1. PREMESSA: Questo brano
ripresenta i due poli d’una tensione che attraversa tutto il NT: quella che
riguarda la grazia di Dio. Da un lato ci parla della grazia salvifica
e immeritata di Dio che, come la luce (cfr. Gv 1,9) del sole si è
manifestata indistintamente per tutti gli uomini, siano essi «santi» o
peccatori, «meritevoli» o meno meritevoli. Dall’altro, ci presenta la grazia di
Dio come un maestro che c’insegna a rinunciare all’iniquità. Un polo c’indica la
grazia interamente gratuita di Dio. L’altro polo ci mostra la grazia esigente
di Dio, che richiede impegno e sforzo.
Detta così sembra una cosa pacifica, eppure molte
lotte, di cui ci da testimonianza il NT, sono il frutto della tensione tra
questi due poli. Le contrapposizioni tra Gesù e i farisei, le lotte di Paolo con
i giudaizzanti. Di tutto questo si parla negli Evangeli, negli Atti e nelle
epistole di Paolo. Persino il primo concilio della chiesa, avvenuto a
Gerusalemme (At 15) è stato largamente dedicato a quest’argomento.
Oggi, questo problema si ripresenta laddove l’uno o
l’altro di questi poli viene estremizzato, finendo per avere un approccio
legalistico o permissivistico. È importante trovare un punto d’equilibrio, che
dia ragione, non all’uno e/o all’altro, ma all’insegnamento biblico nella sua
interezza.
Iniziamo col parlare della grazia immeritata di Dio e
di quello che è il suo «problema» di fondo. Se la salvezza è per grazia e non
per merito, che senso ha impegnarsi, essere ubbidienti e fedeli? Anche Isaia
dice: «Se si fa grazia all’empio, egli non impara
la giustizia; agisce da perverso nel paese della rettitudine e non considera la
maestà del Signore»
(26,10).
Non è un incoraggiamento a peccare di più? Dov’è la giustizia di Dio?
2. LA GRAZIA IMMERITATA DI DIO
■ L’insegnamento di Gesù: Per spiegare la
grazia immeritata di Dio, Gesù ha usato diverse parabole. Una di queste è la
parabola dei «lavoratori delle diverse ore» (Mt 20,1-16). Qui si parla di
lavoratori «a giornata», che sono stati presi a lavorare in orari diversi e,
alla fine, ricevono tutti lo stesso salario. Chiaramente, i lavoratori che hanno
lavorato di più si lamentano, non tanto per il salario ricevuto, ma perché è
stato dato loro lo stesso che a quelli che hanno lavorato meno. Non vogliono
rinegoziare il loro salario, ma vogliono che il padrone sia più equo e più
giusto, cioè dia un salario proporzionato al merito. Anche se il padrone dà loro
di più, non accetteranno mai che si dia lo stesso tanto a chi ha lavorato meno.
La risposta che il padrone dà loro, mostra lo scopo della parabola: «Amico,
non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi il
tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non mi è lecito
fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?»
(v. 13-15).
Il padrone non è stato ingiusto, perché anche a chi ha lavorato di più, da
dato il suo, secondo quanto contrattato. Il padrone ha tenuto
conto del suo merito. Ma il padrone è anche libero di non seguire
sempre la logica del merito, ma la sua bontà (v. 15). Così, anche Dio è libero e
sovrano nelle sue scelte e talvolta il suo favore non dipende dal nostro merito,
ma dalla sua grazia immeritata. In base a questo criterio, gli ultimi
(cioè i meno meritevoli) saranno i primi, mentre i primi (i più
meritevoli) rischiano d’essere ultimi, se non accettano la logica di Dio
(v. 16; cfr. v. 11).
Gesù ha usato anche la parabola del «figlio prodigo»
(Lc 15,11-32) per spiegare quanto la grazia d’immeritata di Dio. In realtà
questa è la parabola dei «due figli» (v. 11) e lo scopo è quello di
mostrare perché Gesù accoglieva i peccatori (v. 2). Saltando la parte più
conosciuta della parabola, quella «evangelistica», s’arriva al momento in cui il
«figlio maggiore» si lamenta che il padre «accolga il figlio
peccatore» (v. 29). Umanamente ha ragione, perché il fratello è stato molto
egoista. Il vero problema però è che il figlio maggiore non è un padre.
Egli non capisce la bontà paterna ma solo la logica del merito. Il padre invece
agisce da padre: dà valore al merito del figlio maggiore, gli parla con amore
(v. 28), ribadisce il suo posto privilegiato e lo rassicura che avrà la sua
eredità (v. 31), ma sa che, davanti a un figlio perduto che torna
pentito, la logica del merito passa in secondo piano. «Bisognava fare
così» (v. 32), cioè era giusto che in questo caso, la pietà e la grazia
prevalessero sui meriti. Questo fa Dio: Egli si comporta verso un peccatore
pentito, come un padre verso un «figlio prodigo». Da ciò non ne deriva che Dio è
padre di tutti gli uomini, ma solo che, in questo caso, Egli agisce per bontà e
non per merito, proprio
come un padre.
