Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Calvinismo

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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COSTITUITI PECCATORI, COSTITUITI GIUSTI

 

 Fiorina Pistone - Nicola Martella

 

 Il seguente quadro rispecchiava il momento, in cui Fiorina Pistone scriveva qui le sue tesi. Ella era una cattolica, che avrei definito «illuminata». Ella, sebbene ancorata alle tradizioni della sua chiesa, amava la Parola di Dio e aveva accettato un sereno e approfondito confronto sulla base delle sacre Scritture ebraiche e cristiane. Fiorina trovava molte difficoltà particolarmente riguardo alla dottrina calvinista della cosiddetta «doppia predestinazione»; e non solo lei. Qui di seguito presentò le sue tesi, a cui rispose Nicola Martella.

 

 

1. TUTTI CORRESPONSABILI CON ADAMO? (Fiorina Pistone): Caro Nicola, da anni mi capita spesso di rileggere Romani 5,19 — «Come per la disobbedienza d’uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza d’uno solo tutti saranno costituiti giusti» —, chiedendomi che cosa Paolo abbia voluto veramente dire. Se m’aggiro sui siti dei calvinisti mi capita di trovare spesso quest’interpretazione: noi esseri umani, trovandoci già presenti nei lombi d’Adamo al momento del peccato originale, abbiamo partecipato al peccato del nostro progenitore; siamo stati, insieme a lui, ribelli a Dio, e lo abbiamo fatto con piena responsabilità, perché Dio ci aveva creati pienamente integri e la nostra natura non era ancora corrotta e decaduta com’è ora. I calvinisti ne traggono la conclusione che se Dio, come loro sostengono, ha deciso fin dall’eternità d’abbandonare alla perdizione una parte degli esseri umani, lo ha fatto con suo pieno diritto, perché noi tutti eravamo di null’altro meritevoli che dell’eterna condanna.

     Io non so come tu, Nicola, la pensi.

     Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice nella sezione seconda, capitolo primo, paragrafo sette, nei passi contrassegnati dai numeri 404 e 405: «Adamo e Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta d’un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione d’una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato “peccato” in modo analogico: è un peccato “contratto” e non commesso, uno stato e non un atto.

     Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente d’Adamo ha un carattere di colpa personale».

 

Un altro testo della Chiesa Cattolica più argomentativo, che è stato pubblicato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) nel 1995 ed è intitolato «La verità vi farà liberi», proposto come «Catechismo degli adulti», dice alle pp. 197-198: «Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell’umanità ha un’influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue modalità peculiari d’integrità e immortalità... La triste condizione in cui l’uomo nasce è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme a essa, non un atto delle persone. Viene chiamato «peccato originale» non perché sia una colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali».

     Ritornando al passo di Paolo di cui sopra e confrontandomi coi calvinisti, constato che io, sotto certi aspetti, vedo in Romani 5,19a («come per la disobbedienza d’uno solo tutti sono stati costituiti peccatori») una più forte analogia con quanto dichiarato in 19b («per l’obbedienza d’uno solo tutti saranno costituiti giusti»). Penso infatti in questo modo: come noi siamo diventati giusti non contemporaneamente al compimento dell’obbedienza suprema di Gesù al Padre nel suo sacrificio sulla croce, ma soltanto quando abbiamo accettato, riconoscendo le nostre colpe, d’essere da lui redenti, così si deve dire che noi siamo diventati colpevoli non contemporaneamente al peccato d’Adamo, ma soltanto quando abbiamo commesso il nostro primo peccato personale.

 

 

2. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI (Nicola Martella)

     ■ Approccio e metodo: Quantunque siano importanti asserzioni dogmatiche di una o dell’altra chiesa, ritengo che faccia una gran differenza nell’affrontare un tema, se si parte da una sovrastruttura dogmatica o da una corretta esegesi contestuale. Quest’ultima analizza il contesto letterario, culturale, storico, religioso, eccetera, in cui sono nate certe concezioni, e cerca di riprodurle con la massima fedeltà. Se si analizza un testo, partendo da asserti dogmatici stabiliti a priori, si arriverà a conclusioni del tutto differenti. Ritengo che sia il romanesimo sia il calvinismo siano approcci dogmatici; ciò non significa che non diranno cose anche giuste, ma gli approcci e i metodi usati sono viziati a priori da decisioni stabilite in un certo momento della storia e formulati in asserti irremovibili, con cui poi si pretende analizzare e insegnare i contenuti biblici.

