     Non condivido che l’espressione letterale «Or c’era un certo povero di nome Lazzaro» (Lc 16,20) significhi qui «E c’era un mendicante chiamato sfortunato»: questa è eisegesi, non esegesi. Come ho mostrato sopra, la stessa e simile espressione (costruzione con onómati «con o di nome») si trova altrove con nomi di persone reali, non si comprende perché qui debba fare eccezione. Una costruzione simile si trova anche per l’altro Lazzaro, il cui brano dal greco recita letteralmente: «Or c’era un certo ammalato, Lazzaro di Betania» (Gv 11,1). Sarebbe veramente singolare tradurre qui, seguendo la tua coerenza: «Or c’era un certo ammalato, uno sfortunato di Betania».

     Quindi, permettimi di dissentire sia dall’interpretazione del genere letterario, sia sulla valutazione del nome «Lazzaro» (gr. Lázaros); come accennato, viene menzionato anche Abramo! Infine, faccio notare che Luca da studioso non è stato meno scrupoloso degli altri evangelisti, che studiosi non erano, sebbene Matteo e Giovanni furono testimoni oculari, e sebbene Marco (troppo giovane allora) riportasse le narrazioni di Pietro, come afferma la tradizione.

 

Davide Marazzita: Stefano Scavitto, rispetto la tua posizione e addirittura la condivido pienamente. Credo che i nomi dei personaggi biblici, che hanno anche dei significati, a volte attribuiti a questioni profetiche e altre a situazioni contingenti, siano realmente esistiti. Non credo però che altri personaggi, che abbiano solo un senso allegorico, intacchino la divina ispirazione del testo biblico. I libri della Bibbia sono divinamente ispirati e senza errore nei testi originali; tutte le nostre riflessioni di interpretazioni non sono ispirati e senza errori, benché a essi noi cerchiamo l’aiuto dello Spirito Santo per comprenderli. Che Nicola abbia fornito molti elementi utili, non significa che tutto sia sempre da riconoscere come verità, solamente perché è in linea con ciò, che noi crediamo. Io ho un profondo rispetto per Nicola, ma non sempre sono allineato con il suo pensiero. Ripeto, il concetto utile e vero è che Dio ha previsto un reale luogo di tormento prima per l’avversario e i suoi angeli e, purtroppo, anche per i peccatori impenitenti, e anche un reale luogo di beatitudine per chi invece si pente e si ravvede. Questa è la verità, su cui si basa la dottrina, l’evangelo, la verità. Se affermo che il testo di Luca, a mio parere, non è da interpretare letteralmente ma simbolicamente come i testi subito precedenti, non metto in dubbio la dottrina dell’evangelo, né metto in dubbio la veridicità del testo biblico, né è un elemento indispensabile per una corretta comprensione del testo biblico. {30-06-2015}

 

Stefano Scavitto: Concordo con tutto quanto hai esposto, ma non è questo il punto. Una diversa analisi testuale di un brano biblico influenza alcune conclusioni dottrinali, in questo caso di ordine escatologico in prima battuta.

     La discussione infatti prende in esame il testo di Luca, ne analizza gli elementi per dimostrare che non si tratta di una parabola, quindi trae una conclusione dottrinale. Al contrario invece, la tua presa di posizione, cioè che si tratti di una parabola, sembra una presa di posizione che ignora quegli elementi.

     Hai fornito una riflessione sul nome, che io ho «contestato», ma in risposta mi hai assecondato. Quindi onestamente, dal punto di vista delle analisi testuali, mi sembra più pretestuoso voler accettare la storia come una parabola rispetto a volerla accettare come una storia vera.

     Il pericolo più grande di tutta questa discussione è dato dall’effetto farfalla: un errore ermeneutico così «banale» può produrre effetti devastanti su tutta la dottrina. Perché dico questo? Perché dalla «parabola» di Lazzaro cambiamo l’escatologia. Dall’escatologia reinterpretiamo tutte le Parole di Gesù sul futuro del mondo. Dalle parole di Gesù reinterpretiamo il piano di Dio, ecc. ecc.

     Penso che il modo migliore, per esporre la tua posizione, sia quello di mostrare evidenze testuali a favore dell’ipotesi che il testo si riferisca a una parabola.

 

P.S.: Giusto per chiarezza, la mia tesi sullo «stesso Lazzaro» era un’ipotesi, una possibilità, che non mi avrebbe stupito in virtù del principio dell’ispirazione. Gli elementi testuali, che hai condiviso, sono a prima vista più che sufficienti a bocciare la mia tesi. Dico a prima vista, perché non ho approfondito al riguardo. {30-06-2015}

 

 

6. {Adriano Carmelo Bartolomeo}

 

Contributo: Sono d’accordissimo col tuo pensiero, che hai esposto, Nicola. Non vi è altro da aggiungere, se non che secondo me manca il fatto che Gesù ha menzionato dei nomi, quindi è qualcosa di reale, che era successo.

