Caro Nicola, anni
fa ti ho posto un quesito e tu mi hai risposto con l’articolo «Costituiti
peccatori, costituiti giusti».
1. Ti chiedo ancora: secondo te le «opere morte» citate da Ebrei 6,1
e Ebrei 9, 14 sono i peccati? Se sì, sono soltanto i peccati fatti prima della
rigenerazione?
2.
Alcuni dicono che tutte le opere, fatte prima della rigenerazione, sono
peccato, ma allora che senso ha il discorso di Gesù in Giovanni 3,20, quando
dice: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre più
della luce, perché le loro opere erano cattive?». Se tutte le opere, fatte
prima della rigenerazione, sono cattive, come fanno gli uomini ad andare alla
luce, cioè a Gesù?
3. La lettera di Giacomo dice che chi sa fare il bene e non lo fa
commette peccato (Giacomo 4,17). Anni fa qualcuno, ritenendo che io non fossi
ancora rigenerata, mi disse: «Non stare a fare opere; semmai dopo». Ma se non
fare il bene, che si può fare, è peccato, perché una persona non rigenerata
dovrebbe, davanti alla possibilità di un imminente giudizio, caricarsi di un
peccato in più e ricevere una condanna più grave? {Fiorina Pistone; 17-01-2015} |
1. LE OPERE
MORTE:
In Ebrei 6,1 il «ravvedimento dalle
opere morte» intende dalla
pretesa di essere giustificati dinanzi a Dio mediante le proprie opere; il
contesto giudaico dell’epistola intende le opere della legge mosaica, osservando
la quale non si ottiene la vita eterna. Se la legge desse la vita, Dio non
avrebbe dato i sacrifici secondo il principio «vita per vita»; la legge mosaica
palesa il peccato e, quindi, la morte. L’alternativa è indicata in Ebrei 9,14:
il sangue di Cristo deve purificare la coscienza dalle opere morte, solo così si
potrà servire il Dio vivente. Tale pensiero fu espresso anche da Paolo (Rm
7,5s). «La legge dello Spirito
della vita in Cristo Gesù mi ha affrancato dalla legge del peccato e
della morte»
(Rm 8,2; cfr. vv. 3ss). Stando così le cose, si tratta dei peccati a
prescindere, di un atteggiamento di base e riguarda chiunque voglia arrivare
alla perfezione mediante l’osservanza della legge mosaica o di qualunque altra
legge morale e cerimoniale. I Galati, dopo aver creduto in Cristo, furono
sobillati dai giudaisti e intendevano fare proprio così; talché Paolo scrisse
loro: «Questo soltanto desidero
sapere da voi: Avete voi ricevuto lo Spirito per la via delle opere della legge
o per la predicazione della fede? Siete voi così insensati? Dopo aver cominciato
con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne?»
(Gal 3,2s). Quindi, tale atteggiamento vale anche per chi si è già convertito e
cerca la perfezione non in Cristo, ma nell’osservanza di precetti morali.
2. LE OPERE
FATTE PRIMA DELLA RIGENERAZIONE: Giovanni 3,20
riguarda
l’avvento di Gesù come «luce», che i Giudei storicamente rifiutarono (Gv 1,9ss).
La Scrittura non afferma che le opere, fatte prima della conversione, siano
tutte cattive. Il Messia insegnò che esistono uomini con una
diversa indole e distinse un «uomo buono» da un «uomo malvagio» (Mt
12,35). Ad esempio, Giuseppe da Arimatea
fu definito da Luca «uomo giusto e buono», che «aspettava il regno di
Dio» (Lc 23,50s); egli era un uomo timorato di Dio, ma non un discepolo
palese di Gesù, avendo timore dei Giudei (Gv 19,38). Anche gli empi sono in
grado di fare del bene, almeno a quelli del loro clan;
Gesù disse
ai suoi contemporanei un fatto scontato: «Voi,
che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli»
(Mt 7,11). Gesù riportò l’episodio, in cui un
Samaritano, quindi uno che i Giudei consideravano pagano, a differenza di un
sacerdote e di un levita, soccorse un povero disgraziato, che era caduto vittima
dei predoni (Lc 10,30-35). Anche Paolo menzionò la possibilità, sul piano
morale, che possa esistere un uomo giusto o buono d’animo (Rm 5,7).