 

     ■ Mondo d’idee: È difficile capire un testo antico e appartenente a un’altra cultura, partendo dalla propria cultura e dal proprio tempo, che si ritiene normativi. La logica, il razionalismo e il mondo d’idee occidentali sono l’humus in cui ci muoviamo, ma se li prendiamo a unica «livella» per misurare altre civiltà e culture, non capiremo queste ultime e ne daremo un quadro distorto. Così è per il mondo dell’AT e del NT. Rimando al riguardo all’articolo «Lingua – mentalità – approccio al mondo» presente nel mio libro Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 216s; cfr. qui anche «Globalità», p. 180.

 

     ■ Padri e figli: Per mostrare il mondo delle idee dei Semiti, che è differente da quello degli Occidentali, bisogna tener presente la «compartecipazione di colpa» o la «compartecipazione di giustizia» della discendenza nel capostipite. Se non si tiene presente questo aspetto, non si capirà di che cosa stiamo parlando. Ecco qui di seguito alcuni aspetti.

            ● Canaan fu maledetto in Cam, suo capostipite (Gn 9,25). La perversione di Cam (v. 22), si ritrova nei culti orgiastici dei Cananei (Lv 20,5; 1 Re 14,24). Chiaramente i Cananei potevano convertirsi a Jahwè, entrando nel patto d’Israele.

            ● Quando Dio benediva qualcuno, tale benedizione si estendeva alla sua discendenza (Gn 22,16ss; 26,3s; 28,3s; Is 44,2s). Certo, come mostra il caso di Esaù, tale benedizione si perde (col tempo), quando si abbandona il terreno sicuro delle promesse di Dio e perciò non la si trasmette alla discendenza (Eb 12,16; cfr, Dt 30,19s).

            ● Sebbene la colpa del capofamiglia era personale, la pena s’estendeva all’intera sua famiglia, che era identificata in lui; in caso di responsabilità nella morte d’altri uomini e famiglie, pagava l’intera famiglia del reo al momento (Nu 16,27.31ss; Gs 7,19.24ss) o per generazioni (Es 20,5; 34,7; Nu 14,18; Dt 5,9; 29,59).

            ● Sebbene l’atto di giustizia del capofamiglia era personale, il beneficio risultante s’estendeva all’intera sua famiglia, che era identificata in lui (Gn 15,6.18; 26,3.5.24; 28,4; 2 Re 10,30).

            ● Se non si accetta di ragionare con la mentalità degli autori di testi biblici, difficilmente li si capirà veramente e, anzi, si cercheranno di mettere briglie razionalistiche e dogmatiche ai testi biblici, snaturandoli. Noi Occidentali non diremmo mai di qualcuno che abbia commesso un atto qualsiasi, quando era «nei lombi» di un suo avo. I Semiti potevano dirlo. Il ragionamento dell’autore dell’epistola agli Ebrei, che intendeva dimostrare la superiorità del sacerdozio di Melchisedek rispetto a quello levitico, fu basato proprio su questa evidenza: «E, per così dire, nella persona d’Abramo, Levi stesso, che prende le decime, fu sottoposto alla decima; 10perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedek incontrò Abramo» (Eb 7,9s).

            ● Perciò, partendo da questa mentalità, non era nulla d’eccezionale che uno scrittore biblico, di provenienza ebraica, dicesse qualcosa di simile per Adamo e la sua discendenza! «La morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo… per la trasgressione di quell’uno i molti sono morti… il giudizio da un’unica trasgressione ha fatto capo alla condanna… per la trasgressione di quell’uno la morte ha regnato mediante quell’uno… con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini… per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori» (Rm 5,14ss.18; cfr. 1 Cor 15,21s). Per brevità mi risparmio l’altra parte della medaglia rispetto ad Adamo, ossia ciò che Dio ha fatto in Cristo come contrappasso.

            ● Alcune conclusioni: Secondo la mentalità ebraica, effettivamente tutta l’umanità ha peccato in Adamo (ebr. ’ādām «uomo»). A ciò si aggiunga che il peccato contratto da Adamo quale natura peccaminosa si trasmette alla sua discendenza, come chi è infetto fa con un virus (cfr. l’AIDS). Questo è l’aspetto del «peccato» che necessita l’espiazione. Il peccato in Adamo non ci rende «colpevoli», ma «peccatori»; chi è peccatore si rende personalmente colpevole nella sua propria vita. Perciò qualunque essere umano, essendo peccatore (infetto), produrrà anche personalmente dei peccati (trasgressioni, colpe) nella sua vita. Questo è l’aspetto dei «peccati» (trasgressioni, colpe) che necessitano il perdono. Riprenderemo sotto questo aspetto.