     Un altra cosa, che conferma che il Paradiso non si trova in cielo, è che alla croce Gesù disse al ladrone: «Oggi, sarai con me in Paradiso». E noi sappiamo dalla Parola del Signore che Cristo, nei tre giorni della sua morte, andò a predicare ai morti, che attendevano la sua venuta; e questo luogo non si trova in cielo. A proposito dei cieli nello scritto apocrifo di Enoc vengono descritti sette cieli; e nel nostro gergo comune si dice «sono al settimo cielo». {30-06-2015}

 

Nicola Martella: La questione dei nomi, menzionati da Gesù, l’abbiamo già discussa sopra. Gli innamorati, che sono al settimo cielo, scendono presto e in fretta sul terreno della realtà, appena il «miele» cala. J

     Gesù disse a Maria Maddalena di non essere ancora salito al Padre (Gv 20,17); quindi, dopo la sua morte, andò in Paradiso (o terzo cielo), non nel cielo superiore, dove si trova il santuario e il trono di Dio Padre.

 

Adriano Carmelo Bartolomeo: Sì, questo l’ho capito, caro Nicola. Quello che volevo dire, è che oltre al terzo cielo vi sono ancora dei cieli superiori e nel libro apocrifo di Enoc ve ne sono descritti sette. Poi, quanti ve ne siano, almeno io non lo so, ma un fratello a me vicino mi ha detto che sono tre. {30-06-2015}

 

Nicola Martella: Il terzo cielo è il Paradiso (2 Cor 12,2s), non il cielo superiore. Quindi ce ne sono più di tre. Al «libro di Enok» non darei tanto credito, sebbene abbia molto influenzato il giudaismo.

 

Ivaldo Indomiti: Quali sono Nicola i riferimenti biblici per il cielo superiore? {30-06-2015}

 

Nicola Martella: In Apocalisse 4 Giovanni non fu rapito al terzo cielo, ma proprio presso il santuario, dove vide il trono di Dio e Lui seduto maestosamente su di esso. Tutte le scene di Apocalisse avvengono in tale cielo. Anche Isaia (6,1ss) e Daniele (7,9ss) ebbero il privilegio di vedere tale visione delle cose, che avvennero sopra la «distesa» (o mare di vetro). Ezechiele, invece, vide nella visione dei cherubini specialmente ciò, che avvenne sotto la distesa (Ez 1,22s), vedendo la scena del trono solo da sotto (v. 26ss; Ez 10,1s).

 

 

7. {Gianni Cascato}

 

Contributo: «Io conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. E so che quell’uomo (se con il corpo o senza il corpo, non lo so, Dio lo sa), fu rapito in paradiso e udii parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire» (2 Cor 12,2-4). {01-07-2015}

 

Nicola Martella: Gianni Cascato, che cosa volevi dirci con tale brano? L’ho citato sopra, affermando che il «terzo cielo» è il Paradiso.

 

Gianni Cascato: Ho voluto solo mettere i versi completi, che parlano di quanto detto.

     Il fuoco dell’inferno, fuoco della Geenna, stagno di fuoco, è un fuoco reale, oppure vuole descriverci la sofferenza, che provano nel vivere per l’eternità lontano dalla presenza di Dio? L’inferno descritto nella Bibbia dovrebbe essere un luogo di attesa con le anime perdute, mentre il «seno di Abramo» è il paradiso. {02-07-2015}

 

Nicola Martella: Grazie dei versi completi.

     ■ La Scrittura parla di un fuoco reale, quindi non dobbiamo dubitarne, né cercare di psicologizzare tale fuoco con altri significati. Anche Satana e i suoi angeli, sebbene siano esseri spirituali, hanno un «corpo pneumatico», che soffrirà in tali fiamme; lo stesso dicasi dei corpi resuscitati degli increduli e impenitenti.

     ■ Non è l’Inferno a essere un luogo di attesa per le anime perdute, ma l’Ades, dove esse attendono il giudizio finale. Lo «stagno di fuoco» (o Inferno) è il luogo definitivo; lì c’è poco da aspettare un cambiamento.

 

Gianni Cascato: Ancora non mi è tutto chiaro, se lo «stagno di fuoco» e l’Inferno sono la stessa cosa. Infatti, in Apocalisse 20,14 è scritto che «la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda».

     In alcune traduzioni come la Giovanni Diodati (1576-1649) è scritto: «E la morte e l’inferno furono gettati nello stagno del fuoco. Questa è la morte seconda». L’Ades e l’Inferno non sono la stessa cosa?

     Ho notato che in alcune traduzioni delle Bibbie tedesche vi è scritto soggiorno dei morti, oppure inferno. {02-07-2015}

 

Nicola Martella: La Diodati e la Nuova Diodati fanno male a tradurre il termine greco hadēs (lett. «[luogo] invisibile») con Inferno in Apocalisse 20,14 e in altri brani. Questo è dovuto al fatto che Diodati si appoggiò a Lutero, che falsamente tradusse il termine greco hadēs con «Hölle» (Inferno) in tutto il NT, creando solo confusione. La Elberferder, ad esempio, lascia in tedesco «Hades».

     L’Ades è il luogo momentaneo, mentre l’Inferno (Stagno di fuoco, Geenna) è il luogo definitivo. Dopo il «giudizio universale», l’Ades (luogo momentaneo) verrà gettato nello «Stagno di fuoco» (luogo definitivo) con tutti i suoi inquilini.

 

 

8. {}

 

 

9. {}

 

 

10. {}

 

 

11. {Vari e medi}

 

 

12. {Vari e brevi}

 

Andrea Angeloni: Grazie, Nicola, per le precisazioni date nell’articolo, delle quali faccio tesoro. {30-06-2015}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Ric_Laz_MT_AT.htm

02-07-2015; Aggiornamento: 18-07-2015

 

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