Un’altra parabola che Gesù usa per illustrare la grazia
immeritata di Dio è quella del «fariseo e del pubblicano» (Lc 18,9-14).
Qui, il fariseo che era «persuaso d’essere giusto» (v. 9) per i meriti
che gli derivavano dall’osservanza della legge e da altre opere supererogatorie,
non «tornò a casa giustificato» (v. 14), dice Gesù, ma lo fu il
pubblicano che, riconobbe tutto il suo peccato e confidò solo nella «pietà»
di Dio. Così troviamo già in Gesù un forte insegnamento intorno
all’insufficienza delle nostre opere, davanti alla giustizia di Dio.
È come se due uomini cadessero in una voragine e
cercassero d’agguantare la superficie, saltando il più in alto, però nessuno
riesce a uscirne fuori. Ha ben poco da vantarsi chi salta più in alto, perché il
dato fondamentale è che anche lui è destinato a morire lì dentro, se una mano
generosa non li tira fuori entrambi. Questo è quello che dice Gesù sul valore
delle opere e dei propri meriti.
■ L’insegnamento di Paolo: L’apostolo
Paolo ha iniziato a dare una sistematicità al suo insegnamento sulla grazia, con
l’epistola ai Galati dove affronta appunto il «caso dei Galati». Essi
erano «passati dalla grazia di Cristo a un altro evangelo» (1,6).
Volevano essere «giustificati dalla legge» (5,4), ossia dai meriti che
potevano totalizzare con essa. A tal fine venivano «costretti a farsi
circoncidere»
(6,12). Paolo dice che questo è uno «scadere dalla grazia» (5,4) e
dalla logica della salvezza senza merito, per mettersi nuovamente sotto il «giogo
della legge» (5,1) e della logica del merito. Egli afferma chiaramente che, se
la giustizia viene dalla legge, «Cristo è morto inutilmente» (2,21). Non
è il merito derivante dall’osservanza della legge che salva, ma il merito
derivante dalla morte sacrificale di Cristo.
È però con l’epistola ai Romani che Paolo
delinea, nel modo più completo, il suo insegnamento sulla grazia di Dio.
Anzitutto, Paolo dimostra l’universalità del peccato (cap. 1-3). Nessuno ha un
merito tale da potersi guadagnare il favore di Dio. Anche chi osserva la legge,
non ha niente di cui vantarsi. Davanti a Dio, tutta la «nostra giustizia»
è insufficiente: «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio»
(3,23).
Paolo spiega poi il fondamento della grazia di Dio
(3,21-31). Essa è «la giustizia di Dio, mediante la fede in Gesù Cristo»
(v. 22). Egli è il «sacrificio propiziatorio
prestabilito da Dio» (v. 25). Tutti i peccatori sono «giustificati
gratuitamente»
(v. 24) «per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù».
Quindi, non il nostro merito e le nostre opere, ma l’opera e i meriti di Cristo
sono per noi fonte esclusiva di salvezza.
Infine, per difendersi dall’accusa di favorire il
peccato, Paolo risponde alle domande: «Rimarremo forse nel peccato affinché
la grazia abbondi?» (6,1); e: «Peccheremo forse perché non siamo sotto la
legge ma sotto la grazia?» (6,15). Egli dice anzitutto che «essere sotto
la grazia»
significa «essere morti al peccato» (v. 2), cioè, non essere più
sotto il «suo potere» (v. 14). Significa poi essere diventati «servi
di Dio»
(v. 16-18). Significa infine avere «come frutto la santificazione»
(v. 22).
Quindi, non è vero che il ricevere una grazia immeritata è un incentivo a
peccare di più, anzi, è qualcosa di più impegnativo che essere sotto la legge.
3. LA GRAZIA ESIGENTE DI DIO
■ L’insegnamento della grazia di Dio:
Essa è l’inizio d’una vita santa. C’insegna a «rinunciare
all’empietà e alle mondane concupiscenze» (Tt 2,12a). L’empietà è
il comportamento contro Dio. Un comportamento senza rispetto e senza timore. Un
comportamento di sfida aperta nei confronti di Dio. Le «passioni mondane»
sono i desideri, i vizi e le abitudini malsane. La grazia che è vera grazia
c’insegna a rinunciare a essi. Rinunciare è qualcosa che costa, ma
poi c’è la libertà. Essa c’insegna a «vivere in questo mondo
moderatamente, giustamente e in modo santo» (Tt 2,12b). Moderatamente
indica che niente ci deve dominare. Dobbiamo essere temperanti in tutte le cose.
Non dobbiamo mai perdere l’autocontrollo. Giustamente indica un
comportamento secondo i requisiti di Dio. Il cristiano non è senza una legge.