            ● Una considerazione finale: Trarre da ciò l’asserto dogmatico della cosiddetta «doppia predestinazione», è solo un falso sillogismo. Una cosa è il diritto indiscutibile di Dio, altra cosa è invece ciò che Dio ha fatto realmente. La chiamata dei patriarchi d’Israele è stata finalizzata, fin dall’inizio, alla benedizione nella discendenza di tutte le famiglie della terra (Gn 12,3; 18,18; 22,18; 26,4; 28,14; At 3,25). Dio non fece morire suo figlio per gli eletti, ma per tutto il mondo (Gv 3,16) e il suo desiderio è che «tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4).

 

     ■ Peccato e colpa: Per capire bene la questione, bisogna assolutamente distinguere fra «peccato» e «colpa». Il peccato è l’infrazione della legge, mentre la colpa è di natura morale. Non a caso in Israele c’era il «sacrificio per il peccato», che produceva l’espiazione (esso colpiva l’albero, la natura peccaminosa); e c’era poi il «sacrificio per le colpe (o peccati)», che produceva il perdono, ossia l’accettazione nella comunione (esso colpiva i frutti). La differenza fra «peccato» (l’albero, la natura peccaminosa) e «peccati» (o colpe; i frutti) e fra «espiazione» e «perdono», si trova chiaramente anche nel NT! (cfr. 1 Gv). Molta confusione sul piano teologico, deriva proprio dalla mancanza di comprensione di questi aspetti. Così, leggendo brani come Rm 5 e 2 Cor 5, gli universalisti pretendono che tutti gli uomini siano tutti salvati, i romanisti vogliono aggiungere ai propri meriti quelli di Cristo (e di altre persone considerate meritevoli) e i calvinisti devono spiegare che l’espressione «Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19) intenderebbe solo gli eletti.

     Questa problematica diventa chiara, quando ci chiediamo se i bimbi che muoiono in tenera età, siano salvati o meno, visto che non hanno commesse colpe che possono essere loro imputate. Tratto tutta questa questione nell’articolo «I bimbi morti vanno in paradiso?» in Escatologia biblica essenziale. Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 390ss. Per non ripetermi, rimando a tale trattazione.

 

     ■ Totale depravazione?: Che il peccato possa depravare gli uomini, è fuori discussione. I calvinisti affermano però che il cosiddetto «peccato originale» abbia totalmente depravato l’uomo. Facendo un’esegesi dei primi capitoli della Genesi, notiamo che le cose non stanno proprio così. Adamo ed Eva rimasero «immagine di Dio» (Gn 5,1ss). Dio diede loro strumenti di salvezza e di comunione (Gn 3,21; 4,3ss). Dio non avrebbe potuto dire a Caino: «Tu lo devi dominare!» (Gn 4,7), se egli non ne era per nulla in grado. Riprenderemo sotto questo aspetto. Per gli approfondimenti esegetici contestuali rimando alla mia opera «Le Origini 1-2».

 

     ■ Nessun automatismo: Dio pose fin dall’inizio la «dottrina delle due vie», indicando sulla base dei suoi strumenti di salvezza (i sacrifici sostitutivi) la via della legittimità e dell’abuso, della giustizia e dell’ingiustizia. E l’umanità si divise proprio a tale bivio. L’uomo però rimaneva immagine di Dio e, qualora Dio si rivelava agli uomini, essi potevano ascoltare la sua chiamata e decidersi di entrare nel suo patto di salvezza (cfr. Abramo) e di inaugurare nella sua discendenza una via di legittimità. Che l’elezione di Dio e la sua benedizione non funzioni automaticamente è mostrato dal caso, ad esempio, di Esaù, di Saul e degli altri discendenti di Abramo. A ciò si aggiunga la continua scelta all’ubbidienza, dinanzi a cui il popolo viene continuamente posto da Mosè e dai profeti, il tutto secondo la «dottrina delle due vie».

 

     ■ La totale corruzione dell’uomo?: Che esistano persone più oneste, più buone, più nobili e più pie di altri, non ce lo dice solo la Scrittura, ma fa parte della nostra esperienza. Quindi la «totale corruzione dell’uomo», d’ogni uomo, è un asserto dogmatico non una realtà esegetica. Il «tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio» (Rm 3,23) è qualcosa di diverso da tale asserzione dottrinale.

     La totale corruzione premetterebbe che gli uomini siano ugualmente tutti dei bruti, moralmente parlando, al pari di quelli (forse epicurei) descritti da Pietro: «Costoro, come bruti senza ragione, nati alla vita animale per esser presi e distrutti, dicendo male di quel che ignorano, periranno per la loro propria corruzione, ricevendo il salario della loro iniquità. 13Essi trovano il loro piacere nel gozzovigliare in pieno giorno; sono macchie e vergogne, godendo dei loro inganni mentre partecipano ai vostri conviti; 14hanno occhi pieni d’adulterio e che non possono smettere di peccare; adescano le anime instabili; hanno il cuore esercitato alla cupidigia; son figli di maledizione» (2 Pt 2,12ss). Pietro stesso conobbe però un Cornelio (At 10).

