Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Offensiva intorno a Gesù 1

 

Escatologia

 

 

 

 

«Chi dice la gente ch’io sia?» — Offensiva intorno a Gesù 1: È ciò che dicono gli altri su Gesù.

Ecco le parti principali:
■ Gesù nei mass-media
■ Gesù fra teologia e filosofia
■ Gesù fra filosofia e ideologia
■ Gesù fra ideologie e religioni
■ Excursus: La via che porta a Dio

 

«E voi, chi dite ch’io sia?» — Offensiva intorno a Gesù 2: È ciò che la Bibbia dice su Gesù.

Ecco le parti principali:
■ Gesù nella Bibbia e nella storia
■ La questione giudaica
■ Aspetti conclusivi (Gesù e le donne, Il Gesù sacramentale, Interrogativi)
■ Dizionarietto dei termini

 

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 Offensiva intorno a Gesù 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IO CREDO CHE RISORGERÒ!

Resurrezione di Gesù, paradigma di quella dei credenti

 

 di Paolo Brancè

 

Testi biblici: Giovanni 20,1-10; 1 Corinzi 15,1-34.

 

«Resurrecturis» è la scritta che il visitatore legge, quando entra nel Cimitero Monumentale di Verona. È un termine latino che richiama subito alla memoria la parola italiana «resurrezione». Il tema della resurrezione costituisce per i cristiani il fondamento della fede, è uno dei dogmi fondamentali della rivelazione biblica. Fin dai primi anni dell’era cristiana, la morte è vista dai credenti con gli occhi della fede come terminus a quo, ossia come punto di partenza della vita infuturata, oltre il tempo dell’esistenza mondana.

     È innegabile che la morte è lo spauracchio dell’uomo. Se da una parte, per il sentire cristiano la morte è percepita come il passaggio dalla vita caduca dell’esistenza terrena a quella eterna, suggellata dalla risurrezione di Cristo, tuttavia è onesto ammettere che il pensiero della morte causa nell’uomo profonda inquietudine e disperazione. E al riguardo non vale nulla la riflessione filosofica, che cerca di lenire il turbamento causato dalla morte, come l’aforisma di Epicuro, secondo il quale la morte non sarebbe un’esperienza spaventevole per l’uomo perché, fino a quando l’uomo vive, la morte non c’è e, quando la morte sopraggiunge, l’uomo non è più. Di fatto, la morte è tragicamente presente nella vita dell’uomo perché prevale in lui la percezione in vita della paura del morire. Giustamente Lattanzio, un autore cristiano latino del 4° secolo d.C., fa notare che la morte in sé può non essere una infelicità, ma lo è l’avvicinamento alla morte: cioè essere consunti dalla malattia, subire una ferita, essere trafitti da un’arma, essere arsi dal fuoco, essere sbranati. Sono queste le fonti del timore, e non perché portano la morte, ma perché portano un gran dolore. Né vale la pietosa consolazione che il poeta Ugo Foscolo suggerisce con l’affermare che solo chi non lascerà eredità di affetti, poca gioia ha dell’urna, consegnando soltanto alla memoria l’illusione della sopravvivenza dell’uomo dalla terrificante realtà del morire.

     Per l’uomo la morte è il male supremo che toglie il valore supremo della vita: l’uomo diventa un corpo freddo, privo dell’alito di vita, che è il respiro: non può più pensare, né amare, né odiare, né lavorare, né oziare, né curare i suoi affari, né speculare, né giocare, né ridere, né piangere, né sposarsi, né generare figli, né godere il frutto della propria fatica. È tragico pensare che l’uomo è cibo per i vermi e concime per i fiori.

     Ora, però, è come se nelle oscure viuzze delle città della Galilea e della Giudea un oscuro falegname di Nazareth facesse sentire ancora oggi l’eco della sua voce possente e rassicurante: «Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà». Questo umile artigiano ebreo morì di una morte ignominiosa appeso ad una croce, accusato ingiustamente di vilipendio della religione e di sedizione armata, su una collina che sovrasta Gerusalemme, in seguito a una predicazione etico-messianica, che rivoluzionava non solo il sistema religioso esistente con i suoi riti esteriori e le sue leggi formali, ma anche modificò il sentire etico comune. Dopo alcuni giorni dalla sua morte, avvenuta intorno agli anni trenta dell’era cristiana, i suoi discepoli annunziarono coraggiosamente e con convinzione che egli era risuscitato dalla morte riconoscendolo come Dio.