Egli ha una legge scritta nel proprio cuore. Egli deve vivere secondo la «legge
di Cristo»
(Gal 6,2). L’espressione «in modo santo»
può anche esser tradotto
piamente (Rived.). Indica una vita devota, perseverante, timorata di Dio.
Indica una vita zelante nel servizio per Dio.
■ L’immagine del riscatto: L’apostolo
Paolo usa l’immagine del riscatto d’uno schiavo (Tt 2,14). Questa prassi era
molto diffusa nel mondo d’allora. Lo schiavo veniva riscattato con il pagamento
d’un prezzo, al quale lui non poteva contribuire in nessun modo. È questo fatto
che dava al suo nuovo padrone tutti i diritti sulla sua persona e le sue
proprietà. Egli diventava schiavo del suo nuovo padrone. Anche noi siamo stati
riscattati. Il prezzo del nostro riscatto è stato la vita di Gesù. Non è stata
una grazia così tanto gratuita. Dio ha pagato un prezzo molto alto (1 Cor 6,20;
7,23). Non ha trattato con leggerezza il problema del nostro peccato. Dio non ha
pagato questo prezzo per lasciarci nel peccato. Anche noi siamo diventati
schiavi del nostro nuovo padrone. Non siamo liberi di fare ciò che vogliamo. Dio
vuole che gli
apparteniamo. Vuole che siamo il suo popolo e non il «popolo della
notte». Vuole purificarci sempre di più. Vuole che siamo «zelanti
nelle buone opere».
Molti altri testi si possono affiancare a questo di
Tito, per dimostrare che una grazia che non sfocia in una vita rinnovata, non è
vera grazia, perché manca del lato esigente della grazia, quello che esige il
servizio dello schiavo riscattato. E saranno molti coloro che un giorno
resteranno delusi nello scoprire questo (Mt 7,21-23).
4. CONCLUSIONE: IL PUNTO DI EQUILIBRIO:
Non si devono estremizzare i concetti. Dio accoglie il peccatore solo
sulla base della sua grazia. Dio fa questo perché è sovrano e libero di fare
quel che vuole. Dio fa questo perché è buono e vuole che «l’empio viva»
(Ez 18,23). Giustificando il peccatore però, Dio non giustifica il
peccato. Dio non è passato sopra il nostro peccato, come se nulla fosse. Dio ha
sacrificato suo figlio per il nostro peccato.
Non si deve avere una visione unilaterale. La grazia
ci libera
gratuitamente dalla pena del peccato. Nessuno può meritare la salvezza. Nessuno
può addurre un qualsiasi motivo di vanto. La grazia però, non ci dà la
libertà di peccare. Essa ci vuol liberare anche dalla potenza e dalla presenza
del peccato. Essa deve sfociare in una vita di servizio e di
santificazione. Prima di conoscere la grazia si pecca per ignoranza
(Ef 4,18). Dopo aver conosciuto la grazia si pecca volontariamente (Eb
10,26). La chiave che schiude la porta della grazia di Dio è il
ravvedimento, cioè la confessione e l’abbandono del nostro peccato. Isaia
(26,10) non parla della grazia di Dio, ma del fare grazia a un empio che non si
vuol ravvedere. Una grazia senza ravvedimento è come l’indulto: dà la libertà a
persone che torneranno a rubare. Il «figliol prodigo» invece era disposto a
esser trattato «come uno dei servi di suo padre»
(Lc 15,19). È quest’atteggiamento che incontra la grazia di Dio. Dio
vuole salvare tutti (1 Tm 2,4), ma salverà effettivamente solo chi si
ravvede (Lc 13,3).
Nota redazionale: Senza menzionarlo, l’autore ha descritto col suo
linguaggio e le sue argomentazioni ciò che in effetti era insito nella «dinamica
del patto», che è a tutti gli effetti «l’impianto teologico di base» della
Bibbia. Nei patti biblici la grazia consiste nel permettere l’accesso al patto e
quindi alla salvezza (aspetto incondizionato; cfr. Gn 15). A tale fase (a volte
implicita già in quest’ultima) segue immancabilmente l’aspetto amministrativo
(aspetto condizionato; cfr. Gn 17; 26,5), atto a regolare i rapporti fra il
partner divino e quello umano. Con ogni patto Dio fa promesse ed elargisce
strumenti per attuare la comunione (p.es. sacrifici, mediazione). Dio richiede
però, oltre a una decisione fondamentale, anche un impegno alla fedeltà e a
vivere un’etica santa, conforme al patto.
Per l’approfondimento cfr. in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Godimento delle promesse», p.
181; «Patto (Dinamica del ~)», p. 263; «Patto amministrativo», pp. 236s; «Patto
di grazia (o promissorio)», p. 265; cfr. qui i rimandi ad altri articoli
connessi. {Nicola Martella} |
►
Dinamica bipolare della Teologia Biblica {Rosa Fidelis - Nicola Martella} (A)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A2-Dinamica_grazia_Mt.htm
04-10-2007; Aggiornamento: 04-07-2010
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