     Se tutti sono «bruti senza ragione», non si può parlare di persone più nobili di altre (Est 6,9; Is 22,24; At 17,11) o di qualcuno che è «perverso agli occhi dell’Eterno» (Gn 38,7; 1 Cr 2,3; Gdc 19,22). Non ci sarebbe differenza fra l’insensato e il sapiente (Gb 11,12). Tale paradigma dottrinale vieterebbe a Davide di dire in preghiera: «Tu ti mostri pietoso verso il pio, integro verso l’uomo integro; 27ti mostri puro col puro e ti mostri astuto col perverso» (2 Sm 22,26). Davide non potrebbe rincuorare il suo prossimo, dicendo: «Non ti crucciare a motivo dei malvagi; non portare invidia a quelli che operano perversamente» (Sal 37,1). Non potrebbe neppure prendere le distanze da costoro (Sal 102,4) né chiedere a Dio d’essere liberato «dalla mano dell’empio dalla man del perverso e del violento» (Sal 71,4), se tutti lo sono allo stesso modo. Sebbene tutti sono peccatori che necessitano di espiazione e di perdono, non sono tutti allo stesso modo totalmente corrotti, altrimenti tutta la sapienza d’Israele sarebbe un ammasso di menzogne (cfr. Pr 2,12ss; 3,31ss; 6,12ss; 8,13; 10,31s; 11,13.20; ecc.). Lo stesso pensiero era condiviso dai profeti (cfr. Is 26,10; Hb 1,3s; Sf 3,3ss; Mal 2,6). Similmente insegnarono gli apostoli (At 20,29s).

 

     ■ Il decreto: Tutto ciò però non ha nulla a che vedere con la salvezza, poiché il metro di misura non è la giustizia dell’uomo, ma quella di Dio. Paolo argomentò che Dio ha rinchiuso, per decreto, tutti gli uomini sotto il peccato, per così togliere ogni vanto umano e per permettere a ognuno d’accedere alla salvezza. «Se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge; 22ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi alla fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti» (Gal 3,21s). «Abbiamo dinanzi provato che tutti, Giudei e Greci, sono sotto il peccato» (Rm 3,9). «Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti» (Rm 11,32). Perciò chiunque accetta Cristo come Signore e Salvatore, ottiene non solo misericordia (Rm 11,30s), riconciliazione con Dio e l’espiazione del peccato, ma anche il perdono dei peccati (colpe, trasgressioni) personali.

 

     ■ I puntini sulle «i»: Riprendo quanto detto sopra. Non sono le trasgressioni personali a renderci per prima «peccatori»; ma poiché siamo peccatori, commettiamo iniquità. Non sono i frutti a far cattivo l’albero, ma l’albero cattivo produrrà frutti cattivi (Mt 7,17; Mt 12,33).

     Non si può ridurre la connessione di colpa in Adamo a sole istanze sociali, secondo un’ideologia umanista che traspare dal «Catechismo per adulti» della CEI. Non è solo il cattivo esempio a produrre iniquità e atti peccaminosi; qui l’umanesimo punta tutto sull’educazione o la rieducazione, che seppur utili non risolvono il vero problema dell’uomo. Anche in famiglie beneducate e civili vengono commessi delitti efferati.

     Paolo affermò che proprio i principi morali stabiliti «destano le passioni peccaminose» e queste agiscono «nelle nostre membra per portar del frutto per la morte» (Rm 7,5). Sebbene «la legge è santa, e il comandamento è santo e giusto e buono» (v. 12), «il peccato, colta l’occasione, per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno; e, per mezzo d’esso, m’uccise» (v. 11; cfr. v. 8). Egli trae le conseguenze: «Noi sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona; e allora non son più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me» (vv. 15ss). E similmente argomenta nei versi che seguono (vv. 18-25), mostrando che il peccato (la natura peccaminosa), sebbene sia un corpo estraneo, è un’istanza e un paradigma indipendente dalla mia volontà.

     La soluzione non è il miglioramento, ma la rigenerazione. A ci è credente viene chiesto di «mortificare» il peccato nella sua vita, ossia di metterlo fuori uso mediante lo Spirito Santo e la sottomissione alla Parola di Dio (Rm 8,23s). «Avete svestito l’uomo vecchio con i suoi atti e rivestito il nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di Colui che l’ha creato» (Col 3,10; Ef 4,22ss).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Peccatori_giusti_MT_AT.htm

06-11-2007; Aggiornamento: 19-01-2014

 

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