     L’evento storico della resurrezione di Gesù rivoluzionò senz’altro il modo tragico dell’uomo di relazionarsi con la morte. Che cosa accadde nel periodo che intercorre tra la sua tragica morte e l’annuncio apostolico della gioiosa speranza della resurrezione? Il testo di Giovanni dà alcuni dettagli rilevanti ai fini di una accurata riflessione sul mistero della tomba vuota; nei primi versetti del cap. 20 è possibile rilevare interessanti tratti psicologici dei protagonisti del racconto giovanneo. Innanzitutto, cogliamo lo stupore di Maria di Magdala alla visione del tutto inattesa del sepolcro aperto e la dolorosa meraviglia di constatare che la tomba era vuota. In Maria non c’è stata una minima reazione gioiosa, che avrebbe fatto pensare alla resurrezione di Cristo. Anzi, lei corre spaventata da Pietro e da Giovanni per metterli al corrente che la tomba era stata manomessa e il corpo di Gesù trafugato.

     Qual è la reazione dei due discepoli? Li cogliamo in un momento di forte trepidazione e irrequietudine. Corrono affannosamente verso il sepolcro. Giungendo per primo Giovanni, egli sostò davanti all’uscio, notando che le bende erano per terra, mente Pietro, sopraggiungendo alcuni attimi dopo, entrò, notando anch’egli le bende per terra e a parte il sudario piegato in un luogo a parte. Proseguendo nel racconto, il testo dice che entrò anche Giovanni e vide e credette. Che cosa indusse Giovanni a credere e qual era l’oggetto della sua fede?

     Prima di dare le adeguate risposte a tali domande è opportuno accennare brevemente all’usanza orientale della sepoltura di un defunto all’epoca di Gesù. Con molta probabilità il corpo di Gesù è stato avvolto con bende di lino, spruzzando nelle pieghe i grani degli aromi. La testa fu avvolta da un pannilino, lasciando scoperta la faccia e il collo.

     Ciò che indusse Giovanni a credere fu il fatto di avere visto le bende e il sudario afflosciati: il corpo risorto di Gesù ha attraversato le bende e il sudario senza scomporle, ma essi si erano afflosciati, venendo a mancare il corpo. Il discepolo notò questi particolari: le bende afflosciate, come se il corpo fosse passato oltre le bende e il sudario, conservando la loro forma concava, ma sgonfiati. (vv. 5-7) Giovanni aveva osservato questi importanti particolari, richiamando alla memoria ciò che Gesù aveva detto durante la sua vita terrena (v. 29).

     Quello che colpisce i lettori degli Evangeli è che i discepoli non erano preparati all’evento, che avrebbe cambiato il pensiero umano intorno alla morte. Gli Evangeli presentano il gruppo come gente smarrita, disillusa, rassegnata; e non vale la teoria, secondo cui i discepoli avrebbero trafugato il corpo di Gesù, per annunciare, in seguito, la sua resurrezione. Allo stesso modo è strampalata l’ipotesi dello scrittore tedesco Holger Kersten, il quale nel suo libro «Jesus lived in India», del 1986, afferma che Gesù non è mai risorto perché non è mai deceduto durante la crocifissione. La «favola» della risurrezione in realtà, secondo lo scrittore tedesco, era una messinscena architettata da Gesù stesso con la complicità di alcuni discepoli e soldati. La morte apparente sarebbe stata causata da una sostanza narcotica che Gesù avrebbe ingerito, diluita nell’aceto che bevve sulla croce. Sopravvissuto alla crocifissione, Gesù sarebbe fuggito in India, terra già familiare a lui per il suo soggiorno giovanile (cfr. Nicolai Notovich, La via sconosciuta di Gesù Cristo, del 1894). In India, accompagnato dalla anziana madre, la quale morì a Taxila nel Pakistan, Gesù sarebbe morto e seppellito nella città di Srinagar nel Kashmir in veneranda età.