Il punto, su cui insiste la Bibbia, è che tutte le opere buone dell’uomo sono
insufficienti, perché l’uomo possa
essere giustificato (= dichiarato giusto) dinanzi a Dio. Anche
Giuseppe da Arimatea,
essendo un consigliere onorato del Sinedrio giudaico (Mc 15,43), a un certo
punto dovette schierarsi per Gesù, diventando suo discepolo (Mt 27,57ss).
Così fu per
Cornelio, un romano timorato di Dio:
sebbene le sue opere di misericordia fossero gradite dinanzi a Dio (At
10,1s.4.22), egli necessitava del sacrificio di Cristo e della rigenerazione
mediante lo Spirito Santo (vv. 36ss.44). Anche Paolo
aveva un curriculum di tutto rispetto nel giudaismo (Fil 3,4ss), era un giudeo
estremamente
zelante per
la legge, per (quello che allora intendeva per) la «causa
di Dio» (At 22,3) e per le tradizioni dei suoi padri (Gal 1,14), e si definiva «irreprensibile
quanto alla giustizia, che è nella legge» (Fil 3,6). Alla fine, dopo aver
incontrato Gesù sulla sua via (At 9), fece questa scelta: «Ma ciò, che per me
era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi,
a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza
della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a
tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura, al fine di
guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia,
derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la
giustizia, che viene da Dio, basata sulla fede» (Fil 3,7ss).
Per andare a Gesù,
gli uomini necessitano di essere illuminati dal messaggio dell’Evangelo: «Così
la fede viene dall’udire e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo»
(Rm 10,17). Gli uomini vengono chiamati
nello stato, in cui si trovano sul piano morale: onesti e disonesti, buoni e
cattivi, giusti ed empi; il loro grado di giustizia morale non serve loro nulla
ai fini della salvezza, che è solo per grazia mediante la fede (Rm
5,1s; Ef 2,5.8).
Per togliere ogni vanto agli uomini più onesti degli altri e per dare accesso a
tutti alla salvezza, Dio ha rilasciato un decreto, secondo cui tutti gli uomini
sono dichiarati peccatori e rinchiusi sotto il peccato (Gal 3,22), poiché
nessuno di loro raggiunge il livello, che vale dinanzi a Dio (Rm 3,23). Insieme
a Gesù furono crocifissi due malfattori,
ma solo uno di loro si appellò a Gesù e ricevette da Lui la promessa di essere,
quello stesso giorno, in Paradiso col Messia (Lc 23,39-43).
3. GIACOMO
4,17:
Tale verso afferma in realtà quanto segue: «A
chi dunque che sa ben fare, e non lo fa, a questi è [imputato come]
peccato»;
è un modo tipicamente ebraico di esprimersi. I primi due verbi sono al
participio dativo. Qui ricorre in greco la locuzione kalòn poieĩn
«ben fare», senza articolo.
Kalós è ciò che è bello, esteticamente
buono, lodevole, onorabile, moralmente buono. In greco l’accusativo senza
articolo viene usato, a volte, come fosse un avverbio (qui «[fare] bene»;
cfr. kalón [acc.] in Mt 15,26; 1 Cor 7,1.8.26; Gal 4,18; 1 Tm 2,3; 3,13;
Eb 13,9). L’accusativo kalón è usato al posto dell’avverbio kalõs
«in modo bello, in modo buono; bene, giustamente» (cfr. poiéō kalõs
«far bene» in Mt 12,12; Mc 7,32; Lc 6,27; At 10,33; 1 Cor 7,37s; Fil 4,14; Gcm
2,8.19; 2 Pt 1,19; 3 Gv 1,6). Quando si intende di «fare il bene», in
genere ricorre la locuzione poiéō tò kalón (con articolo determinativo;
Rm 7,21; Gal 6,9; 2 Cor 13,7; 1 Ts 5,21).
La locuzione «ben fare» riguardava qui ciò, che Giacomo
aveva indicato precedentemente, traendo qui le conclusioni («dunque»). Egli
parlava ai credenti.
Far bene le cose comandate da Dio o fare
del bene è, comunque, sempre positivo dinanzi a
Dio, ma non dà meriti ai fini della salvezza. Prima bisogna essere innestati con
la vita di Cristo e, poi, i buoni frutti verranno di per sé, quale prova e
conferma della rigenerazione.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Opere_morte_EdF.htm
20-01-2015;
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