     Senza dare alcun credito storico a tali fandonie (purtroppo esse fanno presa sulla gente, la quale crede più negli extraterrestri che nella risurrezione di Gesù), i discepoli avevano tutt’altro stato d’animo che quello di chi inganna e vuole frodare. No, i discepoli erano affranti. I discepoli di Gesù che tornavano ad Emmaus erano addolorati. (Lc 24,16-24). Nei discepoli non si coglie niente, che faceva pensare che essi avrebbero aspettato il Risorto, che secondo Kerster non era risorto. Era gente sconfitta. Ciò che li ha rianimati e ha infuso in loro il coraggio sono state le auto-rivelazioni di Gesù. La storia della resurrezione è la storia di eventi che richiamano la fede e si sottrae a quella che è lo studio della critica storica, tesa a raccogliere i documenti, a verificarli, ad analizzarli e a classificarli e a renderli noti come si fa con un cadavere in anatomia, il quale viene sezionato, studiato, i cui risultati in seguito assumono una validità scientifica. Dio si sottrae alle analisi della critica storica e alla sua determinazione. La resurrezione è un evento storico che si sottrae all’evidenza storica. Sono eventi storici, che appartengono alla auto-rivelazione di Dio ai credenti, che sono stati in stretto contatto con Gesù.

     D’altra parte, la resurrezione di Gesù è stata oggetto di disputa in una delle chiese cristiane, con cui Paolo ebbe intensamente a che fare, travagliata da dissensi interni e dal disordine etico-teologico. La chiesa di Corinto è la chiesa più tristemente nota tra le chiese del proto-cristianesimo. È una chiesa in gran parte formata da cristiani di origine pagana, i quali portavano con sé la cultura greco-ellenistica. È probabile che un buon numero di Corinzi negavano la risurrezione corporale di Cristo sulle basi filosofiche gnosticizzanti, il cui pensiero affermava che l’anima immortale sopravvive alla caducità dell’esistenza terrena e che il corpo, essendo un elemento corruttibile, non partecipa all’immortalità dell’anima. È questo il terreno religioso, su cui si snoda la forte critica di Paolo per ribadire la fede nella risurrezione corporale dell’uomo, di cui Cristo è il primogenito. Quali sono le argomentazioni di Paolo a favore della risurrezione dei corpi? Egli ribadisce che la morte di Cristo era necessaria per espiare i peccati dell’intera umanità, e che il corpo di Cristo fu realmente seppellito e che il primo giorno della settimana fu risuscitato (cfr. il greco egergetai, che è un verbo passivo e indica l’azione del Padre nel risuscitare il Figlio). Paolo continua nella sua testimonianza che Gesù apparve a Cefa e poi ai dodici e a cinquecento discepoli. Nell’esperienza dell’auto-rivelazione del Risorto Paolo fu l’ultimo ad essere un autorevole testimone: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come all’aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio».(1 Cor 15,7-9).

     Paolo è veramente convinto che Gesù era stato risuscitato e che questo evento è l’elemento fondante la fede cristiana. Infatti, egli è un testimone oculare come lo è il resto della cerchia ristretta dei discepoli di Gesù, anche se egli non è annoverato tra coloro che hanno condiviso l’intima amicizia con il Gesù terreno. Paolo per la fede nel Risorto ha affrontato ogni sorta di traversie: egli, suppongo, con emozione afferma: «Perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore! Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a cosa mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo perché domani moriremo» (1 Cor 15,31-32; cfr. Is 22,13). E ribadisce: «Ma Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti...» (1 Cor15,20).

     Non si può negare che le affermazioni di Paolo sono vitalizzanti per tutti quei credenti che stanno cedendo alla critica modernista, che nega la resurrezione della carne e la sua veridicità storica. A questi critici, redivivi e novelli Celso e Porfirio [= antichi oppositori pagani al cristianesimo, N.d.R.], noi chiediamo per quale insensata ragione uomini come Pietro, Paolo, Giacomo e altri martiri cristiani hanno versato il sangue per un evento che sarebbe stato un non-evento? E per quale motivo cristiani di oggi — come Rita Stump e Anita Grunwald massacrati da Al Kaeda nello Yemen — avrebbero offerto la loro vita per rendere testimonianza a quel Cristo che è stato proclamato il Signore Risorto dai morti, se Cristo non fosse stato risorto? No, non sono le deboli cattedrali di pensiero moderniste e disfattiste a mettere in discussione il grande evento della risurrezione di Gesù, che richiede la fede. Il cristiano fa suo il grande detto di Gesù: «Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque crede vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?».

 

Io credo che risorgerò! Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A2-Io-credo_risorgero_OiG.htm

27-05-2010; Aggiornamento: 30-05-2010

 

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